sentenza 3 aprile 2003; Giud. Tona; imp. MartoranaSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 101/102-105/106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200496 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
sportivo nel gestire la lotta al doping — il proprio dovere di le
giferare, adempiendo alla convenzione, attraverso l'emanazione
di una legge incriminatrice penale. E evidente che una scelta co
sì fortemente repressiva comporti il rispetto da parte di chi legi fera dei principi costituzionali di legalità formale (riserva di
legge, tassatività e irretroattività) posti a base del diritto puniti vo dello Stato.
È l'esigenza di tale rispetto che infatti orienta l'intera attività
della commissione giustizia della camera che ampiamente af
fronta nei suoi lavori la necessità che il sistema di classificazio
ne e periodico aggiornamento non lasci varchi che possano dare
vita ad una norma aperta eccessivamente indeterminata, anche
nell'applicazione giurisprudenziale (ampliamento attraverso
l'analogia delle sostanze incriminabili), finendo per contrastare
con il principio di legalità. Piuttosto che sacrificare tale princi pio la commissione ritiene preferibile correre il rischio di non
sanzionare penalmente l'assunzione di sostanze dopanti non an
cora inserite nella fonte secondaria tra quelle vietate (cfr. gli interventi di S. Neri e L. Saraceni nella seduta del 28 marzo
2000). Argomenti in senso contrario non possono trarsi dal fatto che
al giudice vengono concessi spazi di discrezionalità riservatigli dalla legge nella valutazione sulla concreta idoneità da parte delle sostanze o delle pratiche mediche dopanti di cui agli elen
chi a modificare le condizioni psico-fisiche o biologiche del l'organismo (art. 9, 1° e 2° comma: «... che siano idonei a mo
dificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti...»). Si
tratta come evidente di una discrezionalità che opera negli stretti
ambiti normativi non per ampliare la portata del penalmente il
lecito bensì per restringerla. Rispetto infatti ad una severa previ sione normativa che considera astrattamente come fonte di peri colo tutte le sostanze indicate nei decreti ministeriali, il legisla tore ha opportunamente preferito evitare che ogni condotta
astrattamente conforme alla fattispecie normativa finisse per co
stituire un fatto punibile. Ha lasciato infatti al giudice il compito di valutare caso per caso se i farmaci assunti esprimano, per
qualità e quantità, una pur potenziale capacità modificativa delle
predette condizioni.
Non corrisponde infine a verità, così come assume l'accusa, che il giudice di legittimità, abbia nell'ordinanza Gariazzo, cit.,
emessa in tema di commercializzazione di sostanze dopanti (art.
9, 7° comma, 1. 376/00), data per scontata l'applicabilità della
legge anche in assenza della tabella delle sostanze proibite. E
vero invece che la Suprema corte, con provvedimento tecnica
mente non condivisibile, non ha in alcun modo preso in conside
razione le argomentazioni del g.i.p. contenute nel provvedi mento impugnato, non affrontando il problema fondamentale
posto dalla disciplina penale dei reati di doping consistente nella
configurabilità dei reati medesimi nelle more fra l'emanazione
della legge e quella dei decreti ministeriali individuanti farmaci,
sostanze e pratiche dopanti. Il g.i.p. non ha, nel caso sottoposto alla corte, convalidato
l'arresto sotto il duplice profilo dell'assenza al momento dei
fatti dei decreti ministeriali integrativi della fattispecie penale e dell'insussistenza di un'attività riferibile al concetto di com
mercio; la corte ha rigettato il ricorso del p.m. avverso tale
provvedimento sulla base della diversa motivazione della man
cata contestazione all'arrestato di un elemento costitutivo della
fattispecie criminosa quale la finalità di alterare le prestazioni
agonistiche degli atleti ovvero di modificare i risultati dei con
trolli sull'uso di tali farmaci e sostanze, senza entrare nel merito
delle questioni affrontate dal giudice e sollevate dal p.m. Conclusivamente e per tutte le argomentazioni suesposte, alla
data di consumazione del fatto contestato all'imputato, ossia il
21 gennaio 2001, il doping non era reato in quanto pur essendo
stata emanata la legge, non era ancora stato emesso il decreto
ministeriale integrativo della stessa.
È infatti solo in data 15 ottobre 2002 che viene emesso il de
creto (pubblicato su G.U. 27 novembre 2002, n. 278) di «appro vazione della lista dei farmaci, sostanze biologicamente e far
macologicamente attive e delle pratiche mediche il cui impiego è considerato doping, ai sensi della 1. 14 dicembre 2000 n. 376», poi integrato alcuni mesi dopo con il decreto 30 dicembre 2002
(G.U. 18 marzo 2003, n. 64). L'imputato va quindi assolto dall'imputazione ascrittagli per
ché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Il Foro Italiano — 2004.
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA; sentenza 3 aprile 2003; Giud. Tona; imp. Martorana.
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA; s
Patrocinio a spese dello Stato — False dichiarazioni nell'i
stanza di ammissione — Reato — Esclusione — Fattispe cie (L. 30 luglio 1990 n. 217, istituzione del patrocinio a spe se dello Stato per i non abbienti, art. 5; d.p.r. 30 maggio 2002
n. 115, t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia (testo A), art. 95).
Il reato di falsità od omissioni nell'istanza di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti e nelle suc
cessive comunicazioni, previsto dall'art. 5, 7° comma, l.
217/90, così come riformulato dalla l. 134/01 (oggi art. 95
t.u. in materia di spese di giustizia), costituisce fattispecie di
pericolo, autonoma rispetto ai reati di falsità in atti di cui al
codice penale, e posta a tutela della corretta valutazione, da
parte dell'autorità competente, dei presupposti per la conces
sione del beneficio; ne consegue che le false dichiarazioni
eventualmente contenute nell'istanza di ammissione, qualora non concernenti elementi essenziali ai fini di tale valutazione,
costituiscono un'ipotesi di c.d. falso inutile, come tale non
punibile. (1)
(1) La sentenza in epigrafe si segnala per due ragioni: da un lato,
perché essa riconosce alla particolare fattispecie di reato prevista dal
l'art. 5, 7° comma, 1. 30 luglio 1990 n. 217, così come riformulato dalla
1. 29 marzo 2001 n. 134 (oggi art. 95 t.u. in materia di spese di giusti zia), fattispecie che punisce le falsità e le omissioni contenute nell'i
stanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e nelle successi
ve comunicazioni, una sostanziale autonomia rispetto ai delitti di falso
contenuti nel codice penale, con riferimento in particolare all'interesse
tutelato; dall'altro, perché, nonostante ciò, essa estende alla fattispecie in questione le acquisizioni della dottrina e della giurisprudenza, già elaborate a proposito dei suddetti delitti, in merito all'irrilevanza penale del c.d. falso inutile, cioè, in generale, del falso concernente un ele
mento del contenuto dell'atto non rilevante o non influente ai fini della
decisione da adottare in rapporto alla situazione giuridica in questione. Il reato de quo è stato introdotto nell'ordinamento dall'art. 5, 7°
comma, 1. 217/90, istitutiva del patrocinio a spese dello Stato per i non
abbienti, al fine di sanzionare penalmente le falsità e le omissioni con
tenute nelle autocertificazioni, dichiarazioni, indicazioni e comunica
zioni che il privato istante deve produrre al fine di essere ammesso a
godere del patrocinio e, successivamente, di continuare a beneficiarne.
Nella sua originaria formulazione, l'articolo stabiliva che le sanzioni
avrebbero dovuto essere quelle previste per i delitti di falso contenuti
nel codice penale, con la conseguenza che la singola condotta tipica avrebbe dovuto comunque essere sussunta sotto una delle molte fatti
specie ivi previste (per un caso particolare in cui essa è stata applicata in combinazione con il reato di falsità ideologica del privato in atto
pubblico di cui all'art. 483 c.p., v. Trib. Catania 18 gennaio 2000, Foro
it., 2000, II, 623, con nota di Impagnatiello, che ha condannato due
soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, i quali avevano otte
nuto il patrocinio dichiarando di essere nullatenenti, ma erano invece
successivamente risultati titolari di redditi provenienti da attività ille
cite o comunque non tassabili). La 1. 134/01 ha successivamente riformulato la norma in questione
(poi ulteriormente trasfusa, senza modifiche rilevanti, nell'art. 95 t.u. in
materia di spese di giustizia), modificando in particolare il trattamento sanzionatorio: infatti, oggi questo non risulta più ancorato a quello pre visto per i delitti di falso contenuti nel codice penale, ma fissato auto
nomamente nel minimo e nel massimo; contemporaneamente, è stato
introdotto un aumento di pena per il caso in cui sia ottenuta l'ammis
sione al patrocinio (su tale novella, v., più in generale, in dottrina, tra
gli altri, Bricchetti-Sacchettini, Commento alla l. 29 marzo 2001 n.
134, modifiche alla l. 30 luglio 1990 n. 217, recante istituzione del pa trocinio a spese dello Stato per i non abbienti, in Guida al dir., 2001, fase. 17, 77; Randazzo, Il patrocinio a spese dello Stato nel processo
penale (commento alla l. 29 marzo 2001 n. 134), in Dir. pen. e proc., 2001,962).
Secondo il giudice nisseno, tale modifica normativa avrebbe accen
tuato, rispetto alla precedente formulazione, il carattere autonomo della
fattispecie in questione rispetto ai delitti di falsità in atti di cui al codice
penale: in tal senso militerebbero in particolare, oltre alla determina
zione autonoma del trattamento sanzionatorio, anche la maggiore entità
di questo rispetto alle corrispondenti fattispecie codicistiche e un ulte
riore dato normativo, vale a dire il fatto che la nuova regolamentazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni operata dal d.p.r. 28 di
cembre 2000 n. 445 continua a sanzionare le false dichiarazioni attra
verso un richiamo alle pene previste dal codice penale. Dal carattere autonomo della fattispecie in questione si desumerebbe
come il bene giuridico da questa protetto sia più delimitato rispetto a
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PARTE SECONDA
Esposizione sommaria dei motivi della decisione. — 1. - Il
fatto. Il presente procedimento scaturisce dalla trasmissione al
p.m. di copia degli atti relativi al procedimento per l'ammissio
ne al gratuito patrocinio, richiesta da Martorana Giovanni.
Nell'istanza depositata in data 18 marzo 2002, quest'ultimo aveva dichiarato, ai sensi dell'art. 5, 2° comma, lett. a), 1.
217/90, di non aver mai presentato dichiarazione dei redditi, in
quanto non possedeva redditi.
Aveva pure dichiarato che la moglie La Loggia Rosvita non
possedeva redditi da lavoro né di altra origine. In base a tale documentazione, il beneficio da lui richiesto
veniva concesso dal giudice competente, che al contempo di
sponeva accertamenti patrimoniali. Con nota del 5 giugno 2002, la guardia di finanza trasmetteva
al p.m. presso il Tribunale di Caltanissetta gli esiti delle sue in
quello del semplice interesse pubblico alla veridicità sostanziale della
dichiarazione, potendo essere invece identificato nell'interesse alla cor retta valutazione dei presupposti per la concessione del beneficio da
parte del giudice competente: ne conseguirebbe ulteriormente che non tutte le false dichiarazioni allegate all'istanza di ammissione sarebbero
penalmente rilevanti, ma solo quelle realmente idonee a mettere in pe ricolo la correttezza di tale valutazione. A questo proposito va tuttavia rilevato come tanto la dottrina quanto la giurisprudenza tendano ormai a ritenere che le stesse norme del codice penale che puniscono i delitti di falsità in atti siano poste a tutela dell'interesse alla veridicità del l'atto non in sé considerata, ma solo in quanto necessaria per il corretto
esplicarsi della funzione documentale dell'atto nel caso concreto in re lazione ai possibili destinatari (cfr., sul punto, per tutti, Fiandaca
Musco, Diritto penale, parte speciale, 3a ed., Bologna, 2002,1, 562 s.). In tal modo, comunque, il giudice afferma esplicitamente di voler
applicare anche alla fattispecie considerata la categoria, frutto di elabo razione dottrinale, del c.d. falso inutile, ovvero del falso concernente un elemento del contenuto dell'atto non rilevante o non influente ai fini della decisione da adottare in rapporto alla situazione giuridica in que stione. Da ciò deriverebbe, nel caso di specie, che le false dichiarazioni eventualmente contenute nell'istanza di ammissione al gratuito patroci nio sarebbero punibili ai sensi del nuovo art. 95 t.u. in materia di spese di giustizia solo qualora abbiano avuto (o anche avrebbero potuto ave
re) concreta influenza sulla decisione del giudice. L'irrilevanza penale del falso c.d. inutile, così come, del resto, di al
tre ipotesi di falso considerate inoffensive, è riconosciuta dalla dottrina
pressoché unanime: cfr., sul punto, Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, cit., 533-535; Giacona, Appunti in tema di falso c.d.
grossolano, innocuo e inutile, in Foro it., 1993, II, 491; più di recente, Id., La problematica dell'offesa nei delitti di falso documentale, Tori
no, 2003, spec. 61-116 (ed. provv.), dove tuttavia, ferma restando l'ir rilevanza penale, si preferisce definire il falso inutile come quello in cui difetta il carattere fraudolento, e il cui risultato avrebbe potuto agevol mente essere raggiunto attraverso una condotta alternativa lecita. Oggi, dopo alcuni eccessi di rigorismo repressivo verificatisi nei decenni pas sati e imputabili ad una concezione piuttosto formalistica dei reati di
falso, tale irrilevanza tende ad essere affermata sempre più spesso an che in giurisprudenza: v. Cass. 20 novembre 1996, Scaricabarozzi, Dir.
pen. e proc., 1997, 594, con nota di Monteverde, e Foro it., Rep. 1997, voce Falsità in atti, n. 13, secondo cui è innocua e dunque non punibile la falsità in concreto inidonea a ledere l'interesse tutelato dalla genui nità del documento, ovvero a conseguire uno scopo antigiuridico; nello stesso senso, v. anche Cass. 13 novembre 1997, Gargiulo e altri, id., 1998, lì, 318, in tema di falsità contenute nel verbale di esami univer sitari. In dottrina, v., sul punto, Fiandaca-Musco, Diritto penale, cit., 531 e 533-535.
Più in generale, appare emblematica della tendenza a restringere i confini del falso penalmente rilevante, Cass., sez. un., 15 dicembre
1999, Gabrielli, Foro it., 2000, II, 463, con nota di Giammona, che ha ritenuto il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto
pubblico (art. 483 c.p.) configurabile solo allorché a quest'ultimo sia
attribuita, in virtù di specifica disposizione di legge, efficacia probato ria dei fatti in esso attestati (nello stesso senso, v. già prima Cass., sez.
un., 17 febbraio 1999, Lucarotti, id., 1999, II, 435, con osservazioni di
CianO- A tale orientamento si conforma anche Trib. Catania 18 gennaio 2000, cit., allorché afferma che la falsa attestazione del reddito ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio ha natura di atto pubblico desti nato a provare la verità di quanto in esso affermato.
Tuttavia, va infine segnalato come non manchino pronunce recenti che sembrano andare in senso contrario alla irrilevanza penale del falso innocuo e del falso inutile, quali Cass. 29 maggio 1997, Maimone, id., Rep. 1997, voce cit., n. 17, secondo cui la tutela del falso concerne l'attestazione per sé stessa, senza che la valutazione dell'innocuità del falso possa essere rapportata alla funzione dell'atto quale risultante dalla destinàzione occasionale data a quest'ultimo dal privato. [E. Ni
cosia]
Il Foro Italiano — 2004.
dagini e lo informava che la moglie del Martorana, La Loggia Rosvita, aveva percepito redditi da lavoro dipendente:
— anno 1999: euro 5.523,00; — anno 2000: euro 13.293,00 + euro 1.520,00. 2. - Il reato contestato. Il p.m. ha contestato all'imputato il
reato di cui all'art. 95 t.u. in materia di spese di giustizia, norma
che ha inglobato la disposizione già contenuta nel 7° comma
dell'art. 5 1. 217/90, legge istitutiva del patrocinio a spese dello
Stato per i non abbienti.
Nel regolamentare tale beneficio, il legislatore aveva previsto che l'accertamento dei presupposti reddituali per la sua conces
sione avvenisse attraverso l'autocertificazione degli interessati, fatta salva la possibilità di ulteriori verifiche da parte del giudi ce in base alla documentazione prodotta dall'istante, a quella ulteriormente richiesta a lui o agli esiti delle investigazioni de
legate alla guardia di finanza.
L'art. 5 1. 217/90, nella sua originaria formulazione, indicava
il contenuto dell'istanza e stabiliva che essa doveva comprende re tra l'altro «un'autocertificazione dell'interessato attestante la
sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione
al patrocinio a spese dello Stato, con specifica determinazione
del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato se
condo le modalità indicate nell'art. 3», cioè tenendo conto del
reddito imponibile ai fini Irpef, dei redditi esenti da Irpef e da quelli soggetti a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva.
Il 2° comma dell'art. 5 cit. disciplinava le dichiarazioni e la
documentazione che dovevano essere allegate all'istanza e im
poneva l'obbligo di riportare analiticamente l'ammontare dei
redditi nelle varie tipologie, nonché i beni immobili e i beni mobili registrati in ordine ai quali l'interessato sia titolare di un
diritto reale.
Il 7° comma dell'art. 5 cit. stabiliva che «le falsità o le omis
sioni nell' autocertificazione, nelle dichiarazioni, nelle indica
zioni o nelle comunicazioni previste dal 1° e 2° comma sono
punite con le sanzioni previste dalle norme del titolo settimo del
libro secondo c.p.».
Questa formulazione sembrava adombrare una fattispecie criminosa specifica e autonoma rispetto ai reati di falsità in atti, ai quali faceva rinvio, in quanto si limitava a mutuarne le pene, ma non ne recepiva le condotte. Tuttavia l'interprete veniva
comunque obbligato ad operare la specifica sussunzione di cia
scun fatto in uno dei delitti di cui al titolo settimo del libro se
condo c.p., perché altrimenti non avrebbe potuto individuare la
sanzione da irrogare. Sicché in concreto ben poca autonomia
poteva avere la fattispecie criminosa di cui all'art. 5, 7° comma, 1. cit.; anzi la sua genericità ne poteva far dipanare il contenuto
in un florilegio di condotte sanzionabili, da ricavare in virtù dei
difficoltosi criteri interpretativi vigenti per ciascuno dei delitti
di falsità in atti. La 1. 29 marzo 2001 n. 134 ha modificato l'art. 5, sopprimen
done il 2° comma, che prevede l'obbligo di allegare una specifi ca dichiarazione in ordine ai redditi ed in ordine alla titolarità di
diritti reali su beni immobili e mobili registrati; ne ha poi rifor
mulato il 7° comma, espungendo il rinvio alle sanzioni previste dal titolo settimo del libro secondo c.p.
Il reato è adesso tipizzato nei seguenti termini: «la falsità o le
omissioni nell'autocertificazione, nelle dichiarazioni o nelle
comunicazioni previste dal 1 ° comma sono punite con la reclu
sione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro
1.549,37». È previsto poi un aumento di pena «se dal fatto con
segue l'ottenimento o il mantenimento dell'ammissione al pa trocinio a spese dello Stato».
Tale nuova formulazione del reato consente di considerarlo
adesso una fattispecie autonoma rispetto ai reati di falsità in atti
di cui al codice penale. L'intento del legislatore è reso palese non solo dal fatto che
ha uncinato il rinvio alle sanzioni del codice penale e le ha so
stituite con un'unica pena specificamente prevista, ma anche da
un ulteriore dato di carattere sistematico.
Nello stesso periodo in cui veniva riformato il gratuito patro cinio, con il d.p.r. 28 dicembre 2000 n. 445 (pubblicato su Gaz
zetta ufficiale il 20 febbraio 2001) è stato adottato il testo unico
in materia di documentazione amministrativa, che disciplinava tra l'altro le dichiarazioni sostitutive di certificazioni, atti questi ultimi omogenei a quelli regolamentati dall'art. 5 1. 217/90. Or
bene in relazione alle autocertificazioni da utilizzare nei proce dimenti amministrativi, il legislatore ha rinunciato a coniare una
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GIURISPRUDENZA PENALE
specifica disciplina penale per sanzionare le dichiarazioni false; ha invece scelto espressamente di far riferimento alle fattispecie del codice penale («chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo
unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in
materia»; art. 76, 1° comma, d.p.r. 445/00) e si è limitato a sta bilire un'equivalenza ai fini sanzionatori tra le dichiarazioni so
stitutive e quelle fatte a pubblico ufficiale.
Appare allora chiaro che, mentre tutte le dichiarazioni sosti
tutive e le comunicazioni all'autorità sono state ricondotte alla
disciplina generale del titolo settimo del libro secondo c.p., per
quelle relative al procedimento per l'ammissione al gratuito pa trocinio si è ritenuto opportuno differenziare fattispecie e trat
tamento.
Tanto più ciò appare evidente ove si presti attenzione al fatto
che l'art. 5, 7° comma, 1. 217/90 introduce una pena sensibil
mente più elevata rispetto a quella che le fattispecie del codice
penale prevedono per le falsità commesse da privati. Tale opzione prefigura l'esistenza di un bene giuridico pro
tetto più delimitato e specifico rispetto a quello solitamente ri
chiamato negli altri reati di falso in dichiarazioni, cioè la veridi
cità sostanziale del fatto attestato dal dichiarante.
In relazione al reato in contestazione, ad avviso di questo
giudice, l'interesse tutelato viene oggi caratterizzato dalla parti colare funzione delle dichiarazioni per l'ammissione al gratuito
patrocinio; la loro falsità o incompletezza non rileva di per sé, ma in relazione alla loro idoneità a compromettere un'adeguata valutazione del giudice circa i presupposti per la concessione
del beneficio. In questo senso si segnala il fatto che la descrizione della
condotta delittuosa si fonda sul rinvio al contenuto essenziale
dell'istanza, chiaro indizio che non tutte le dichiarazioni omis
sive mendaci allegate all'istanza meritano la sanzione penale, ma solo quelle che investano i dati richiesti dall'art. 5, 1° com
ma, 1. 217/90 (oggi art. 79 t.u. in materia di spese di giustizia). Questo elemento di fattispecie, insieme alla previsione di un
aumento di pena nel caso in cui la dichiarazione abbia consen
tito di ottenere il beneficio, conduce ad inquadrare —
oggi in
maniera inequivoca — il reato di cui all'art. 5, 7° comma, 1.
217/90 (oggi art. 95 t.u. cit.) nell'ambito dei reati di pericolo. La fattispecie delittuosa, cioè, sanziona la condotta di chi, con
dichiarazioni false od omissive, abbia concretamente determi
nato un'interferenza alla corretta valutazione dei presupposti
per l'ammissione al gratuito patrocinio, creando il pericolo di
un'erronea attribuzione del beneficio; l'ottenimento di esso è un
evento ulteriore che integra gli estremi di una circostanza ag
gravante. In questa prospettiva, per verificare se una determinata con
dotta integri il reato di cui all'art. 95 t.u., assume decisiva im
portanza la problematica (già elaborata in giurisprudenza per i
paralleli reati previsti dal codice penale) del c.d. «falso inutile», che ricorrerebbe nel caso in cui la dichiarazione non veritiera ri
guarderebbe esclusivamente un elemento non rilevante del con
tenuto dell'atto e che escluderebbe l'illiceità della condotta (in tal senso, cfr. Cass. 4 febbraio 1997, De Gennaro, Foro it., Rep. 1997, voce Falsità in atti, n. 15; 10 gennaio 2002, Alasia e altri,
id., Rep. 2002, voce cit., n. 5). Nell'economia della fattispecie delittuosa in esame, difatti,
1' «utilità» a fini illeciti della dichiarazione falsa risulta posta in
evidenza più che negli altri reati simili e ne permea dall'interno
tutta la struttura.
3. - Valutazione della condotta dell'imputato. Martorana ha
dichiarato che la moglie «non possiede redditi da lavoro o di
versi».
Gli accertamenti della guardia di finanza hanno fatto emerge re una dichiarazione dei redditi della La Loggia per gli anni di imposta 1999 e 2000.
La dichiarazione sostitutiva del Martorana è del marzo 2002; l'anno di riferimento per la valutazione dei requisiti per l'am
missione al gratuito patrocinio è il 2001, visto che si deve fare
riferimento ai redditi risultanti dall'ultima dichiarazione dei redditi.
Per tale anno non è risultato essere stato prodotto alcun altro
reddito.
Martorana ha quindi detto il vero per l'anno 2001 che interes
sava ai fini della concessione del beneficio, ha mentito invece in
relazione a circostanze che non avrebbero avuto alcuna concreta
refluenza sulla valutazione del giudice.
Il Foro Italiano — 2004.
Con le sue dichiarazioni, non ha inoltre sottratto alla cono
scenza del giudice nessuno dei dati utili alla verifica delle con
dizioni per l'ammissione al gratuito patrocinio. Ciò anche in
considerazione della limitata entità del reddito percepito nel
1999 e nel 2000, che, da un canto e dal punto di vista oggettivo, non poteva comunque lasciare alcun beneficio durevole sul pa trimonio del nucleo familiare (tale da poter indurre il giudice a
sospettare sulla veridicità delle dichiarazioni in ordine alla sua
attuale limitata consistenza) e che, d'altro canto e dal punto di
vista dell'elemento soggettivo, rende ben plausibile l'ipotesi di
un errore in buona fede del dichiarante.
Pertanto la condotta contestata all'imputato, che dal punto di
vista oggettivo potrebbe pure essere riconducibile alla vecchia
fattispecie contenuta nell'art. 5, 7° comma, 1. 217/90, in combi
nato disposto con l'art. 483 c.p., rispetto alla rinnovata fatti
specie risultante dalla riforma della 1. 134/01 risulta priva sia dei
requisiti oggettivi sia dei requisiti soggettivi idonei ad integrare il reato.
L'accusa in dibattimento non può essere allora utilmente so
stenuta.
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA; sentenza 17 dicembre
2002; Giud. Tona; imp. Golisano.
Rapina — Violenza e minaccia esercitata con bottiglia di ve
tro — Circostanza aggravante dell'utilizzo di armi (Cod.
pen., art. 585, 628; 1. 18 aprile 1975 n. 110, norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle muni
zioni e degli esplosivi, art. 4). Circostanze di reato — Attenuante dell'integrale riparazio
ne del danno — Fattispecie (Cod. pen., art. 62). Circostanze di reato — Attenuante dell'integrale riparazio
ne del danno — Risarcimento materiale effettuato da un
terzo (Cod. pen., art. 62).
Qualora il delitto di rapina sia commesso esercitando violenza
o minaccia con una bottiglia di vetro portata a tal fine sul
luogo del fatto, va riconosciuta l'esistenza della circostanza
aggravante dell'utilizzo di armi, dal momento che una botti
glia di vetro, pur essendo oggetto di uso comune, rientra tra
gli strumenti atti ad offendere che possono essere portati in
luogo pubblico solo per giustificato motivo, e costituisce dun
que «arma» agli effetti della legge penale. (1) Nel caso in cui la persona offesa danneggiata dal reato dichiari
di essere stata integralmente risarcita del danno da questo
derivante, in assenza di elementi dai quali possa desumersi la
non veridicità della dichiarazione o la manifesta incongruità della somma versata a titolo di risarcimento rispetto al danno
effettivamente subito, va applicata la circostanza attenuante
dell' avvenuta riparazione integrale del danno. (2)
L'applicazione della circostanza attenuante dell'avvenuta ripa razione integrale del danno non è necessariamente esclusa
nel caso in cui il risarcimento sia effettuato da un terzo; a tal
proposito è infatti sufficiente che il colpevole, manifestando una volontà riparatrice, si sia adoperato al fine di reperire la
somma e far conseguire all'avente diritto il controvalore del
danno patito, non potendosi richiedere necessariamente che
la somma erogata a titolo di risarcimento provenga dal pa trimonio personale dell'imputato o che questi l'abbia mate
rialmente consegnata al danneggiato. (3)
(1-3) I. - Con riferimento alla prima massima, non si sono rinvenuti
precedenti negli stessi termini. La qualificazione della bottiglia di vetro
come arma appare tuttavia in linea con la tendenza giurisprudenziale ad
interpretare estensivamente la categoria delle c.d. «armi improprie» di cui all'art. 585, 2° comma, n. 2, c.p. («tutti gli strumenti atti ad offen
dere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero
senza giustificato motivo»), includendovi un gran numero di utensili.
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