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sentenza 3 febbraio 1999; Giud. Breggia; Fall. soc. Sim & Fed (Avv. Cecchi Aglietti) c. Palchetti...

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sentenza 3 febbraio 1999; Giud. Breggia; Fall. soc. Sim &Fed (Avv. Cecchi Aglietti) c. Palchetti (Avv. Ferrara, Iozzo) Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 4 (APRILE 2000), pp. 1311/1312-1325/1326 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23194557 . Accessed: 28/06/2014 08:11 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.184 on Sat, 28 Jun 2014 08:11:55 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 3 febbraio 1999; Giud. Breggia; Fall. soc. Sim & Fed (Avv. Cecchi Aglietti) c. Palchetti (Avv. Ferrara, Iozzo)

sentenza 3 febbraio 1999; Giud. Breggia; Fall. soc. Sim &Fed (Avv. Cecchi Aglietti) c. Palchetti(Avv. Ferrara, Iozzo)Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 4 (APRILE 2000), pp. 1311/1312-1325/1326Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23194557 .

Accessed: 28/06/2014 08:11

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PARTE PRIMA 1312

TRIBUNALE DI FIRENZE; sentenza 3 febbraio 1999; Giud.

Breggia; Fall. soc. Sim & Fed (Avv. Cecchi Aglietti) c.

Palchetti (Avv. Ferrara, Iozzo).

TRIBUNALE DI FIRENZE;

Fallimento — Atto di restituzione — Azione revocatoria — Inam

missibilità — Fattispecie (Cod. civ., art. 939, 1705, 1706, 1707,

1782, 2740, 2741; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del

fallimento, art. 67, 79; 1. 2 gennaio 1991 n. 1, disciplina del

l'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'or

ganizzazione dei mercati mobiliari, art. 8).

È inammissibile, per difetto del presupposto c.d. oggettivo per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare, la domanda pro

posta ai sensi del 2° comma dell'art. 67 I. fall, per la dichia

razione di inefficacia dell'atto di restituzione effettuato da

una società di intermediazione mobiliare ad un proprio clien

te a seguito di richiesta di disinvestimento da parte dello stes

so, trattandosi di un atto costituente non un «pagamento» ma adempimento di un obbligo di restituzione a fondamento reale di cosa appartenente a terzi, e come tale non rientrante

nell'oggetto del diritto di garanzia generica ex art. 2740 c.c.

che la procedura concorsuale è destinata a realizzare. (1)

(1) Non constano precedenti specifici in termini. Con il provvedimento in epigrafe il Tribunale di Firenze fa dichiara

tamente proprio l'orientamento espresso da Cass. 14 ottobre 1997, n. 10031 (Foro it., 1998, I, 851, con nota di richiami e commento di M. Crisostomo e F. Macario), del quale viene fatta — a quanto consta

per la prima volta — applicazione ad una società di intermediazione mobiliare (Sim).

La pronuncia riveste altresì particolare interesse perché, affrontando la problematica della separazione del patrimonio degli intermediari fi nanziari da quello dei loro clienti da un angolo visuale del tutto pecu liare — e rovesciato — rispetto a quello usualmente ricorrente delle domande di rivendica ex art. 103 1. fall, porta alle estreme conseguenze la ricostruzione del rapporto contrattuale fra Sim e cliente in termini di mandato, così come auspicato dalla più recente dottrina (v., per tut

ti, D'Alessandro, Dissesto di intermediario finanziario e tutela dei clienti, in Giur. comm., 1997, I, 465).

Il caso concreto: dichiarato il fallimento di una Sim, la curatela con viene in giudizio un certo numero di clienti della società fallita i quali avevano richiesto ed ottenuto (in tutto o in parte) dalla stessa società la restituzione dei patrimoni a suo tempo affidati in gestione onde ne

venga dichiarata l'inefficacia ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall. Ciò sulla base del duplice postulato della natura di «pagamento di

un credito liquido ed esigibile» dell'atto di restituzione e della sua lesi vità della par condicio creditorum, da intendersi riferita alla massa se

parata dei clienti della società fallita (i quali, nella stragrande maggio ranza dei casi, non avevano visto soddisfatte le loro pretese di restitu

zione). Entrambi i postulati vengono tuttavia disattesi dal Tribunale di Firenze.

I. - La revocabilità del pagamento di debiti liquidi ed esigibili si fon da sulla violazione del principio della par condicio creditorum.

Par condicio significa tutela del concorso dei creditori, nel senso di

pari opportunità di soddisfazione del proprio credito (eccetto le cause

legittime di prelazione) nei confronti del debitore, ma detta possibilità di soddisfazione incontra il limite dell'appartenenza dei beni al debitore medesimo: responsabilità patrimoniale e correlativo diritto di garanzia generica ex art. 2740 c.c. hanno come oggetto la totalità dei beni —

mobili ed immobili — del debitore ma non anche quelli che, pur essen do in possesso precario di lui, appartengono ad altri.

Tra azione revocatoria fallimentare, principio della par condicio cre ditorum e responsabilità patrimoniale del debitore sussiste quindi un

collegamento essenziale ed indefettibile sancito dall'art. 2740 c.c. (l'ap partenenza del patrimonio di riferimento al debitore fallito) e pacifica mente riconosciuto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.

Sul punto, oltre a Cass. 4 aprile 1997, n. 2936, Foro it., Rep. 1998, voce Fallimento, n. 532, e App. Firenze 5 giugno 1964, id., Rep. 1965, voce cit., n. 498, ricordate in motivazione, v. anche App. Firenze 18

agosto 1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 342, per cui: «operando la revocatoria fallimentare sugli atti compiuti dal fallito sui propri beni, ove costui abbia dato in pagamento ad un terzo ad estinzione di un suo debito denaro non facente parte del proprio patrimonio, non potrà trovare applicazione il disposto dell'art. 67 1. fall.».

Nel senso che il pagamento effettuato dal terzo (salvo che questo non sia avvenuto con provvista del fallito ovvero che il terzo si sia rivalso verso il fallito) non è assoggettabile a revocatoria fallimentare ai sensi del 2° comma dell'art. 67 1. fall., v., da ultimo, Cass. 16 no vembre 1998, n. 11520, id., 1999, I, 541; 19 ottobre 1998, n. 10350, e 16 febbraio 1998, n. 1635, ibid., 551, con nota di M. Fabiani e M. Giorgetti.

In dottrina, v. F. Ferrara jr., Azione revocatoria fallimentare, voce dell 'Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, IV, 902; R. Provinciali,

Il Foro Italiano — 2000.

Svolgimento del processo. — Con atto di citazione ritualmen

te notificato la curatela del fallimento della Sim & Fed s.p.a. conveniva in giudizio Ilva Palchetti chiedendo che fosse dichia

rata l'inefficacia ex art. 67, 2° comma, 1. fall., di alcuni paga menti effettuati dalla società poi fallita a favore della convenu

ta per la complessiva somma di lire 67.853.000.

A sostegno della domanda, la curatela deduceva che la Sim

& Fed era stata a suo tempo autorizzata con delibera Consob

17 dicembre 1991, n. 5808, ad esercitare l'attività di intermedia

zione mobiliare prevista dalle lett. d), e) ed f) del 1° comma

Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, II, 958 ss.; Id., Manuale di diritto fallimentare, Milano, 4a ed., 1962, 779; P. Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, rist. 2a ed., 1981, 20 ss., spec. 62; G. De Semo, Diritto fallimentare, Padova, 1964, 33 ss., 292-314; Carne

lutti, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1936, I, par. 69. Da ciò l'insorgere della questione (di merito) della accoglibilità della

domanda di revoca in conseguenza dell'operare del principio di separa zione dei patrimoni sancito dal legislatore della 1. 1/91, sia in senso c.d. verticale — cioè fra il patrimonio della società di intermediazione

e quello del cliente — che in quello c.d. orizzontale — cioè fra i patri moni dei singoli clienti —.

Secondo il Tribunale di Firenze, infatti, l'operare del principio di

separazione (su cui cfr. la nota di Crisostomo e Macario a Cass.

10031/97, cit.), successivamente ribadito dall'art. 19, 1° comma, d.leg. 23 luglio 1996 n. 415 e adesso dall'art. 22 d.leg. 24 febbraio 1998 n.

58, t.u. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (non

applicabili nel caso di specie), incontra il solo ed unico limite della ma

teriale, fisica, impossibilità di individuazione dei beni di pertinenza di ciascun cliente (la quale deve essere rigorosamente allegata e provata dal depositario che invochi la confusione patrimoniale: v. Cass. 10031/97, cit.).

Le carenze di allegazione sul punto ovvero la tardività delle stesse rilevate dal Tribunale di Firenze non hanno consentito pertanto di giun gere alla conclusione che, nella fattispecie concreta, si fosse alla presen za di una situazione di confusione patrimoniale tale da precludere l'o

perare del principio di separazione. Quanto alla eccezione del difetto di data certa, pure disattesa dal

giudice fiorentino, perché tardiva, non constano precedenti esattamente in termini; v., tuttavia, Cass. 17 luglio 1993, n. 7944, Foro it., Rep. 1993, voce Prova documentale, n. 22; Trib. Roma 20 dicembre 1983, id., 1984, I, 1099. V. altresì Cass. 13 novembre 1964, n. 2732, Foro

it., 1965, I, 35 (in motivazione), e 28 luglio 1948, n. 1272, id., Rep. 1948, voce Scrittura, n. 9, per le quali chi intende avvalersi della scrit tura nei confronti di un terzo deve dare la prova della certezza della

data, nonché Cass. 11 marzo 1972, n. 701, id., Rep. 1972, voce Senten

za in materia civile, n. 199; App. Genova 27 giugno 1960, id., Rep. 1960, voce Fallimento, n. 319.

Per un esame delle problematiche relative alla certezza della data in materia fallimentare, cfr. la nota di M. Fabiani a Cass. 17 luglio 1997, n. 6577, e n. 6571, id., 1997, I, 2819 (ivi anche ampi riferimenti di

dottrina); da ultimo, Cass. 18 agosto 1998, n. 8143, id., Rep. 1998, voce cit., n. 301; 6 maggio 1998, n. 4551, ibid., nn. 563, 569; Trib. Milano 17 novembre 1997, id., 1998, I, 1309.

In materia di trascrizione, v. Cass. 11 ottobre 1969, n. 3288, id., Rep. 1969, voce Procedimento civile, n. 216; 24 gennaio 1968, n. 186, id., Rep. 1968, voce Trascrizione, n. 21, ricordate in motivazione, per le quali «la parte che, data la mancata trascrizione di un atto, pretenda ricavare conseguenze giuridiche a proprio favore, deve farne oggetto di espressa eccezione in sede di merito».

II. - Il Tribunale di Firenze, sottolineata l'inconferenza del richiamo alla categoria dell'obbligazione generica con riferimento a beni come il denaro e gli altri strumenti finanziari «i quali rilevano non nella loro materialità, bensì in quanto rappresentativi di un certo valore» (così Crisostomo e Macario, op. cit., 865), ritiene che, in presenza di esecu zione contestuale da parte del mandatario di incarichi di acquisto di beni fungibili per conto di una pluralità di mandanti, la natura delle cose acquistate dal mandatario non costituisca ostacolo al passaggio della proprietà dei beni in capo ai mandanti secondo un modello strut turalmente simile a quello dell'art. 939 c.c.

L'atto con il quale il mandatario provveda a riconsegnare al mandan te i titoli o i beni affidati in gestione costituisce — secondo il provvedi mento in epigrafe — adempimento di un obbligo di restituzione a fon damento reale, attuato secondo il modello dell'art. 79 1. fall. Le dispo sizioni di cui agli art. 1705, 2° comma, 1706, 1707 c.c. in materia di mandato unite a quella dell'art. 1782 c.c. in tema di deposito vengono così a costituire la matrice codicistica del principio di separazione sanci to dal legislatore del 1991, così come nel precedente di legittimità al

quale il Tribunale di Firenze dichiara di uniformarsi. Sulla qualificazione giuridica dei rapporti contrattuali fra Sim e clienti,

oltre alla nota di commento a Cass. 10031/97, cit., v., per tutti, D'A

lessandro, op. cit., 472 ss. (dell'autore citato è il richiamo alla fatti

specie dell'art. 939 c.c. operato anche dal provvedimento in epigrafe). Sulla problematica dell'immediata efficacia reale dell'acquisto dei crediti

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

dell'art. 1 1. 2 gennaio 1991 n. 1 (ossia raccolta ordini di acqui sto o vendita di valori mobiliari, consulenza in materia, solleci

tazione al pubblico risparmio). In data 28 marzo 1994 la società

aveva chiesto alla Consob l'autorizzazione a svolgere anche le

attività previste alle lett. b) e c) della norma citata (ossia il col

locamento e distribuzione di valori mobiliari con o senza sotto

scrizione o acquisto a fermo ovvero garanzia nei confronti del

l'emittente, e la gestione di patrimoni mediante operazioni aventi

ad oggetto valori mobiliari), ma il provvedimento della Consob

aveva negato l'autorizzazione richiesta.

Successivamente, dal 28 giugno 1994 al 17 novembre 1994, la Sim & Fed era stata sottoposta ad ispezione da parte della

Consob che aveva evidenziato alcune anomalie nella gestione della società e nell'attività da questa svolta, con particolare ri

ferimento alla gestione abusiva dei patrimoni, il finanziamento

dei clienti e la negoziazione di valuta per conto proprio. Con provvedimento dell'8 novembre 1995 del ministro del te

da parte del mandatario in capo al mandante nonché sulle disposizioni di cui agli art. 1705-1707, v. altresì, in dottrina, C. Santagata, Man dato. Disposizioni generali, in Commentario Scialoja e Branca, Bologna Roma, 1985, 230 ss., nonché G.B. Portale-A.A. Dolmetta, Deposito regolare di cose fungibili e fallimento de! depositario, in Banca, borsa, ecc., 1994, I, 842 ss.; G. Santini, La vendita per filière. Contributo allo studio delle borse merci, Padova, 1952, 40 ss.; F. Giorgianni, / crediti disponibili, Milano, 1974, 17 ss.; G. Oppo, Una svolta nei titoli di massa. Il progetto Monte titoli, in Riv. dir. civ., 1986, I, 20 ss.; M. Rescigno, Titoli rappresentativi e circolazione delle merci, Milano, 1992, 183 ss.

Sul fatto che l'obbligazione cui è tenuto il mandatario all'acquisto è esattamente adempiuta procurando al mandante la partecipazione al diritto collettivo su un deposito regolare, ma «alla rinfusa», dei titoli con conseguente venir meno della possibilità di esigere — a qualunque fine — atti di individuazione nei rapporti fra mandante e mandatario, v. D'Alessandro, op. cit., 478 s., nonché Oppo, Mandato ad acquista re azioni versate alla Monte titoli e fallimento del mandatario, in Riv. dir. impresa, 1991, 1 ss.

In giurisprudenza, v. altresì Cass. 27 agosto 1996, n. 7859, Foro it., 1997, I, 2237, con nota di Sacchi Lodispoto, cit. in motivazione, non ché Cass. 13 gennaio 1990, n. 92, id., Rep. 1990, voce Mandato, n. 28 (e Giust. civ., 1990, I, 1252, e 1991, I, 1557, con nota adesiva di P. Giammaria); 16 maggio 1990, n. 4262, Foro it., Rep. 1990, voce

Fallimento, n. 531, e Fallimento, 1990, 1193. Le precedenti sentenze rese in senso contrario, ricordate nella moti

vazione del provvedimento in epigrafe, sono costituite da Cass. 16 mag gio 1990, n. 4262, cit.; 20 febbraio 1984, n. 1200, Foro it., Rep. 1984, voce cit., n. 411 (e Fallimento, 1984, 1163, e Dir. fallim., 1984, II, 424); Trib. Torino 7 luglio 1988, Foro it., Rep. 1989, voce Società, n. 338 (e Dir. fallim., 1989, II, 869); 28 febbraio 1991, Foro it., Rep. 1992, voce Fallimento, n. 575 (e Banca, borsa, ecc., 1992, II, 478); Trib. Ferrara 30 dicembre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 573

(e Fallimento, 1994, 628; Banca, borsa, ecc., 1995, II, 68), sul famosis simo caso Patrimonium Sim.

III. - L'inquadramento della vicenda sul piano del diritto reale ed il richiamo all'istituto della comunione (ovvero alla fattispecie di cui all'art. 939 c.c.) qualora non risulti materialmente possibile distinguere i beni appartenenti all'uno o all'altro cliente all'interno della massa dei beni di loro spettanza esclude altresì la violazione della par condicio creditorum e la stessa possibilità di esperire l'azione revocatoria.

La conclusione cui perviene il provvedimento in epigrafe trova con ferma nella più recente dottrina che si è occupata del problema, la qua le respinge la possibilità di una ripartizione della perdita pro quota fra tutti i clienti in presenza di fenomeni di distrazione e di mata gestio: «Siffatta interpretazione — è stato rilevato —, oltre a confinare gli investitori in posizione ancor più negletta di quella derivante dall'appli cazione dei principi in materia di cose individuate solo nel genere, sem bra sottointendere una considerazione unitaria dei patrimoni conferiti dai singoli clienti estranea alla ratio legis (cfr. art. 8, 2° comma, il

quale garantisce il regime di separatezza anche fra i singoli clienti)»

(Sepe, id., 1992, II, 491). Nello stesso senso, Mayr, id., 1995, II, 77, il quale, rilevato che

«la soluzione parrebbe a tutta prima essere un concorso generale su tutti i valori mobiliari che risultino comunque di proprietà di clienti

della Sim», immediatamente aggiunge che però «il principio della par condicio creditorum non opera nei loro confronti in difetto di un'e

spressa previsione normativa».

Si è infine osservato che «Se la tutela degli interessi dei clienti è rea lizzata sottraendo i loro beni al patrimonio dell'intermediario ed al con corso dei creditori di costui, si perde irreversibilmente la possibilità di diluire il danno derivante dal dissesto dell'intermediario utilizzando allo

scopo (anche) i beni dei clienti. Il concorso è figura che esige da un lato una massa di creditori aventi diritti omogenei e, almeno tendenzial

mente, paritetici nonché — dall'altro lato — una massa patrimoniale

Il Foro Italiano — 2000.

soro era stata pertanto decretata la sospensione della società

dall'albo delle Sim per un periodo di quattro mesi, lo sciogli mento degli organi amministrativi e la nomina di un commissa

rio ministeriale in persona del dr. Cremona. Lo stesso commis

sario, riscontrate gravi anomalie «sulla gestione e sulla contabi

lità societaria», si era poi indotto, alla fine del mese di dicembre

del 1995, a chiedere al p.m. di attivarsi per il fallimento della

Sim & Fed s.p.a. La curatela deduce quindi che la notizia del commissariamen

to della Sim & Fed era dilagata subito negli ambienti economici

e finanziari, anche per il rilievo che ne era stato dato sulla stampa e via Internet e che nel periodo immediatamente successivo al

l'insediamento del commissario «ci fu, da parte dei clienti più accorti della Sim & Fed che, consci delle gravi difficoltà in cui

si dibatteva la società poi fallita, temevano di non poter più

recuperare i propri investimenti, la richiesta immediata di rim

borso del denaro o dei titoli investiti», come sarebbe testimo

costituente la garanzia generica e comune di quei crediti. Se si negano queste premesse non sembra possibile ricostruirle solo perché la diversa tecnica prescelta produca (o possa produrre) in qualche caso concreto risultati considerati squilibrati alla stregua di qualche criterio di presun ta o autentica giustizia sostanziale» (così D'Alessandro, op. cit., 486 s.).

In senso contrario, v., tuttavia, in giurisprudenza, Trib. Torino 28 febbraio 1991, cit., sia pure resa con riferimento alla disciplina prece dente all'entrata in vigore della 1. 1/91 e ad una fattispecie parzialmente diversa; Trib. Ferrara 30 dicembre 1993, cit., e Trib. Torino 8 febbraio

1994, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 496 (e Giur. comm., 1995, II, 418), ricordate in motivazione. In dottrina, B. Petrazzini, ibid., 424, e F. Lamanna, in Fallimento, 1996, 644.

IV. - Peraltro, alla diversità di posizioni dei vari clienti sembra piut tosto corrispondere una sostanziale diversità dei titoli posti a base delle

rispettive pretese, diversità la quale non può non produrre conseguenze. La restituzione al cliente del patrimonio da lui affidato, essendo la

fisiologica conseguenza giuridica della risoluzione del contratto tra Sim e risparmiatore (nonché dell'operare del principio di separazione dei

patrimoni) non può — di per sé — creare alcuna situazione di ingiusti ficato privilegio, perché ha come titolo e presupposto il contratto e come oggetto beni separati da quello dell'intermediario in ordine ai quali non è ipotizzabile alcun diritto che non sia quello dell'unico titolare

(il risparmiatore). Ove, invece, non possa farsi luogo alla restituzione per il motivo del

l'avvenuta distrazione da parte degli organi sociali, si profila una fatti

specie di responsabilità nascente da un comportamento illecito (perché contrario al contratto ed alla legge) il quale fa nascere un nuovo e diverso diritto: al risarcimento del danno, la cui soddisfazione ben può essere perseguita sul patrimonio della Sim che è il soggetto passivo del nuovo rapporto giuridico:

«La delusione delle attese nutrite dai clienti, nel sistema dell'interme diazione finanziaria, riposa su un illecito dell'intermediario. Il sistema è infatti caratterizzato dalla separazione dei beni dei clienti da quelli dell'intermediario e tra loro, di guisa che l'intermediario non diviene

proprietario dei beni affidatigli, né di quelli da lui acquisiti nell'ambito della prestazione dei suoi servizi professionali.

Se quindi il cliente non trova nei beni inventariati di che soddisfare le sue domande di rivendica o di restituzione ciò si dovrà alla violazione da parte dell'intermediario dei suoi doveri professionali e contrattuali

e, in ultima analisi, alla distrazione dei beni di pertinenza dei clienti. È perfettamente conforme ai principi che una vicenda siffatta metta

capo ad una responsabilità dell'intermediario per i danni derivanti dal suo illecito ed è altrettanto conforme ai principi che questa responsabi lità gravi sul patrimonio proprio dell'intermediario medesimo. In altri termini: il credito al risarcimento dei danni (e cosi, in primo luogo al

l'equivalente in denaro dei beni alla cui restituzione si aveva diritto) partecipa con gli altri crediti al concorso sui beni del debitore» (D'A lessandro, op. cit., 485).

Occorre altresì considerare che — nella fattispecie sottoposta all'esa me del Tribunale di Firenze — la pretesa fatta valere in giudizio non era quella del cliente alla restituzione di quanto a suo tempo affidato in gestione alla Sim (e da individuarsi all'interno di una massa più o meno indistinta) quanto piuttosto quella — contraria — della curatela di far dichiarare l'inefficacia nei confronti degli altri clienti di taluni atti di restituzione già effettuati i quali, evidentemente, avevano già presupposto l'individuazione dei beni consegnati.

Non si tendeva, in altre parole, ad ottenere gli effetti della tutela

prevista dalla legge sulle Sim, quanto a rimetterli in discussione (e, dal

punto di vista del cliente, a mantenerli, avendo il meccanismo legale, per lo meno in taluni casi, funzionato).

Da ciò l'irrilevanza delle problematiche relative alla materiale indivi duazione dei beni di spettanza di ciascun cliente, tipiche delle domande di rivendica e di restituzione in sede fallimentare ex art. 103 1. fall., su cui pure si sofferma il provvedimento in epigrafe (e su cui v. D'A

lessandro, op. cit.). [E. Staunovo Polacco]

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1315 PARTE PRIMA 1316

niato dal prospetto allegato alla citazione, relativo all'andamen

to dei disinvestimenti rispetto agli investimenti nell'anno 1995.

La curatela sottolineava ancora la natura degli investitori della

Sim fallita, che non potrebbero considerarsi «risparmiatori oc

casionali», essendo invece soggetti esperti del settore, e la circo

stanza che i rapporti tra clienti e Sim erano tenuti dai promoto ri che tenevano informati i clienti sull'andamento della società.

La curatela deduceva quindi che la parte convenuta, «titolare

del deposito n. 860010 presso la Sim & Fed», nel «clima di

allarme che si era creato» chiese a questa «il disinvestimento

totale lire e titoli e la chiusura del rapporto», e sosteneva che

il versamento alla parte convenuta della somma di cui si è detto

da parte della Sim, peraltro ad evasione solo parziale dell'ordi

ne ricevuto, versamento «effettuato pochi giorni prima della ri

chiesta di fallimento della società, in favore di un creditore quale la signora Ilva Palchetti evidentemente consapevole dello stato

di insolvenza della società stessa, è lesivo della par condicio

creditorum, e dunque revocabile ai sensi dell'art. 67, 2° com

ma, 1. fall.». Chiedeva dunque che, dichiarati inefficaci i paga

menti, la convenuta fosse condannata a restituire la somma so

pra indicata, con rivalutazione monetaria, interessi e vittoria

di spese. La parte convenuta si costituiva in giudizio e contrastava sot

to vari profili la domanda attorea, deducendo comunque, tra

l'altro, la mancanza del presupposto soggettivo richiesto dal

l'art. 67, 2° comma, 1. fall., ossia della scientia decoctionis.

Chiedeva quindi il rigetto della domanda.

All'udienza ex art. 183 c.p.c., fallito il tentativo di concilia

zione, il g.i., ritenuto che la causa potesse essere decisa senza

bisogno di assunzione di prove, rinviava la causa per la precisa zione delle conclusioni ai sensi dell'art. 187, 3° comma, c.p.c. all'udienza del 9 luglio 1998. In tale udienza le parti conclude

vano sostanzialmente in conformità ai rispettivi scritti difensivi.

Peraltro, la curatela eccepiva la mancanza di data certa del con

tratto stipulato tra la società fallita e la parte convenuta e la

conseguente sua inopponibilità al fallimento, e concludeva an

che in via istruttoria. Parte convenuta, invece, eccepita la tardi

vità di tale eccezione, chiedeva in via subordinata che, nel caso

in cui la causa fosse stata rimessa in istruttoria, fosse concesso

il termine ex art. 184 c.p.c. per produzioni e deduzioni istruttorie.

La causa veniva quindi assunta in decisione.

Motivi della decisione. — La domanda è infondata e va re

spinta in base alle seguenti considerazioni.

1) La curatela del fallimento della Sim & Fed, come si è detto

in narrativa, ha chiesto che siano dichiarati inefficaci ex art.

67, 2° comma, 1. fall., i pagamenti effettuati il 29 novembre

1995, il 6 dicembre 1995 e il 28 dicembre 1995 per complessive lire 67.853.000 a favore della parte convenuta in quanto si trat

terebbe di «versamento effettuato pochi giorni prima della ri

chiesta di fallimento della società, a favore di un creditore . . .

evidentemente consapevole dello stato di insolvenza della socie

tà stessa», in pregiudizio dunque del principio della par condi

cio creditorum. In mancanza di ogni altra specificazione, dal

riferimento al 2° comma dell'art. 67 1. fall, e dall'uso del termi

ne «versamento», sembra dunque di arguire che la curatela con

sideri l'atto di cui chiede la revoca quale «pagamento di un

credito liquido ed esigibile». La parte attrice non specifica quando è stato dichiarato il fallimento della Sim & Fed, tuttavia risulta

pacifico tra le parti che l'atto di cui chiede la revoca sia stato

compiuto entro il termine ex art. 67, 2° comma, I. fall.

2) Preliminarmente va dunque affrontata la questione, solle

vata anche da parte convenuta, circa la ricorrenza o meno, nel

caso di specie, del presupposto oggettivo per l'esercizio dell'a

zione revocatoria oggetto della domanda della curatela. Si trat

ta cioè di verificare se la restituzione della somma sopra indica

ta, effettuata in seguito all'ordine di «disinvestimento», costi

tuisca o meno un pagamento pregiudizievole sottoponibile ad

azione revocatoria ex art. 67, 2° comma, 1. fall., azione che

svolge una funzione indennitaria, tendendo ad elidere le conse

guenze di atti posti in essere in pregiudizio delle ragioni dei

creditori e fa sorgere un'obbligazione restitutoria che la giuri

sprudenza qualifica come obbligazione nascente da fatto illeci

to, il cui elemento oggettivo è la sottrazione di beni della massa

e quello soggettivo la consapevolezza di violare le regole della

par condicio creditorum (v., tra le tante, Cass., sez. I, 4 aprile

1997, n. 2936, Foro it., Rep. 1998, voce Fallimento, n. 532).

3) Al riguardo si pone infatti in diritto — ma come si vedrà

il problema è collegato a precisi elementi di fatto — la questio

II Foro Italiano — 2000.

ne se si sia di fronte ad un atto della società debitrice di disposi zione del proprio patrimonio ed in particolare al pagamento di un credito liquido ed esigibile, come sostiene la curatela, ov

vero se si tratti di un atto di restituzione di cosa appartenente al cliente-creditore e non al debitore e dunque non rientrante

nell'oggetto del diritto di garanzia generica dei creditori (art. 2740 c.c.) che la procedura concorsuale è chiamata istituzional

mente a realizzare. Si tratterà poi di verificare se le finalità di

ricostituzione della garanzia patrimoniale del debitore, tipiche dell'azione revocatoria, possano essere perseguite anche con ri

ferimento all'esigenza di garantire la par condicio all'interno

della categoria dei creditori-investitori, nell'ambito cioè di una

massa separata formata dai beni e dai valori spettanti ai vari

clienti, distinta da quella su cui sono chiamati a soddisfarsi i

creditori diversi da questi ultimi.

4) Appare opportuno, per la soluzione delle questioni che ven

gono in campo, ricordare brevemente la normativa speciale ap

plicabile ratione temporis alla fattispecie e cioè quella contenuta

nella 1. 2 gennaio 1991 n. 1 (disciplina dell'attività di interme

diazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei merca

ti mobiliari), non essendo direttamente applicabile il d.leg. 23

luglio 1996 n. 415, entrato in vigore il 1° settembre 1996, quan do la Sim & Fed era già stata dichiarata fallita (si tratta del

decreto definito «Eurosim», emanato per dare attuazione alle

direttive comunitarie — nn. 22 e 6 del 1993 — in tema di servizi

di investimento nel settore dei valori mobiliari. La materia è

oggi regolata dal «testo unico delle disposizioni in materia di

intermediazione finanziaria» contenuto nel d.leg. 24 febbraio

1998 n. 58, il quale tuttavia, per quanto ci interessa, riconferma

le scelte di fondo già compiute con il d.leg. n. 415, di cui ripro duce sostanzialmente la disciplina, salvo alcuni correttivi e va

rianti). Peraltro, già nella normativa del 1991, si trovava sanci

to il principio della c.d. doppia separazione patrimoniale che

troverà riconferma nell'art. 19, 1° comma, d.leg. 415/96, là

dove si statuisce che «gli strumenti finanziari e il denaro dei

singoli clienti, a qualunque titolo detenuti da un'impresa di in

vestimento . . . costituiscono patrimonio distinto a tutti gli ef

fetti da quello dell'intermediario e da quello degli altri clienti»

(v. ora l'analogo art. 22 d.leg. 58/98). Infatti, già l'art. 8, 2°

comma, 1. 1/91 affermava che «il patrimonio conferito in ge stione dai singoli clienti costituisce patrimonio distinto a tutti

gli effetti da quello della società e da quello degli altri clienti.

Sul patrimonio conferito in gestione non sono ammesse azioni

dei creditori della società o nell'interesse degli stessi. Le azioni

dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del patri monio di loro proprietà»: veniva così già affermato chiaramen

te il principio di separazione sia in senso che è stato definito

orizzontale (distinzione tra il patrimonio dell'intermiediatore ri

spetto al patrimonio conferito in gestione) che in senso verticale

(separazione dei patrimoni spettanti ai singoli clienti). L'art. 8, 1° comma, lett. f), ed il regolamento della Banca d'Italia del

2 luglio 1991 dettano poi alcune disposizioni volte ad assicurare

in concreto la separazione dal patrimonio della Sim dei beni

oggetto della gestione per conto terzi, tra le quali, ad esempio, il deposito in appositi conti rubricati come di gestione per conto

di terzi e la predisposizione di conti individuali a nome dei sin

goli clienti che consentano in ogni momento l'individuazione

dei beni di loro proprietà.

5) Il principio di separazione, affermato dalla normativa del

1991 solo con riferimento alle attività di gestione dei patrimoni e non anche rispetto alle altre attività tipiche delle Sim come, ad esempio, a quelle di negoziazione di valori mobiliari per conto

terzi, appare tuttavia convincentemente sostenibile, su un piano

generale, anche in base a ricostruzioni dogmatiche effettuate

alla luce dei principi di diritto comune e segnatamente delle norme

del codice civile in tema di mandato e di deposito.

6) Riportando allo schema del mandato il rapporto tra cliente

e Sim (secondo la ricostruzione preferibile: v. anche il riferi

mento alla diligenza del mandatario nell'art. 13, 10° comma, 1. 1/91) consegue infatti che il mandatario non diviene proprie tario dei beni che il mandante gli abbia affidato per lo svolgi mento dell'incarico, né, anche in mancanza di procura, diviene

proprietario dei beni mobili che egli abbia acquistato per conto

del mandante stesso, il quale «può rivendicare le cose mobili

acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome

proprio» (art. 1706 c.c.). Il mandante inoltre può esercitare i

diritti di credito acquistati per suo conto dal mandatario (art.

1705, 2° comma, c.c.). Al di là della complessa spiegazione dog

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

matica delle disposizioni in questione (che si pongono in con

trasto con la tradizionale ricostruzione del mandato come fonte

di vincoli meramente obbligatori, portando giurisprudenza e dot

trina ad ammettere, per tali casi, un'efficacia reale del manda

to, sia che questa sia prospettata affermando un duplice auto

matico trasferimento — dal terzo al mandatario e da questi al

mandante — sia che si affermi il trasferimento diretto dal terzo

al mandante in virtù di un'asserita rilevanza esterna del rappor to gestorio), in ogni caso è espressamente escluso che i creditori

del mandatario possano «far valere le loro ragioni sui beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha acquistato in nome

proprio, purché, trattandosi di beni mobili o di crediti, il man

dato risulti da scrittura avente data certa anteriore al pignora mento» (art. 1707 c.c.). È poi pacifico che la disciplina del ne

gozio gestorio delineata dagli art. 1705-1707 per il caso di man

dato senza rappresentanza trovi applicazione anche nell'ipotesi di fallimento del mandatario, sostituita solo, nella normativa

dell'art. 1707 c.c., la data di dichiarazione di fallimento a quel la del pignoramento ex art. 45 1. fall, (di tale applicabilità viene

considerata una conferma l'art. 79, 3° comma, 1. fall., che, a proposito della disciplina delle cose possedute dal fallito a

titolo precario, fa salve le disposizioni dell'art. 1706 c.c.).

7) Già prima dell'entrata in vigore della 1. n. 1 del 1991 quin di poteva pervenirsi all'affermazione della «separatezza» dei pa trimoni dei clienti della Sim rispetto al patrimonio di quest'ulti ma con la conseguenza che la richiesta di restituzione dei singoli clienti del denaro o dei valori mobiliari avrebbe dovuto essere

collocata nell'ambito delle azioni di rivendica e restituzione ex

art. 103 1. fall. In sede concorsuale, il principio di separazione riceve attuazione appunto attraverso l'applicazione del regime della restituzione delle cose mobili possedute dal fallito a titolo

precario (art. 103 1. fall, e art. 79 1. fall.), ossia consentendo

al cliente di recuperare «in natura» il denaro e gli strumenti

finanziari da questo detenuti in esecuzione dei servizi d'investi

mento dallo stesso effettuati. Correlativamente, ravvisandosi un

rapporto di natura reale e non personale, non sarebbe ammissi

bile l'azione revocatoria per la dichiarazione di inefficacia di

un atto che non può qualificarsi come atto solutorio.

8) Al riguardo, va segnalato che la giurisprudenza, anche di

merito, è apparsa restia a pervenire a tali conclusioni, ricolle

gandosi alla reiterata affermazione secondo cui le domande di

rivendica, separazione e restituzione, ai sensi dell'art. 103 1. fall,

sono ammissibili solo con riguardo a cose mobili possedute dal

fallito ed esattamente individuate per specie, non anche in rela

zione a cose fungibili; per queste, verificandosi confusione con

il patrimonio del fallito, sarebbe concepibile unicamente un'ob

bligazione di restituire o consegnare il tantundem, obbligazione da far valere in concorso e per il suo equivalente pecuniario a norma dell'art. 59 1. fall. (Cass. 16 maggio 1990, n. 4262,

id., Rep. 1990, voce cit., n. 531; 20 febbraio 1984, n. 1200,

id., Rep. 1984, voce cit., n. 411; Trib. Torino 7 luglio 1988,

id., Rep. 1989, voce Società, n. 338; 28 febbraio 1991, id., Rep.

1992, voce Fallimento, n. 575; Trib. Ferrara 30 dicembre 1993,

id., Rep. 1994, voce cit., n. 573, sul caso Patrimonium Sim; in epoca risalente, ma chiara nel porre in luce l'idea di fondo

dell'orientamento giurisprudenziale ricordato, v. App. Firenze

5 giugno 1964, id., Rep. 1965, voce cit., n. 498, la quale am

mette «l'azione in separazione di una somma di denaro che,

prima del fallimento, sia stata consegnata per un determinato

impiego — nella specie, i tre decimi del capitale sociale da de

positarsi presso la Banca d'Italia — all'amministratore di poi dichiarato fallito, solo ove detta somma, all'atto della conse

gna, sia stata racchiusa in un plico, contrassegnata, od in qual siasi altra forma individualizzata, così da costituire un oggetto

specifico esistente tra le cose inventariate e, come tale, suscetti

bile di essere restituito in natura. In difetto di tale individuazio

ne resta solo un diritto di credito da far valere mediante insi

nuazione al passivo»).

9) Tuttavia, in linea di principio, va ricordato che a norma

dell'art. 1378 c.c., nei contratti che hanno per oggetto il trasfe

rimento di cose determinate solo nel genere, la proprietà si tra

smette con l'individuazione fatta d'accordo con le parti o nei

modi da esse stabilite.

Ora, nel caso di acquisto da parte del mandatario di beni

mobili fungibili, applicando la norma ricordata, ne deriva che

sino a che non avviene l'individuazione, la vendita ha effetti

obbligatori (e la proprietà dei beni resta in capo all'alienante),

Il Foro Italiano — 2000.

ma nel momento in cui l'effetto reale, previsto dall'art. 1378

c.c., si verifica a causa della individuazione, tale effetto si veri

fica simultaneamente e automaticamente anche dal mandatario

al mandante in base a quanto si è sopra osservato circa l'art.

1706 c.c. (comunque si voglia ricostruire — doppio automatico

passaggio o unico passaggio diretto — il meccanismo che porta alla titolarità del bene acquistato dal mandatario in capo al man

dante). In altri termini, al di là dei problemi che, come si dirà,

pone la nozione di individuazione quando riguardi titoli o valo

ri mobiliari, su di un piano teorico deve intanto riconoscersi

che l'effetto traslativo ad essa legato non può verificarsi nel

patrimonio del mandatario.

Né la questione assume aspetti diversi, per quanto qui inte

ressa, nel caso in cui vi sia commistione, iniziale o sopravvenu

ta, dei beni mobili acquistati dal mandatario per conto di diver

si mandanti (come può avvenire per il caso in cui il mandatario

abbia acquistato più partite di grano per conto di vari mandan

ti, oppure immetta il grano acquistato per conto di Tizio nel

deposito in cui era racchiuso già il grano acquistato per Caio;

oppure ancora, per venire ad un esempio più vicino alla materia

in esame, nel caso in cui la Sim, invece di tenere distinti i conti

dei singoli clienti, immetta valori e titoli in un unico conto di

gestione per conto terzi). Ai fini che interessano è infatti suffi

ciente notare che nemmeno in tal caso il mandatario acquista la proprietà dei beni mobili, potendosi ritenere che si verifichi

una situazione di comproprietà in capo ai mandanti. Si è richia

mato, al riguardo, il principio espresso dall'art. 939 c.c., secon

do cui, «quando più cose appartenenti a diversi proprietari so

no state unite o mescolate in guisa da formare un sol tutto, ma sono separabili senza notevole deterioramento, ciascuno con

serva la proprietà della cosa sua e ha diritto di ottenerne la

separazione. In caso contrario, la proprietà diventa comune in

proporzione delle cose spettanti a ciascuno».

Tale conclusione (a prescindere dalle complesse questioni che

pone la ripartizione dei beni agli aventi diritto in tali casi, quan do la massa patrimoniale di pertinenza dei clienti sia insuffi

ciente a far fronte alle restituzioni per intero) è sufficiente per affermare che anche in tal caso si resta sul piano del diritto

reale (comproprietà anziché proprietà), ciò che è a sua volta

sufficiente per ritenere comunque estranei al patrimonio della

società fallita i beni in questione con le conseguenze di cui si

dirà oltre.

10) In tale prospettiva non sono condivisibili le argomenta zioni di chi sostiene che, nel caso in cui vi sia stata commistione

dei titoli e dei valori dei clienti in unico conto, pur essendo

così separato il patrimonio della società da quello degli investi

tori, non essendo però distinti i patrimoni dei singoli clienti, sarebbe impossibile la restituzione ex art. 103 1. fall., restituzio

ne subordinata all'individuazione dei valori mobiliari con nota

zioni specifiche nei conti individuali e, addirittura, alla registra zione del numero di serie nel caso si tratti di denaro o di titoli

al portatore (Trib. Ferrara, cit.). Infatti, una volta affermato

che il patrimonio degli investitori è distinto da quello della Sim,

è già affermato il presupposto per affermare l'estraneità dei pre

detti valori al patrimonio della società fallita, con le conseguen ze di cui si dirà meglio ai par. 19 ss.

Anche la Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi su una

fattispecie solo parzialmente diversa (e precisamente in materia

di rivendica ex art. 103 di titoli affidati a società fiduciarie) ha avuto modo di affermare importanti principi in ordine alla

questione relativa alla separatezza del patrimonio dei clienti da

quello della società fallita che sono rilevanti anche nel presente

giudizio. Nella decisione 14 ottobre 1997, n. 10031 (id., 1998,

I, 851), si afferma infatti che, a giustificare l'accoglimento delle

domande proposte sulla base dell'art. 103 1. fall., che ha la fi

nalità di depurare il patrimonio del fallito dagli elementi ad

esso estranei, è sufficiente dimostrare che si sia determinata una

situazione idonea ad impedire che la cosa della quale si reclami

la restituzione si sia confusa nel patrimonio del fallito entrando

a far parte dei beni di sua proprietà. «Non può negarsi» affer

ma la corte «che in linea di principio perché si realizzi una si

tuazione siffatta rispetto alle cose fungibili, occorre che la cosa

sia determinata nella sua specifica e precisa individualità». Tut

tavia, «per l'acquisto della proprietà da parte di chi riceve in

deposito una quantità di denaro o di altre cose fungibili è ne

cessario che a tale soggetto sia concessa (quanto meno implici

tamente) la facoltà di servirsene non essendo la natura del bene

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1319 PARTE PRIMA 1320

fungibile del bene consegnato di per sé sola sufficiente a deter

minare il prodursi di tale effetto». Si richiama al riguardo l'art.

1782 c.c. il quale specifica appunto che «se il deposito ha per

oggetto una quantità di denaro o di altre cose fungibili, con

facoltà per il depositario di servirsene, questi ne acquista la pro

prietà ed è tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e

qualità. In tal caso si osservano, in quanto applicabili, le norme

relative al mutuo». Come sottolineato anche dalla Corte di cas

sazione nella pronuncia richiamata, la concessione della facoltà

d'uso — che unitamente alla natura del bene — concorre a de

terminare l'acquisto della proprietà da parte del depositario, deve

riferirsi ad un uso da svolgere nell'interesse del depositario: so

lo in tal caso il deposito viene ad assumere anche una funzione

di credito nell'interesse del depositario e questo spiega perché a tale contratto si applichino anche le norme sul mutuo, in quanto

compatibili.

11) Il punto va sottolineato in relazione a quelle argomenta zioni svolte dalla curatela in comparsa conclusionale nelle quali si richiama l'art. 1782 c.c., affermandosi che nel caso di specie — sebbene la Sim & Fed non fosse autorizzata alla gestione dei patrimoni — il rapporto con la convenuta «era tale per cui

il cliente versava il denaro alla Sim e questa si obbligava a ge stirlo per suo nome e a propria discrezione e a corrisponderne a richiesta il tantundem, maggiorato dei frutti»: al di là di ogni osservazione sulla tardività di una tale allegazione in punto di

fatto, va sottolineato come la facoltà di servirsi delle cose depo sitate di cui all'art. 1782 c.c. va identificata con la facoltà di

servirsene per i propri interessi, ossia per un interesse di tipo dominicale proprio del gestore e non semplicemente in funzione

strumentale alla prestazione del servizio pattuito (accrescimento del patrimonio conferito attraverso operazioni di investimento) senza che vi sia un interesse autonomo del gestore a disporre dei beni.

12) Richiamandosi dunque alla figura del deposito regolare di cose fungibili che non siano state individuate al momento

della consegna, la Cassazione ha affermato la possibilità di ac

cogliere la domanda di rivendica o di restituzione proposta dai

fiducianti indipendentemente dal fatto che: a) i titoli non fosse

ro intestati nominativamente ma fossero raggruppati in un uni

co certificato azionario; b) le risultanze contabili non permet tessero di ricollegare i titoli azionari ai singoli fiducianti; c) vi

fosse stata indebita commistione di conti fra i fiducianti poiché «tale commistione non coinvolge i rapporti tra i fiducianti e

la fiduciaria ma è limitata a quelli che intercorrono tra i singoli fiducianti nell'ambito di una massa patrimoniale composta di

beni dei quali i fiducianti (e non la fiduciaria) sono i proprietari effettivi».

13) Il principio di separazione affermato nella legislazione spe ciale (da ultimo nell'art. 22 d.leg. 58/98 che ripropone l'art.

19 d.leg. 415/96, ma già nella pregressa normativa in tema di

fondi di investimento, di società fiduciarie, ecc.) nel chiaro in tento di tutelare i clienti dai rischi derivanti dal dissesto degli intermediari, appare, pertanto, lo sviluppo di principi già pre senti nell'ordinamento.

Certo, la normativa speciale costruisce il concetto di separa tezza in collegamento agli accorgimenti per la separazione effet

tiva, incentrati, in particolare, sulla previsione di conti indivi

duali intestati ai singoli clienti, cosicché sia possibile individua

re i beni di proprietà dei clienti, anche se fungibili e non

individuabili singolarmente, purché risultino annotati nel gene re e nella quantità.

Il problema centrale infatti, in tema di separazione dei patri

moni, risiede non tanto e non solo nell'affermazione del princi

pio di diritto della separazione, quanto, con riferimento al pia no pratico, nella concreta possibilità di individuare i beni, i va

lori mobiliari e il denaro di pertinenza del singolo investitore.

In altri termini, una volta allargate le maglie dell'art. 103 1.

fall, (nel senso che non deve reputarsi ostativa alla restituzione in base a tale norma la mera natura fungibile del bene), resta la diversa questione dell'individualità e quindi dell'individuabi lità del patrimonio separato: l'impossibilità materiale di distin

guere i beni dei clienti travolge, per così dire, la richiesta di

restituzione di carattere reale, dando spazio ex art. 79 1. fall, solo ad una pretesa obbligatoria (di restituzione del tantundem) e riproponendo la questione della par condicio in sede concor

suale (questa sembra anche la prospettiva accolta da Trib. Mi

lano 23 marzo 1998, citata dalla curatela, nella quale si è negata

Il Foro Italiano — 2000.

la possibilità di accogliere l'azione di rivendicazione con riferi

mento ai titoli non rinvenuti, di fatto, dalla curatela perché og

getto di illegittima disposizione da parte della Sim, laddove lo

stesso curatore aveva già effettuato la restituzione di altri beni

e addirittura del denaro, meramente annotato sul conto nomina

tivo e depositato su un conto corrente unitario della stessa Sim). Al riguardo, e per completezza, va anche rilevato come sa

rebbe riduttivo ritenere che solo osservati gli specifici adempi menti prescritti i patrimoni gestiti dalla Sim possano conside

rarsi individuabili e quindi separati, poiché, alla luce di quanto

sopra osservato, l'unico limite ostativo alla restituzione è l'im

possibilità materiale di distinguere i beni dell'investitore da quello dell'intermediario o i beni dei singoli clienti tra di loro e tale

impossibilità materiale ben potrebbe essere eliminata non solo

seguendo le misure prescritte dalla legge speciale e dal regola mento del 2 luglio 1991, ma anche con altri accorgimenti conta

bili, pur diversi, che consentano comunque di ricostruire atten

dibilmente la posizione dei singoli clienti oppure di individuare

i valori mobiliari spettanti ai clienti — sia pure, al loro interno, in modo indistinto — rispetto al patrimonio della società di

intermediazione (v. ora il regolamento della Banca d'Italia del

30 settembre 1997 che lascia la scelta agli intermediari dell'ado

zione di sistemi informativo-contabili strutturati in modo da sod

disfare l'esigenza di attuare le norme in materia di separazione

patrimoniale; di scarsa utilità appare invece il richiamo alla di

sciplina delle obbligazioni di genere e all'individuazione — art.

1178 e 1378 c.c. — vertendosi in tema di beni, quale il denaro

o altri strumenti finanziari, che vengono in rilievo non per la

loro materialità ma in quanto rappresentativi di un certo valo

re. Sotto tale profilo appare incongruo richiedere la registrazio ne del numero di serie dei titoli al portatore o addirittura del

denaro — come si legge nel provvedimento del Tribunaale di

Ferrara sopra citato —, in quanto la normativa in materia non

richiede nessuna annotazione specifica in relazione ai titoli ac

quistati in favore dei clienti, in correlazione del resto con gli attuali sistemi di circolazione e trasferimento del denaro e dei

valori mobiliari, basati su criteri di fungibilità e caratterizzati

da una sorta di «dematerializzazione» o, come anche si è detto, di «decartolarizzazione», degli strumenti finanziari).

14) Così precisato il quadro normativo che viene in campo, secondo la ricostruzione ritenuta preferibile, e passando all'esa

me della fattispecie concreta oggetto del giudizio, la domanda

formulata dal fallimento ai sensi dell'art. 67, 2° comma, 1. fall,

appare inaccoglibile sotto vari aspetti.

15) Innanzitutto, va rilevato che, come si è già detto, la cura

tela ha esercitato un'azione revocatoria sostenendo che il paga mento della somma sopra ricordata alla convenuta, già titolare

del deposito n. 860010, costituiva un pagamento lesivo della

par condicio creditorum e attuato con la consapevolezza da parte della parte convenuta dello stato di insolvenza.

La curatela non ha fornito, in punto di fatto, nessun'altra

specificazione in ordine alla posizione della convenuta o della

stessa Sim (salvo l'affermazione, del tutto generale e non riferi

ta alla singola posizione, che questa aveva iniziato abusivamen

te a gestire patrimoni), non indicando quale fosse la effettiva

situazione del conto intestato alla parte convenuta (di cui pure viene indicato il numero identificativo), quali operazioni fosse

ro risultate compiute, quali fossero in concreto le modalità di

gestione dei valori della cliente alla luce delle risultanze contabi

li, se vi sia stata violazione formale o anche sostanziale delle

regole sulla contabilità, se in realtà il sottoconto nominativo — se esistente — dovesse considerarsi una mera finzione conta

bile, se vi sia stata illegittima distrazione dei valori di pertinen za della convenuta (come nel caso del Tribunale di Milano, ci

tato dalla curatela nella comparsa conclusionale). L'attrice ha

omesso, in sostanza, di porre a base della propria domanda

quegli elementi di fatto che avrebbero consentito, se provati, di ritenere impossibile l'operatività del principio di separazione

per l'impossibilità di distinzione in concreto dei beni dell'inve stitore e quindi di ritenere che il versamento della somma di

denaro oggetto dell'azione revocatoria doveva reputarsi avve nuto a titolo di restituzione del valore equivalente dei beni in

adempimento di un rapporto obbligatorio e non invece in ot

temperanza di una pretesa di carattere reale.

In altri termini, poiché il principio generale, in base alle os

servazioni svolte in precedenza, è quello della permanenza in

capo all'investitore della proprietà dei beni e dei valori conse

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

gnati all'intermediario, la curatela avrebbe dovuto tempestiva

mente dedurre e allegare (oltre che, ovviamente, dimostrare) che

la situazione di fatto non consentiva il fisiologico svolgimento

delle implicazioni insite nel principio di separazione, ma era ca

ratterizzato da quegli aspetti patologici che necessariamente im

pedivano il soddisfacimento del diritto avente natura reale la

sciando spazio ad un diritto di credito il cui pagamento poteva

essere oggetto di revocatoria.

16) Solo ed esclusivamente in comparsa conclusionale la cu

ratela allega che, data la contabilità lacunosa, spesso falsificata

e comunque non attendibile, si era provveduto a tenere distinte

le due masse fallimentari, rispettivamente dei clienti e dei credi

tori sociali onde rispettare, anche nella fase patologica, il prin

cipio di separazione sotto il profilo della c.d. separazione oriz

zontale, mentre non sarebbe stato possibile, nella maggior parte

dei casi, realizzare la separazione verticale cioè tra i patrimoni

distinti dei singoli clienti. Dovendosi considerare dunque i clien

ti quali «creditori del fallimento o meglio della massa di perti

nenza della clientela», la curatela afferma la possibilità del re

cupero alla massa attiva di pertinenza di quest'ultima, attraver

so lo strumento della revocatoria, delle somme che alcuni

clienti-creditori hanno ottenuto al fine di assicurare la par con

dicio creditorum. E ancora, afferma, nella memoria di replica,

che «se il denaro per il pagamento che si intende revocare fosse

stato prelevato da un conto intestato alla medesima convenuta

sul quale fosse stato possibile individuare tutte le operazioni

afferenti la stessa si sarebbe trattato di una vera e propria resti

tuzione di beni al proprietario, ma poiché viceversa il denaro

è stato prelevato dall'insieme di tutte le somme gestite indistin

tamente dalla Sim per conto dei clienti, tra le quali non era

e non è possibile ad oggi individuare quelle sicuramente di per

tinenza della Palchetti, non si è trattato di restituzione ma di

un vero e proprio pagamento di un credito».

17) Al riguardo va rilevato, in primo luogo, che la curatela,

deducendo l'assenza, a quanto sembra, del sottoconto nomina

tivo e riferendo dell'esistenza di un unico conto, introduce in

realtà nuove allegazioni di fatto che appaiono tardive, essendo

contenute solo nella comparsa conclusionale, laddove nella cita

zione si era limitata ad indicare la parte convenuta come titola

re di un dato deposito di cui indicava il numero identificativo.

Poiché il termine ultimo per precisare la domanda ed anche

per modificarla in relazione alle difese del convenuto, con l'e

ventuale allegazione dei fatti nuovi che possano divenire rile

vanti in seguito alla modifica della prospettazione giuridica ori

ginaria, va individuato in quello delle memorie ex art. 183, ulti

mo comma, c.p.c., le allegazioni degli elementi di fatto indicati

per la prima volta negli scritti difensivi della fase decisoria, ele

menti che, alla luce di quanto osservato in precedenza, assurgo

no al ruolo di una causa petendi precedentemente non contenu

ta nella domanda, devono reputarsi inammissibili perché tardi

ve (come prontamente rilevato dalla controparte nella memoria

di replica alla conclusionale).

18) Egualmente tardiva appare l'eccezione relativa alla man

canza di data certa del contratto stipulato tra la Sim e la parte

convenuta. A parte la considerazione che l'azione intentata dal

la curatela si fonda proprio sul riconoscimento di un rapporto

contrattuale instaurato ed eseguito prima della dichiarazione di

fallimento, in ogni caso la mancanza di data certa anteriore

a tale dichiarazione ai fini dell'inopponibilità del rapporto di

mandato (ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 1707 c.c.,

45 1. fall.: v. supra al punto 6), costituisce materia di eccezione

in senso stretto (trattandosi di fatto, cioè, che acquista efficacia

giuridica solo in connessione con l'esercizio di un potere riser

vato esclusivamente alla parte) e non è rilevabile d'ufficio dal

giudice (in base ad un ordine di idee del tutto analogo, si è

affermata la natura di eccezione in senso stretto della deduzio

ne della mancanza di trascrizione di un atto ai fini dell'opponi

bilità ai terzi ex art. 2644 c.c.: Cass. 11 ottobre 1969, n. 3288,

id., Rep. 1969, voce Procedimento civile, n. 216; 24 gennaio

1968, n. 186, id., Rep. 1968, voce Trascrizione, n. 21). La parte

attrice ha sollevato l'eccezione solo in sede di precisazione delle

conclusioni e dunque quando ormai erano trascorsi i termini

per la tempestiva deduzione dell'eccezione medesima (art. 183,

4° comma, c.p.c.).

19) Non può comunque tacersi che, anche qualora le allega

zioni di fatto introdotte nella comparsa conclusionale e nella

memoria di replica della curatela potessero considerarsi tempe

II Foro Italiano — 2000.

stive, non sembra che ne discenderebbero (sempre che risultas

sero provate) le conseguenze indicate dalla parte attrice, ovve

rosia la trasformazione del diritto del cliente alla restituzione

del tantundem e la possibilità di formare una massa separata

dei patrimoni dei clienti rispetto a cui attuare il criterio della

par condicio creditorum, garantendone il rispetto anche con l'e

sperimento dell'azione revocatoria.

20) Infatti, mentre nel caso in cui sia impossibile separare

in alcun modo i beni dell'intermediario da quelli dei singoli clien

ti, il diritto del rivendicante di una cosa propria non può che

venir meno e trasformarsi in un diritto di credito alla restituzio

ne dell'equivalente e dunque in un credito concorsuale (secondo

il criterio di conversione della domanda restitutoria in domanda

di insinuazione per un credito pecuniario stabilito dall'art. 79

1. fall.), nel caso invece in cui fosse impossibile distinguere i

beni di un cliente da un altro o da quelli di alcuni altri, ferma

rimanendo la distinzione dei beni di cui si tratta da quelli del

l'intermediario, i beni dei clienti dovrebbero considerarsi attri

buiti in comune agli investitori di cui si tratta, in applicazione

dell'art. 939 c.c., come si è sopra osservato al par. 9. In altri

termini, il riconoscimento che sia possibile operare la separazio

ne dei beni dei clienti da quello della Sim sarebbe di per sé

sufficiente ad imporre l'applicazione dell'art. 103 1. fall., volto

appunto a depurare il patrimonio del fallito dagli elementi ad

esso estranei, secondo la prospettiva delineata dalla sentenza

della Corte di cassazione 10031/97 più volte menzionata: la por

tata innovativa di tale pronuncia si coglie proprio nell'afferma

zione della permanenza del diritto di proprietà dei fiducianti

sui valori affidati alla fiduciaria, pur in mancanza di una loro

specifica individuazione, alla sola condizione che l'esistenza del

rapporto fiduciario risultasse da scrittura avente data certa an

teriore al fallimento e la sua riferibilità, sia pure in termini quan

titativi, ai titoli intestati alla fiduciaria fosse inequivoca.

21) I problemi relativi alle modalità di restituzione del patri

monio comune, dei criteri da seguire nella divisione tra i singoli

clienti, eventualmente in concorso tra loro (qualora il patrimo

nio globale separato fosse inferiore alla somma dei singoli por

tafogli gestiti), dell'organo a cui spetta la ripartizione sono stati

affrontati dal legislatore del 1996 che, nel disciplinare la liqui

dazione amministrativa coatta delle Sim, all'art. 34, richiama

l'art. 91 del testo unico bancario (modificato dall'art. 64 stesso

d.leg. 415/96) prevedendo in via principale, al 1° comma, la

restituzione in natura del denaro e degli strumenti finanziari

affidati all'intermediario e disponendo poi con particolari rego

le (2° comma) per il caso in cui risulti rispettata la separazione

del patrimonio dell'intermediario da quello dei clienti, ma non

sia rispettata la separazione dei patrimoni dei clienti fra loro

nonché per il caso in cui gli strumenti finanziari non siano suf

ficienti per l'effettuazione di tutte le restituzioni: per tali casi si

prevede la restituzione ai sensi del 1 ° comma in proporzione dei

diritti di ciascuno dei clienti ovvero, se ciò non risulti possibile,

alla liquidazione degli strumenti finanziari di pertinenza della clien

tela e alla ripartizione del ricavato secondo la medesima propor

zione. Al 3° comma dell'art. 91 si prevede poi che i clienti con

corrano per l'intero con i creditori chirografari qualora le restitu

zioni non possano aver luogo perché il patrimonio dell'interme

diario non è separato da quello dei clienti e concorrano invece per

la parte del diritto rimasta insoddisfatta quando le restituzioni av

vengano solo in parte ai sensi del 2° comma. Analoghe disposi

zioni sono ora contenute nell'art. 57 d.leg. n. 58 del 1998.

22) La normativa in questione, che attua, in sostanza, il regi

me della restituzione delle cose mobili possedute dal fallito a

titolo precario con una peculiare regolamentazione per le ipote

si per così dire patologiche (di mancata attuazione della separa

zione verticale e incapienza dei beni), non trova applicazione

nel caso in esame non avendo carattere retroattivo.

23) Già prima comunque della normativa ricordata si discute

va della questione, sia con riferimento alle modalità con cui

doveva aver luogo la restituzione dei patrimoni dei clienti (spe

cie nei casi che si sono definiti patologici, complicati magari

dall'esistenza di gruppi di clienti distinguibili in base ad una

tipologia omogenea di investimenti), sia con riferimento all'in

dividuazione dell'organo competente alla restituzione (apparen

do complesso coordinare la normativa speciale che prevedeva

all'art. 13 1. 1/91 la figura del commissario preposto alle resti

tuzioni, con la normativa fallimentare che demanda agli organi

della procedura il compito dell'apprensione dei beni affidati al

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1323 PARTE PRIMA 1324

la Sim e della restituzione dei beni di cui il fallito ha il possesso a titolo precario, beni che il curatore ha anche l'onere di recu

perare ex art. 79 1. fall.). In giurisprudenza, al riguardo, sul

presupposto che la normativa del 1996, di per sé non retroatti

va, non possa nemmeno essere considerata norma interpretativa e dunque non nuova nel panorama normativo del settore, si

è affermato — con riferimento alle fattispecie non ricadenti sotto il vigore dell'art. 91 sopra citato — che il criterio guida per suddividere all'interno della medesima massa separata (quella cioè formata dai beni dei clienti) non possa che essere quello dell'art. 2741 c.c., cioè dell'affermazione dell'eguale diritto sul

patrimonio separato già gestito dal fallito di tutti i clienti-creditori

(così Trib. Milano, cit.). Una tale soluzione tuttavia (come an

che quella di Trib. Torino 8 febbraio 1994, id., Rep. 1994, voce

Fallimento, n. 496), non appare del tutto soddisfacente perché

appare ispirata alla dichiarata esigenza di attuare un principio di giustizia sostanziale, senza tuttavia tener conto di quelle che

possono essere le rigorose conseguenze del principio di separa zione sul piano giuridico: la separazione dei beni dei clienti dal

patrimonio della Sim (espressamente ammesso dalla curatela nel

caso di specie), non solo rende infatti estranea, per i principi

sopra ricordati, al patrimonio della società fallita la massa co stituente i beni appartenenti ai clienti (beni che quindi non po tranno essere avocati alla massa fallimentare dei creditori), ma

conferisce natura reale e non meramente obbligatoria al diritto dei clienti investitori, con la conseguente inapplicabilità dell'a

zione revocatoria ex art. 67 1. fall., non venendo in discussione il pagamento di un credito, ma la restituzione di una cosa in

comproprietà: se infatti, sempre che sia attuata la separazione c.d. orizzontale, nemmeno i fenomeni di commistione o l'inca

pienza dei beni hanno efficacia ostativa al soddisfacimento dei diritti di restituzione con fondamento reale, ciò implica la con

figurabilità di una situazione di comproprietà, come riconosce la Corte di cassazione nella pronuncia 10031/97, cit., quando afferma che, nonostante la commistione dei conti tra più fidu

cianti, questi restano effettivi proprietari della massa patrimo niale costituita dai loro beni, massa nel suo insieme distinta da quella della società.

Ora, la possibilità affermata dalla curatela attrice di configu rare l'esistenza di una massa patrimoniale distinta su cui attua re il concorso, ispirato al principio di cui all'art. 2741 c.c., dei creditori-clienti passa necessariamente attraverso l'affermazione

che il cliente non rivendichi una cosa propria (pretesa che per definizione si svolge al di fuori del concorso), ma sia titolare

del diritto alla restituzione del tantundem: la curatela però non

spiega in modo condivisibile perché la pretesa del cliente si sia trasformata da pretesa reale (come vorrebbe il principio di se

parazione, principio che anche la curatela riconosce, in genera le) in pretesa obbligatoria alla restituzione di una somma equi valente a quanto a suo tempo conferito, non apparendo corret

to, per i motivi già indicati supra, sub 11, il riferimento (sempre indicato in comparsa conclusionale) alla figura del deposito ir

regolare. D'altronde, anche in altri casi, il ricorso alla figura della comunione è servito a spiegare fattispecie particolari in tema di circolazione di valori mobiliari: a proposito dei rappor ti che la gestione centralizzata dei titoli determina tra i singoli aderenti e la Banca d'Italia, la Corte di cassazione, ad esempio (con sent. n. 7859 del 27 agosto 1996, id., 1997, I, 2237), ha avuto modo di affermare che il rapporto depositante-depositario possa essere configurato come «deposito alla rinfusa» (art. 1787

c.c.), in quanto i titoli depositati perdono, all'atto del deposito, la propria individualità e non possono quindi più essere oggetto di proprietà separata da parte dei singoli depositanti, senza pe raltro che ciò comporti l'acquisto di poteri di disposizione da

parte del depositario. Questo spiegherebbe perché l'obbligo di restituzione verso ciascun depositante non si riferisca ad un tan tundem indeterminato, da qualunque parte attinto (come nel

deposito irregolare), ma ad un tantundem determinato, doven do il bene da restituire essere prelevato dalla massa comune. E porterebbe a ritenere, altresì, che i diritti del depositante sui beni depositati si convertano in una quota di comproprietà sul la massa comune, non potendo essere ammessa l'esistenza di un diritto di proprietà (o anche solo di un diritto reale) su un bene indeterminato (art. 1378 c.c.).

24) In definitiva, la tutela degli interessi dei clienti degli inter mediari finanziari, attuata con il principio della doppia separa zione di cui si è detto, porta non solo a considerare estranei al patrimonio del fallito i loro beni e i loro valori tutte le volte

Il Foro Italiano — 2000.

che sia possibile stabilire tale distinzione tra i beni inventariati, ma suggerisce, come ricostruzione più coerente, il ricorso alla

figura della comunione per quanto attiene ai beni appartenenti

agli investitori quando all'interno degli stessi non risulti possibi le materialmente distinguere quelli di un cliente da quelli di un

altro (con esclusione, ovviamente, delle posizioni dei singoli clienti

per i quali risulti invece possibile l'individuazione dei beni spet

tanti). L'inquadramento della vicenda sul piano del diritto reale

rende quindi difficile concepire un vincolo di destinazione agli

scopi della procedura esecutiva concorsuale sul patrimonio se

parato dei clienti e quindi una massa patrimoniale costituente la garanzia generica e comune di quei creditori, al pari di quan to si verifica invece per il patrimonio del fallito; ciò che a sua volta impedisce, di conseguenza, di ritenere applicabile l'azione

revocatoria, la cui funzione recuperatoria è istituzionalmente le

gata all'esigenza di garantire l'esercizio paritetico dei diritti dei

creditori sulla massa dei beni assoggettata ex lege al soddisfaci mento di quei diritti (ultroneo appare, ai fini che interessano, scendere ad esaminare quali siano i rimedi — e chi possa atti varli — per il caso in cui, incapiente il patrimonio separato,

sorga controversia su restituzioni avvenute in asserita violazione

delle regole che, nell'ambito di quella che appare, per i motivi

detti, una divisione della comunione, avrebbero dovuto essere

seguite: il riferimento normativo più immediato sembra quello all'azione di restituzione dell'indebito, ciò che tra l'altro, ove si riconoscesse la legittimazione del curatore al riguardo — que stione peraltro dibattuta — esimerebbe quest'ultimo dalla pro va della scientia decoctionis).

25) In definitiva, tenuto conto della tardività delle allegazioni della curatela in punto di fatto ed anche della genericità di quel le, sia pure tardivamente, introdotte nella fase decisoria (ancora non è chiaro infatti se il sottoconto esistesse o meno: v. pag. 6 della comparsa conclusionale e pag. 4 della memoria di repli ca; nemmeno è chiaro cosa sia stato rinvenuto nel conto indi

stinto gestito dalla Sim per conto dei clienti: denaro, titoli, ecc.), e tenuto conto delle considerazioni di diritto sopra delineate, deve concludersi, ad avviso del giudice, che la curatela non ab

bia dimostrato che la restituzione delle somme di cui si tratta

alla parte convenuta costituisca un pagamento di credito sog getto a revocatoria fallimentare, anziché l'adempimento di un

obbligo di restituzione (a fondamento reale) attuato secondo il modello dell'art. 79 1. fall.

26) Le conclusioni a cui si è giunti rendono superfluo esami nare la questione della ricorrenza o meno del presupposto sog

gettivo costituito dalla consapevolezza dello stato di insolvenza in capo alla parte convenuta.

27) Per meri motivi di completezza, può comunque osservarsi che gli elementi addotti dalla curatela in proposito non appaio no sufficienti a fondare al riguardo un giudizio positivo, tenuto conto dell'orientamento più recente della Suprema corte secon do il quale, ai fini della revocatoria fallimentare, il presupposto soggettivo della cosiddetta scientia decoctionis non è integrato dalla mera conoscibilità, in astratto, dello stato di insolvenza del debitore, al momento dell'atto solutorio impugnato, ma dalla sua conoscenza effettiva e concreta, salva la possibilità che gli elementi di conoscibilità possano costituire, se valutati nella con cretezza del fatto sottoposto ad esame, elementi presuntivi atti a fornire la dimostrazione della esistenza della suddetta compo nente soggettiva (Cass., sez. I, 28 maggio 1997, n. 4731, id., Rep. 1997, voce cit., n. 473; nel senso che la conoscenza dello stato di decozione debba essere effettiva e non, invece, mera mente potenziale, v. anche Cass., sez. I, 7 agosto 1996, n. 7231, ibid., n. 480).

28) La curatela allega che la scientia decoctionis dovrebbe desumersi dal fatto che la parte convenuta non poteva non aver avuto conoscenza della notizia del commissariamento della Sim & Fed (avvenuto con provvedimento dell'8 novembre 1995) per ché la notizia era stata diffusa dai maggiori organi di informa zione economica (si allegano in proposito due articoli rispettiva mente di Milano Finanza e de II Sole-24 Ore), oltre che su

Internet, perché gli investitori della società fallita sarebbero da considerare soggetti esperti del settore, perché, infine, i rapporti tra gli investitori e la Sim & Fed passavano attraverso i promo tori, soggetti che tenevano informati i clienti sull'andamento della società.

Tuttavia la stessa curatela non allega mai che la Sim versasse in stato di insolvenza, ma solo deduce che, a causa delle irrego larità costituite dall'abusiva gestione dei patrimoni e dall'omes

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

sa regolare tenuta della contabilità, erano conseguiti i provvedi menti cautelari e sanzionatori previsi dalla normativa in materia

(ed anche negli articoli di giornale prodotti, del resto, si riferi sce sempre di irregolarità di gestione e mai di difficoltà econo miche della società). Ora, non solo non è possibile, ad .avviso del giudice, affermare che le irregolarità di svolgimento dell'at

tività sociale costituiscano — di per sé — prova sufficiente del lo stato di insolvenza (dal momento che non necessariamente

l'irregolarità è sintomo di insolvenza, come dimostra anche l'an

damento di altre Sim, che, pur commissariate, hanno poi ripre so la loro attività), ma nemmeno la curatela ha mai allegato con chiarezza che la Sim & Fed non solo commetteva, in quel

periodo, gravi violazioni della normativa di settore, ma si tro

vava anche in uno stato di impotenza economica caratterizzato da quegli aspetti che ne consentivano la qualificazione in termi ni di «stato di insolvenza» (art. 5 1. fall.). Senza contare che, dedotto e provato, in ipotesi, lo stato di insolvenza, resterebbe

ancora da dimostrare, anche in via presuntiva, ma con una va

lutazione degli elementi di conoscibilità calata nella concretezza del fatto sottoposto ad esame, così come affermato dalla Su

prema corte, che la parte convenuta aveva percepito, o avrebbe dovuto percepire con un comportamento sufficientemente pru dente ed accorto, gli elementi astrattamente idonei a rivelare la crisi economica della società poi fallita.

29) Pertanto, fermo restando che le osservazioni svolte sino al par. 25 circa la mancanza del presupposto oggettivo dell'a

zione revocatoria rendono di per sé impossibile dar corso all'i

struttoria chiesta dalla parte attrice al fine di dimostrare il pre

supposto soggettivo della stessa azione, deve comunque rilevar

si che, in ogni caso, le circostanze articolate nei capitoli di prova orale peccherebbero di irrilevanza (quanto poi al capitolo 11, con il quale si vorrebbe chiedere al testimone se fosse vero che la parte convenuta «venuta a conoscenza dello stato di insol

venza della Sin & Fed si è determinata a disinvestire il proprio

denaro», basti notare che la scientia decoctionis non può che

essere oggetto del risultato di un giudizio al quale il giudice ha la possibilità di pervenire se si è dimostrata la conoscenza, da parte della persona cui la predetta scientia si attribuisce, di

singoli fatti determinati: è dunque escluso, ex art. 244, 1° com

ma, c.p.c., che essa possa essere direttamente oggetto di una

prova testimoniale).

TRIBUNALE DI ROMA; ordinanza 29 dicembre 1998; Pres.

ed est. Deodato; Potenza (Avv. Pescatore, Vulcano, Ian

dolo) c. Soc. Immocri (Avv. Manzi, Oppo) e Soc. Cria (Avv.

Palandri).

TRIBUNALE DI ROMA;

Provvedimenti di urgenza — Cancellazione della trascrizione di

domanda giudiziale — Ammissibilità — Fattispecie (Cod. civ., art. 2652, 2668; cod. proc. civ., art. 700).

È ammissibile il ricorso alla tutela urgente ex art. 700 c.p.c.

per ottenere la cancellazione della trascrizione della domanda

giudiziale che, atteso il suo contenuto contrario ad ogni pre visione normativa, deve essere ritenuta utilizzazione abusiva

del diritto di azione, valutabile alla stregua di un mero atto

emulativo (nella specie, era stata trascritta la domanda di di

visione giudiziale del patrimonio sociale proposta a seguito della cessazione dell'esercizio in comune dell'attività d'impre sa sul presupposto secondo cui la summenzionata cessazione

sarebbe causa di conversione della società in comunione). (1)

(1) Il provvedimento in epigrafe affronta e risolve in senso affermati vo la questione di ammissibilità della tutela urgente ex art. 700 c.p.c. al fine di ottenere la cancellazione della trascrizione di una domanda

giudiziale. La fattispecie rinviene la propria disciplina normativa nell'art. 2668

c.c. secondo il quale la cancellazione della trascrizione delle domande

giudiziali ex art. 2652 e 2653 c.c. può essere eseguita previo accordo

Il Foro Italiano — 2000.

Rilevato che Potenza Giovanni ha proposto reclamo avverso l'ordinanza emessa ex art. 700 c.p.c., con la quale è stato accol to il ricorso presentato dalla Immocri s.p.a. per la cancellazione della trascrizione della domanda proposta da esso ricorrente con la quale questi, previo accertamento della titolarità, in capo a lui stesso e alla Immocri per le rispettive quote, del patrimonio immobiliare «schermato» dalla Cria s.r.l., ha chiesto la divisio ne giudiziale del patrimonio stesso;

rilevato che il reclamante impugna l'ordinanza per i seguenti motivi:

1) il provvedimento sarebbe stato assunto prescindendo dalle

questioni che la conversione della società in comunione com

porterebbe, laddove sia venuto meno il presupposto della strut tura associativa, e vale a dire l'esercizio in comune dell'attività di impresa (ipotesi in cui il socio, convertitosi in comunista po

delle parti oppure quando è ordinata giudizialmente con sentenza pas sata in giudicato.

In giurisprudenza, la questione relativa al se anche prima del momen to fissato dalla legge sia possibile ottenere il provvedimento de quo in via di tutela cautelare urgente è risolta perlopiù in senso negativo sul presupposto che contro la soluzione in esame muovono ragioni di ordine formale (l'ordinanza non è inserita tra i provvedimenti idonei alla cancellazione) e sostanziale (si tratta di un provvedimento provvi sorio che non si concilia con il carattere irreversibile degli effetti pro dotti): in tal senso, Cass. 27 dicembre 1993, n. 12797, Foro it., Rep. 1993, voce Provvedimenti di urgenza, n. 55, e 16 gennaio 1986, n. 251, id., Rep. 1986, voce cit., n. 79; nella giurisprudenza di merito, Trib. Salerno 30 gennaio 1995, id., Rep. 1997, voce Trascrizione, n. 50, e Dir. e giur., 1996, 464, con nota di Petitto, Trascrizione di domanda

giudiziale: per la cancellazione è proprio necessaria una sentenza passa ta in giudicato?; Trib. Torino 30 marzo 1994, Foro it., Rep. 1994, voce Provvedimenti di urgenza, n. 27.

Per l'affermativa, v. invece Trib. Catania 24 ottobre 1972, id., Rep. 1974, voce cit., n. 43, e Giur. it., 1974, I, 2, 667.

In dottrina, prevale la tesi contraria alla ricorribilità alla tutela ur

gente nella parte in cui ne risulterebbe alterata la disciplina che il legi slatore ha espressamente dettato all'art. 2668 c.c.; in tal senso, Proto

Pisani, Provvedimenti d'urgenza, voce àt\\' Enciclopedia giuridica Trec

cani, Roma, 1991, XXV, 5; Tommaseo, I provvedimenti d'urgenza. Strut tura e limiti della tutela anticipatoria, Padova, 1983, 245 s.; Dmi

Mammone, / provvedimenti d'urgenza1, Milano, 1997, 445 s. Ancora, in giurisprudenza si trova talvolta sostenuto che l'istanza

dì cancellazione della trascrizione di una domanda giudiziale effettuata fuori dei casi previsti dalla legge, può essere anche proposta in un auto nomo giudizio mentre è ancora pendente il processo instaurato con la domanda illegittimamente trascritta: in tal senso, Cass. 30 giugno 1982, n. 3933, Foro it., 1983, I, 1044 con nota di richiami.

Sul tema, occorre ricordare che l'istituto della trascrizione delle do mande giudiziali in quanto volto ad evitare che la durata del processo vada a danno dell'attore che ha ragione, assolve una funzione tipica mente cautelare.

Se questo è vero, appare chiaro che il disposto della norma de qua merita di essere portato al più presto al vaglio della Corte costituzionale sotto un duplice profilo.

a) In primo luogo, per l'evidente contrasto esistente tra la regola fis sata all'art. 2668 c.c., per cui la cancellazione della trascrizione è subor dinata al passaggio in giudicato della sentenza di rigetto della relativa domanda, ed il procedimento cautelare uniforme di cui agli art. da 669 bis a 669 quaterdecies c.p.c., con riferimento particolare all'art. 669 novies c.p.c., nella parte in cui prevede che la misura cautelare perde efficacia, tra l'altro, quando con sentenza, anche se non passata in giu dicato, è dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso (con ciò innovando la previgente disciplina di cui all'art. 683

c.p.c. che, in tema di sequestri, richiedeva allo stesso fine il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell'inesistenza del diritto caute

lato). In dottrina, il mancato coordinamento con l'art. 669 novies c.p.c. è stato rilevato da Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile2, Napoli, 1996, 675.

b) In secondo luogo, perché stando al disposto degli art. 2652 e 2653 c.c. la trascrizione della domanda giudiziale non è subordinata ad alcu na valutazione in punto di fumus boni iuris di guisa che la proposizione di una domanda anche del tutto infondata (se non addirittura abnorme) è sufficiente ad ottenere la creazione di un vincolo di inopponibilità degli atti di disposizione del bene controverso; in tal senso, Proto Pisa

ni, Lezioni di diritto processuale civile2, cit., 675. A questo riguardo, è possibile ritenere che sia proprio per ovviare

alla pericolosità insita in situazioni di questa specie che la giurispruden za — talvolta — ha considerato la tutela urgente ex art. 700 c.p.c. come strumento idoneo alla formazione di un valido provvedimento di cancellazione: un escamotage che — se anche non condivisibile a livello teorico — risulta certo comprensibile sul piano pratico. [B. Gam

bineri]

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