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sentenza 3 febbraio 1999; Giud. Breggia; Fall. soc. Sim &Fed (Avv. Cecchi Aglietti) c. Palchetti(Avv. Ferrara, Iozzo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 4 (APRILE 2000), pp. 1311/1312-1325/1326Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194557 .
Accessed: 28/06/2014 08:11
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PARTE PRIMA 1312
TRIBUNALE DI FIRENZE; sentenza 3 febbraio 1999; Giud.
Breggia; Fall. soc. Sim & Fed (Avv. Cecchi Aglietti) c.
Palchetti (Avv. Ferrara, Iozzo).
TRIBUNALE DI FIRENZE;
Fallimento — Atto di restituzione — Azione revocatoria — Inam
missibilità — Fattispecie (Cod. civ., art. 939, 1705, 1706, 1707,
1782, 2740, 2741; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del
fallimento, art. 67, 79; 1. 2 gennaio 1991 n. 1, disciplina del
l'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'or
ganizzazione dei mercati mobiliari, art. 8).
È inammissibile, per difetto del presupposto c.d. oggettivo per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare, la domanda pro
posta ai sensi del 2° comma dell'art. 67 I. fall, per la dichia
razione di inefficacia dell'atto di restituzione effettuato da
una società di intermediazione mobiliare ad un proprio clien
te a seguito di richiesta di disinvestimento da parte dello stes
so, trattandosi di un atto costituente non un «pagamento» ma adempimento di un obbligo di restituzione a fondamento reale di cosa appartenente a terzi, e come tale non rientrante
nell'oggetto del diritto di garanzia generica ex art. 2740 c.c.
che la procedura concorsuale è destinata a realizzare. (1)
(1) Non constano precedenti specifici in termini. Con il provvedimento in epigrafe il Tribunale di Firenze fa dichiara
tamente proprio l'orientamento espresso da Cass. 14 ottobre 1997, n. 10031 (Foro it., 1998, I, 851, con nota di richiami e commento di M. Crisostomo e F. Macario), del quale viene fatta — a quanto consta
per la prima volta — applicazione ad una società di intermediazione mobiliare (Sim).
La pronuncia riveste altresì particolare interesse perché, affrontando la problematica della separazione del patrimonio degli intermediari fi nanziari da quello dei loro clienti da un angolo visuale del tutto pecu liare — e rovesciato — rispetto a quello usualmente ricorrente delle domande di rivendica ex art. 103 1. fall, porta alle estreme conseguenze la ricostruzione del rapporto contrattuale fra Sim e cliente in termini di mandato, così come auspicato dalla più recente dottrina (v., per tut
ti, D'Alessandro, Dissesto di intermediario finanziario e tutela dei clienti, in Giur. comm., 1997, I, 465).
Il caso concreto: dichiarato il fallimento di una Sim, la curatela con viene in giudizio un certo numero di clienti della società fallita i quali avevano richiesto ed ottenuto (in tutto o in parte) dalla stessa società la restituzione dei patrimoni a suo tempo affidati in gestione onde ne
venga dichiarata l'inefficacia ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall. Ciò sulla base del duplice postulato della natura di «pagamento di
un credito liquido ed esigibile» dell'atto di restituzione e della sua lesi vità della par condicio creditorum, da intendersi riferita alla massa se
parata dei clienti della società fallita (i quali, nella stragrande maggio ranza dei casi, non avevano visto soddisfatte le loro pretese di restitu
zione). Entrambi i postulati vengono tuttavia disattesi dal Tribunale di Firenze.
I. - La revocabilità del pagamento di debiti liquidi ed esigibili si fon da sulla violazione del principio della par condicio creditorum.
Par condicio significa tutela del concorso dei creditori, nel senso di
pari opportunità di soddisfazione del proprio credito (eccetto le cause
legittime di prelazione) nei confronti del debitore, ma detta possibilità di soddisfazione incontra il limite dell'appartenenza dei beni al debitore medesimo: responsabilità patrimoniale e correlativo diritto di garanzia generica ex art. 2740 c.c. hanno come oggetto la totalità dei beni —
mobili ed immobili — del debitore ma non anche quelli che, pur essen do in possesso precario di lui, appartengono ad altri.
Tra azione revocatoria fallimentare, principio della par condicio cre ditorum e responsabilità patrimoniale del debitore sussiste quindi un
collegamento essenziale ed indefettibile sancito dall'art. 2740 c.c. (l'ap partenenza del patrimonio di riferimento al debitore fallito) e pacifica mente riconosciuto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Sul punto, oltre a Cass. 4 aprile 1997, n. 2936, Foro it., Rep. 1998, voce Fallimento, n. 532, e App. Firenze 5 giugno 1964, id., Rep. 1965, voce cit., n. 498, ricordate in motivazione, v. anche App. Firenze 18
agosto 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 342, per cui: «operando la revocatoria fallimentare sugli atti compiuti dal fallito sui propri beni, ove costui abbia dato in pagamento ad un terzo ad estinzione di un suo debito denaro non facente parte del proprio patrimonio, non potrà trovare applicazione il disposto dell'art. 67 1. fall.».
Nel senso che il pagamento effettuato dal terzo (salvo che questo non sia avvenuto con provvista del fallito ovvero che il terzo si sia rivalso verso il fallito) non è assoggettabile a revocatoria fallimentare ai sensi del 2° comma dell'art. 67 1. fall., v., da ultimo, Cass. 16 no vembre 1998, n. 11520, id., 1999, I, 541; 19 ottobre 1998, n. 10350, e 16 febbraio 1998, n. 1635, ibid., 551, con nota di M. Fabiani e M. Giorgetti.
In dottrina, v. F. Ferrara jr., Azione revocatoria fallimentare, voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, IV, 902; R. Provinciali,
Il Foro Italiano — 2000.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione ritualmen
te notificato la curatela del fallimento della Sim & Fed s.p.a. conveniva in giudizio Ilva Palchetti chiedendo che fosse dichia
rata l'inefficacia ex art. 67, 2° comma, 1. fall., di alcuni paga menti effettuati dalla società poi fallita a favore della convenu
ta per la complessiva somma di lire 67.853.000.
A sostegno della domanda, la curatela deduceva che la Sim
& Fed era stata a suo tempo autorizzata con delibera Consob
17 dicembre 1991, n. 5808, ad esercitare l'attività di intermedia
zione mobiliare prevista dalle lett. d), e) ed f) del 1° comma
Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, II, 958 ss.; Id., Manuale di diritto fallimentare, Milano, 4a ed., 1962, 779; P. Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, rist. 2a ed., 1981, 20 ss., spec. 62; G. De Semo, Diritto fallimentare, Padova, 1964, 33 ss., 292-314; Carne
lutti, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1936, I, par. 69. Da ciò l'insorgere della questione (di merito) della accoglibilità della
domanda di revoca in conseguenza dell'operare del principio di separa zione dei patrimoni sancito dal legislatore della 1. 1/91, sia in senso c.d. verticale — cioè fra il patrimonio della società di intermediazione
e quello del cliente — che in quello c.d. orizzontale — cioè fra i patri moni dei singoli clienti —.
Secondo il Tribunale di Firenze, infatti, l'operare del principio di
separazione (su cui cfr. la nota di Crisostomo e Macario a Cass.
10031/97, cit.), successivamente ribadito dall'art. 19, 1° comma, d.leg. 23 luglio 1996 n. 415 e adesso dall'art. 22 d.leg. 24 febbraio 1998 n.
58, t.u. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (non
applicabili nel caso di specie), incontra il solo ed unico limite della ma
teriale, fisica, impossibilità di individuazione dei beni di pertinenza di ciascun cliente (la quale deve essere rigorosamente allegata e provata dal depositario che invochi la confusione patrimoniale: v. Cass. 10031/97, cit.).
Le carenze di allegazione sul punto ovvero la tardività delle stesse rilevate dal Tribunale di Firenze non hanno consentito pertanto di giun gere alla conclusione che, nella fattispecie concreta, si fosse alla presen za di una situazione di confusione patrimoniale tale da precludere l'o
perare del principio di separazione. Quanto alla eccezione del difetto di data certa, pure disattesa dal
giudice fiorentino, perché tardiva, non constano precedenti esattamente in termini; v., tuttavia, Cass. 17 luglio 1993, n. 7944, Foro it., Rep. 1993, voce Prova documentale, n. 22; Trib. Roma 20 dicembre 1983, id., 1984, I, 1099. V. altresì Cass. 13 novembre 1964, n. 2732, Foro
it., 1965, I, 35 (in motivazione), e 28 luglio 1948, n. 1272, id., Rep. 1948, voce Scrittura, n. 9, per le quali chi intende avvalersi della scrit tura nei confronti di un terzo deve dare la prova della certezza della
data, nonché Cass. 11 marzo 1972, n. 701, id., Rep. 1972, voce Senten
za in materia civile, n. 199; App. Genova 27 giugno 1960, id., Rep. 1960, voce Fallimento, n. 319.
Per un esame delle problematiche relative alla certezza della data in materia fallimentare, cfr. la nota di M. Fabiani a Cass. 17 luglio 1997, n. 6577, e n. 6571, id., 1997, I, 2819 (ivi anche ampi riferimenti di
dottrina); da ultimo, Cass. 18 agosto 1998, n. 8143, id., Rep. 1998, voce cit., n. 301; 6 maggio 1998, n. 4551, ibid., nn. 563, 569; Trib. Milano 17 novembre 1997, id., 1998, I, 1309.
In materia di trascrizione, v. Cass. 11 ottobre 1969, n. 3288, id., Rep. 1969, voce Procedimento civile, n. 216; 24 gennaio 1968, n. 186, id., Rep. 1968, voce Trascrizione, n. 21, ricordate in motivazione, per le quali «la parte che, data la mancata trascrizione di un atto, pretenda ricavare conseguenze giuridiche a proprio favore, deve farne oggetto di espressa eccezione in sede di merito».
II. - Il Tribunale di Firenze, sottolineata l'inconferenza del richiamo alla categoria dell'obbligazione generica con riferimento a beni come il denaro e gli altri strumenti finanziari «i quali rilevano non nella loro materialità, bensì in quanto rappresentativi di un certo valore» (così Crisostomo e Macario, op. cit., 865), ritiene che, in presenza di esecu zione contestuale da parte del mandatario di incarichi di acquisto di beni fungibili per conto di una pluralità di mandanti, la natura delle cose acquistate dal mandatario non costituisca ostacolo al passaggio della proprietà dei beni in capo ai mandanti secondo un modello strut turalmente simile a quello dell'art. 939 c.c.
L'atto con il quale il mandatario provveda a riconsegnare al mandan te i titoli o i beni affidati in gestione costituisce — secondo il provvedi mento in epigrafe — adempimento di un obbligo di restituzione a fon damento reale, attuato secondo il modello dell'art. 79 1. fall. Le dispo sizioni di cui agli art. 1705, 2° comma, 1706, 1707 c.c. in materia di mandato unite a quella dell'art. 1782 c.c. in tema di deposito vengono così a costituire la matrice codicistica del principio di separazione sanci to dal legislatore del 1991, così come nel precedente di legittimità al
quale il Tribunale di Firenze dichiara di uniformarsi. Sulla qualificazione giuridica dei rapporti contrattuali fra Sim e clienti,
oltre alla nota di commento a Cass. 10031/97, cit., v., per tutti, D'A
lessandro, op. cit., 472 ss. (dell'autore citato è il richiamo alla fatti
specie dell'art. 939 c.c. operato anche dal provvedimento in epigrafe). Sulla problematica dell'immediata efficacia reale dell'acquisto dei crediti
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dell'art. 1 1. 2 gennaio 1991 n. 1 (ossia raccolta ordini di acqui sto o vendita di valori mobiliari, consulenza in materia, solleci
tazione al pubblico risparmio). In data 28 marzo 1994 la società
aveva chiesto alla Consob l'autorizzazione a svolgere anche le
attività previste alle lett. b) e c) della norma citata (ossia il col
locamento e distribuzione di valori mobiliari con o senza sotto
scrizione o acquisto a fermo ovvero garanzia nei confronti del
l'emittente, e la gestione di patrimoni mediante operazioni aventi
ad oggetto valori mobiliari), ma il provvedimento della Consob
aveva negato l'autorizzazione richiesta.
Successivamente, dal 28 giugno 1994 al 17 novembre 1994, la Sim & Fed era stata sottoposta ad ispezione da parte della
Consob che aveva evidenziato alcune anomalie nella gestione della società e nell'attività da questa svolta, con particolare ri
ferimento alla gestione abusiva dei patrimoni, il finanziamento
dei clienti e la negoziazione di valuta per conto proprio. Con provvedimento dell'8 novembre 1995 del ministro del te
da parte del mandatario in capo al mandante nonché sulle disposizioni di cui agli art. 1705-1707, v. altresì, in dottrina, C. Santagata, Man dato. Disposizioni generali, in Commentario Scialoja e Branca, Bologna Roma, 1985, 230 ss., nonché G.B. Portale-A.A. Dolmetta, Deposito regolare di cose fungibili e fallimento de! depositario, in Banca, borsa, ecc., 1994, I, 842 ss.; G. Santini, La vendita per filière. Contributo allo studio delle borse merci, Padova, 1952, 40 ss.; F. Giorgianni, / crediti disponibili, Milano, 1974, 17 ss.; G. Oppo, Una svolta nei titoli di massa. Il progetto Monte titoli, in Riv. dir. civ., 1986, I, 20 ss.; M. Rescigno, Titoli rappresentativi e circolazione delle merci, Milano, 1992, 183 ss.
Sul fatto che l'obbligazione cui è tenuto il mandatario all'acquisto è esattamente adempiuta procurando al mandante la partecipazione al diritto collettivo su un deposito regolare, ma «alla rinfusa», dei titoli con conseguente venir meno della possibilità di esigere — a qualunque fine — atti di individuazione nei rapporti fra mandante e mandatario, v. D'Alessandro, op. cit., 478 s., nonché Oppo, Mandato ad acquista re azioni versate alla Monte titoli e fallimento del mandatario, in Riv. dir. impresa, 1991, 1 ss.
In giurisprudenza, v. altresì Cass. 27 agosto 1996, n. 7859, Foro it., 1997, I, 2237, con nota di Sacchi Lodispoto, cit. in motivazione, non ché Cass. 13 gennaio 1990, n. 92, id., Rep. 1990, voce Mandato, n. 28 (e Giust. civ., 1990, I, 1252, e 1991, I, 1557, con nota adesiva di P. Giammaria); 16 maggio 1990, n. 4262, Foro it., Rep. 1990, voce
Fallimento, n. 531, e Fallimento, 1990, 1193. Le precedenti sentenze rese in senso contrario, ricordate nella moti
vazione del provvedimento in epigrafe, sono costituite da Cass. 16 mag gio 1990, n. 4262, cit.; 20 febbraio 1984, n. 1200, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 411 (e Fallimento, 1984, 1163, e Dir. fallim., 1984, II, 424); Trib. Torino 7 luglio 1988, Foro it., Rep. 1989, voce Società, n. 338 (e Dir. fallim., 1989, II, 869); 28 febbraio 1991, Foro it., Rep. 1992, voce Fallimento, n. 575 (e Banca, borsa, ecc., 1992, II, 478); Trib. Ferrara 30 dicembre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 573
(e Fallimento, 1994, 628; Banca, borsa, ecc., 1995, II, 68), sul famosis simo caso Patrimonium Sim.
III. - L'inquadramento della vicenda sul piano del diritto reale ed il richiamo all'istituto della comunione (ovvero alla fattispecie di cui all'art. 939 c.c.) qualora non risulti materialmente possibile distinguere i beni appartenenti all'uno o all'altro cliente all'interno della massa dei beni di loro spettanza esclude altresì la violazione della par condicio creditorum e la stessa possibilità di esperire l'azione revocatoria.
La conclusione cui perviene il provvedimento in epigrafe trova con ferma nella più recente dottrina che si è occupata del problema, la qua le respinge la possibilità di una ripartizione della perdita pro quota fra tutti i clienti in presenza di fenomeni di distrazione e di mata gestio: «Siffatta interpretazione — è stato rilevato —, oltre a confinare gli investitori in posizione ancor più negletta di quella derivante dall'appli cazione dei principi in materia di cose individuate solo nel genere, sem bra sottointendere una considerazione unitaria dei patrimoni conferiti dai singoli clienti estranea alla ratio legis (cfr. art. 8, 2° comma, il
quale garantisce il regime di separatezza anche fra i singoli clienti)»
(Sepe, id., 1992, II, 491). Nello stesso senso, Mayr, id., 1995, II, 77, il quale, rilevato che
«la soluzione parrebbe a tutta prima essere un concorso generale su tutti i valori mobiliari che risultino comunque di proprietà di clienti
della Sim», immediatamente aggiunge che però «il principio della par condicio creditorum non opera nei loro confronti in difetto di un'e
spressa previsione normativa».
Si è infine osservato che «Se la tutela degli interessi dei clienti è rea lizzata sottraendo i loro beni al patrimonio dell'intermediario ed al con corso dei creditori di costui, si perde irreversibilmente la possibilità di diluire il danno derivante dal dissesto dell'intermediario utilizzando allo
scopo (anche) i beni dei clienti. Il concorso è figura che esige da un lato una massa di creditori aventi diritti omogenei e, almeno tendenzial
mente, paritetici nonché — dall'altro lato — una massa patrimoniale
Il Foro Italiano — 2000.
soro era stata pertanto decretata la sospensione della società
dall'albo delle Sim per un periodo di quattro mesi, lo sciogli mento degli organi amministrativi e la nomina di un commissa
rio ministeriale in persona del dr. Cremona. Lo stesso commis
sario, riscontrate gravi anomalie «sulla gestione e sulla contabi
lità societaria», si era poi indotto, alla fine del mese di dicembre
del 1995, a chiedere al p.m. di attivarsi per il fallimento della
Sim & Fed s.p.a. La curatela deduce quindi che la notizia del commissariamen
to della Sim & Fed era dilagata subito negli ambienti economici
e finanziari, anche per il rilievo che ne era stato dato sulla stampa e via Internet e che nel periodo immediatamente successivo al
l'insediamento del commissario «ci fu, da parte dei clienti più accorti della Sim & Fed che, consci delle gravi difficoltà in cui
si dibatteva la società poi fallita, temevano di non poter più
recuperare i propri investimenti, la richiesta immediata di rim
borso del denaro o dei titoli investiti», come sarebbe testimo
costituente la garanzia generica e comune di quei crediti. Se si negano queste premesse non sembra possibile ricostruirle solo perché la diversa tecnica prescelta produca (o possa produrre) in qualche caso concreto risultati considerati squilibrati alla stregua di qualche criterio di presun ta o autentica giustizia sostanziale» (così D'Alessandro, op. cit., 486 s.).
In senso contrario, v., tuttavia, in giurisprudenza, Trib. Torino 28 febbraio 1991, cit., sia pure resa con riferimento alla disciplina prece dente all'entrata in vigore della 1. 1/91 e ad una fattispecie parzialmente diversa; Trib. Ferrara 30 dicembre 1993, cit., e Trib. Torino 8 febbraio
1994, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 496 (e Giur. comm., 1995, II, 418), ricordate in motivazione. In dottrina, B. Petrazzini, ibid., 424, e F. Lamanna, in Fallimento, 1996, 644.
IV. - Peraltro, alla diversità di posizioni dei vari clienti sembra piut tosto corrispondere una sostanziale diversità dei titoli posti a base delle
rispettive pretese, diversità la quale non può non produrre conseguenze. La restituzione al cliente del patrimonio da lui affidato, essendo la
fisiologica conseguenza giuridica della risoluzione del contratto tra Sim e risparmiatore (nonché dell'operare del principio di separazione dei
patrimoni) non può — di per sé — creare alcuna situazione di ingiusti ficato privilegio, perché ha come titolo e presupposto il contratto e come oggetto beni separati da quello dell'intermediario in ordine ai quali non è ipotizzabile alcun diritto che non sia quello dell'unico titolare
(il risparmiatore). Ove, invece, non possa farsi luogo alla restituzione per il motivo del
l'avvenuta distrazione da parte degli organi sociali, si profila una fatti
specie di responsabilità nascente da un comportamento illecito (perché contrario al contratto ed alla legge) il quale fa nascere un nuovo e diverso diritto: al risarcimento del danno, la cui soddisfazione ben può essere perseguita sul patrimonio della Sim che è il soggetto passivo del nuovo rapporto giuridico:
«La delusione delle attese nutrite dai clienti, nel sistema dell'interme diazione finanziaria, riposa su un illecito dell'intermediario. Il sistema è infatti caratterizzato dalla separazione dei beni dei clienti da quelli dell'intermediario e tra loro, di guisa che l'intermediario non diviene
proprietario dei beni affidatigli, né di quelli da lui acquisiti nell'ambito della prestazione dei suoi servizi professionali.
Se quindi il cliente non trova nei beni inventariati di che soddisfare le sue domande di rivendica o di restituzione ciò si dovrà alla violazione da parte dell'intermediario dei suoi doveri professionali e contrattuali
e, in ultima analisi, alla distrazione dei beni di pertinenza dei clienti. È perfettamente conforme ai principi che una vicenda siffatta metta
capo ad una responsabilità dell'intermediario per i danni derivanti dal suo illecito ed è altrettanto conforme ai principi che questa responsabi lità gravi sul patrimonio proprio dell'intermediario medesimo. In altri termini: il credito al risarcimento dei danni (e cosi, in primo luogo al
l'equivalente in denaro dei beni alla cui restituzione si aveva diritto) partecipa con gli altri crediti al concorso sui beni del debitore» (D'A lessandro, op. cit., 485).
Occorre altresì considerare che — nella fattispecie sottoposta all'esa me del Tribunale di Firenze — la pretesa fatta valere in giudizio non era quella del cliente alla restituzione di quanto a suo tempo affidato in gestione alla Sim (e da individuarsi all'interno di una massa più o meno indistinta) quanto piuttosto quella — contraria — della curatela di far dichiarare l'inefficacia nei confronti degli altri clienti di taluni atti di restituzione già effettuati i quali, evidentemente, avevano già presupposto l'individuazione dei beni consegnati.
Non si tendeva, in altre parole, ad ottenere gli effetti della tutela
prevista dalla legge sulle Sim, quanto a rimetterli in discussione (e, dal
punto di vista del cliente, a mantenerli, avendo il meccanismo legale, per lo meno in taluni casi, funzionato).
Da ciò l'irrilevanza delle problematiche relative alla materiale indivi duazione dei beni di spettanza di ciascun cliente, tipiche delle domande di rivendica e di restituzione in sede fallimentare ex art. 103 1. fall., su cui pure si sofferma il provvedimento in epigrafe (e su cui v. D'A
lessandro, op. cit.). [E. Staunovo Polacco]
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1315 PARTE PRIMA 1316
niato dal prospetto allegato alla citazione, relativo all'andamen
to dei disinvestimenti rispetto agli investimenti nell'anno 1995.
La curatela sottolineava ancora la natura degli investitori della
Sim fallita, che non potrebbero considerarsi «risparmiatori oc
casionali», essendo invece soggetti esperti del settore, e la circo
stanza che i rapporti tra clienti e Sim erano tenuti dai promoto ri che tenevano informati i clienti sull'andamento della società.
La curatela deduceva quindi che la parte convenuta, «titolare
del deposito n. 860010 presso la Sim & Fed», nel «clima di
allarme che si era creato» chiese a questa «il disinvestimento
totale lire e titoli e la chiusura del rapporto», e sosteneva che
il versamento alla parte convenuta della somma di cui si è detto
da parte della Sim, peraltro ad evasione solo parziale dell'ordi
ne ricevuto, versamento «effettuato pochi giorni prima della ri
chiesta di fallimento della società, in favore di un creditore quale la signora Ilva Palchetti evidentemente consapevole dello stato
di insolvenza della società stessa, è lesivo della par condicio
creditorum, e dunque revocabile ai sensi dell'art. 67, 2° com
ma, 1. fall.». Chiedeva dunque che, dichiarati inefficaci i paga
menti, la convenuta fosse condannata a restituire la somma so
pra indicata, con rivalutazione monetaria, interessi e vittoria
di spese. La parte convenuta si costituiva in giudizio e contrastava sot
to vari profili la domanda attorea, deducendo comunque, tra
l'altro, la mancanza del presupposto soggettivo richiesto dal
l'art. 67, 2° comma, 1. fall., ossia della scientia decoctionis.
Chiedeva quindi il rigetto della domanda.
All'udienza ex art. 183 c.p.c., fallito il tentativo di concilia
zione, il g.i., ritenuto che la causa potesse essere decisa senza
bisogno di assunzione di prove, rinviava la causa per la precisa zione delle conclusioni ai sensi dell'art. 187, 3° comma, c.p.c. all'udienza del 9 luglio 1998. In tale udienza le parti conclude
vano sostanzialmente in conformità ai rispettivi scritti difensivi.
Peraltro, la curatela eccepiva la mancanza di data certa del con
tratto stipulato tra la società fallita e la parte convenuta e la
conseguente sua inopponibilità al fallimento, e concludeva an
che in via istruttoria. Parte convenuta, invece, eccepita la tardi
vità di tale eccezione, chiedeva in via subordinata che, nel caso
in cui la causa fosse stata rimessa in istruttoria, fosse concesso
il termine ex art. 184 c.p.c. per produzioni e deduzioni istruttorie.
La causa veniva quindi assunta in decisione.
Motivi della decisione. — La domanda è infondata e va re
spinta in base alle seguenti considerazioni.
1) La curatela del fallimento della Sim & Fed, come si è detto
in narrativa, ha chiesto che siano dichiarati inefficaci ex art.
67, 2° comma, 1. fall., i pagamenti effettuati il 29 novembre
1995, il 6 dicembre 1995 e il 28 dicembre 1995 per complessive lire 67.853.000 a favore della parte convenuta in quanto si trat
terebbe di «versamento effettuato pochi giorni prima della ri
chiesta di fallimento della società, a favore di un creditore . . .
evidentemente consapevole dello stato di insolvenza della socie
tà stessa», in pregiudizio dunque del principio della par condi
cio creditorum. In mancanza di ogni altra specificazione, dal
riferimento al 2° comma dell'art. 67 1. fall, e dall'uso del termi
ne «versamento», sembra dunque di arguire che la curatela con
sideri l'atto di cui chiede la revoca quale «pagamento di un
credito liquido ed esigibile». La parte attrice non specifica quando è stato dichiarato il fallimento della Sim & Fed, tuttavia risulta
pacifico tra le parti che l'atto di cui chiede la revoca sia stato
compiuto entro il termine ex art. 67, 2° comma, I. fall.
2) Preliminarmente va dunque affrontata la questione, solle
vata anche da parte convenuta, circa la ricorrenza o meno, nel
caso di specie, del presupposto oggettivo per l'esercizio dell'a
zione revocatoria oggetto della domanda della curatela. Si trat
ta cioè di verificare se la restituzione della somma sopra indica
ta, effettuata in seguito all'ordine di «disinvestimento», costi
tuisca o meno un pagamento pregiudizievole sottoponibile ad
azione revocatoria ex art. 67, 2° comma, 1. fall., azione che
svolge una funzione indennitaria, tendendo ad elidere le conse
guenze di atti posti in essere in pregiudizio delle ragioni dei
creditori e fa sorgere un'obbligazione restitutoria che la giuri
sprudenza qualifica come obbligazione nascente da fatto illeci
to, il cui elemento oggettivo è la sottrazione di beni della massa
e quello soggettivo la consapevolezza di violare le regole della
par condicio creditorum (v., tra le tante, Cass., sez. I, 4 aprile
1997, n. 2936, Foro it., Rep. 1998, voce Fallimento, n. 532).
3) Al riguardo si pone infatti in diritto — ma come si vedrà
il problema è collegato a precisi elementi di fatto — la questio
II Foro Italiano — 2000.
ne se si sia di fronte ad un atto della società debitrice di disposi zione del proprio patrimonio ed in particolare al pagamento di un credito liquido ed esigibile, come sostiene la curatela, ov
vero se si tratti di un atto di restituzione di cosa appartenente al cliente-creditore e non al debitore e dunque non rientrante
nell'oggetto del diritto di garanzia generica dei creditori (art. 2740 c.c.) che la procedura concorsuale è chiamata istituzional
mente a realizzare. Si tratterà poi di verificare se le finalità di
ricostituzione della garanzia patrimoniale del debitore, tipiche dell'azione revocatoria, possano essere perseguite anche con ri
ferimento all'esigenza di garantire la par condicio all'interno
della categoria dei creditori-investitori, nell'ambito cioè di una
massa separata formata dai beni e dai valori spettanti ai vari
clienti, distinta da quella su cui sono chiamati a soddisfarsi i
creditori diversi da questi ultimi.
4) Appare opportuno, per la soluzione delle questioni che ven
gono in campo, ricordare brevemente la normativa speciale ap
plicabile ratione temporis alla fattispecie e cioè quella contenuta
nella 1. 2 gennaio 1991 n. 1 (disciplina dell'attività di interme
diazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei merca
ti mobiliari), non essendo direttamente applicabile il d.leg. 23
luglio 1996 n. 415, entrato in vigore il 1° settembre 1996, quan do la Sim & Fed era già stata dichiarata fallita (si tratta del
decreto definito «Eurosim», emanato per dare attuazione alle
direttive comunitarie — nn. 22 e 6 del 1993 — in tema di servizi
di investimento nel settore dei valori mobiliari. La materia è
oggi regolata dal «testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria» contenuto nel d.leg. 24 febbraio
1998 n. 58, il quale tuttavia, per quanto ci interessa, riconferma
le scelte di fondo già compiute con il d.leg. n. 415, di cui ripro duce sostanzialmente la disciplina, salvo alcuni correttivi e va
rianti). Peraltro, già nella normativa del 1991, si trovava sanci
to il principio della c.d. doppia separazione patrimoniale che
troverà riconferma nell'art. 19, 1° comma, d.leg. 415/96, là
dove si statuisce che «gli strumenti finanziari e il denaro dei
singoli clienti, a qualunque titolo detenuti da un'impresa di in
vestimento . . . costituiscono patrimonio distinto a tutti gli ef
fetti da quello dell'intermediario e da quello degli altri clienti»
(v. ora l'analogo art. 22 d.leg. 58/98). Infatti, già l'art. 8, 2°
comma, 1. 1/91 affermava che «il patrimonio conferito in ge stione dai singoli clienti costituisce patrimonio distinto a tutti
gli effetti da quello della società e da quello degli altri clienti.
Sul patrimonio conferito in gestione non sono ammesse azioni
dei creditori della società o nell'interesse degli stessi. Le azioni
dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del patri monio di loro proprietà»: veniva così già affermato chiaramen
te il principio di separazione sia in senso che è stato definito
orizzontale (distinzione tra il patrimonio dell'intermiediatore ri
spetto al patrimonio conferito in gestione) che in senso verticale
(separazione dei patrimoni spettanti ai singoli clienti). L'art. 8, 1° comma, lett. f), ed il regolamento della Banca d'Italia del
2 luglio 1991 dettano poi alcune disposizioni volte ad assicurare
in concreto la separazione dal patrimonio della Sim dei beni
oggetto della gestione per conto terzi, tra le quali, ad esempio, il deposito in appositi conti rubricati come di gestione per conto
di terzi e la predisposizione di conti individuali a nome dei sin
goli clienti che consentano in ogni momento l'individuazione
dei beni di loro proprietà.
5) Il principio di separazione, affermato dalla normativa del
1991 solo con riferimento alle attività di gestione dei patrimoni e non anche rispetto alle altre attività tipiche delle Sim come, ad esempio, a quelle di negoziazione di valori mobiliari per conto
terzi, appare tuttavia convincentemente sostenibile, su un piano
generale, anche in base a ricostruzioni dogmatiche effettuate
alla luce dei principi di diritto comune e segnatamente delle norme
del codice civile in tema di mandato e di deposito.
6) Riportando allo schema del mandato il rapporto tra cliente
e Sim (secondo la ricostruzione preferibile: v. anche il riferi
mento alla diligenza del mandatario nell'art. 13, 10° comma, 1. 1/91) consegue infatti che il mandatario non diviene proprie tario dei beni che il mandante gli abbia affidato per lo svolgi mento dell'incarico, né, anche in mancanza di procura, diviene
proprietario dei beni mobili che egli abbia acquistato per conto
del mandante stesso, il quale «può rivendicare le cose mobili
acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome
proprio» (art. 1706 c.c.). Il mandante inoltre può esercitare i
diritti di credito acquistati per suo conto dal mandatario (art.
1705, 2° comma, c.c.). Al di là della complessa spiegazione dog
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
matica delle disposizioni in questione (che si pongono in con
trasto con la tradizionale ricostruzione del mandato come fonte
di vincoli meramente obbligatori, portando giurisprudenza e dot
trina ad ammettere, per tali casi, un'efficacia reale del manda
to, sia che questa sia prospettata affermando un duplice auto
matico trasferimento — dal terzo al mandatario e da questi al
mandante — sia che si affermi il trasferimento diretto dal terzo
al mandante in virtù di un'asserita rilevanza esterna del rappor to gestorio), in ogni caso è espressamente escluso che i creditori
del mandatario possano «far valere le loro ragioni sui beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha acquistato in nome
proprio, purché, trattandosi di beni mobili o di crediti, il man
dato risulti da scrittura avente data certa anteriore al pignora mento» (art. 1707 c.c.). È poi pacifico che la disciplina del ne
gozio gestorio delineata dagli art. 1705-1707 per il caso di man
dato senza rappresentanza trovi applicazione anche nell'ipotesi di fallimento del mandatario, sostituita solo, nella normativa
dell'art. 1707 c.c., la data di dichiarazione di fallimento a quel la del pignoramento ex art. 45 1. fall, (di tale applicabilità viene
considerata una conferma l'art. 79, 3° comma, 1. fall., che, a proposito della disciplina delle cose possedute dal fallito a
titolo precario, fa salve le disposizioni dell'art. 1706 c.c.).
7) Già prima dell'entrata in vigore della 1. n. 1 del 1991 quin di poteva pervenirsi all'affermazione della «separatezza» dei pa trimoni dei clienti della Sim rispetto al patrimonio di quest'ulti ma con la conseguenza che la richiesta di restituzione dei singoli clienti del denaro o dei valori mobiliari avrebbe dovuto essere
collocata nell'ambito delle azioni di rivendica e restituzione ex
art. 103 1. fall. In sede concorsuale, il principio di separazione riceve attuazione appunto attraverso l'applicazione del regime della restituzione delle cose mobili possedute dal fallito a titolo
precario (art. 103 1. fall, e art. 79 1. fall.), ossia consentendo
al cliente di recuperare «in natura» il denaro e gli strumenti
finanziari da questo detenuti in esecuzione dei servizi d'investi
mento dallo stesso effettuati. Correlativamente, ravvisandosi un
rapporto di natura reale e non personale, non sarebbe ammissi
bile l'azione revocatoria per la dichiarazione di inefficacia di
un atto che non può qualificarsi come atto solutorio.
8) Al riguardo, va segnalato che la giurisprudenza, anche di
merito, è apparsa restia a pervenire a tali conclusioni, ricolle
gandosi alla reiterata affermazione secondo cui le domande di
rivendica, separazione e restituzione, ai sensi dell'art. 103 1. fall,
sono ammissibili solo con riguardo a cose mobili possedute dal
fallito ed esattamente individuate per specie, non anche in rela
zione a cose fungibili; per queste, verificandosi confusione con
il patrimonio del fallito, sarebbe concepibile unicamente un'ob
bligazione di restituire o consegnare il tantundem, obbligazione da far valere in concorso e per il suo equivalente pecuniario a norma dell'art. 59 1. fall. (Cass. 16 maggio 1990, n. 4262,
id., Rep. 1990, voce cit., n. 531; 20 febbraio 1984, n. 1200,
id., Rep. 1984, voce cit., n. 411; Trib. Torino 7 luglio 1988,
id., Rep. 1989, voce Società, n. 338; 28 febbraio 1991, id., Rep.
1992, voce Fallimento, n. 575; Trib. Ferrara 30 dicembre 1993,
id., Rep. 1994, voce cit., n. 573, sul caso Patrimonium Sim; in epoca risalente, ma chiara nel porre in luce l'idea di fondo
dell'orientamento giurisprudenziale ricordato, v. App. Firenze
5 giugno 1964, id., Rep. 1965, voce cit., n. 498, la quale am
mette «l'azione in separazione di una somma di denaro che,
prima del fallimento, sia stata consegnata per un determinato
impiego — nella specie, i tre decimi del capitale sociale da de
positarsi presso la Banca d'Italia — all'amministratore di poi dichiarato fallito, solo ove detta somma, all'atto della conse
gna, sia stata racchiusa in un plico, contrassegnata, od in qual siasi altra forma individualizzata, così da costituire un oggetto
specifico esistente tra le cose inventariate e, come tale, suscetti
bile di essere restituito in natura. In difetto di tale individuazio
ne resta solo un diritto di credito da far valere mediante insi
nuazione al passivo»).
9) Tuttavia, in linea di principio, va ricordato che a norma
dell'art. 1378 c.c., nei contratti che hanno per oggetto il trasfe
rimento di cose determinate solo nel genere, la proprietà si tra
smette con l'individuazione fatta d'accordo con le parti o nei
modi da esse stabilite.
Ora, nel caso di acquisto da parte del mandatario di beni
mobili fungibili, applicando la norma ricordata, ne deriva che
sino a che non avviene l'individuazione, la vendita ha effetti
obbligatori (e la proprietà dei beni resta in capo all'alienante),
Il Foro Italiano — 2000.
ma nel momento in cui l'effetto reale, previsto dall'art. 1378
c.c., si verifica a causa della individuazione, tale effetto si veri
fica simultaneamente e automaticamente anche dal mandatario
al mandante in base a quanto si è sopra osservato circa l'art.
1706 c.c. (comunque si voglia ricostruire — doppio automatico
passaggio o unico passaggio diretto — il meccanismo che porta alla titolarità del bene acquistato dal mandatario in capo al man
dante). In altri termini, al di là dei problemi che, come si dirà,
pone la nozione di individuazione quando riguardi titoli o valo
ri mobiliari, su di un piano teorico deve intanto riconoscersi
che l'effetto traslativo ad essa legato non può verificarsi nel
patrimonio del mandatario.
Né la questione assume aspetti diversi, per quanto qui inte
ressa, nel caso in cui vi sia commistione, iniziale o sopravvenu
ta, dei beni mobili acquistati dal mandatario per conto di diver
si mandanti (come può avvenire per il caso in cui il mandatario
abbia acquistato più partite di grano per conto di vari mandan
ti, oppure immetta il grano acquistato per conto di Tizio nel
deposito in cui era racchiuso già il grano acquistato per Caio;
oppure ancora, per venire ad un esempio più vicino alla materia
in esame, nel caso in cui la Sim, invece di tenere distinti i conti
dei singoli clienti, immetta valori e titoli in un unico conto di
gestione per conto terzi). Ai fini che interessano è infatti suffi
ciente notare che nemmeno in tal caso il mandatario acquista la proprietà dei beni mobili, potendosi ritenere che si verifichi
una situazione di comproprietà in capo ai mandanti. Si è richia
mato, al riguardo, il principio espresso dall'art. 939 c.c., secon
do cui, «quando più cose appartenenti a diversi proprietari so
no state unite o mescolate in guisa da formare un sol tutto, ma sono separabili senza notevole deterioramento, ciascuno con
serva la proprietà della cosa sua e ha diritto di ottenerne la
separazione. In caso contrario, la proprietà diventa comune in
proporzione delle cose spettanti a ciascuno».
Tale conclusione (a prescindere dalle complesse questioni che
pone la ripartizione dei beni agli aventi diritto in tali casi, quan do la massa patrimoniale di pertinenza dei clienti sia insuffi
ciente a far fronte alle restituzioni per intero) è sufficiente per affermare che anche in tal caso si resta sul piano del diritto
reale (comproprietà anziché proprietà), ciò che è a sua volta
sufficiente per ritenere comunque estranei al patrimonio della
società fallita i beni in questione con le conseguenze di cui si
dirà oltre.
10) In tale prospettiva non sono condivisibili le argomenta zioni di chi sostiene che, nel caso in cui vi sia stata commistione
dei titoli e dei valori dei clienti in unico conto, pur essendo
così separato il patrimonio della società da quello degli investi
tori, non essendo però distinti i patrimoni dei singoli clienti, sarebbe impossibile la restituzione ex art. 103 1. fall., restituzio
ne subordinata all'individuazione dei valori mobiliari con nota
zioni specifiche nei conti individuali e, addirittura, alla registra zione del numero di serie nel caso si tratti di denaro o di titoli
al portatore (Trib. Ferrara, cit.). Infatti, una volta affermato
che il patrimonio degli investitori è distinto da quello della Sim,
è già affermato il presupposto per affermare l'estraneità dei pre
detti valori al patrimonio della società fallita, con le conseguen ze di cui si dirà meglio ai par. 19 ss.
Anche la Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi su una
fattispecie solo parzialmente diversa (e precisamente in materia
di rivendica ex art. 103 di titoli affidati a società fiduciarie) ha avuto modo di affermare importanti principi in ordine alla
questione relativa alla separatezza del patrimonio dei clienti da
quello della società fallita che sono rilevanti anche nel presente
giudizio. Nella decisione 14 ottobre 1997, n. 10031 (id., 1998,
I, 851), si afferma infatti che, a giustificare l'accoglimento delle
domande proposte sulla base dell'art. 103 1. fall., che ha la fi
nalità di depurare il patrimonio del fallito dagli elementi ad
esso estranei, è sufficiente dimostrare che si sia determinata una
situazione idonea ad impedire che la cosa della quale si reclami
la restituzione si sia confusa nel patrimonio del fallito entrando
a far parte dei beni di sua proprietà. «Non può negarsi» affer
ma la corte «che in linea di principio perché si realizzi una si
tuazione siffatta rispetto alle cose fungibili, occorre che la cosa
sia determinata nella sua specifica e precisa individualità». Tut
tavia, «per l'acquisto della proprietà da parte di chi riceve in
deposito una quantità di denaro o di altre cose fungibili è ne
cessario che a tale soggetto sia concessa (quanto meno implici
tamente) la facoltà di servirsene non essendo la natura del bene
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1319 PARTE PRIMA 1320
fungibile del bene consegnato di per sé sola sufficiente a deter
minare il prodursi di tale effetto». Si richiama al riguardo l'art.
1782 c.c. il quale specifica appunto che «se il deposito ha per
oggetto una quantità di denaro o di altre cose fungibili, con
facoltà per il depositario di servirsene, questi ne acquista la pro
prietà ed è tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e
qualità. In tal caso si osservano, in quanto applicabili, le norme
relative al mutuo». Come sottolineato anche dalla Corte di cas
sazione nella pronuncia richiamata, la concessione della facoltà
d'uso — che unitamente alla natura del bene — concorre a de
terminare l'acquisto della proprietà da parte del depositario, deve
riferirsi ad un uso da svolgere nell'interesse del depositario: so
lo in tal caso il deposito viene ad assumere anche una funzione
di credito nell'interesse del depositario e questo spiega perché a tale contratto si applichino anche le norme sul mutuo, in quanto
compatibili.
11) Il punto va sottolineato in relazione a quelle argomenta zioni svolte dalla curatela in comparsa conclusionale nelle quali si richiama l'art. 1782 c.c., affermandosi che nel caso di specie — sebbene la Sim & Fed non fosse autorizzata alla gestione dei patrimoni — il rapporto con la convenuta «era tale per cui
il cliente versava il denaro alla Sim e questa si obbligava a ge stirlo per suo nome e a propria discrezione e a corrisponderne a richiesta il tantundem, maggiorato dei frutti»: al di là di ogni osservazione sulla tardività di una tale allegazione in punto di
fatto, va sottolineato come la facoltà di servirsi delle cose depo sitate di cui all'art. 1782 c.c. va identificata con la facoltà di
servirsene per i propri interessi, ossia per un interesse di tipo dominicale proprio del gestore e non semplicemente in funzione
strumentale alla prestazione del servizio pattuito (accrescimento del patrimonio conferito attraverso operazioni di investimento) senza che vi sia un interesse autonomo del gestore a disporre dei beni.
12) Richiamandosi dunque alla figura del deposito regolare di cose fungibili che non siano state individuate al momento
della consegna, la Cassazione ha affermato la possibilità di ac
cogliere la domanda di rivendica o di restituzione proposta dai
fiducianti indipendentemente dal fatto che: a) i titoli non fosse
ro intestati nominativamente ma fossero raggruppati in un uni
co certificato azionario; b) le risultanze contabili non permet tessero di ricollegare i titoli azionari ai singoli fiducianti; c) vi
fosse stata indebita commistione di conti fra i fiducianti poiché «tale commistione non coinvolge i rapporti tra i fiducianti e
la fiduciaria ma è limitata a quelli che intercorrono tra i singoli fiducianti nell'ambito di una massa patrimoniale composta di
beni dei quali i fiducianti (e non la fiduciaria) sono i proprietari effettivi».
13) Il principio di separazione affermato nella legislazione spe ciale (da ultimo nell'art. 22 d.leg. 58/98 che ripropone l'art.
19 d.leg. 415/96, ma già nella pregressa normativa in tema di
fondi di investimento, di società fiduciarie, ecc.) nel chiaro in tento di tutelare i clienti dai rischi derivanti dal dissesto degli intermediari, appare, pertanto, lo sviluppo di principi già pre senti nell'ordinamento.
Certo, la normativa speciale costruisce il concetto di separa tezza in collegamento agli accorgimenti per la separazione effet
tiva, incentrati, in particolare, sulla previsione di conti indivi
duali intestati ai singoli clienti, cosicché sia possibile individua
re i beni di proprietà dei clienti, anche se fungibili e non
individuabili singolarmente, purché risultino annotati nel gene re e nella quantità.
Il problema centrale infatti, in tema di separazione dei patri
moni, risiede non tanto e non solo nell'affermazione del princi
pio di diritto della separazione, quanto, con riferimento al pia no pratico, nella concreta possibilità di individuare i beni, i va
lori mobiliari e il denaro di pertinenza del singolo investitore.
In altri termini, una volta allargate le maglie dell'art. 103 1.
fall, (nel senso che non deve reputarsi ostativa alla restituzione in base a tale norma la mera natura fungibile del bene), resta la diversa questione dell'individualità e quindi dell'individuabi lità del patrimonio separato: l'impossibilità materiale di distin
guere i beni dei clienti travolge, per così dire, la richiesta di
restituzione di carattere reale, dando spazio ex art. 79 1. fall, solo ad una pretesa obbligatoria (di restituzione del tantundem) e riproponendo la questione della par condicio in sede concor
suale (questa sembra anche la prospettiva accolta da Trib. Mi
lano 23 marzo 1998, citata dalla curatela, nella quale si è negata
Il Foro Italiano — 2000.
la possibilità di accogliere l'azione di rivendicazione con riferi
mento ai titoli non rinvenuti, di fatto, dalla curatela perché og
getto di illegittima disposizione da parte della Sim, laddove lo
stesso curatore aveva già effettuato la restituzione di altri beni
e addirittura del denaro, meramente annotato sul conto nomina
tivo e depositato su un conto corrente unitario della stessa Sim). Al riguardo, e per completezza, va anche rilevato come sa
rebbe riduttivo ritenere che solo osservati gli specifici adempi menti prescritti i patrimoni gestiti dalla Sim possano conside
rarsi individuabili e quindi separati, poiché, alla luce di quanto
sopra osservato, l'unico limite ostativo alla restituzione è l'im
possibilità materiale di distinguere i beni dell'investitore da quello dell'intermediario o i beni dei singoli clienti tra di loro e tale
impossibilità materiale ben potrebbe essere eliminata non solo
seguendo le misure prescritte dalla legge speciale e dal regola mento del 2 luglio 1991, ma anche con altri accorgimenti conta
bili, pur diversi, che consentano comunque di ricostruire atten
dibilmente la posizione dei singoli clienti oppure di individuare
i valori mobiliari spettanti ai clienti — sia pure, al loro interno, in modo indistinto — rispetto al patrimonio della società di
intermediazione (v. ora il regolamento della Banca d'Italia del
30 settembre 1997 che lascia la scelta agli intermediari dell'ado
zione di sistemi informativo-contabili strutturati in modo da sod
disfare l'esigenza di attuare le norme in materia di separazione
patrimoniale; di scarsa utilità appare invece il richiamo alla di
sciplina delle obbligazioni di genere e all'individuazione — art.
1178 e 1378 c.c. — vertendosi in tema di beni, quale il denaro
o altri strumenti finanziari, che vengono in rilievo non per la
loro materialità ma in quanto rappresentativi di un certo valo
re. Sotto tale profilo appare incongruo richiedere la registrazio ne del numero di serie dei titoli al portatore o addirittura del
denaro — come si legge nel provvedimento del Tribunaale di
Ferrara sopra citato —, in quanto la normativa in materia non
richiede nessuna annotazione specifica in relazione ai titoli ac
quistati in favore dei clienti, in correlazione del resto con gli attuali sistemi di circolazione e trasferimento del denaro e dei
valori mobiliari, basati su criteri di fungibilità e caratterizzati
da una sorta di «dematerializzazione» o, come anche si è detto, di «decartolarizzazione», degli strumenti finanziari).
14) Così precisato il quadro normativo che viene in campo, secondo la ricostruzione ritenuta preferibile, e passando all'esa
me della fattispecie concreta oggetto del giudizio, la domanda
formulata dal fallimento ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall,
appare inaccoglibile sotto vari aspetti.
15) Innanzitutto, va rilevato che, come si è già detto, la cura
tela ha esercitato un'azione revocatoria sostenendo che il paga mento della somma sopra ricordata alla convenuta, già titolare
del deposito n. 860010, costituiva un pagamento lesivo della
par condicio creditorum e attuato con la consapevolezza da parte della parte convenuta dello stato di insolvenza.
La curatela non ha fornito, in punto di fatto, nessun'altra
specificazione in ordine alla posizione della convenuta o della
stessa Sim (salvo l'affermazione, del tutto generale e non riferi
ta alla singola posizione, che questa aveva iniziato abusivamen
te a gestire patrimoni), non indicando quale fosse la effettiva
situazione del conto intestato alla parte convenuta (di cui pure viene indicato il numero identificativo), quali operazioni fosse
ro risultate compiute, quali fossero in concreto le modalità di
gestione dei valori della cliente alla luce delle risultanze contabi
li, se vi sia stata violazione formale o anche sostanziale delle
regole sulla contabilità, se in realtà il sottoconto nominativo — se esistente — dovesse considerarsi una mera finzione conta
bile, se vi sia stata illegittima distrazione dei valori di pertinen za della convenuta (come nel caso del Tribunale di Milano, ci
tato dalla curatela nella comparsa conclusionale). L'attrice ha
omesso, in sostanza, di porre a base della propria domanda
quegli elementi di fatto che avrebbero consentito, se provati, di ritenere impossibile l'operatività del principio di separazione
per l'impossibilità di distinzione in concreto dei beni dell'inve stitore e quindi di ritenere che il versamento della somma di
denaro oggetto dell'azione revocatoria doveva reputarsi avve nuto a titolo di restituzione del valore equivalente dei beni in
adempimento di un rapporto obbligatorio e non invece in ot
temperanza di una pretesa di carattere reale.
In altri termini, poiché il principio generale, in base alle os
servazioni svolte in precedenza, è quello della permanenza in
capo all'investitore della proprietà dei beni e dei valori conse
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
gnati all'intermediario, la curatela avrebbe dovuto tempestiva
mente dedurre e allegare (oltre che, ovviamente, dimostrare) che
la situazione di fatto non consentiva il fisiologico svolgimento
delle implicazioni insite nel principio di separazione, ma era ca
ratterizzato da quegli aspetti patologici che necessariamente im
pedivano il soddisfacimento del diritto avente natura reale la
sciando spazio ad un diritto di credito il cui pagamento poteva
essere oggetto di revocatoria.
16) Solo ed esclusivamente in comparsa conclusionale la cu
ratela allega che, data la contabilità lacunosa, spesso falsificata
e comunque non attendibile, si era provveduto a tenere distinte
le due masse fallimentari, rispettivamente dei clienti e dei credi
tori sociali onde rispettare, anche nella fase patologica, il prin
cipio di separazione sotto il profilo della c.d. separazione oriz
zontale, mentre non sarebbe stato possibile, nella maggior parte
dei casi, realizzare la separazione verticale cioè tra i patrimoni
distinti dei singoli clienti. Dovendosi considerare dunque i clien
ti quali «creditori del fallimento o meglio della massa di perti
nenza della clientela», la curatela afferma la possibilità del re
cupero alla massa attiva di pertinenza di quest'ultima, attraver
so lo strumento della revocatoria, delle somme che alcuni
clienti-creditori hanno ottenuto al fine di assicurare la par con
dicio creditorum. E ancora, afferma, nella memoria di replica,
che «se il denaro per il pagamento che si intende revocare fosse
stato prelevato da un conto intestato alla medesima convenuta
sul quale fosse stato possibile individuare tutte le operazioni
afferenti la stessa si sarebbe trattato di una vera e propria resti
tuzione di beni al proprietario, ma poiché viceversa il denaro
è stato prelevato dall'insieme di tutte le somme gestite indistin
tamente dalla Sim per conto dei clienti, tra le quali non era
e non è possibile ad oggi individuare quelle sicuramente di per
tinenza della Palchetti, non si è trattato di restituzione ma di
un vero e proprio pagamento di un credito».
17) Al riguardo va rilevato, in primo luogo, che la curatela,
deducendo l'assenza, a quanto sembra, del sottoconto nomina
tivo e riferendo dell'esistenza di un unico conto, introduce in
realtà nuove allegazioni di fatto che appaiono tardive, essendo
contenute solo nella comparsa conclusionale, laddove nella cita
zione si era limitata ad indicare la parte convenuta come titola
re di un dato deposito di cui indicava il numero identificativo.
Poiché il termine ultimo per precisare la domanda ed anche
per modificarla in relazione alle difese del convenuto, con l'e
ventuale allegazione dei fatti nuovi che possano divenire rile
vanti in seguito alla modifica della prospettazione giuridica ori
ginaria, va individuato in quello delle memorie ex art. 183, ulti
mo comma, c.p.c., le allegazioni degli elementi di fatto indicati
per la prima volta negli scritti difensivi della fase decisoria, ele
menti che, alla luce di quanto osservato in precedenza, assurgo
no al ruolo di una causa petendi precedentemente non contenu
ta nella domanda, devono reputarsi inammissibili perché tardi
ve (come prontamente rilevato dalla controparte nella memoria
di replica alla conclusionale).
18) Egualmente tardiva appare l'eccezione relativa alla man
canza di data certa del contratto stipulato tra la Sim e la parte
convenuta. A parte la considerazione che l'azione intentata dal
la curatela si fonda proprio sul riconoscimento di un rapporto
contrattuale instaurato ed eseguito prima della dichiarazione di
fallimento, in ogni caso la mancanza di data certa anteriore
a tale dichiarazione ai fini dell'inopponibilità del rapporto di
mandato (ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 1707 c.c.,
45 1. fall.: v. supra al punto 6), costituisce materia di eccezione
in senso stretto (trattandosi di fatto, cioè, che acquista efficacia
giuridica solo in connessione con l'esercizio di un potere riser
vato esclusivamente alla parte) e non è rilevabile d'ufficio dal
giudice (in base ad un ordine di idee del tutto analogo, si è
affermata la natura di eccezione in senso stretto della deduzio
ne della mancanza di trascrizione di un atto ai fini dell'opponi
bilità ai terzi ex art. 2644 c.c.: Cass. 11 ottobre 1969, n. 3288,
id., Rep. 1969, voce Procedimento civile, n. 216; 24 gennaio
1968, n. 186, id., Rep. 1968, voce Trascrizione, n. 21). La parte
attrice ha sollevato l'eccezione solo in sede di precisazione delle
conclusioni e dunque quando ormai erano trascorsi i termini
per la tempestiva deduzione dell'eccezione medesima (art. 183,
4° comma, c.p.c.).
19) Non può comunque tacersi che, anche qualora le allega
zioni di fatto introdotte nella comparsa conclusionale e nella
memoria di replica della curatela potessero considerarsi tempe
II Foro Italiano — 2000.
stive, non sembra che ne discenderebbero (sempre che risultas
sero provate) le conseguenze indicate dalla parte attrice, ovve
rosia la trasformazione del diritto del cliente alla restituzione
del tantundem e la possibilità di formare una massa separata
dei patrimoni dei clienti rispetto a cui attuare il criterio della
par condicio creditorum, garantendone il rispetto anche con l'e
sperimento dell'azione revocatoria.
20) Infatti, mentre nel caso in cui sia impossibile separare
in alcun modo i beni dell'intermediario da quelli dei singoli clien
ti, il diritto del rivendicante di una cosa propria non può che
venir meno e trasformarsi in un diritto di credito alla restituzio
ne dell'equivalente e dunque in un credito concorsuale (secondo
il criterio di conversione della domanda restitutoria in domanda
di insinuazione per un credito pecuniario stabilito dall'art. 79
1. fall.), nel caso invece in cui fosse impossibile distinguere i
beni di un cliente da un altro o da quelli di alcuni altri, ferma
rimanendo la distinzione dei beni di cui si tratta da quelli del
l'intermediario, i beni dei clienti dovrebbero considerarsi attri
buiti in comune agli investitori di cui si tratta, in applicazione
dell'art. 939 c.c., come si è sopra osservato al par. 9. In altri
termini, il riconoscimento che sia possibile operare la separazio
ne dei beni dei clienti da quello della Sim sarebbe di per sé
sufficiente ad imporre l'applicazione dell'art. 103 1. fall., volto
appunto a depurare il patrimonio del fallito dagli elementi ad
esso estranei, secondo la prospettiva delineata dalla sentenza
della Corte di cassazione 10031/97 più volte menzionata: la por
tata innovativa di tale pronuncia si coglie proprio nell'afferma
zione della permanenza del diritto di proprietà dei fiducianti
sui valori affidati alla fiduciaria, pur in mancanza di una loro
specifica individuazione, alla sola condizione che l'esistenza del
rapporto fiduciario risultasse da scrittura avente data certa an
teriore al fallimento e la sua riferibilità, sia pure in termini quan
titativi, ai titoli intestati alla fiduciaria fosse inequivoca.
21) I problemi relativi alle modalità di restituzione del patri
monio comune, dei criteri da seguire nella divisione tra i singoli
clienti, eventualmente in concorso tra loro (qualora il patrimo
nio globale separato fosse inferiore alla somma dei singoli por
tafogli gestiti), dell'organo a cui spetta la ripartizione sono stati
affrontati dal legislatore del 1996 che, nel disciplinare la liqui
dazione amministrativa coatta delle Sim, all'art. 34, richiama
l'art. 91 del testo unico bancario (modificato dall'art. 64 stesso
d.leg. 415/96) prevedendo in via principale, al 1° comma, la
restituzione in natura del denaro e degli strumenti finanziari
affidati all'intermediario e disponendo poi con particolari rego
le (2° comma) per il caso in cui risulti rispettata la separazione
del patrimonio dell'intermediario da quello dei clienti, ma non
sia rispettata la separazione dei patrimoni dei clienti fra loro
nonché per il caso in cui gli strumenti finanziari non siano suf
ficienti per l'effettuazione di tutte le restituzioni: per tali casi si
prevede la restituzione ai sensi del 1 ° comma in proporzione dei
diritti di ciascuno dei clienti ovvero, se ciò non risulti possibile,
alla liquidazione degli strumenti finanziari di pertinenza della clien
tela e alla ripartizione del ricavato secondo la medesima propor
zione. Al 3° comma dell'art. 91 si prevede poi che i clienti con
corrano per l'intero con i creditori chirografari qualora le restitu
zioni non possano aver luogo perché il patrimonio dell'interme
diario non è separato da quello dei clienti e concorrano invece per
la parte del diritto rimasta insoddisfatta quando le restituzioni av
vengano solo in parte ai sensi del 2° comma. Analoghe disposi
zioni sono ora contenute nell'art. 57 d.leg. n. 58 del 1998.
22) La normativa in questione, che attua, in sostanza, il regi
me della restituzione delle cose mobili possedute dal fallito a
titolo precario con una peculiare regolamentazione per le ipote
si per così dire patologiche (di mancata attuazione della separa
zione verticale e incapienza dei beni), non trova applicazione
nel caso in esame non avendo carattere retroattivo.
23) Già prima comunque della normativa ricordata si discute
va della questione, sia con riferimento alle modalità con cui
doveva aver luogo la restituzione dei patrimoni dei clienti (spe
cie nei casi che si sono definiti patologici, complicati magari
dall'esistenza di gruppi di clienti distinguibili in base ad una
tipologia omogenea di investimenti), sia con riferimento all'in
dividuazione dell'organo competente alla restituzione (apparen
do complesso coordinare la normativa speciale che prevedeva
all'art. 13 1. 1/91 la figura del commissario preposto alle resti
tuzioni, con la normativa fallimentare che demanda agli organi
della procedura il compito dell'apprensione dei beni affidati al
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1323 PARTE PRIMA 1324
la Sim e della restituzione dei beni di cui il fallito ha il possesso a titolo precario, beni che il curatore ha anche l'onere di recu
perare ex art. 79 1. fall.). In giurisprudenza, al riguardo, sul
presupposto che la normativa del 1996, di per sé non retroatti
va, non possa nemmeno essere considerata norma interpretativa e dunque non nuova nel panorama normativo del settore, si
è affermato — con riferimento alle fattispecie non ricadenti sotto il vigore dell'art. 91 sopra citato — che il criterio guida per suddividere all'interno della medesima massa separata (quella cioè formata dai beni dei clienti) non possa che essere quello dell'art. 2741 c.c., cioè dell'affermazione dell'eguale diritto sul
patrimonio separato già gestito dal fallito di tutti i clienti-creditori
(così Trib. Milano, cit.). Una tale soluzione tuttavia (come an
che quella di Trib. Torino 8 febbraio 1994, id., Rep. 1994, voce
Fallimento, n. 496), non appare del tutto soddisfacente perché
appare ispirata alla dichiarata esigenza di attuare un principio di giustizia sostanziale, senza tuttavia tener conto di quelle che
possono essere le rigorose conseguenze del principio di separa zione sul piano giuridico: la separazione dei beni dei clienti dal
patrimonio della Sim (espressamente ammesso dalla curatela nel
caso di specie), non solo rende infatti estranea, per i principi
sopra ricordati, al patrimonio della società fallita la massa co stituente i beni appartenenti ai clienti (beni che quindi non po tranno essere avocati alla massa fallimentare dei creditori), ma
conferisce natura reale e non meramente obbligatoria al diritto dei clienti investitori, con la conseguente inapplicabilità dell'a
zione revocatoria ex art. 67 1. fall., non venendo in discussione il pagamento di un credito, ma la restituzione di una cosa in
comproprietà: se infatti, sempre che sia attuata la separazione c.d. orizzontale, nemmeno i fenomeni di commistione o l'inca
pienza dei beni hanno efficacia ostativa al soddisfacimento dei diritti di restituzione con fondamento reale, ciò implica la con
figurabilità di una situazione di comproprietà, come riconosce la Corte di cassazione nella pronuncia 10031/97, cit., quando afferma che, nonostante la commistione dei conti tra più fidu
cianti, questi restano effettivi proprietari della massa patrimo niale costituita dai loro beni, massa nel suo insieme distinta da quella della società.
Ora, la possibilità affermata dalla curatela attrice di configu rare l'esistenza di una massa patrimoniale distinta su cui attua re il concorso, ispirato al principio di cui all'art. 2741 c.c., dei creditori-clienti passa necessariamente attraverso l'affermazione
che il cliente non rivendichi una cosa propria (pretesa che per definizione si svolge al di fuori del concorso), ma sia titolare
del diritto alla restituzione del tantundem: la curatela però non
spiega in modo condivisibile perché la pretesa del cliente si sia trasformata da pretesa reale (come vorrebbe il principio di se
parazione, principio che anche la curatela riconosce, in genera le) in pretesa obbligatoria alla restituzione di una somma equi valente a quanto a suo tempo conferito, non apparendo corret
to, per i motivi già indicati supra, sub 11, il riferimento (sempre indicato in comparsa conclusionale) alla figura del deposito ir
regolare. D'altronde, anche in altri casi, il ricorso alla figura della comunione è servito a spiegare fattispecie particolari in tema di circolazione di valori mobiliari: a proposito dei rappor ti che la gestione centralizzata dei titoli determina tra i singoli aderenti e la Banca d'Italia, la Corte di cassazione, ad esempio (con sent. n. 7859 del 27 agosto 1996, id., 1997, I, 2237), ha avuto modo di affermare che il rapporto depositante-depositario possa essere configurato come «deposito alla rinfusa» (art. 1787
c.c.), in quanto i titoli depositati perdono, all'atto del deposito, la propria individualità e non possono quindi più essere oggetto di proprietà separata da parte dei singoli depositanti, senza pe raltro che ciò comporti l'acquisto di poteri di disposizione da
parte del depositario. Questo spiegherebbe perché l'obbligo di restituzione verso ciascun depositante non si riferisca ad un tan tundem indeterminato, da qualunque parte attinto (come nel
deposito irregolare), ma ad un tantundem determinato, doven do il bene da restituire essere prelevato dalla massa comune. E porterebbe a ritenere, altresì, che i diritti del depositante sui beni depositati si convertano in una quota di comproprietà sul la massa comune, non potendo essere ammessa l'esistenza di un diritto di proprietà (o anche solo di un diritto reale) su un bene indeterminato (art. 1378 c.c.).
24) In definitiva, la tutela degli interessi dei clienti degli inter mediari finanziari, attuata con il principio della doppia separa zione di cui si è detto, porta non solo a considerare estranei al patrimonio del fallito i loro beni e i loro valori tutte le volte
Il Foro Italiano — 2000.
che sia possibile stabilire tale distinzione tra i beni inventariati, ma suggerisce, come ricostruzione più coerente, il ricorso alla
figura della comunione per quanto attiene ai beni appartenenti
agli investitori quando all'interno degli stessi non risulti possibi le materialmente distinguere quelli di un cliente da quelli di un
altro (con esclusione, ovviamente, delle posizioni dei singoli clienti
per i quali risulti invece possibile l'individuazione dei beni spet
tanti). L'inquadramento della vicenda sul piano del diritto reale
rende quindi difficile concepire un vincolo di destinazione agli
scopi della procedura esecutiva concorsuale sul patrimonio se
parato dei clienti e quindi una massa patrimoniale costituente la garanzia generica e comune di quei creditori, al pari di quan to si verifica invece per il patrimonio del fallito; ciò che a sua volta impedisce, di conseguenza, di ritenere applicabile l'azione
revocatoria, la cui funzione recuperatoria è istituzionalmente le
gata all'esigenza di garantire l'esercizio paritetico dei diritti dei
creditori sulla massa dei beni assoggettata ex lege al soddisfaci mento di quei diritti (ultroneo appare, ai fini che interessano, scendere ad esaminare quali siano i rimedi — e chi possa atti varli — per il caso in cui, incapiente il patrimonio separato,
sorga controversia su restituzioni avvenute in asserita violazione
delle regole che, nell'ambito di quella che appare, per i motivi
detti, una divisione della comunione, avrebbero dovuto essere
seguite: il riferimento normativo più immediato sembra quello all'azione di restituzione dell'indebito, ciò che tra l'altro, ove si riconoscesse la legittimazione del curatore al riguardo — que stione peraltro dibattuta — esimerebbe quest'ultimo dalla pro va della scientia decoctionis).
25) In definitiva, tenuto conto della tardività delle allegazioni della curatela in punto di fatto ed anche della genericità di quel le, sia pure tardivamente, introdotte nella fase decisoria (ancora non è chiaro infatti se il sottoconto esistesse o meno: v. pag. 6 della comparsa conclusionale e pag. 4 della memoria di repli ca; nemmeno è chiaro cosa sia stato rinvenuto nel conto indi
stinto gestito dalla Sim per conto dei clienti: denaro, titoli, ecc.), e tenuto conto delle considerazioni di diritto sopra delineate, deve concludersi, ad avviso del giudice, che la curatela non ab
bia dimostrato che la restituzione delle somme di cui si tratta
alla parte convenuta costituisca un pagamento di credito sog getto a revocatoria fallimentare, anziché l'adempimento di un
obbligo di restituzione (a fondamento reale) attuato secondo il modello dell'art. 79 1. fall.
26) Le conclusioni a cui si è giunti rendono superfluo esami nare la questione della ricorrenza o meno del presupposto sog
gettivo costituito dalla consapevolezza dello stato di insolvenza in capo alla parte convenuta.
27) Per meri motivi di completezza, può comunque osservarsi che gli elementi addotti dalla curatela in proposito non appaio no sufficienti a fondare al riguardo un giudizio positivo, tenuto conto dell'orientamento più recente della Suprema corte secon do il quale, ai fini della revocatoria fallimentare, il presupposto soggettivo della cosiddetta scientia decoctionis non è integrato dalla mera conoscibilità, in astratto, dello stato di insolvenza del debitore, al momento dell'atto solutorio impugnato, ma dalla sua conoscenza effettiva e concreta, salva la possibilità che gli elementi di conoscibilità possano costituire, se valutati nella con cretezza del fatto sottoposto ad esame, elementi presuntivi atti a fornire la dimostrazione della esistenza della suddetta compo nente soggettiva (Cass., sez. I, 28 maggio 1997, n. 4731, id., Rep. 1997, voce cit., n. 473; nel senso che la conoscenza dello stato di decozione debba essere effettiva e non, invece, mera mente potenziale, v. anche Cass., sez. I, 7 agosto 1996, n. 7231, ibid., n. 480).
28) La curatela allega che la scientia decoctionis dovrebbe desumersi dal fatto che la parte convenuta non poteva non aver avuto conoscenza della notizia del commissariamento della Sim & Fed (avvenuto con provvedimento dell'8 novembre 1995) per ché la notizia era stata diffusa dai maggiori organi di informa zione economica (si allegano in proposito due articoli rispettiva mente di Milano Finanza e de II Sole-24 Ore), oltre che su
Internet, perché gli investitori della società fallita sarebbero da considerare soggetti esperti del settore, perché, infine, i rapporti tra gli investitori e la Sim & Fed passavano attraverso i promo tori, soggetti che tenevano informati i clienti sull'andamento della società.
Tuttavia la stessa curatela non allega mai che la Sim versasse in stato di insolvenza, ma solo deduce che, a causa delle irrego larità costituite dall'abusiva gestione dei patrimoni e dall'omes
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sa regolare tenuta della contabilità, erano conseguiti i provvedi menti cautelari e sanzionatori previsi dalla normativa in materia
(ed anche negli articoli di giornale prodotti, del resto, si riferi sce sempre di irregolarità di gestione e mai di difficoltà econo miche della società). Ora, non solo non è possibile, ad .avviso del giudice, affermare che le irregolarità di svolgimento dell'at
tività sociale costituiscano — di per sé — prova sufficiente del lo stato di insolvenza (dal momento che non necessariamente
l'irregolarità è sintomo di insolvenza, come dimostra anche l'an
damento di altre Sim, che, pur commissariate, hanno poi ripre so la loro attività), ma nemmeno la curatela ha mai allegato con chiarezza che la Sim & Fed non solo commetteva, in quel
periodo, gravi violazioni della normativa di settore, ma si tro
vava anche in uno stato di impotenza economica caratterizzato da quegli aspetti che ne consentivano la qualificazione in termi ni di «stato di insolvenza» (art. 5 1. fall.). Senza contare che, dedotto e provato, in ipotesi, lo stato di insolvenza, resterebbe
ancora da dimostrare, anche in via presuntiva, ma con una va
lutazione degli elementi di conoscibilità calata nella concretezza del fatto sottoposto ad esame, così come affermato dalla Su
prema corte, che la parte convenuta aveva percepito, o avrebbe dovuto percepire con un comportamento sufficientemente pru dente ed accorto, gli elementi astrattamente idonei a rivelare la crisi economica della società poi fallita.
29) Pertanto, fermo restando che le osservazioni svolte sino al par. 25 circa la mancanza del presupposto oggettivo dell'a
zione revocatoria rendono di per sé impossibile dar corso all'i
struttoria chiesta dalla parte attrice al fine di dimostrare il pre
supposto soggettivo della stessa azione, deve comunque rilevar
si che, in ogni caso, le circostanze articolate nei capitoli di prova orale peccherebbero di irrilevanza (quanto poi al capitolo 11, con il quale si vorrebbe chiedere al testimone se fosse vero che la parte convenuta «venuta a conoscenza dello stato di insol
venza della Sin & Fed si è determinata a disinvestire il proprio
denaro», basti notare che la scientia decoctionis non può che
essere oggetto del risultato di un giudizio al quale il giudice ha la possibilità di pervenire se si è dimostrata la conoscenza, da parte della persona cui la predetta scientia si attribuisce, di
singoli fatti determinati: è dunque escluso, ex art. 244, 1° com
ma, c.p.c., che essa possa essere direttamente oggetto di una
prova testimoniale).
TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 29 dicembre 1998; Pres.
ed est. Deodato; Potenza (Avv. Pescatore, Vulcano, Ian
dolo) c. Soc. Immocri (Avv. Manzi, Oppo) e Soc. Cria (Avv.
Palandri).
TRIBUNALE DI ROMA;
Provvedimenti di urgenza — Cancellazione della trascrizione di
domanda giudiziale — Ammissibilità — Fattispecie (Cod. civ., art. 2652, 2668; cod. proc. civ., art. 700).
È ammissibile il ricorso alla tutela urgente ex art. 700 c.p.c.
per ottenere la cancellazione della trascrizione della domanda
giudiziale che, atteso il suo contenuto contrario ad ogni pre visione normativa, deve essere ritenuta utilizzazione abusiva
del diritto di azione, valutabile alla stregua di un mero atto
emulativo (nella specie, era stata trascritta la domanda di di
visione giudiziale del patrimonio sociale proposta a seguito della cessazione dell'esercizio in comune dell'attività d'impre sa sul presupposto secondo cui la summenzionata cessazione
sarebbe causa di conversione della società in comunione). (1)
(1) Il provvedimento in epigrafe affronta e risolve in senso affermati vo la questione di ammissibilità della tutela urgente ex art. 700 c.p.c. al fine di ottenere la cancellazione della trascrizione di una domanda
giudiziale. La fattispecie rinviene la propria disciplina normativa nell'art. 2668
c.c. secondo il quale la cancellazione della trascrizione delle domande
giudiziali ex art. 2652 e 2653 c.c. può essere eseguita previo accordo
Il Foro Italiano — 2000.
Rilevato che Potenza Giovanni ha proposto reclamo avverso l'ordinanza emessa ex art. 700 c.p.c., con la quale è stato accol to il ricorso presentato dalla Immocri s.p.a. per la cancellazione della trascrizione della domanda proposta da esso ricorrente con la quale questi, previo accertamento della titolarità, in capo a lui stesso e alla Immocri per le rispettive quote, del patrimonio immobiliare «schermato» dalla Cria s.r.l., ha chiesto la divisio ne giudiziale del patrimonio stesso;
rilevato che il reclamante impugna l'ordinanza per i seguenti motivi:
1) il provvedimento sarebbe stato assunto prescindendo dalle
questioni che la conversione della società in comunione com
porterebbe, laddove sia venuto meno il presupposto della strut tura associativa, e vale a dire l'esercizio in comune dell'attività di impresa (ipotesi in cui il socio, convertitosi in comunista po
delle parti oppure quando è ordinata giudizialmente con sentenza pas sata in giudicato.
In giurisprudenza, la questione relativa al se anche prima del momen to fissato dalla legge sia possibile ottenere il provvedimento de quo in via di tutela cautelare urgente è risolta perlopiù in senso negativo sul presupposto che contro la soluzione in esame muovono ragioni di ordine formale (l'ordinanza non è inserita tra i provvedimenti idonei alla cancellazione) e sostanziale (si tratta di un provvedimento provvi sorio che non si concilia con il carattere irreversibile degli effetti pro dotti): in tal senso, Cass. 27 dicembre 1993, n. 12797, Foro it., Rep. 1993, voce Provvedimenti di urgenza, n. 55, e 16 gennaio 1986, n. 251, id., Rep. 1986, voce cit., n. 79; nella giurisprudenza di merito, Trib. Salerno 30 gennaio 1995, id., Rep. 1997, voce Trascrizione, n. 50, e Dir. e giur., 1996, 464, con nota di Petitto, Trascrizione di domanda
giudiziale: per la cancellazione è proprio necessaria una sentenza passa ta in giudicato?; Trib. Torino 30 marzo 1994, Foro it., Rep. 1994, voce Provvedimenti di urgenza, n. 27.
Per l'affermativa, v. invece Trib. Catania 24 ottobre 1972, id., Rep. 1974, voce cit., n. 43, e Giur. it., 1974, I, 2, 667.
In dottrina, prevale la tesi contraria alla ricorribilità alla tutela ur
gente nella parte in cui ne risulterebbe alterata la disciplina che il legi slatore ha espressamente dettato all'art. 2668 c.c.; in tal senso, Proto
Pisani, Provvedimenti d'urgenza, voce àt\\' Enciclopedia giuridica Trec
cani, Roma, 1991, XXV, 5; Tommaseo, I provvedimenti d'urgenza. Strut tura e limiti della tutela anticipatoria, Padova, 1983, 245 s.; Dmi
Mammone, / provvedimenti d'urgenza1, Milano, 1997, 445 s. Ancora, in giurisprudenza si trova talvolta sostenuto che l'istanza
dì cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale effettuata fuori dei casi previsti dalla legge, può essere anche proposta in un auto nomo giudizio mentre è ancora pendente il processo instaurato con la domanda illegittimamente trascritta: in tal senso, Cass. 30 giugno 1982, n. 3933, Foro it., 1983, I, 1044 con nota di richiami.
Sul tema, occorre ricordare che l'istituto della trascrizione delle do mande giudiziali in quanto volto ad evitare che la durata del processo vada a danno dell'attore che ha ragione, assolve una funzione tipica mente cautelare.
Se questo è vero, appare chiaro che il disposto della norma de qua merita di essere portato al più presto al vaglio della Corte costituzionale sotto un duplice profilo.
a) In primo luogo, per l'evidente contrasto esistente tra la regola fis sata all'art. 2668 c.c., per cui la cancellazione della trascrizione è subor dinata al passaggio in giudicato della sentenza di rigetto della relativa domanda, ed il procedimento cautelare uniforme di cui agli art. da 669 bis a 669 quaterdecies c.p.c., con riferimento particolare all'art. 669 novies c.p.c., nella parte in cui prevede che la misura cautelare perde efficacia, tra l'altro, quando con sentenza, anche se non passata in giu dicato, è dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso (con ciò innovando la previgente disciplina di cui all'art. 683
c.p.c. che, in tema di sequestri, richiedeva allo stesso fine il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell'inesistenza del diritto caute
lato). In dottrina, il mancato coordinamento con l'art. 669 novies c.p.c. è stato rilevato da Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile2, Napoli, 1996, 675.
b) In secondo luogo, perché stando al disposto degli art. 2652 e 2653 c.c. la trascrizione della domanda giudiziale non è subordinata ad alcu na valutazione in punto di fumus boni iuris di guisa che la proposizione di una domanda anche del tutto infondata (se non addirittura abnorme) è sufficiente ad ottenere la creazione di un vincolo di inopponibilità degli atti di disposizione del bene controverso; in tal senso, Proto Pisa
ni, Lezioni di diritto processuale civile2, cit., 675. A questo riguardo, è possibile ritenere che sia proprio per ovviare
alla pericolosità insita in situazioni di questa specie che la giurispruden za — talvolta — ha considerato la tutela urgente ex art. 700 c.p.c. come strumento idoneo alla formazione di un valido provvedimento di cancellazione: un escamotage che — se anche non condivisibile a livello teorico — risulta certo comprensibile sul piano pratico. [B. Gam
bineri]
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