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sentenza 3 aprile 2003; Giud. Tona; imp. Martorana

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sentenza 3 aprile 2003; Giud. Tona; imp. Martorana Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 101/102-105/106 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23200496 . Accessed: 25/06/2014 01:45 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.77.146 on Wed, 25 Jun 2014 01:45:41 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 3 aprile 2003; Giud. Tona; imp. Martorana

sentenza 3 aprile 2003; Giud. Tona; imp. MartoranaSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 2 (FEBBRAIO 2004), pp. 101/102-105/106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200496 .

Accessed: 25/06/2014 01:45

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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GIURISPRUDENZA PENALE

sportivo nel gestire la lotta al doping — il proprio dovere di le

giferare, adempiendo alla convenzione, attraverso l'emanazione

di una legge incriminatrice penale. E evidente che una scelta co

sì fortemente repressiva comporti il rispetto da parte di chi legi fera dei principi costituzionali di legalità formale (riserva di

legge, tassatività e irretroattività) posti a base del diritto puniti vo dello Stato.

È l'esigenza di tale rispetto che infatti orienta l'intera attività

della commissione giustizia della camera che ampiamente af

fronta nei suoi lavori la necessità che il sistema di classificazio

ne e periodico aggiornamento non lasci varchi che possano dare

vita ad una norma aperta eccessivamente indeterminata, anche

nell'applicazione giurisprudenziale (ampliamento attraverso

l'analogia delle sostanze incriminabili), finendo per contrastare

con il principio di legalità. Piuttosto che sacrificare tale princi pio la commissione ritiene preferibile correre il rischio di non

sanzionare penalmente l'assunzione di sostanze dopanti non an

cora inserite nella fonte secondaria tra quelle vietate (cfr. gli interventi di S. Neri e L. Saraceni nella seduta del 28 marzo

2000). Argomenti in senso contrario non possono trarsi dal fatto che

al giudice vengono concessi spazi di discrezionalità riservatigli dalla legge nella valutazione sulla concreta idoneità da parte delle sostanze o delle pratiche mediche dopanti di cui agli elen

chi a modificare le condizioni psico-fisiche o biologiche del l'organismo (art. 9, 1° e 2° comma: «... che siano idonei a mo

dificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti...»). Si

tratta come evidente di una discrezionalità che opera negli stretti

ambiti normativi non per ampliare la portata del penalmente il

lecito bensì per restringerla. Rispetto infatti ad una severa previ sione normativa che considera astrattamente come fonte di peri colo tutte le sostanze indicate nei decreti ministeriali, il legisla tore ha opportunamente preferito evitare che ogni condotta

astrattamente conforme alla fattispecie normativa finisse per co

stituire un fatto punibile. Ha lasciato infatti al giudice il compito di valutare caso per caso se i farmaci assunti esprimano, per

qualità e quantità, una pur potenziale capacità modificativa delle

predette condizioni.

Non corrisponde infine a verità, così come assume l'accusa, che il giudice di legittimità, abbia nell'ordinanza Gariazzo, cit.,

emessa in tema di commercializzazione di sostanze dopanti (art.

9, 7° comma, 1. 376/00), data per scontata l'applicabilità della

legge anche in assenza della tabella delle sostanze proibite. E

vero invece che la Suprema corte, con provvedimento tecnica

mente non condivisibile, non ha in alcun modo preso in conside

razione le argomentazioni del g.i.p. contenute nel provvedi mento impugnato, non affrontando il problema fondamentale

posto dalla disciplina penale dei reati di doping consistente nella

configurabilità dei reati medesimi nelle more fra l'emanazione

della legge e quella dei decreti ministeriali individuanti farmaci,

sostanze e pratiche dopanti. Il g.i.p. non ha, nel caso sottoposto alla corte, convalidato

l'arresto sotto il duplice profilo dell'assenza al momento dei

fatti dei decreti ministeriali integrativi della fattispecie penale e dell'insussistenza di un'attività riferibile al concetto di com

mercio; la corte ha rigettato il ricorso del p.m. avverso tale

provvedimento sulla base della diversa motivazione della man

cata contestazione all'arrestato di un elemento costitutivo della

fattispecie criminosa quale la finalità di alterare le prestazioni

agonistiche degli atleti ovvero di modificare i risultati dei con

trolli sull'uso di tali farmaci e sostanze, senza entrare nel merito

delle questioni affrontate dal giudice e sollevate dal p.m. Conclusivamente e per tutte le argomentazioni suesposte, alla

data di consumazione del fatto contestato all'imputato, ossia il

21 gennaio 2001, il doping non era reato in quanto pur essendo

stata emanata la legge, non era ancora stato emesso il decreto

ministeriale integrativo della stessa.

È infatti solo in data 15 ottobre 2002 che viene emesso il de

creto (pubblicato su G.U. 27 novembre 2002, n. 278) di «appro vazione della lista dei farmaci, sostanze biologicamente e far

macologicamente attive e delle pratiche mediche il cui impiego è considerato doping, ai sensi della 1. 14 dicembre 2000 n. 376», poi integrato alcuni mesi dopo con il decreto 30 dicembre 2002

(G.U. 18 marzo 2003, n. 64). L'imputato va quindi assolto dall'imputazione ascrittagli per

ché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Il Foro Italiano — 2004.

TRIBUNALE DI CALTANISSETTA; sentenza 3 aprile 2003; Giud. Tona; imp. Martorana.

TRIBUNALE DI CALTANISSETTA; s

Patrocinio a spese dello Stato — False dichiarazioni nell'i

stanza di ammissione — Reato — Esclusione — Fattispe cie (L. 30 luglio 1990 n. 217, istituzione del patrocinio a spe se dello Stato per i non abbienti, art. 5; d.p.r. 30 maggio 2002

n. 115, t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in

materia di spese di giustizia (testo A), art. 95).

Il reato di falsità od omissioni nell'istanza di ammissione al

patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti e nelle suc

cessive comunicazioni, previsto dall'art. 5, 7° comma, l.

217/90, così come riformulato dalla l. 134/01 (oggi art. 95

t.u. in materia di spese di giustizia), costituisce fattispecie di

pericolo, autonoma rispetto ai reati di falsità in atti di cui al

codice penale, e posta a tutela della corretta valutazione, da

parte dell'autorità competente, dei presupposti per la conces

sione del beneficio; ne consegue che le false dichiarazioni

eventualmente contenute nell'istanza di ammissione, qualora non concernenti elementi essenziali ai fini di tale valutazione,

costituiscono un'ipotesi di c.d. falso inutile, come tale non

punibile. (1)

(1) La sentenza in epigrafe si segnala per due ragioni: da un lato,

perché essa riconosce alla particolare fattispecie di reato prevista dal

l'art. 5, 7° comma, 1. 30 luglio 1990 n. 217, così come riformulato dalla

1. 29 marzo 2001 n. 134 (oggi art. 95 t.u. in materia di spese di giusti zia), fattispecie che punisce le falsità e le omissioni contenute nell'i

stanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e nelle successi

ve comunicazioni, una sostanziale autonomia rispetto ai delitti di falso

contenuti nel codice penale, con riferimento in particolare all'interesse

tutelato; dall'altro, perché, nonostante ciò, essa estende alla fattispecie in questione le acquisizioni della dottrina e della giurisprudenza, già elaborate a proposito dei suddetti delitti, in merito all'irrilevanza penale del c.d. falso inutile, cioè, in generale, del falso concernente un ele

mento del contenuto dell'atto non rilevante o non influente ai fini della

decisione da adottare in rapporto alla situazione giuridica in questione. Il reato de quo è stato introdotto nell'ordinamento dall'art. 5, 7°

comma, 1. 217/90, istitutiva del patrocinio a spese dello Stato per i non

abbienti, al fine di sanzionare penalmente le falsità e le omissioni con

tenute nelle autocertificazioni, dichiarazioni, indicazioni e comunica

zioni che il privato istante deve produrre al fine di essere ammesso a

godere del patrocinio e, successivamente, di continuare a beneficiarne.

Nella sua originaria formulazione, l'articolo stabiliva che le sanzioni

avrebbero dovuto essere quelle previste per i delitti di falso contenuti

nel codice penale, con la conseguenza che la singola condotta tipica avrebbe dovuto comunque essere sussunta sotto una delle molte fatti

specie ivi previste (per un caso particolare in cui essa è stata applicata in combinazione con il reato di falsità ideologica del privato in atto

pubblico di cui all'art. 483 c.p., v. Trib. Catania 18 gennaio 2000, Foro

it., 2000, II, 623, con nota di Impagnatiello, che ha condannato due

soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, i quali avevano otte

nuto il patrocinio dichiarando di essere nullatenenti, ma erano invece

successivamente risultati titolari di redditi provenienti da attività ille

cite o comunque non tassabili). La 1. 134/01 ha successivamente riformulato la norma in questione

(poi ulteriormente trasfusa, senza modifiche rilevanti, nell'art. 95 t.u. in

materia di spese di giustizia), modificando in particolare il trattamento sanzionatorio: infatti, oggi questo non risulta più ancorato a quello pre visto per i delitti di falso contenuti nel codice penale, ma fissato auto

nomamente nel minimo e nel massimo; contemporaneamente, è stato

introdotto un aumento di pena per il caso in cui sia ottenuta l'ammis

sione al patrocinio (su tale novella, v., più in generale, in dottrina, tra

gli altri, Bricchetti-Sacchettini, Commento alla l. 29 marzo 2001 n.

134, modifiche alla l. 30 luglio 1990 n. 217, recante istituzione del pa trocinio a spese dello Stato per i non abbienti, in Guida al dir., 2001, fase. 17, 77; Randazzo, Il patrocinio a spese dello Stato nel processo

penale (commento alla l. 29 marzo 2001 n. 134), in Dir. pen. e proc., 2001,962).

Secondo il giudice nisseno, tale modifica normativa avrebbe accen

tuato, rispetto alla precedente formulazione, il carattere autonomo della

fattispecie in questione rispetto ai delitti di falsità in atti di cui al codice

penale: in tal senso militerebbero in particolare, oltre alla determina

zione autonoma del trattamento sanzionatorio, anche la maggiore entità

di questo rispetto alle corrispondenti fattispecie codicistiche e un ulte

riore dato normativo, vale a dire il fatto che la nuova regolamentazione delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni operata dal d.p.r. 28 di

cembre 2000 n. 445 continua a sanzionare le false dichiarazioni attra

verso un richiamo alle pene previste dal codice penale. Dal carattere autonomo della fattispecie in questione si desumerebbe

come il bene giuridico da questa protetto sia più delimitato rispetto a

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PARTE SECONDA

Esposizione sommaria dei motivi della decisione. — 1. - Il

fatto. Il presente procedimento scaturisce dalla trasmissione al

p.m. di copia degli atti relativi al procedimento per l'ammissio

ne al gratuito patrocinio, richiesta da Martorana Giovanni.

Nell'istanza depositata in data 18 marzo 2002, quest'ultimo aveva dichiarato, ai sensi dell'art. 5, 2° comma, lett. a), 1.

217/90, di non aver mai presentato dichiarazione dei redditi, in

quanto non possedeva redditi.

Aveva pure dichiarato che la moglie La Loggia Rosvita non

possedeva redditi da lavoro né di altra origine. In base a tale documentazione, il beneficio da lui richiesto

veniva concesso dal giudice competente, che al contempo di

sponeva accertamenti patrimoniali. Con nota del 5 giugno 2002, la guardia di finanza trasmetteva

al p.m. presso il Tribunale di Caltanissetta gli esiti delle sue in

quello del semplice interesse pubblico alla veridicità sostanziale della

dichiarazione, potendo essere invece identificato nell'interesse alla cor retta valutazione dei presupposti per la concessione del beneficio da

parte del giudice competente: ne conseguirebbe ulteriormente che non tutte le false dichiarazioni allegate all'istanza di ammissione sarebbero

penalmente rilevanti, ma solo quelle realmente idonee a mettere in pe ricolo la correttezza di tale valutazione. A questo proposito va tuttavia rilevato come tanto la dottrina quanto la giurisprudenza tendano ormai a ritenere che le stesse norme del codice penale che puniscono i delitti di falsità in atti siano poste a tutela dell'interesse alla veridicità del l'atto non in sé considerata, ma solo in quanto necessaria per il corretto

esplicarsi della funzione documentale dell'atto nel caso concreto in re lazione ai possibili destinatari (cfr., sul punto, per tutti, Fiandaca

Musco, Diritto penale, parte speciale, 3a ed., Bologna, 2002,1, 562 s.). In tal modo, comunque, il giudice afferma esplicitamente di voler

applicare anche alla fattispecie considerata la categoria, frutto di elabo razione dottrinale, del c.d. falso inutile, ovvero del falso concernente un elemento del contenuto dell'atto non rilevante o non influente ai fini della decisione da adottare in rapporto alla situazione giuridica in que stione. Da ciò deriverebbe, nel caso di specie, che le false dichiarazioni eventualmente contenute nell'istanza di ammissione al gratuito patroci nio sarebbero punibili ai sensi del nuovo art. 95 t.u. in materia di spese di giustizia solo qualora abbiano avuto (o anche avrebbero potuto ave

re) concreta influenza sulla decisione del giudice. L'irrilevanza penale del falso c.d. inutile, così come, del resto, di al

tre ipotesi di falso considerate inoffensive, è riconosciuta dalla dottrina

pressoché unanime: cfr., sul punto, Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, cit., 533-535; Giacona, Appunti in tema di falso c.d.

grossolano, innocuo e inutile, in Foro it., 1993, II, 491; più di recente, Id., La problematica dell'offesa nei delitti di falso documentale, Tori

no, 2003, spec. 61-116 (ed. provv.), dove tuttavia, ferma restando l'ir rilevanza penale, si preferisce definire il falso inutile come quello in cui difetta il carattere fraudolento, e il cui risultato avrebbe potuto agevol mente essere raggiunto attraverso una condotta alternativa lecita. Oggi, dopo alcuni eccessi di rigorismo repressivo verificatisi nei decenni pas sati e imputabili ad una concezione piuttosto formalistica dei reati di

falso, tale irrilevanza tende ad essere affermata sempre più spesso an che in giurisprudenza: v. Cass. 20 novembre 1996, Scaricabarozzi, Dir.

pen. e proc., 1997, 594, con nota di Monteverde, e Foro it., Rep. 1997, voce Falsità in atti, n. 13, secondo cui è innocua e dunque non punibile la falsità in concreto inidonea a ledere l'interesse tutelato dalla genui nità del documento, ovvero a conseguire uno scopo antigiuridico; nello stesso senso, v. anche Cass. 13 novembre 1997, Gargiulo e altri, id., 1998, lì, 318, in tema di falsità contenute nel verbale di esami univer sitari. In dottrina, v., sul punto, Fiandaca-Musco, Diritto penale, cit., 531 e 533-535.

Più in generale, appare emblematica della tendenza a restringere i confini del falso penalmente rilevante, Cass., sez. un., 15 dicembre

1999, Gabrielli, Foro it., 2000, II, 463, con nota di Giammona, che ha ritenuto il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto

pubblico (art. 483 c.p.) configurabile solo allorché a quest'ultimo sia

attribuita, in virtù di specifica disposizione di legge, efficacia probato ria dei fatti in esso attestati (nello stesso senso, v. già prima Cass., sez.

un., 17 febbraio 1999, Lucarotti, id., 1999, II, 435, con osservazioni di

CianO- A tale orientamento si conforma anche Trib. Catania 18 gennaio 2000, cit., allorché afferma che la falsa attestazione del reddito ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio ha natura di atto pubblico desti nato a provare la verità di quanto in esso affermato.

Tuttavia, va infine segnalato come non manchino pronunce recenti che sembrano andare in senso contrario alla irrilevanza penale del falso innocuo e del falso inutile, quali Cass. 29 maggio 1997, Maimone, id., Rep. 1997, voce cit., n. 17, secondo cui la tutela del falso concerne l'attestazione per sé stessa, senza che la valutazione dell'innocuità del falso possa essere rapportata alla funzione dell'atto quale risultante dalla destinàzione occasionale data a quest'ultimo dal privato. [E. Ni

cosia]

Il Foro Italiano — 2004.

dagini e lo informava che la moglie del Martorana, La Loggia Rosvita, aveva percepito redditi da lavoro dipendente:

— anno 1999: euro 5.523,00; — anno 2000: euro 13.293,00 + euro 1.520,00. 2. - Il reato contestato. Il p.m. ha contestato all'imputato il

reato di cui all'art. 95 t.u. in materia di spese di giustizia, norma

che ha inglobato la disposizione già contenuta nel 7° comma

dell'art. 5 1. 217/90, legge istitutiva del patrocinio a spese dello

Stato per i non abbienti.

Nel regolamentare tale beneficio, il legislatore aveva previsto che l'accertamento dei presupposti reddituali per la sua conces

sione avvenisse attraverso l'autocertificazione degli interessati, fatta salva la possibilità di ulteriori verifiche da parte del giudi ce in base alla documentazione prodotta dall'istante, a quella ulteriormente richiesta a lui o agli esiti delle investigazioni de

legate alla guardia di finanza.

L'art. 5 1. 217/90, nella sua originaria formulazione, indicava

il contenuto dell'istanza e stabiliva che essa doveva comprende re tra l'altro «un'autocertificazione dell'interessato attestante la

sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione

al patrocinio a spese dello Stato, con specifica determinazione

del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato se

condo le modalità indicate nell'art. 3», cioè tenendo conto del

reddito imponibile ai fini Irpef, dei redditi esenti da Irpef e da quelli soggetti a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva.

Il 2° comma dell'art. 5 cit. disciplinava le dichiarazioni e la

documentazione che dovevano essere allegate all'istanza e im

poneva l'obbligo di riportare analiticamente l'ammontare dei

redditi nelle varie tipologie, nonché i beni immobili e i beni mobili registrati in ordine ai quali l'interessato sia titolare di un

diritto reale.

Il 7° comma dell'art. 5 cit. stabiliva che «le falsità o le omis

sioni nell' autocertificazione, nelle dichiarazioni, nelle indica

zioni o nelle comunicazioni previste dal 1° e 2° comma sono

punite con le sanzioni previste dalle norme del titolo settimo del

libro secondo c.p.».

Questa formulazione sembrava adombrare una fattispecie criminosa specifica e autonoma rispetto ai reati di falsità in atti, ai quali faceva rinvio, in quanto si limitava a mutuarne le pene, ma non ne recepiva le condotte. Tuttavia l'interprete veniva

comunque obbligato ad operare la specifica sussunzione di cia

scun fatto in uno dei delitti di cui al titolo settimo del libro se

condo c.p., perché altrimenti non avrebbe potuto individuare la

sanzione da irrogare. Sicché in concreto ben poca autonomia

poteva avere la fattispecie criminosa di cui all'art. 5, 7° comma, 1. cit.; anzi la sua genericità ne poteva far dipanare il contenuto

in un florilegio di condotte sanzionabili, da ricavare in virtù dei

difficoltosi criteri interpretativi vigenti per ciascuno dei delitti

di falsità in atti. La 1. 29 marzo 2001 n. 134 ha modificato l'art. 5, sopprimen

done il 2° comma, che prevede l'obbligo di allegare una specifi ca dichiarazione in ordine ai redditi ed in ordine alla titolarità di

diritti reali su beni immobili e mobili registrati; ne ha poi rifor

mulato il 7° comma, espungendo il rinvio alle sanzioni previste dal titolo settimo del libro secondo c.p.

Il reato è adesso tipizzato nei seguenti termini: «la falsità o le

omissioni nell'autocertificazione, nelle dichiarazioni o nelle

comunicazioni previste dal 1 ° comma sono punite con la reclu

sione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro

1.549,37». È previsto poi un aumento di pena «se dal fatto con

segue l'ottenimento o il mantenimento dell'ammissione al pa trocinio a spese dello Stato».

Tale nuova formulazione del reato consente di considerarlo

adesso una fattispecie autonoma rispetto ai reati di falsità in atti

di cui al codice penale. L'intento del legislatore è reso palese non solo dal fatto che

ha uncinato il rinvio alle sanzioni del codice penale e le ha so

stituite con un'unica pena specificamente prevista, ma anche da

un ulteriore dato di carattere sistematico.

Nello stesso periodo in cui veniva riformato il gratuito patro cinio, con il d.p.r. 28 dicembre 2000 n. 445 (pubblicato su Gaz

zetta ufficiale il 20 febbraio 2001) è stato adottato il testo unico

in materia di documentazione amministrativa, che disciplinava tra l'altro le dichiarazioni sostitutive di certificazioni, atti questi ultimi omogenei a quelli regolamentati dall'art. 5 1. 217/90. Or

bene in relazione alle autocertificazioni da utilizzare nei proce dimenti amministrativi, il legislatore ha rinunciato a coniare una

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GIURISPRUDENZA PENALE

specifica disciplina penale per sanzionare le dichiarazioni false; ha invece scelto espressamente di far riferimento alle fattispecie del codice penale («chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo

unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in

materia»; art. 76, 1° comma, d.p.r. 445/00) e si è limitato a sta bilire un'equivalenza ai fini sanzionatori tra le dichiarazioni so

stitutive e quelle fatte a pubblico ufficiale.

Appare allora chiaro che, mentre tutte le dichiarazioni sosti

tutive e le comunicazioni all'autorità sono state ricondotte alla

disciplina generale del titolo settimo del libro secondo c.p., per

quelle relative al procedimento per l'ammissione al gratuito pa trocinio si è ritenuto opportuno differenziare fattispecie e trat

tamento.

Tanto più ciò appare evidente ove si presti attenzione al fatto

che l'art. 5, 7° comma, 1. 217/90 introduce una pena sensibil

mente più elevata rispetto a quella che le fattispecie del codice

penale prevedono per le falsità commesse da privati. Tale opzione prefigura l'esistenza di un bene giuridico pro

tetto più delimitato e specifico rispetto a quello solitamente ri

chiamato negli altri reati di falso in dichiarazioni, cioè la veridi

cità sostanziale del fatto attestato dal dichiarante.

In relazione al reato in contestazione, ad avviso di questo

giudice, l'interesse tutelato viene oggi caratterizzato dalla parti colare funzione delle dichiarazioni per l'ammissione al gratuito

patrocinio; la loro falsità o incompletezza non rileva di per sé, ma in relazione alla loro idoneità a compromettere un'adeguata valutazione del giudice circa i presupposti per la concessione

del beneficio. In questo senso si segnala il fatto che la descrizione della

condotta delittuosa si fonda sul rinvio al contenuto essenziale

dell'istanza, chiaro indizio che non tutte le dichiarazioni omis

sive mendaci allegate all'istanza meritano la sanzione penale, ma solo quelle che investano i dati richiesti dall'art. 5, 1° com

ma, 1. 217/90 (oggi art. 79 t.u. in materia di spese di giustizia). Questo elemento di fattispecie, insieme alla previsione di un

aumento di pena nel caso in cui la dichiarazione abbia consen

tito di ottenere il beneficio, conduce ad inquadrare —

oggi in

maniera inequivoca — il reato di cui all'art. 5, 7° comma, 1.

217/90 (oggi art. 95 t.u. cit.) nell'ambito dei reati di pericolo. La fattispecie delittuosa, cioè, sanziona la condotta di chi, con

dichiarazioni false od omissive, abbia concretamente determi

nato un'interferenza alla corretta valutazione dei presupposti

per l'ammissione al gratuito patrocinio, creando il pericolo di

un'erronea attribuzione del beneficio; l'ottenimento di esso è un

evento ulteriore che integra gli estremi di una circostanza ag

gravante. In questa prospettiva, per verificare se una determinata con

dotta integri il reato di cui all'art. 95 t.u., assume decisiva im

portanza la problematica (già elaborata in giurisprudenza per i

paralleli reati previsti dal codice penale) del c.d. «falso inutile», che ricorrerebbe nel caso in cui la dichiarazione non veritiera ri

guarderebbe esclusivamente un elemento non rilevante del con

tenuto dell'atto e che escluderebbe l'illiceità della condotta (in tal senso, cfr. Cass. 4 febbraio 1997, De Gennaro, Foro it., Rep. 1997, voce Falsità in atti, n. 15; 10 gennaio 2002, Alasia e altri,

id., Rep. 2002, voce cit., n. 5). Nell'economia della fattispecie delittuosa in esame, difatti,

1' «utilità» a fini illeciti della dichiarazione falsa risulta posta in

evidenza più che negli altri reati simili e ne permea dall'interno

tutta la struttura.

3. - Valutazione della condotta dell'imputato. Martorana ha

dichiarato che la moglie «non possiede redditi da lavoro o di

versi».

Gli accertamenti della guardia di finanza hanno fatto emerge re una dichiarazione dei redditi della La Loggia per gli anni di imposta 1999 e 2000.

La dichiarazione sostitutiva del Martorana è del marzo 2002; l'anno di riferimento per la valutazione dei requisiti per l'am

missione al gratuito patrocinio è il 2001, visto che si deve fare

riferimento ai redditi risultanti dall'ultima dichiarazione dei redditi.

Per tale anno non è risultato essere stato prodotto alcun altro

reddito.

Martorana ha quindi detto il vero per l'anno 2001 che interes

sava ai fini della concessione del beneficio, ha mentito invece in

relazione a circostanze che non avrebbero avuto alcuna concreta

refluenza sulla valutazione del giudice.

Il Foro Italiano — 2004.

Con le sue dichiarazioni, non ha inoltre sottratto alla cono

scenza del giudice nessuno dei dati utili alla verifica delle con

dizioni per l'ammissione al gratuito patrocinio. Ciò anche in

considerazione della limitata entità del reddito percepito nel

1999 e nel 2000, che, da un canto e dal punto di vista oggettivo, non poteva comunque lasciare alcun beneficio durevole sul pa trimonio del nucleo familiare (tale da poter indurre il giudice a

sospettare sulla veridicità delle dichiarazioni in ordine alla sua

attuale limitata consistenza) e che, d'altro canto e dal punto di

vista dell'elemento soggettivo, rende ben plausibile l'ipotesi di

un errore in buona fede del dichiarante.

Pertanto la condotta contestata all'imputato, che dal punto di

vista oggettivo potrebbe pure essere riconducibile alla vecchia

fattispecie contenuta nell'art. 5, 7° comma, 1. 217/90, in combi

nato disposto con l'art. 483 c.p., rispetto alla rinnovata fatti

specie risultante dalla riforma della 1. 134/01 risulta priva sia dei

requisiti oggettivi sia dei requisiti soggettivi idonei ad integrare il reato.

L'accusa in dibattimento non può essere allora utilmente so

stenuta.

TRIBUNALE DI CALTANISSETTA; sentenza 17 dicembre

2002; Giud. Tona; imp. Golisano.

Rapina — Violenza e minaccia esercitata con bottiglia di ve

tro — Circostanza aggravante dell'utilizzo di armi (Cod.

pen., art. 585, 628; 1. 18 aprile 1975 n. 110, norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle muni

zioni e degli esplosivi, art. 4). Circostanze di reato — Attenuante dell'integrale riparazio

ne del danno — Fattispecie (Cod. pen., art. 62). Circostanze di reato — Attenuante dell'integrale riparazio

ne del danno — Risarcimento materiale effettuato da un

terzo (Cod. pen., art. 62).

Qualora il delitto di rapina sia commesso esercitando violenza

o minaccia con una bottiglia di vetro portata a tal fine sul

luogo del fatto, va riconosciuta l'esistenza della circostanza

aggravante dell'utilizzo di armi, dal momento che una botti

glia di vetro, pur essendo oggetto di uso comune, rientra tra

gli strumenti atti ad offendere che possono essere portati in

luogo pubblico solo per giustificato motivo, e costituisce dun

que «arma» agli effetti della legge penale. (1) Nel caso in cui la persona offesa danneggiata dal reato dichiari

di essere stata integralmente risarcita del danno da questo

derivante, in assenza di elementi dai quali possa desumersi la

non veridicità della dichiarazione o la manifesta incongruità della somma versata a titolo di risarcimento rispetto al danno

effettivamente subito, va applicata la circostanza attenuante

dell' avvenuta riparazione integrale del danno. (2)

L'applicazione della circostanza attenuante dell'avvenuta ripa razione integrale del danno non è necessariamente esclusa

nel caso in cui il risarcimento sia effettuato da un terzo; a tal

proposito è infatti sufficiente che il colpevole, manifestando una volontà riparatrice, si sia adoperato al fine di reperire la

somma e far conseguire all'avente diritto il controvalore del

danno patito, non potendosi richiedere necessariamente che

la somma erogata a titolo di risarcimento provenga dal pa trimonio personale dell'imputato o che questi l'abbia mate

rialmente consegnata al danneggiato. (3)

(1-3) I. - Con riferimento alla prima massima, non si sono rinvenuti

precedenti negli stessi termini. La qualificazione della bottiglia di vetro

come arma appare tuttavia in linea con la tendenza giurisprudenziale ad

interpretare estensivamente la categoria delle c.d. «armi improprie» di cui all'art. 585, 2° comma, n. 2, c.p. («tutti gli strumenti atti ad offen

dere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero

senza giustificato motivo»), includendovi un gran numero di utensili.

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