sentenza 3 dicembre 1982; Pres. Buzzano, Est. Rossotti; imp. Bove ed altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1983), pp. 321/322-331/332Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175376 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
di bollo contrassegno e ricevuta) integri un caso di « frode fi
scale » in senso lato, se in tale concetto si deve comprendere — secondo la migliore dottrina — « la messa in essere di un rag
giro, di un artificio, di una condotta tale da creare coscientemente
una situazione diretta ad evadere il tributo ed a sfuggirne le con
seguenze sanzionatone ».
Ebbene, il fare ricorso al concetto di «frode fiscale», anche
se in tema di mancato pagamento di « tassa di circolazione » sui
veicoli il termine è visibilmente improprio, perché la legge pre scinde dalla realizzazione di condotte fraudolente, può tornare
però utile, perché è proprio in tema di distinzione tra frode fi
scale e truffa che la Suprema corte ha, ancora una volta, det
tato chiari principi. È stato infatti deciso (Cass. 30 gennaio 1979,
Vazzoler, id., Rep. 1980, voce Tributi in genere, n. 1235) che
« la differenza fra il reato di truffa e la frode fiscale non va posta nella mera difformità dei mezzi fraudolentemente adoperati (ar
tificio e raggiro nella truffa, qualsiasi altro mezzo ingannevole nella frode), ma piuttosto in due distinte correlazioni fra il com
portamento del soggetto passivo e le manovre fraudolente poste in essere dal reo; più precisamente, nella truffa la vittima, me
diante un atto dispositivo, si spoglia da sé di un proprio diritto,
nella frode fiscale, invece, la vittima subisce l'inadempimento
dell'obbligato, nella convinzione fraudolentemente provocata dal
l'agente, che la prestazione non sia dovuta... Con la truffa s'intende punire la condotta fraudolenta che assicuri un aumento del proprio patrimonio con una riduzione correlativa del patri monio altrui, e non già la condotta (attiva ed omissiva) diretta ad evitare una diminuzione del patrimonio proprio con un corre
lativo aumento del patrimonio di altri, anche se tale aumento sia sancito da apposite norme per un particolare interesse nazio
nale; diversamente opinando, si confonderebbe la truffa con la frode fiscale, nella quale — giova ripeterlo — si lede una legit tima aspettativa dello Stato col mancato adempimento dell'og
getto della prestazione del rapporto giuridico d'imposta » (con
formi, Cass., sez. II, 30 gennaio 1979, Savio, ibid., voce Truffa, n. 14, e 9 luglio 1979, n. 3915, ibid., n. 13).
Dunque, anche senza arrivare a porre concreti problemi di rap porti fra truffa e frode fiscale — si è riportalo quanto ritiene su
questo tema in generale la Suprema corte solo allo scopo di rice
vere conforto a quanto si opina sulla struttura della truffa —
rimane indirettamente confermato che il quesito va risolto nei
termini di cui s'è detto; la truffa non è configurabile; dal reato
contestato l'imputato va assolto « perché il fatto » — nella sua
sostanza prevista e sanzionato da norme speciali in tema d'im
poste — « non costituisce reato ».
Tornando, quindi, ai delitti di falso, deve dirsi, non v'è alcun
dubbio che i reati sono stati commessi in esecuzione del medesi mo disegno criminoso di far apparire evasa l'intera impost^, con
trariamente al vero, e di evitarne il pagamento in misura inte
grale appunto. Inoltre, a seguito dell'assoluzione dal reato di truf
fa aggravata, va rilevato come non può assolutamente più confi
gurarsi, in ordine a tali reati di falso, l'aggravante contestata di
cui all'art. 61, n. 2, c.p. In favore -del Santoru, ch'è incensurato ed ha confessato, si
ritengono sussistenti le circostanze attenuanti generiche. Tenuto conto, pertanto, della gravità dei fatti commessi e di
tutti gli altri elementi che l'art. 133 c.p. impone di prendere in
esame, pena equa per l'imputato colpevole appare quella di un
anno di reclusione (p.b.: un anno e tre mesi per la alterazione della ricevuta di versamento, ridotta a dieci mesi per le generiche ed aumentata per la continuazione). Il Santoru va condannato
anche al pagamento di spese processuali e di custodia preventiva. Sussistendone le condizioni, e sulla presunzione ch'egli si aster
rà dal commettere ulteriori reati, gli si concede il beneficio della
sospensione condizionale della pena inflitta.
Dei documenti alterati va dichiarata la falsità e degli stessi va
disposta la cancellazione totale.
I
TRIBUNALE DI TORINO; sentenza 3 dicembre 1982; Pres.
Buzzano, Est. Rossotti; imp. Bove ed altri. TRIBUNALE DI TORINO;
stupefacenti e sostanze psicotrope — ravurcggiaiucmu uvii usu
di sostanze stupefacenti — Reato — Sussistenza — Fattispe
cie (L. 22 dicembre 1975 n. 685, disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza, art. 76).
Integra gli estremi del delitto di favoreggiamento nell'uso di so
stanze stupefacenti il comportamento di chi dà una somma di
denaro a persona tossicodipendente la quale sicuramente uti
lizzerà il denaro ricevuto per l'acquisto di droga. (1)
II
TRIBUNALE DI VIGEVANO; sentenza 22 luglio 1982; Pres.
D'Alessio, Est. Moriconi; imp. Bevilacqua.
Stupefacenti e sostanze psicotrope — Agevolazione dolosa —
Uso di stupefacenti in abitazione privata — Responsabilità del proprietario dell'immobile — Reato — Sussistenza — Fat
tispecie (L. 22 dicembre 1975 n. 685, art. 73).
Va ritenuto responsabile del delitto di agevolazione dolosa del
l'uso di sostanze stupefacenti il proprietario di un appartamen to il quale, sia pure per mero spirito di amicizia, consente che
un gruppo di giovani vi si riunisca in modo abituale per fare uso di sostanze stupefacenti (nella specie, hashish). (2)
III
TRIBUNALE DI CASALE MONFERRATO; sentenza 5 novem
bre 1981; Pres. Velletri, Est. Iasillo; imp. Cavagnolo.
Stupefacenti e sostanze psicotrope — Favoreggiamento nell'uso
di sostanze stupefacenti — Reato — Sussistenza — Fattispe
cie (L. 22 dicembre 1975 n. 685, art. 76).
Integra gli estremi del delitto di favoreggiamento nell'uso di so
stanze stupefacenti il comportamento di chi concede, sulla pro
pria autovettura, un passaggio ad alcuni tossicodipendenti fino al luogo di acquisto della droga, consentendo inoltre, nella stes
sa autovettura, l'assunzione degli stupefacenti durante il viag
gio di ritorno. (3)
I
(Omissis). Si deve ora stabilire se la condotta tenuta dalla
Dolmitelli rientri nella previsione dell'art. 76, 4° comma, 1. n.
685/75. È necessario a tale proposito definire il concetto di favo
reggiamento all'uso di stupefacenti sanzionato dalla predetta nor
ma e per fare ciò non è possibile richiamarsi all'art. 378 c.p.,
perché quest'ultimo presuppone la commissione di un reato men
(1-3) In tema di favoreggiamento e di agevolazione dolosa all'uso di sostanze stupefacenti cfr., in giurisprudenza, Cass. 18 aprile 1977,
Conversi, e, in una prospettiva meno rigoristica rispetto alle decisioni
sopra riportate, Trib. Milano 13 marzo 1978 (entrambe citate nella
sentenza di Trib. Vigevano), Foro it., 1979, II, 131, con ampia nota di richiami. Va peraltro sottolineato che le decisioni sopra ripro dotte di Trib. Torino e di Trib. Casale Monferrato affrontano que' stioni problematiche che sino ad ora — secondo quanto risulta — non
hanno costituito oggetto di particolare approfondimento critico da
parte della dottrina specialistica. Ci si riferisce, in particolare, al
problema della rilevanza, ex art. 76 1. 22 dicembre 1975 n. 685, de
gli atti meramente preparatori rispetto all'* uso » delle sostanze stu
pefacenti, nonché alla possibilità di trasferire automaticamente alla
materia de qua i principi dottrinali e giurisprudenziali elaborati in
tema di favoreggiamento della prostituzione. Comunque, sull'argomen
to, si vedano in dottrina Di Gennaro, La droga, commento alla l. 22 dicembre 1975 n. 685, Milano, 1976, 218 ss.; iPatalano, La nuova di
sciplina degli stupefacenti nei suoi profili penalistici e di politica cri
minale, in Riv. pen., 1977, 894, che pone l'accento su alcuni problemi di coordinamento tra gli art. 73 e 76 1. citata; iId., Profili penalistici e di politica criminale nella repressione del traffico e dell'abuso di so
stanze stupefacenti, in AA.VV., La droga. Ancona. 1981, 136.
Pili in generale, sulla nozione di « modica quantità » di cui alla 1.
n. 685/75, v., da ultimo, Corte cost. 26 ottobre 1982, n. 170, Foro
it., 1982, I, 2990, con nota di richiami. Sempre su un piano più ge
nerale, sul concetto penalistico di « agevolazione » e sui problemi
interpretativi ad esso connessi, cfr. in dottrina, Stortoni, Agevolazioni
e concorso di persone nel reato, Padova, 1981.
Per riferimenti relativi all'art. 447 c.p., abrogato dalle nuove di
sposizioni in materia di stupefacenti, cfr. Trib. Salerno 30 marzo
1971, Foro it., Rep. 1971, voce Stupefacenti, n. 61 e Trib. Roma 5
aprile 1957, id., Rep. 1957, voce cit., n. 40.
Sui risultati interpretativi consolidatisi in tema eli favoreggiamento
e sfruttamento della prostituzione, utilizzati da Trib. Torino e da
Trib. Casale Monferrato ai fini della determinazione del campo di
applicazione dell'art. 76 della nuova disciplina sugli stupefacenti, cfr.
tra le molte altre Cass. 4 marzo 1964, D'Onofrio, id., Rep. 1964, voce
Prostituzione, n. 51; 25 marzo 1964, Vincenzi, ibid., n. 44; 13
gennaio 1969, De Angelo, id., Rep. 1969, voce cit., n. 17; 9 ottobre
1969, De Luca, id., Rep. 1970, voce cit., n. 39; 7 luglio 1969, 'Paoloni,
ibid., n. 22; 9 ottobre 1970, Francesconi, id., Rep. 1971, voce cit., n.
16, tutte citate nella sentenza di Trib. Casale Monferrato.
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PARTE SECONDA
tre l'assunzione di stupefacenti è, di per sé, un fatto penalmente lecito, si può invece basarsi sull'elaborazione del concetto di « fa
voreggiamento » in relazione alla prostituzione, situazione ana
loga a quella in esame. Secondo l'interpretazione di tale termine
prevalente seguita per quanto riguarda l'art. 3, n. 8, 1. 20 febbraio
1958 n. 75 e che deve essere accolta anche per l'art. 76, 4" com
ma, 1. n. 685/75, « favorire » indica tutti quei comportamenti, ai
quali non è necessariamente collegato il fine di lucro, capaci di
agevolare, cioè di rendere più facile, l'uso degli stupefacenti da
parte dei tossicomani. Basta quindi una condotta che costituisca
in qualche modo un « aiuto » e non è invece necessario che
l'agente rimuova un ostacolo imminente ed insormontabile. Inol
tre, se si considera la dizione letterale della norma, risulta chiaro
che ha rilievo anche solo l'attività diretta ad agevolare uno spe cifico episodio di assunzione di droga.
Tutto ciò posto è evidente che la dazione di denaro, tra l'altro
nel caso in esame non occasionale bensì reiterata, a persona che
si sa tossicomane e che, proprio perché si trova in crisi di ca
renza, sicuramente utilizzerà i soldi ricevuti per il motivo ri
chiesto dell'acquisto della droga, integra la fattispecie di cui al
l'art. 76, 4° comma, 1. n. 685/75. (Omissis)
II
Fatto e diritto. — 1) L'antefatto del presente procedimento è
facilmente ricostruibile dalla lettura della deposizione del mare
sciallo dei carabinieri Gianfranco Belardetti resa in data 4 giugno 1982 al g.i. del Tribunale di Vigevano. Narrava l'ufficiale in tale
circostanza di essere stato avvicinato, nei primi giorni del mag
gio '82, da tal Antonio Boraso il quale lo informava con preoc
cupazione evidente, che il figlio Cristian, tutti i giorni, insieme
a suoi amici, come lui tossicodipendenti, si riuniva in un appar tamento di Cassolnovo (che egli non era riuscito a identificare)
nel quale verosimilmente i ragazzi si bucavano. Pregava pertanto il graduato affinché compisse indagini al riguardo. Il maresciallo
Belardetti si muoveva con sollecitudine e perizia e in breve riusciva
a identificare e lo appartamento (via Beretta n. 40) e la proprie taria dello stesso, Enrichetta Bevilacqua, accertando altresì', con
discrete manovre di appostamento, che ogni giorno in quella casa
entravano circa una quindicina di ragazzi fra i quali il maresciallo
riconosceva noti tossicodipendenti del luogo (Cristian Boraso, Li
no Vai, Giuseppe Sbardellati, Daniele Squaratti).
Richiesta e ottenuta dal procuratore della repubblica di Vige vano l'autorizzazione a compiere una perquisizione domiciliare
presso l'abitazione della Bevilacqua, i carabinieri si portavano il 7 maggio 1982, presso l'appartamento in questione dove tro
vavano e sequestravano una siringa ipodermica e dei semi di ca
napa indiana contenuti in un vaso di ceramica.
Venivano nello stesso giorno sentiti Lorenzo e Carmelo Gallaro e Basilio D'Antoni (presenti in loco al momento della perquisi zione) nonché la stessa Bevilacqua. Gallaro Lorenzo e Carmelo
affermavano di aver fumato più volte qualche « spinello » assie
me ed in presenza della Bevilacqua e quest'ultima non nascondeva che in casa sua si erano « bucati », iniettandosi eroina, Daniele
Squaratti e Cristian Boraso, seppure ella aveva fatto presente ai due giovani che agendo in tal modo avrebbero finito per met tersi nei guai.
A carico della Bevilacqua veniva disposto fermo giudiziario, tempestivamente convalidato (8 maggio 1982) dal procuratore del la repubblica di Vigevano al quale l'imputata forniva una versio ne dei fatti in parte riduttiva rispetto a quanto in precedenza di chiarato ai carabinieri (in sostanza la Bevilacqua sosteneva che in casa sua si erano recati talvolta anche dei giovani tossicodi
pendenti, ma che solo un certo Daniele si era bucato, in sua
presenza, per quattro o cinque volte, mentre nessun altro si era
nell'appartamento drogato con eroina, haschish o altro).
In realtà le indagini istruttorie effettuate dal magistrato inqui rente (anche mediante i carabinieri) mettevano ben presto alla
luce, con evidenza, una diversa e triste verità, a fronte della
quale l'unico vero quesito al quale non è agevole dare una
pronta risposta è la qualificazione giuridica del reato commesso dalla Bevilacqua (ma, per tale problema vedi infra).
Cristian Boraso affermava ai carabinieri in data 8 maggio 1982 in merito alla frequentazione da parte sua della casa della Be
vilacqua: « tutte le settimane, in genere quattro volte la setti
mana, mi recavo presso la sua abitazione e all'interno e alla sua
presenza mi bucavo, iniettando nelle vene droga, precisamente eroina, con siringhe da insulina. Quando mi recavo presso la sua abitazione ero sempre in compagnia di Giuseppe Sbardellati e Daniele Squaratti e tutti e tre ci iniettavamo droga alla presen
za della Bevilacqua. Ogni volta che andavamo a casa della pre detta ci eravamo sempre provvisti della nostra dose di eroina che
compravamo a Milano o Vigevano ».
Daniele Squaratti, ai carabinieri in data 9 maggio 1982: «an
davo a trovare la Bevilacqua quattro o cinque volte la settimana
in compagnia di Giuseppe Sbardellati e Cristian Boraso»; «ave
vamo sempre la nostra dose di eroina e una volta entrati all'in
terno ci bucavamo al pian terreno, iniettandoci l'eroina con si
ringhe da insulina alla presenza della Bevilacqua ».
Lino Vai, ai carabinieri in data 9 maggio 1982: « due o tre
volte alla settimana mi recavo presso l'abitazione della Bevilacqua in compagnia di Giuseppe Sbardellati, Cristian Boraso, Gioacchi
no Cristaldi, Valerio Zanchetta e mi drogavo facendo uso di
haschish alla presenza della Enrichetta; in queste occasioni ho
visto il Boraso, lo Squaratti, lo Sbardellati, lo Zanchetta farsi
iniezioni di eroina nelle vene con siringhe da insulina ». Il teste
aggiungeva che quando qualcuno dei giovani, spesso il Boraso, si sentiva male o vomitava dopo essersi iniettato la sostanza stu
pefacente la Bevilacqua si prodigava nei confronti del ragazzo con massaggi al cuore e quanto altro ritenuto utile a farlo rista
bilire.
Dichiarazioni analoghe a quelle fin qui riportate venivano
espresse da Giuseppe Sbardellati (ai carabinieri l'8 maggio 1982). I giovani tossicodipendenti sentiti dai carabinieri confermava
no in pieno quanto da loro in tale sede affermato davanti al
procuratore della repubblica di Vigevano (in data 21 maggio 1982) e, per quanto riguarda lo Sbardellati, davanti al g.i. (in data 4 giugno 1982).
Davanti al p.m. Boraso Cristian ribadiva esplicitamente che
nella abitazione della Bevilacqua in compagnia si iniettavano
l'eroina rifocillandosi poi con qualche bevanda preparata dalla
Enrichetta. Lo Sbardellati inoltre precisava che a bucarsi, nella
casa della Bevilacqua, oltre al Boraso, lo Squaratti e il Vai c'era
no altre persone che non conosceva bene e che il motivo per cui andava con assiduità presso l'abitazione della Enrichetta era
che in tal luogo si poteva «assumere la droga in pace». Tutti i testi (e l'imputata) affermavano che la Bevilacqua non
si drogava in nessun modo e in nessuna occasione.
All'odierno dibattimento i testi e l'imputata non aggiungevano molto a quanto già affermato in precedenza, che veniva integral mente confermato.
La Bevilacqua ribadiva di non aver mai ricevuto compensi dai tossicodipendenti che venivano in casa sua e di non avere ad
essi mai fornito la droga. Precisava inoltre la prevenuta che i ragazzi venivano nel suo
appartamento non sempre e non solo per drogarsi, ma anche per stare in compagnia; e che a volte uscivano tutti insieme per fare una passeggiata o altro.
2) Alcune premesse, che servono pure da precisazioni, si im
pongono. Occorre infatti sgombrare il campo da alcune inesattez ze di fondo in cui è caduta la difesa dell'imputata. A costei in fatti non si è né rimproverato di aver ricevuto denaro dai gio vani tossicodipendenti che ospitava nella sua casa, né di aver loro fornito il terribile veleno con il quale essi andavano lentamente ma inesorabilmente togliendosi le forze e la vita. Né alla Bevi
lacqua si imputava di aver aperto o gestito un locale pubblico o aperto al pubblico destinato a fornire un comodo rifugio ai
drogati di Cassolnovo e dintorni, ove gli stessi potessero, anche
gratis, fruire dei non necessari ma oltremodo utili accessori e at trezzature logistiche (poltrone, letti, bevande, cure in caso di ma lori e specialmente mura discrete) che possono accompagnare il
lugubre rito della iniezione volontaria nelle vene di sostanze
stupefacenti o la stupida consumazione dei c.d. spinelli destinati
questi ultimi a preparare gli assuntori all'uso delle c.d. droghe pesanti.
È emerso con sufficiente chiarezza dagli atti del processo co me il comportamento (incriminato) della Bevilacqua fosse ispi rato da altri, seppure non del tutto chiari motivi (verosimile in tima amicizia con uno dei giovani tossicodipendenti, fatto questo che la induceva ad accettare e tollerare i di lui amici e i loro riti nonché a non opporsi alle loro istanze, manifestate per facta concludentia, di uso della abitazione della Bevilacqua per potersi « drogare in pace » come dichiarava lo Sbardellati) che però, pur consentendo di escludere la presenza di scopi di lucro o altro vile interesse, dalla condotta dell'imputata, e valendogli una certa considerazione benevola da parte del collegio in sede di ir
rogazione della pena, non scalfiscono la oggettiva gravità dei fatti ad essa contestati.
La donna trentatreenne e pertanto ben consapevole di ciò che faceva, riceveva con frequenza elevatissima (anche cinque giorni alla settimana da diversi mesi) molti giovani (taluni neppure
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GIURISPRUDENZA PENALE
ventenni) taluni identificati altri rimasti ignoti, che nella sua abi tazione si recavano con meticolosa puntualità, diligentemente portando seco i loro terribili pacchettini di morte, e li affettuo samente ospitati si iniettavano nelle vene, in sua presenza, l'eroina, si sentivano talvolta male, si contorcevano, vomitavano, ed ella
prontamente si prodigava con massaggi cardiaci e con cure degne di una brava ed esperta infermiera.
Le ragioni di tale apparentemente strano e inspiegabile com
portamento della Bevilacqua la quale, si badi, non era dedita anch'essa alla droga potrebbero, in ipotesi, risiedere in una to tale incapacità dell'imputata di rendersi conto del fatto che, obiet
tivamente, agendo nel siffatto modo, forniva supporto materiale,
sostegno e attrezzature logistiche ai giovani tossicodipendenti che
venivano cosi a trovare facilitata la loro riunione e aggregazione, la celebrazione indisturbata del tetro cerimoniale della siringa e dello spinello e che potevano con facilità darsi appuntamento e
convegno nell'abitazione di via Beretta, per scambiarsi e provare le droghe portate dall'uno e dall'altro.
In realtà però la condotta della prevenuta era assai meno in
consapevole di quanto testé ipotizzato. La Bevilacqua assicurava
gli inquirenti di aver tentato in tutti i modi di scoraggiare e far desistere i giovani suoi amici (7 maggio 1982 ai carabinieri, 8
maggio 1982 al p. m., dibattimento) dall'usare (specialmente in casa sua) la droga, ma di essersi infine arresa in quanto temeva di « perdere la loro amicizia, particolarmente quella del Danie
le ». Un motivo personale ed egoistico quindi e un rischio razio
nalmente valutato ed accettato: ecco quali sono gli elementi che
spiegano e rendono realmente intelligibile la condotta della Be
vilacqua che non si drogava e non prendeva denaro dai giovani
tossicodipendenti. A lei stava a cuore la loro compagnia e quella di uno fra gli altri in modo particolare: tutto il resto era irrile
vante. Si volevano caparbiamente drogare? Ebbene che lo fa
cessero pure nella sua abitazione. In fondo passato il tunnel nero
dell'effetto della eroina quei giovani erano simpatici e si potevano fare insieme tante cose! Cinismo, disinteresse per la sorte defi
nitiva, futura dei ragazzi che la frequentavano, egoismo esaspera
to erano le ragioni che non permettevano all'imputata, che pure
ben si rendeva conto (per sua stessa implicita ammissione) della
pericolosità della droga, di dire basta e di negare l'accesso alla
propria abitazione alle persone che lf si volessero convivialmente
drogare.
3) Ciò detto ci si potrebbe chiedere se la condotta della Bevi
lacqua sia stata concretamente dannosa e censurabile (a prescin
dere dalla presunzione positiva posta in tal senso dalle norme pe
nali, cosi art. 73 e 76 1. 22 dicembre 1975 n. 685). La risposta
non può essere che positiva sol che si rifletta su alcune conside
razioni. Si potrebbe ritenere, prima facie, che se un tossicodipen
dente vuol drogarsi lo farà in qualunque posto, sia esso una casa,
un'automobile, sia un greto di un fiume, ecc., e che pertanto
mettergli a disposizione un immobile senza fini speculativi può
essere cosa utile per preservare il disgraziato giovane dedito
alla droga da pericoli o disagi di vario genere (sporcizia, man
canza di cure in caso di bisogno, ecc.). Come dire: se non è
possibile evitare un male, cercare di renderlo meno dannoso o
disagevole ed evitarne le ulteriori possibili negative conseguenze.
Ma in realtà non è cosi', in quanto quello che potrebbe
forse sembrare il conforto e l'attenuazione di un male ne è si
curamente a sua volta causa amplificatrice o addirittura scate
nante. Infatti, in primo luogo, potersi intossicare senza essere
disturbati e davanti a persona adulta e convivialmente è con
dotta che tende a divenire prassi e che porta a sentire legitti
mato e comunque più « normale » il comportamento stesso.
Ciò è pericolosissimo per coloro che ancora sono alieni dalle
droghe e per i neofiti; per costoro l'esempio degli amici che
beatamente e indisturbati si iniettano eroina, fumano haschish,
ecc. può costituire impulso (talvolta stimolato pure dalla ne
cessità di dimostrare di non essere da meno agli altri più esper
ti compagni) inarrestabile ad iniziare o intensificare l'uso della
droga. Per gli altri, quelli già abitualmente dediti all'assunzione
delle sostanze stupefacenti, l'esistenza di un sicuro, discreto e
ospitale rifugio per aprire le vene alla droga è elemento egual
mente pericoloso in quanto rende difficile la scoperta della
tossicodipendenza in atto e la adozione dei provvedimenti (da
parte dei genitori e delle autorità competenti) idonei a limitare
o estirpare l'insana abitudine.
In secondo luogo è assolutamente negativo che da chiunque
e in qualunque luogo siano assunti atteggiamenti che esplicita mente o implicitamente, con le parole o con i fatti, avallino
l'uso della droga. Questo deve essere assolutamente e con implacabile severità
e intransigenza condannato e bandito e non con un cieco e im
produttivo esorcismo, ma con la efficacia del ragionamento che
può e deve spiegare a chi ne ha bisogno perché e quanto sia
pericoloso, improduttivo, frustrante e illusorio fare uso di so
stanze stupefacenti e sperare di risolvere con esse anche il più
piccolo problema della vita. È evidente come la tolleranza in
casa propria da parte di persona adulta, non tossicodipendente, dei comportamenti in cui s'articola l'assunzione delle droghe non può che apparire agli occhi dei giovani tossicodipendenti
presenti come implicito consenso, al di là delle eventuali (con
trarie) espressioni di rito (o quanto meno blando dissenso) alle
pratiche in oggetto.
4) Devesi ora affrontare e prendere posizione in merito alla
configurazione giuridica attribuibile ai fatti illeciti posti in es
sere dalla Bevilacqua.
Non v'ha dubbio che l'inquadramento giuridico della fat
tispecie concreta esaminata ha una limitata latitudine colloca tiva nell'assetto della vigente legislazione, potendosi ritenere
realizzata, nella specie, o l'ipotesi criminosa di cui al 2° comma dell'art. 73 1. 22 dicembre 1975 n. 685 (da ora chia mata semplicemente legge) o quella di cui al successivo art. 76, 4° comma. Il primo (al comma citato) recita: « Alla stessa
pena è assoggettato chiunque avendo la disponibilità di un
immobile, di un ambiente, o di un veicolo a ciò idoneo, lo adi bisce o consente che altri lo adibiscono a luogo di convegno abituale di persone che ivi si diano all'uso di sostanze stupefa centi o psicotrope di cui al 1° comma»; e l'altro (art. 76, 4° comma): « Le stesse pene si applicano a chiunque, fuori delle
ipotesi di cui al precedente art. 73, favorisce l'uso delle sostanze
stupefacenti o psicotrope indicate nella prima parte del presente articolo ovvero se dall'uso trae comunque profitto».
La pena comminata dall'art. 73, 2° comma, è la reclusione da tre a dieci anni e la multa da lire due milioni a lire dieci
milioni; mentre la pena comminata dall'art. 76, 4° comma, è la reclusione da uno a cinque anni e la multa da lire un mi
lione a lire cinque milioni.
Circa la natura e finalità delle due norme può osservarsi che
entrambe prevedono, sostanzialmente, ipotesi particolari di fa
voreggiamento la cui struttura è analoga a quella contemplata da leggi speciali quali la 1. 20 febbraio 1958 n. 75 che all'art. 3 punisce chiunque essendo proprietario, ecc. di albergo, casa
mobiliata, ecc. vi tollera abitualmente la presenza di una o più
persone che, all'interno del locale stesso, si danno alla prosti tuzione e all'art. 8 punisce « chiunque in qualsiasi modo fa
vorisca o sfrutti la prostituzione ». Ipotesi, come detto, parti colari (rispetto al delitto di cui all'art. 378 c.p.) posto che nelle
norme citate manca o può mancare uno dei presupposti fon
damentali del favoreggiamento, vale a dire la (precedente) com
missione di un reato in ordine alla quale assume rilievo, ai fini
della legge penale il comportamento del soggetto attivo del de
litto di cui all'art. 378 c.p.
La detenzione per uso personale di modiche quantità di so
stanze stupefacenti o il prostituirsi non costituiscono infatti fat
ti perseguibili ai sensi della legge penale.
Ciò premesso può prendersi atto di come la norma dell'art.
76, 4° comma, prima parte della legge rappresenti una ipotesi
generale rispetto a quella speciale prevista dall'art. 73, 2° com
ma, della stessa legge. Norma di apertura che permette di far
rientrare nell'ambito dei comportamenti penalmente rilevanti an
che quelli non singolarmente considerati (come lo è invece quello dell'art. 73, 2° comma, cui il legislatore ha attribuito una peri colosità tale da meritare, con apposita norma, una specifica, più elevata sanzione rispetto a quella stabilita per le altre ipotesi di favoreggiamento, cioè quelle genericamente previste dall'art. 76).
In relazione al favoreggiamento (di soggetti tossicodipendenti nell'uso di droghe) mediante messa a disposizione da parte del
reo di abitazioni e locali di cui abbia la disponibilità è possi bile ipotizzare, nella ricorrenza di determinate condizioni, l'ap
plicabilità dell'art. 73 ovvero dell'art. 76.
Il criterio che deve guidare l'interprete nel valutare e giudicare rettamente quale sia l'ipotesi normativa integrata dal comporta mento del reo è quello dell'accertamento se la condotta di
quest'ultimo sia stata tale da potersi dire che l'immobile è stato
« adibito » a luogo di convegno di persone che si diano all'uso
di sostanze stupefacenti e se tali riunioni o convegni siano stati
(o meno) abituali. Va ricordato, a tal fine, che « adibire » signi fica adoperare, assegnare, destinare a un dato uso e che « abitua
le » è sinonimo di consueto, comune, usuale, frequente (Dizio nario della lingua italiana, F. Palazzi).
Se l'indagine è positiva si potrà considerare realizzato, pre senti gli altri elementi costitutivi del reato, quello previsto e
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PARTE SECONDA
punito dall'art. 73, 2" comma, della legge, altrimenti quello dall'art. 76, 4° comma, prima parte.
In tale opera ermeneutica devono porsi, propedeuticamente, alcuni punti fermi: in entrambe le fattispecie incriminatrici non
è richiesto per il reo alcun fine di profitto, né comunque alcun
dolo specifico; l'adibire dell'art. 73, 2° comma, può conciliarsi e concretarsi non essendovi alcuna ragione letterale e logica in
contrario con un uso non esclusivo dell'immobile destinato an
che ad altre attività (oltre a quella del rendere ivi possibile ad
altri l'uso di droghe); la condotta (attiva od omissiva) di cui all'art. 73, 2° comma, può essere realizzata soggettivamente dal
reo, anche con dolo indiretto o eventuale.
5) La giurisprudenza, che ha avuto modo di occuparsi della
problematica qui dibattuta, non può dirsi unanime nelle con
clusioni cui è pervenuta. La Suprema corte, con sentenza del 18 aprile 1977, Conversi
(Foro it., 1979, II, 131) affermava il principio secondo cui « per la configurazione del reato di agevolazione dolosa dell'uso di
sostanze stupefacenti non occorre un'attività diretta ad organiz zare locali pubblici o privati destinandoli a luogo di convegno di persone per l'uso di stupefacenti, ma è sufficiente anche un
comportamento negativo, di mera tolleranza da parte di chi ha il diritto di impedire tale destinazione». A tale pronuncia (in verità assai stringatamente motivata) seguivano, nella stessa di
rezione interpretativa, altre sentenze della Suprema corte (18
luglio 1981 e 9 marzo 1982 rispettivamente nn. 7145 e 2548, nu
meri di massimario) alle quali nettamente si contrappone la de
cisione del Tribunale di Milano emessa in data 13 marzo 1978
(id., 1979, II, 132). La sentenza, pregevole per gli intenti speculativi del collegio
che venivano sviluppati con interessanti osservazioni incentrate
(più che sul contesto normativo in materia) sulla messa a fuoco
del fenomeno della tossicodipendenza studiato sotto il profilo delle cause individuali e collettive che lo determinano, degli effetti personali e sociali dell'uso delle droghe (in specie quelle c.d. pesanti) e delle motivazioni che venivano ritenute essere a
fondamento della condotta degli imputati, giungeva però a con
clusioni che non possono essere condivise, dovendo l'interprete
prestare il dovuto rispetto alla portata effettiva delle norme (sia
pure interpretate con criteri teleologici ed estensivi), dal cui im
perativo disposto giammai egli può allontanarsi.
In motivazione, il Tribunale di Milano (nella sentenza citata
supra) riconosceva come pacifica la circostanza che nel locale
gestito dagli imputati parecchi frequentatori erano dediti all'uso
di droghe (fatto questo ben conosciuto e quanto meno tollerato
dagli imputati stessi); e che nel loro locale « v'era la possibilità, concretamente realizzatasi, per i fumatori di haschish di starsene
indisturbati ad usare le loro sostanze, ben più confortevolmente e liberamente che in qualsiasi altro posto all'aperto o al chiuso normalmente frequentato dai predetti fumatori e che ciò finiva,
fatalmente, data l'indiscriminata presenza di più persone e di vari fumatori, per favorire l'uso da parte di chi non era dedito al fumo o non avesse inizialmente l'intenzione di fumare ».
Ciononostante il tribunale riteneva sussistere la più lieve ipo tesi incriminatrice dell'art. 76, 4° comma, della legge (piut tosto che quella di cui all'art. 73, 1° comma) e ciò dando assor bente importanza ai seguenti elementi di fatto: mancata prova dell'esclusiva o sicura prevalente presenza nel locale di persone che si dedicavano all'uso di droghe, mancanza di particolari ac
corgimenti e mezzi nel locale, nonché (mancata prova) dell'acces so (dei clienti) collegato al fine di consumare le droghe. Da tali elementi il collegio riteneva di poter dedurre l'assenza (di prova) di una volontà non equivoca degli imputati di adibire il locale al fine evidenziato nell'imputazione (agevolazione dolosa dell'uso di sostanze stupefacenti).
Le conclusioni cui perveniva il collegio ambrosiano evidente mente conseguenziali alle sue pur pregevoli osservazioni sul fe nomeno della tossicodipendenza sono in parte pervase dal prin cipio del tout comprendre c'est tout pardonner e non sono ac cettabili da un punto di vista di stretto diritto.
Le intime motivazioni (che dettavano la condotta) degli im
putati del processo conclusosi con la sentenza del Tribunale di Milano potevano forse essere degne di comprensione, ma certo è che le risultanze obiettive di quella fattispecie erano nel senso di radicare la responsabilità dei prevenuti in ordine al reato di cui all'art. 73 della legge.
Gli elementi considerati dal Tribunale di Milano (e riportati supra) per escludere la ricorrenza di questa ipotesi criminosa so no infatti assai deboli risultando, per contro, come leggesi o rilevasi per via logica nella motivazione della sentenza stessa, che
nel locale eie quo un apprezzabile numero di giovani si drogava abitualmente sotto gli occhi dei gestori e che nel predetto locale
vi erano tutte le strutture necessarie e sufficienti a consentire
ai tossicodipendenti il consumo delle sostanze stupefacenti (se
die, tavoli, mura discrete, bevande, ecc... Di cosa altro può aver infatti bisogno un drogato per fumare uno spinello o per bucarsi in pace?). E inoltre quando mai il legislatore ha scritto
e voluto che, ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui al
l'art. 73, r comma, della legge, il locale debba essere adibito in
via esclusiva a luogo di convegno di persone che si danno al
l'uso di sostanze stupefacenti?
E infine quanto « alla volontà inequivoca del soggetto », di
agevolare dolosamente, ecc., che il collegio milanese non riteneva
accertata pur non avendo obliterato nell'ambito della articolata
motivazione (punto 4 in fondo) della sua sentenza di dar atto,
seppure per altro fine, della presenza nel nostro ordinamento
dell'istituto del dolo c.d. indiretto o eventuale, come la si poteva
negare in presenza di tali e tante chiare e sicuramente univoche risultanze obiettive nonché dichiarazioni degli stessi imputati?
La norma dell'art. 73 della legge non richiede alcun dolo spe cifico. Non è infatti previsto e punito dall'art. 73 cit. il comporta mento di chi mette a disposizione un locale al fine di adibirlo a
convegno, ecc.... L'espressione « chiunque adibisce » e « lo
adibisce » usata dall'art. 73, 1" e 2* comma, con riferimento al
l'immobile, veicolo o ambiente in genere, è tecnicamente diretta
a consentire l'incriminazione e punizione sia di chi ha adibito
il locale (di cui ha la disponibilità) prevedendolo e volendolo a
convegno abituale di persone che ivi si diano all'uso di sostanze
stupefacenti sia di chi ha destinato il locale stesso ad usi in or
dine ai quali ha previsto (accettandola) la possibilità che venis
sero messi in essere comportamenti concretanti la fattispecie vie
tata e punita dalla norma (convegno abituale, ecc.).
6) La Bevilacqua è pienamente responsabile del reato ad essa
ascritto avendolo realizzato compiutamente non solo nei suoi re
quisiti materiali, ma pure in quelli soggettivi. La stessa imputata dichiarava di essersi attivata e di aver fatto per un certo tempo tutto il possibile affinché i suoi giovani amici non si drogassero nelle stanze della sua abitazione ma di aver poi cessato di insi
stere oltre. E quindi di aver tollerato quanto accadeva. Può quin di affermarsi che la Bevilacqua metteva, con abitualità, la pro
pria casa a disposizione dei giovani tossicodipendenti, che ivi si
drogavano con frequenza, volendo, seppure per motivi non di
lucro né per altro verso perversi, tale adibizione (ché, in caso
contrario, temeva di perdere l'amicizia dei giovani e di uno in
particolare). O, quanto meno, avendo previsto la elevata proba bilità che la sua abitazione divenisse convegno abituale di tos
sicodipendenti dediti ivi all'assunzione di droga (i giovani in
fatti non avevano smesso di drogarsi nella sua abitazione allor
ché l'imputata l'aveva, a suo dire, reiteratamente richiesto, per cui nulla poteva far ragionevolmente prevedere o sperare che i
tossicodipendenti cessassero di drogarsi nella sua casa) e aven
done, scientemente, accettato il rischio.
7) Per finire, prima di determinare l'entità della pena irroganda alla prevenuta, vanno ulteriormente precisate alcune questioni,
già supra sfiorate, relative alla fattispecie incriminatrice di cui
all'art. 73, 2° comma, della legge. Il verbo «adibire», usato dalla norma, va interpretato, come
già detto, nella sua accezione corrente di destinazione di una
cosa, in modo non necessariamente esclusivo, ad un certo uso. Rimane pertanto al di fuori della previsione dell'art. 73 della
legge l'ipotesi in cui il proprietario di un immobile riceva per una volta sola, in casa un ospite il quale, ad un certo momento
accenda, inopinatamente, una sigaretta composta di haschish ov
vero si inietti nelle vene della sostanza stupefacente. In tale si
tuazione (impregiudicata la possibilità di rinvenire nel comporta mento del proprietario dell'appartamento altre eventuali ipotesi delittuose) manca, per l'integrazione dei requisiti oggettivi del
l'art. 73, 2° comma, della legge, oltre che l'abitualità dei convegni e la pluralità delle persone tossicodipendenti, un atteggiamento, concretamente apprezzabile di «messa a disposizione», di «adi
bizione » dell'appartamento al consumo di droghe e ciò non solo da un punto di vista soggettivo. Diversa è la situazione se dopo tale primo accadimento il proprietario dell'immobile consenta che nella sua casa si ripetano, con abitualità e da parte di più persone, riunioni nel corso delle quali queste ultime assumano sostanze stupefacenti.
Il non prendere una netta e ferma posizione di rifiuto allo
svolgimento di tali comportamenti nell'immobile da parte di chi ne ha la disponibilità non potrà non implicare una accettazione,
quanto meno tacita, da parte di quello, alla loro continuazione e alla destinazione dell'appartamento oltre che alle più normali
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GIURISPRUDENZA PENALE
varie esigenze (legittime) a luogo di riunione e convegno di per sone tossicodipendenti che ivi si diano all'assunzione delle droghe.
È stato ampiamente dimostrato che, per l'imputata, si è rea
lizzata proprio quest'ultima fattispecie.
8) L'incensuratezza della Bevilacqua e le motivazioni non di
lucro o altro turpe scopo che erano alla base della sua condotta
fanno si che alla medesima possano essere concesse le attenuanti
generiche. La pena che, alla luce degli elementi tutti dell'art. 133
c.p., è giusto infliggere all'imputata, è la reclusione per anni 2
e mesi 8 di reclusione e la multa di lire 2.800.000, oltre al pa
gamento delle spese processuali e di custodia preventiva.
L'esperienza negativa tratta dall'imputata dai fatti per i quali è stata giudicata fa ritenere che la medesima consapevole della
non lieve gravità e della pericolosità sociale del suo comporta
mento, seppure, come detto, non determinato da impulsi perversi, si asterrà in futuro dal commettere reati.
Tali considerazioni permettono di concedere alla Bevilacqua la libertà provvisoria.
Va infine ordinata la confisca e la distruzione di quanto in
sequestro.
Ili
Svolgimento del processo. — Con rapporto giudiziario del 29
ottobre 1981 del commissariato di p.s. di Casale Monferrato, ve
niva denunciato all'a.g., per aver favorito l'uso di sostanze stu
pefacenti, Cavagnolo Eugenio. Riferivano i verbalizzanti che il
21 ottobre 1981, verso le 0,50, veniva ricoverato «in stato co
matoso » nell'ospedale S. Spirito di Casale Monferrato, Furia Ga
briele. Quest'ultimo, dimesso dall'ospedale, era stato interrogato
dagli agenti di p.s. ed aveva dichiarato: che il 20 ottobre 1981
lui ed il suo amico Caligaris Maurizio volevano recarsi a Milano
per acquistare droga e avevano cercato, pertanto, un passaggio in auto; che poco dopo avevano incontrato in piazza Dante, a
bordo della propria autovettura, Cavagnolo Eugenio, detto « Pop »,
al quale avevano chiesto se era disposto ad accompagnarli a Mi
lano con la macchina per acquistare droga; che il Cavagnolo aveva accettato, chiedendo anche un piccolo « contributo »
per le spese di viaggio; che giunti a Milano ognuno aveva
acquistato della droga (eroina, cocaina e canapa indiana) che
poi avevano assunto in parte nella stessa Milano, in parte —
due o tre volte — a bordo dell'automobile del Cavagnolo nel
viaggio di ritorno verso Casale; che infine egli stesso si era sen
tito male e che era stato accompagnato dagli altri due suoi amici
all'ospedale di Casale Monferrato. Veniva, in seguito ascoltato
anche il Caligaris, che confermava la dichiarazione del Furia.
Veniva allora emesso, in data 30 ottobre 1981 dal procuratore della repubblica di Casale Monferrato, ordine di cattura contro
Cavagnolo Eugenio per il reato di cui in rubrica. L'imputato, in
terrogato dal p. m., confermava le circostanze riferite dal Furia
e dal Caligaris, precisando altresì di non avere ritenuto che il
suo comportamento potesse integrare una figura delittuosa.
Pertanto Cavagnolo Eugenio veniva giudicato con il rito diret
tissimo all'odierna udienza nella quale gli veniva contestata, dal
presidente, su istanza del p.m., la recidiva generica e riterata.
Espletata l'istruttoria dibattimentale p.m. e difesa concludevano
come da verbale in atti.
Motivi della decisione. — Non vi è alcun dubbio sul fatto che
l'imputato abbia accompagnato a Milano il Furia ed il Caligaris
sapendo che i due si dovevano recare in quella città per acqui stare droga; cosi come è certo che questi ultimi si siano drogati
più volte nella autovettura del Cavagnolo. Invero è stato lo stesso
imputato ad affermare, sia avanti al p. m., sia poi in dibattimen
to che Caligaris e Furia gli avevano detto « che dovevano andare
a Milano a comprare della droga » e gli avevano chiesto se era
possibile avere un passaggio; ha poi affermato che: « Tutti e
tre ci siamo bucati a bordo della mia autovettura. Il Furia si è
bucato più volte ed anche il Caligaris si è bucato più di una volta,
sia a Milano che lungo il tragitto ». Tali circostanze erano poi
già state riferite dal Furia e dal Caligaris e quest'ultimo le ha
confermate, fornendo cosi obiettivo riscontro alle dichiarazioni e
del Cavagnolo e del Furia, in dibattimento.
È necessario, a questo punto, accertare se il comportamento
posto in essere dall'imputato possa configurare l'ipotesi delittuosa
prevista dall'art. 76, 4° comma, 1. 22 dicembre 1975 n. 685.
La ratio di tale legge è di una evidenza palmare. Il legislatore
ha cercato di stroncare il fenomeno, deleterio, dell'uso di so
stanze stupefacenti, da una parte comminando pene molto se
vere, per chiunque fornisca — e a qualsiasi titolo — la droga
ai tossicodipendenti, dall'altra tentando di recuperare i drogati,
dichiarando non punibile il detentore o l'acquirente di sostanze
stupefacenti o psicotrope per uso personale (art. 80 1. 685), pro muovendo interventi informativi, educativi (art. 85 s.), preventivi, curativi e riabilitativi (art. 95 ss.) e istituendo centri medici e
di assistenza sociale (art. 90 ss.). Tutte le norme comprese nel
titolo Vili della 1. 685, intitolato « della repressione delle at
tività illecite », si muovono nella direzione, poc'anzi accennata, di massima severità verso coloro che in qualsiasi modo permet tono con la loro attività l'uso di sostanze stupefacenti. Si ha cosi
la lunga elencazione dei verbi degli art. 71 e 72 — chiunque
produce, fabbrica, estrae, offre, pone in vendita, ecc. — la mi
nuziosa indicazione, negli altri articoli, delle varie fattispecie il
lecite che potrebbero verificarsi nella vita concreta, che confer
mano la intenzione del legislatore — intenzione espressa con
una tecnica legislativa che non va esente da critiche per l'ecces
siva minuziosità che è, come ben noto, sempre dannosa — di
impedire, quantomeno ostacolare, in maniera incisiva, il triste fe
nomeno della diffusione della droga punendo, ogni possibile at
tività illecita. Anche l'art. 76 1. 685 rientra, ovviamente, nel di
segno di politica criminale già brevemente accennato. Questo articolo punisce, al 4° comma, « chiunque, fuori dalle ipotesi di
cui al precedente art. 73, favorisce l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope ». Favorire significa aiutare, rendere più agevole il
fare qualcosa. Il legislatore ha infatti espresso, nei due articoli
del codice penale intitolati « favoreggiamento personale » (art. 378) e « favoreggiamento reale » (art. 379), con il sinonimo aiutare l'azio
ne del favorire. Ulteriore conferma che il legislatore, ogni qualvolta ha usato il termine favorire, ha inteso dargli, senza dubbio, tale
significato si ricava dalla lettura della copiosissima giurispruden za del Supremo collegio formatasi per il reato di favoreggiamen to della prostituzione previsto e punito dall'art. 3, n. 8, 1. 20
febbraio 1958 n. 75. Ad esempio il Supremo collegio ha più volte
ribadito che: « Il delitto di favoreggiamento della prostituzione consiste in qualsiasi condotta idonea a rendere più agevole l'eser
cizio dell'altrui meretricio a prescindere dallo scopo di lucro »
(Cass. 9 ottobre 1969, De Luca, Foro it., Rep. 1970, voce Prosti
tuzione, n. 39). Si ha poi favoreggiamento — sia della prostitu zione sia dell'uso di sostanze stupefacenti essendo identica la ter
minologia usata dal legislatore nei due articoli di legge — an
che con il compimento di un solo atto. Infatti: « la reiterazione
di più fatti criminosi è irrilevante ai fini della configurazione del delitto di favoreggiamento della prostituzione, che ha i ca
ratteri di reato eventualmente abituale».
Orbene l'accompagnare una persona in macchina in un luogo (Milano) dove questa deve acquistare droga per sé, integra sen
z'altro il reato di favoreggiamento di uso di sostanze stupefacenti in quanto agevola, rende più facile acquistare la droga — acqui sto che probabilmente non poteva essere fatto in Casale Monfer
rato — che verrà poi usata. Il Supremo collegio, sempre in tema
di favoreggiamento della prostituzione, non essendosi ancora mai
pronunciato sul reato previsto dall'art. 76 1. 685, ha più volte
ribadito che: « Il trasporto con un automezzo di una donna sul
luogo della prostituzione ed il suo rilevamento al termine di tale
turpe attività favoriscono l'esercizio della prostituzione stessa, con
sentendo alla donna un più facile spostamento in luoghi lontani
per l'esercizio della prostituzione e rendendo, fra l'altro, possi bile una maggiore durata e reiterazione dei congressi carnali »
(Cass. 7 luglio 1969, Paoloni, ibid., n. 22). Ancora: « Costituisce
favoreggiamento della prostituzione l'accompagnare la prostituta nei luoghi ove questa esplica il suo mestiere, e prelevarla dai
detti luoghi » (Cass. 13 gennaio 1969, De Angelo, id., Rep. 1969, voce cit., n. 17).
Non è poi sostenibile che debba essere punito solo colui che
con la sua attività favorisca l'uso, in senso stretto, delle sostanze
stupefacenti — ad esempio stringendo il laccio emostatico al
braccio del tossicodipendente che sta per iniettarsi la droga, o
aiutarlo ad inserire nella vena la siringa — e non vada invece
punito colui che compie un'attività — come quella di accompa
gnare un drogato nel luogo ove deve acquistare droga — prepa ratoria all'uso di sostanze stupefacenti. È chiaro infatti che il
legislatore quando ha sanzionato nell'art. 76 l'attività di « chiun
que favorisce l'uso di sostanze stupefacenti » ha inteso punire tutti quei comportamenti — non elencabili potendo essere i più vari — che in qualche modo agevolino, rendano più facile l'uso
di sostanze stupefacenti. È evidente che favorire l'acquisto di
droghe, attività precedente e necessaria per poi potere usare le
sostanze stupefacenti, significa favorire conseguentemente l'uso.
A tal proposito il Supremo collegio sempre in tema di favoreg
giamento della prostituzione ha affermato che: « per la sussistenza
del reato di favoreggiamento dell'altrui prostituzione non occor
re che l'apporto del favoreggiatore debba comportare l'esercizio
effettivo della prostituzione da parte della persona accompagnata,
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PARTE SECONDA
essendo sufficiente che si pongano in essere le condizioni per ché l'esercizio della prostituzione avvenga » (Cass. 9 ottobre 1970,
Francesconi, id., Rep. 1971, voce cit., n. 16).
Né può dirsi che non vada punito il Cavagnolo poiché a an
che egli tossicodipendente e si è recato a Milano per acquistare, anche lui, sostanze stupefacenti. Tale esclusione non può essere
operata sia perché la lettera della norma chiaramente afferma:
« chiunque favorisca...» senza esclusione alcuna, sia anche in
base allo spirito della legge che se è molto benevola — non pu nendo attività precedentemente punite — con chi acquista, de
tiene sostanze stupefacenti per sé (art. 80) è altrettanto severa
con chiunque — compreso quindi il tossicodipendente — aiuti,
agevoli l'uso delle sostanze suddette. Di ciò non si è mai dubi
tato e nell'applicazione concreta, ad esempio, degli art. 71-72
1. 685, che puniscono « chiunque acquista, pone in vendita, cede,
distribuisce sostanze stupefacenti viene ritenuto colpevole —
come è d'altronde logico — anche il tossicodipendente che ac
quista, pone in vendita, cede, distribuisce droghe per uso per sonale non terapeutico di terzi». 11 Supremo collegio, sempre
per il reato di favoreggiamento della prostituzione ha affermato
che: « Ogni fiancheggiamento che si presta alla prostituta in ogni caso e comunque esplicato, è sempre vietato e pertanto la pro stituta che dà nella propria abitazione ospitalità ad altra prosti tuta per convegni amorosi, è sempre responsabile di favoreggia mento » (Cass. 4 marzo 1964, D'Onofrio, id., Rep. 1964, voce
cit., n. 51). Non può essere, infine, esclusa la punibilità del Ca
vagnolo per il fatto che il Caligaris ed il Furia avrebbero potuto
egualmente raggiungere Milano, con altri mezzi, anche senza il
passaggio in auto dato dall'imputato. A parte il fatto che sep
pure in astratto la possibilità di recarsi a Milano con altri mezzi
poteva esistere, è possibile, in concreto, che quel giorno e al
l'ora del viaggio non ci fossero più « treni o autobus » che an
dassero a Milano oppure che il Caligaris e il Furia, ritenessero
più conveniente recarsi in automobile, anziché in treno, vi è da
osservare che per aversi il favoreggiamento di cui all'art. 76 non
è necessaria un'attività del favoreggiatore essenziale e determi
nante, ma è sufficiente una condotta che, appunto, aiuti, agevoli, renda più facile l'uso di sostanze stupefacenti. È interessante
notare che il Supremo collegio ha affermato, per il favoreggia mento della prostituzione, che: « anche quando senza l'opera fa
voreggiatrice del soggetto attivo lo scopo della prostituzione avreb
be potuto essere raggiunto altrimenti, il favoreggiamento (accom
pagnamento della prostituta nei luoghi ove sarebbero agevolati
gli incontri) è ugualmente punibile » (Cass. 25 marzo 1964, Vin
cenzi, ibid., n. 44).
Costituisce, senz'altro, favoreggiamento anche il fatto che Ca
vagnolo abbia acconsentito che Furia e Caligaris facessero uso,
più volte, di sostanze stupefacenti nella sua autovettura. Anche
per tale comportamento, che ha reso più facile e agevole l'uso
di sostanze stupefacenti, valgono tutte le argomentazioni sopra
svolte. Inoltre l'art. 76, 4° comma, 1. 685 afferma che: « Le stesse
pene si applicano a chiunque, fuori delle ipotesi di cui al pre
cedente art. 73, favorisce l'uso delle sostanze stupefacenti ». Tale
articolo appare chiaramente una norma residuale volutamente
generica per poter colpire tutti i comportamenti non tassativa
mente e minuziosamente elencati nell'art. 73. Dalla frase inciden
tale « fuori delle ipotesi di cui al precedente art. 73 » emerge
che il legislatore ha ritenuto anche i comportamenti previsti nell'art. 73, compresi nella nozione di favorire (d'altronde il ti
tolo dell'art. 73 è « agevolazione dolosa dell'uso di sostanze stu
pefacenti »), anche se per politica legislativa e per la maggior
gravità e diffusione li ha indicati specificatamente in un articolo
separato, comminando, per gli stessi, pene più gravi di quelle
previste dall'art. 76. In sostanza le fattispecie previste nell'art.
73 se non fossero state elencate ed inserite nel suddetto articolo
sarebbero state punite in base al generico art. 76.
Nell'art. 73 si legge: « Alla stessa pena è assoggettato chiunque, avendo la disponibilità di un veicolo a ciò idoneo lo adibisce
o consente che altri lo adibisca a luogo di convegno abituale di
persone che ivi si diano all'uso di sostanze stupefacenti». È
questo un caso più ampio di quello di cui ci si occupa, essendo
richiesti per la punizione elementi, quali l'adibire il veicolo, ido
neo a luogo di convegno abituale per uso di sostanze stupefacenti, non richiesti per la punizione ex art. 76 e proprio per ciò le
pene dei due articoli sono diverse. Orbene se il caso più ampio, ma dello stesso genere, di quello posto in essere dall'imputato ha trovato uno specifico collocamento nell'art. 73 è evidente,
per quanto già detto, che il fatto minore de quo — acconsentire
l'uso ripetuto, 2 o 3 volte, di sostanze stupefacenti sulla propria autovettura — rientra perfettamente nell'ipotesi delittuosa più lie
ve prevista dall'art. 76, 4° comma. (Omissis)
I
TRIBUNALE DI VENEZIA; ordinanza 16 aprile 1982; Giud.
istr. Casson; imp. Almirante.
TRIBUNALE DI VENEZIA; !
V-U5HU31UU curupcc — rmiaiiicmu curupcu — —
Immunità nel territorio nazionale — Questione non manifesta
mente infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 68, 112,
138; 1. 3 maggio 1966 n. 437, ratifica ed esecuzione del trat
tato che istituisce un Consiglio unico ed una Commissione
unica delle Comunità europee e del protocollo sui privilegi e le immunità, con atto finale e decisione dei rappresentanti dei governi, firmati a Bruxelles 1*8 aprile 1965: protocollo, art. 10).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame
alla Corte costituzionale) la questione di legittimità costituzio
nale della l. 3 maggio 1966 n. 437, nella parte in cui, introdu
cendo nell'ordinamento italiano il disposto dell'art. 10, lett. a), del protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità
europee sottoscritto a Bruxelles in data 8 aprile 1965, estende
ai membri del parlamento europeo, nel territorio nazionale, la
prerogativa dell'inviolabilità di cui all'art. 68, 2" comma, Cost., in riferimento agli art. 3, 68, 112 e 138 Cost. (1)
II
PRETURA DI TRIESTE; ordinanza 18 dicembre 1982; Giud. De Nicolò; imp. Cecovini.
Comunità europee — Parlamento europeo — Componenti —
Immunità nel territorio nazionale — Questione non manifesta mente infondata di costituzionalità (Cost., art. 2, 3, 68; 1. 3
maggio 1966 n. 437, art. 1, 2; 1. 6 aprile 1977 n. 150, appro vazione ed esecuzione dell'atto relativo all'elezione dei rappre sentanti nell'assemblea a suffragio universale diretto, firmato a Bruxelles il 20 settembre 1976, allegato alla decisione del
Consiglio delle Comunità europee, adottata a Bruxelles in pari data: atto, art. 1, 2).
Non è manifestamente infondata (e se ne rimette quindi l'esame alla Corte costituzionale) la questione di legittimità costituzio nale degli art. 1 e 2 l. 3 maggio 1966 n. 437 e degli art. 1 e 2 l. 6 aprile 1977 n. 150 nella parte in cui, introducendo nell'or dinamento italiano il disposto dell'art. 10, lett. a), del proto collo sui privilegi e sulle immunità della Comunità europee, sottoscritto a Bruxelles in data 8 aprile 1965, estendono ai membri del parlamento europeo, nel territorio nazionale, le immunità riconosciute ai membri del parlamento italiano dal l'art. 68, 2° comma. Cost., in riferimento agli art. 2 e 3 Cost. (2)
(1-2) Le ordinanze riportate si allineano a Proc. rep. Trib. Roma 14 aprile 1980, Foro it., Rep. 1981, voce Comunità europee, nn. 179, 180, che ha, peraltro, ritenuto direttamente disapplicabile la norma ora sottoposta al vaglio della corte senza provocarne il previo con trollo di legittimità costituzionale.
La questione è, per certi versi, assimilabile a quella sollevata dal l'ordinanza Trib. Roma 31 gennaio 1983, id., 1983, II. 141, con nota di richiami, circa l'insindacabilità dei componenti del Consiglio supe riore della magistratura per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, sancita con semplice legge ordinaria (art. 5 1. 3 gen naio 1981 n. 1), e recentemente decisa da Corte cost. 3 giugno 1983, n. 148, in questo fascicolo, I, 1800, con nota di Gironi e Pulitanò.
Per particolari problemi di diritto processuale connessi con la pre rogativa dell'inviolabilità dei membri del parlamento italiano Trib. Roma 31 luglio 1981, Foro it., 1982, II, 384, con osservazioni e ri chiami di R. Moretti e nota adesiva di P. Tonini, secondo cui va pro sciolto in istruttoria a norma dell'art. 152, 2° comma, c.p.p., il parla mentare per il quale la Camera non abbia ancora concesso l'autorizza zione a procedere, ove sussista la prova che egli non ha commesso il fatto, nonché App. Napoli 23 dicembre 1980, id., 1981, II, 384, con nota di richiami di E. Gironi, secondo cui la sentenza istruttoria di non doversi procedere pronunziata nei confronti di un membro del parlamento a seguito di diniego dell'autorizzazione a procedere non impedisce il successivo esercizio dell'azione penale qualora l'au torizzazione non sia più necessaria per la sopravvenuta cessazione della qualità di parlamentare, con l'ulteriore affermazione dell'irrile vanza esterna delle motivazioni addotte dalla Camera a sostegno del diniego di concessione dell'autorizzazione a procedere, in nessun modo vincolanti per l'eventuale successivo giudizio dell'a.g.
Alle note di richiami pubblicate in calce alle due decisioni da ultimo citate si rinvia per i precedenti della Corte costituzionale e per la bibliografia in tema di autorizzazione a procedere e di immunità parlamentari in generale.
Proc. rep. Trib. Roma 14 aprile 1980, cit., è annotata criticamente da Zecchino, Immunità dei membri del parlamento europeo e art. 3 Cost., in Giur. merito, 1981, 776, il quale, opinando per il carattere non eccezionale delle guarentigie previste dall'art. 68 Cost, per i membri del parlamento italiano, ne ritiene legittima l'esten
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