sentenza 3 febbraio 2004; Giud. Tona; imp. Sirignano e altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 5 (MAGGIO 2004), pp. 309/310-313/314Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199347 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA; sentenza 3 febbraio
2004; Giud. Tona; imp. Sirignano e altro.
TRIBUNALE DI CALTANISSETTA:
Ingiuria e diffamazione — Diffamazione a mezzo stampa —
Reato — Esclusione — Fattispecie in tema di critiche alla
magistratura (Cost., art. 21; cod. pen., art. 51, 595).
In tema di diffamazione a mezzo stampa, va esente da responsa bilità il giornalista che abbia stigmatizzato il merito di un
provvedimento emesso da un magistrato riferendo, tra i 'altro, che le scelte del predetto magistrato erano state giudicate non
convenienti o non condivisibili dagli altri giudici dello stesso
ufficio, considerato che la coloritura giornalistica di talune
espressioni contenute nell'articolo era volta soltanto a viva
cizzare la narrazione delle vicende (nella specie, è stato rite
nuto conforme al parametro della continenza riferire che un
magistrato avesse «caldeggiato» una proposta avanzata da
una delle parti in un procedimento pendente davanti alla pro
pria giurisdizione e che i magistrati appartenenti allo stesso
ufficio fossero rimasti «di stucco» dinanzi alle scelte del loro
collega). (1)
(1) Il riferimento giurisprudenziale più immediato in tema di di ritto di critica giornalistica esercitato in relazione alle scelte discrezio nali di un magistrato si rinviene, nella giurisprudenza di merito, in Trib. Milano 18 gennaio 2001, riportata per ampi stralci in Foro ambrosiano, 2001. 464, con nota di Palazzo, Sulla possibilità di esprimere libera mente le proprie opinioni in merito all'attività di un magistrato, nella
quale si afferma che non può essere esclusa la libertà di ogni cittadino di esprimere liberamente le proprie opinioni anche in merito all'attività del magistrato, «malgrado questa sia caratterizzata dall'impermeabilità — e dunque dall'indipendenza rispetto ai poteri esterni, quali i mass media — in quanto la corretta e puntuale attività giudiziaria rientra nel l'interesse della collettività nazionale». Dalla copertura costituzionale del diritto di critica — ritengono i giudici milanesi — esulano tutte
quelle ipotesi d'informazione pubblica che sfociano in una censura di retta contro la sfera individuale e privata del soggetto: il dissenso ri
spetto al fatto criticato deve essere espresso «in termini corretti e misu
rati e non attraverso gratuite contumelie, ingiustificate denigrazioni e
toni tanto aggressivi quanto immotivati che trovano le loro radici in re
azioni emotive o, ancora peggio, in rancori personali». In senso sostanzialmente conforme, cfr. Trib. Milano 7 marzo 2001,
ibid., 466, in cui si afferma che il diritto di critica nei confronti di chi ha istituzionalmente maggiori poteri è intrinsecamente consentito, e che l'uso di toni aspri e polemici è ammesso nel caso in cui tali accuse
«siano state rese in una situazione che comporta delicati risvolti umani
e costituiscano una reazione, pur eccessiva e frutto d'impeto, ad un
provvedimento giudiziario», ragion per cui non ha carattere diffamato
rio preannunciare una protesta alle più alte autorità dello Stato per un
provvedimento del giudice. Con riferimento ad affermazioni diffamatorie contenute in un libro,
volte a criticare l'operato complessivo di un gruppo di magistrati, v.
Trib. Trento-Cles 19 marzo 2001, Foro it., 2002, II, 5, con nota di Ni
cosia. L'orientamento emergente nella giurisprudenza di merito appare, del
resto, in linea con i principi elaborati dalla Cassazione. In tema di criti
che all'attività o, più in generale, al comportamento dei magistrati, v.
Cass. 23 gennaio 1984, Franchini, id., Rep. 1986, voce Ingiuria, n. 23; 23 aprile 1986, Emiliani, id., Rep. 1988, voce cit.. n. 9; 18 ottobre
1993, Ramenghi, id., Rep. 1994, voce cit., n. 8; 24 novembre 1994, Li
guori, id., Rep. 1995, voce cit., n. 22; 9 ottobre 1998, Montanelli, id.,
Rep. 1999, voce cit., n. 28; 4 dicembre 1998, Soluri. ibid., n. 45; 14 di cembre 1999, Sgarbi, id., Rep. 2000, voce cit., n. 21; 18 settembre
2000, Buffa, id.. Rep. 2001, voce cit., n. 12; 15 marzo 2002, Di Gio
vacchino, id.. Rep. 2002, voce cit., n. 56; 4 giugno 2001, Feltri, ibid., n.
33; 20 settembre 2000, Rinaldi Tufi, ibid., n. 46; 14 dicembre 2000,
Pacini, ibid., n. 54, dalle quali emerge che anche nei confronti del ma
gistrato sono operanti i limiti della correttezza del linguaggio, della ve
rità della notizia e della rilevanza sociale dell'argomento; tuttavia tali
limiti sono meno stringenti se esercitati nei confronti di soggetti che ri
vestono un ruolo pubblico, dato il particolare interesse della collettività
al controllo del loro operato; in ogni caso, quando dai fatti giudiziari si
prende spunto per l'illazione o l'allusione gratuita, la cronaca giudizia ria passa in secondo piano per cedere il passo ai connotati denigratori, e
quindi diffamatori, dell'articolo. Sul tema specifico dell'allusione e dell'illazione denigratoria assai
esplicita è Cass. 27 gennaio 1999, Mennella, id., Rep. 1999, voce cit., n. 52, secondo cui l'accostamento tra notizie vere — anche se insi
nuante e suggestivo — non può ritenersi denigratorio se l'esito dell'ac
costamento è la mera sommatoria logica delle informazioni accertate e
cioè se l'effetto di tale accostamento non produca sostanzialmente una
notizia nuova, non rispondente al Vero. Nello stesso senso, 21 febbraio
1995, Scalfari, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 21. Più di recente, sempre
Il Foro Italiano — 2004.
Esposizione sommaria dei motivi della decisione. — I -
L'infondatezza dell'eccezione d'incompetenza. L'avv. Biondo
ha preliminarmente eccepito l'incompetenza territoriale del
g.u.p. nisseno in ragione dell'inapplicabilità dell'art. 11 c.p.p. al
caso di specie. Il difensore ha sostenuto che all'epoca della pubblicazione
dell'articolo di cui all'imputazione (11 agosto 2002) il dott.
Edoardo Corsini, magistrato già in servizio al Tribunale di Pa
lermo, era stato sospeso dalle funzioni con provvedimento della
sezione disciplinare del Csm.
A sostegno di questa eccezione ha prodotto copia del disposi tivo di sospensione dalle funzioni emesso dalla sezione discipli nare in data 27 giugno 2001; copia del provvedimento della
stessa autorità in data 21 dicembre 2001 che revocava la so
spensione solo per alcuni capi d'incolpazione e la manteneva
per altri; copia del dispositivo della stessa autorità in data 17
ottobre 2003 con il quale veniva definitivamente revocato ogni
provvedimento di sospensione a carico del dott. Corsini.
Tale eccezione è stata rigettata perché infondata.
11 difensore ha effettivamente dimostrato che all'epoca della
pubblicazione dell'articolo asseritamente diffamatorio il magi strato odierna persona offesa era stato oggetto di provvedimento
con riferimento a fattispecie in tema di critiche alla magistratura, v.
Cass. 4 febbraio 2002, Liguori, id., 2003, II, 197, secondo cui, se è vero
che l'accostamento di notizie vere può generare una notizia nuova, non
rispondente al vero, in grado di assumere una autonoma valenza lesiva, è anche vero che il diritto di critica si concretizza nell'espressione di un
giudizio o, più genericamente, di un'opinione che, come tale, non può
pretendersi essere rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua
natura, non può che essere fondata su un'interpretazione, necessaria mente soggettiva, di fatti e comportamenti. In argomento, v. anche Ce
rase, Cronaca giudiziaria, illazioni e allusioni, in Cass, pen., 2001, 3051, il quale dopo avere preliminarmente rilevato che le illazioni e le
allusioni sono diffamatorie e non scriminate quando sono false, e dun
que non perché appartenenti ad uno stile espositivo non consentito, conclude che la problematica della illazione e dell'allusione nel conte
sto del diritto di cronaca appartiene più al requisito della verità del fatto
e non a quello della correttezza della forma. In giurisprudenza, è stato osservato inoltre da Cass. 2 ottobre 1992,
Valentini, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 31, che il metro attraverso il
quale misurare l'intensità dei giudizi espressi non può che essere diver
so in relazione al destinatario nei confronti del quale essi si rivolgono — uomo politico, comune cittadino, o comunque altro personaggio
pubblico che non sia impegnato nel dibattito politico, come ad es., un
magistrato — poiché la valutazione della continenza delle espressioni
adoperate, non si fonda su parametri oggettivi, ma riflette il contesto
sociale e politico nel quale le espressioni vengono divulgate. Nello
stesso senso, nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano 24 novem
bre 1995, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 10.
Per un'analisi più articolata del tema specifico delle critiche rivolte ai provvedimenti emessi dai magistrati, v. Cass. 4 dicembre 1998, Solu
ri, cit., secondo cui l'esimente del diritto di critica giornalistica avente
ad oggetto l'attività giudiziaria va riconosciuta o esclusa in presenza di
almeno due variabili: la prima risiede nella circostanza per cui le
espressioni usate, anche se eccessive o sovrabbondanti rispetto al con
cetto da esprimere, siano riferite rispettivamente all'atto (sotto i profili di legittimità, di merito, o anche di mera opportunità), ovvero puntino direttamente ad aggredire il magistrato autore dell'atto, nella sua inte
grità morale, personale o professionale; la seconda variabile imporreb be invece di considerare la categoria di «togati» cui si riferisce la criti ca: nel caso in cui quest'ultima consista nell'attribuzione di comporta menti asseritamente caratterizzati da parzialità, eccessiva discreziona
lità o arbitrio, tale attribuzione ha una diversa valenza a seconda che
essa riguardi un giudice (il quale, nell'esercizio della giurisdizione, de
ve essere necessariamente terzo ed ispirare il suo operato a rigorosi criteri di obiettività e serenità), o riguardi invece un magistrato del
pubblico ministero, il quale è istituzionalmente portatore dell'interesse
a veder confermata, in sede giurisdizionale, con uso largamente discre
zionale degli strumenti offertigli dall'ordinamento, la propria imposta zione accusatoria.
In particolare, la sentenza in epigrafe lascia intendere che riferire al
l'opinione pubblica l'avvio di una procedura disciplinare a carico di un
magistrato non possa essere considerata una condotta lesiva del diritto
all'onore del magistrato stesso. Per un precedente in proposito, cfr.
Cass. 28 novembre 1997, Curcio, id.. Rep. 1998, voce cit., n. 26, se
condo cui riportare in un comunicato stampa la notizia di una procedura
disciplinare a carico di un magistrato costituisce offesa alla reputazio ne, screditando detta persona pubblicamente in ordine alla mancanza di
doti professionali, se però non è vero il collegamento tra la persona
predetta e un atto del suo ufficio.
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PARTE SECONDA
di sospensione cautelare e provvisoria dalle funzioni nell'am
bito di un procedimento disciplinare a suo carico.
Non ha invece dato prova della concreta esecuzione di tale
provvedimento né dell'epoca di tale concreta esecuzione, che
per un verso è condizionata dalla rituale comunicazione al com
petente ufficio giudiziario e alla parte interessata e che per altro
verso è suscettibile di essere sospesa a seguito d'impugnazione
agli organi della giurisdizione amministrativa con procedimento cautelare.
Sicché non si ha alcuna certezza in ordine al fatto che il dott.
Corsini fosse effettivamente sospeso all'epoca della pubblica zione dell'articolo a firma della Sirignano.
In ogni caso, e anche a voler ritenere verosimile o probabile la circostanza dedotta dalla difesa, non appare condivisibile
l'interpretazione dell'art. 11 c.p.p., in base alla quale lo sposta mento di competenza sarebbe condizionato dal concreto eserci
zio delle funzioni del magistrato al momento del fatto.
La ratio dell'art. 11 c.p.p., come enucleata dal costante
orientamento giurisprudenziale, è correlata alla necessità di as
sicurare l'imparzialità del giudice procedente che potrebbe esse
re compromessa nei casi in cui giudicandi e giudicati fossero le
gati da particolari rapporti di comunanza professionale, territo
riale e di frequentazioni quotidiane (cfr., ad esempio, Cass. 5
ottobre 1998, Fimmanò, Foro it., Rep. 1999, voce Competenza
penale, n. 39; 13 dicembre 1999, La Torre, id.. Rep. 2000, voce
cit., n. 33). L'art. 11 c.p.p. non opera quando tale comunanza risulta oc
casionale o meramente temporanea (ad esempio in relazione a
soggetti appartenenti alla magistratura onoraria; cfr. le sentenze
già sopra citate). E non opera neanche nel caso in cui, al mo
mento del fatto, il magistrato sia andato ad esercitare le proprie funzioni in altro diverso ufficio giudiziario; ciò lo si ricava a
contrario dal 2° comma dell'art. 11 c.p.p. che prevede un ulte
riore spostamento di competenza solo quando il magistrato sia
stato trasferito nell'ufficio che dovrebbe occuparsi dei procedi menti a suo carico ai sensi dell'art. 11, 1° comma, c.p.p. per fatti avvenuti durante la sua permanenza nella sede precedente.
Appare allora del tutto evidente che a queste situazioni non
può essere assimilata la condizione del magistrato che sia stato
dichiarato sospeso dall'esercizio delle sue funzioni, con prov vedimento che esplicitamente dichiara la propria natura provvi soria e che, come tale, in qualsiasi momento può perdere effetti, consentendo al predetto magistrato di riprendere la propria atti
vità nell'ufficio giudiziario cui era assegnato. La tesi difensiva, dichiaratamente massimalista nell'interpre
tazione letterale della norma («... esercita le proprie funzioni o
le esercitava al momento del fatto ...»), non può essere condivi
sa perché comporterebbe la paradossale conseguenza di rendere
inoperante l'art. 11 c.p.p. nelle ipotesi di congedo ordinario o
straordinario del magistrato in servizio presso un determinato ufficio giudiziario.
Va infine evidenziato che non vi è in ogni caso prova né in ordine ad un eventuale trasferimento del dott. Corsini ad altra sede giudiziaria — anche in conseguenza di provvedimenti di
sciplinari né in ordine all'epoca di un tale eventuale trasferi mento.
2. - La sussistenza della scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca e di critica giornalistica. Va inoltre respinta la ri chiesta di attività istruttoria integrativa ai sensi dell'art. 422
c.p.p., avanzata dalle difese in sede di formulazione delle con
clusioni.
Rileva ai fini del presente procedimento il contenuto dei
provvedimenti e degli esposti a carico del dott. Corsini, che, come si vedrà, è ampiamente ricavabile già dagli atti al fasci colo.
Orbene, passando a valutare il problema della fondatezza del
l'imputazione e della sostenibilità delle relative accuse in dibat
timento, occorre previamente ripercorrere le tappe del presente procedimento.
Il dott. Edoardo Corsini, già presidente di sezione presso il
Tribunale di Palermo, assegnato al collegio per le misure di
prevenzione, ha avanzato querela in data 12 ottobre 2002 contro la giornalista Lara Sirignano ed il condirettore responsabile del Giornale di Sicilia Giovanni Pepi, lamentando di essere stato
vittima di diffamazione aggravata a mezzo stampa ad opera di
entrambi per la pubblicazione dell'articolo dal titolo «Buscemi,
Il Foro Italiano — 2004.
grandi appalti e misteri nei documenti in sequestro» sull'edizio
ne del predetto quotidiano dell' 11 agosto 2002.
Il dott. Corsini sosteneva che l'articolo conteneva afferma
zioni allusive ed insinuanti che pregiudicavano la sua onorabi
lità; il magistrato sosteneva altresì che l'imputata Sirignano si
muoveva in «un'ottica certamente persecutoria», visto che
«nelle edizioni del 15 febbraio e del 30 giugno 2001 del mede
simo quotidiano e nell'edizione n. 3/01 giugno-settembre della
rivista bimestrale Micromega - Le due Italie, gli ultimi due a
firma della medesima Lara Sirignano, tra l'altro si assumeva
falsamente che l'esponente, iscritto nel registro delle notizie di
reato della procura di Caltanissetta per il delitto di concorso
esterno in associazione mafiosa, veniva successivamente pro sciolto da tali accuse, circostanze, invero, queste mai verificate
si».
Quanto all'articolo dell'11 agosto 2002, il dott. Corsini la
mentava di essere stato «rappresentato come soggetto disponi bile a favorire Antonino Buscemi, definito l'uomo di Riina ne
gli appalti e personaggio cardine nella vicenda relativa all'im
mobiliare Raffaello».
La persona offesa citava quindi i passaggi ritenuti diffamatori
(che sono in parte riportati nell'imputazione) e ne confutava i
contenuti.
Orbene l'articolo oggetto della querela in realtà si occupava di nuovi scenari investigativi disvelati da un consulente infor
matico della procura a proposito delle società controllate da Bu
scemi, che stavano per essere sottoposte a misure di prevenzio ne.
Il «pezzo» narrava di un documento ritrovato su un floppy disk e nel quale era contenuto il piano di scissione dell'Immo
biliare Raffaello, una holding del gruppo Piazza.
All'epoca —
proseguiva l'articolo — le quote della società
appartenenti a Piazza erano sotto sequestro; quelle facenti capo a Buscemi e a Francesco Bonura non erano sottoposte a vincoli.
La Raffaello aveva un «patrimonio miliardario e un bilancio
in attivo».
A questo punto l'articolo continuava con le seguenti afferma
zioni: «per questo la proposta di liquidazione, avanzata dai soci
di maggioranza (cioè Bonura e Buscemi, n.d.r.) e caldeggiata dal giudice delegato Edoardo Corsini, lascia di stucco sia l'am
ministratore giudiziario che i magistrati della sezione misure di
prevenzione che, di questa ed altre vicende di cui il collega è
protagonista, informeranno poi il Consiglio superiore della ma
gistratura. Il no dell'amministratore non ferma l'iter di un pro cedimento che ha un solo effetto: 'sottrarre moltissimi beni im
mobili di pertinenza della Raffaello ad un prevedibile provve dimento di confisca da parte dell'autorità giudiziaria'».
La cronaca proseguiva, raccontando che nel 1998 i liquidatori avevano presentato alla camera di commercio il progetto di scis
sione dell'immobiliare, lo stesso che dalle recenti indagini ri
sultava nella disponibilità di Buscemi grazie al floppy poi can cellato.
La giornalista segnalava la singolarità del fatto che Buscemi
avesse conosciuto il piano molto prima che i liquidatori nomi nati dal giudice lo depositassero.
Occorre a questo punto verificare se sussistono gli estremi della diffamazione, come sostiene il dott. Corsini, facendo ri chiamo a diversi precedenti della giurisprudenza di legittimità ovvero se l'imputata Sirignano abbia esercitato il diritto di cro naca.
Questo giudice ritiene che preliminarmente va verificata la
corrispondenza a verità dei fatti indicati nell'articolo redatto
dall'imputata. Orbene è conforme al vero che il dott. Corsini, nell'esercizio
delle sue funzioni, disattese le valutazioni dell'amministratore
giudiziario dell'immobiliare Raffaello e dette prevalenza alla volontà dell'assemblea dei soci che spingeva per lo sciogli mento anticipato.
Dopo i provvedimenti adottati e reiterati dal dott. Corsini in
questo senso, l'ulteriore corso della procedura aveva indotto al tri magistrati a valutare come non conveniente la messa in liqui dazione della predetta società, tanto che ne fu deliberata la re voca.
Vero è pure, come ha dedotto la persona offesa, che la sezio ne disciplinare del Csm non ha ravvisato in proposito alcuna ri levanza disciplinare del comportamento del dott. Corsini; tutta via il provvedimento dell'organo di autogoverno della magi
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GIURISPRUDENZA PENALE
stratura (in data 25 gennaio 2002) dà atto delle differenti valuta
zioni formulate dai magistrati intervenuti nel procedimento do
po il dott. Corsini e afferma l'irrilevanza disciplinare delle deci
sioni di quest'ultimo, solo perché frutto di apprezzamento di
screzionale.
Per contro non appare conculcabile il diritto del giornalista di
riportare le eventuali differenti decisioni dei magistrati e di sot
toporle ad apprezzamento critico nei limiti della continenza.
Lara Sirignano altro non fa nell'articolo in questione che
stigmatizzare il merito del provvedimento, sottolineando in par ticolare come siano risultate non convenienti e non condivise le
scelte del dott. Corsini; e ciò fa in base all'apprezzamento di
screzionale di altri giudici che andarono di contrario avviso al
l'orientamento dell'odierna persona offesa.
La particolare coloritura giornalistica di talune espressioni è
volta solo a vivacizzare la narrazione delle vicende senza trava
licare i limiti di continenza: dire che il dott. Corsini abbia «cal
deggiato» la proposta di liquidazione dei soci, corrisponde di
fatto a descrivere un comportamento che obiettivamente sposò la decisione di questi ultimi, anche disattendendo le contrarie
valutazioni dell'amministratore giudiziario; dire che i magistrati della sezione misure di prevenzione e l'amministratore giudizia rio siano rimasti «di stucco» dinanzi alle decisioni del dott. Cor
sini comporta un'agevole deduzione sui sentimenti e le rifles
sioni che condussero tali soggetti a determinazioni ben diverse
da quelle dell'odierna persona offesa.
Che la vicenda fu poi segnalata al Csm, al pari di altre, dai
colleghi del dott. Corsini è un fatto che si ricava autonoma
mente proprio dal procedimento disciplinare a suo carico e che
ha avuto ben più ampia pubblicità. Va infine rilevato che l'articolo segnala due fatti considerati
inquietanti: il primo è appunto la possibilità che lo scioglimento della Raffaello finisse per sottrarre beni alla confisca; tale pos sibilità risulta dalle stesse successive decisioni dei magistrati che hanno proceduto dopo il dott. Corsini e non si può certo fare
colpa alla giornalista di averla ritenuta condivisibile. Il secondo
fatto segnalato è la disponibilità del piano di scissione da parte di Buscemi prima dell'effettiva pubblicizzazione; anch'esso ap
pare obiettivamente meritevole di sottolineatura (la sua corri
spondenza al vero non è smentita dagli atti) e la conoscenza di
una tale grave circostanza appare conforme al pubblico interes
se. L'articolo non stabilisce alcun esplicito legame tra questo fatto e il comportamento del dott. Corsini; essi sono riferiti nello
svolgimento della narrazione di tutte le vicende inerenti l'inda
gine sulla società Raffaello.
Quanto ai connotati insinuanti dello stile della rappresenta zione dei fatti, nonché all'ottica persecutoria che sarebbe dimo
strata dal precedente articolo della Sirignano pubblicato sulla
rivista Micromega, il g.u.p. osserva che mentre i contenuti di
quest'ultimo sin dal titolo («Edoardo Corsini da Montelepre») rivelano una chiara tesi degli autori, evidentemente volta a de
scrivere il magistrato come persona assai accomodante con una
certa categoria di imputati o di parti, lo stesso non può dirsi per l'articolo di cui all'odierna imputazione.
Il «pezzo» pubblicato dal Giornale di Sicilia si limita a se gnalare, come si è visto, fatti conformi al vero e di interesse ge nerale e a sottolinearne la singolarità; la correlazione instaurata
tra di essi — meramente tematica e cronologica — non appare
tendenziosa, ma lascia aperta ogni valutazione del lettore; non
sono stati taciuti altri fatti di analogo rilievo, tale non potendo essere il provvedimento della sezione disciplinare già sopra ci
tato, che peraltro non entrava nel merito della fondatezza delle
valutazioni e che in ogni caso aveva prosciolto il dott. Corsini
solo in relazione ad alcune contestazioni, mentre aveva inteso
irrogare provvedimenti a suo carico per altre condotte denun
ciate unitamente a quella di cui si occupava l'articolo in que stione.
Tutti questi argomenti, di immediata evidenza, conducono
questo g.u.p. a ritenere che la condotta della Sirignano sia ri
conducibile all'esercizio del diritto di cronaca e di critica gior nalistica.
Ne consegue che la stessa non è punibile ai sensi dell'art. 51
c.p.
Consegue altresì che non è sostenibile in dibattimento nean
che l'accusa di omesso controllo da parte del direttore respon sabile del Giornale di Sicilia, Giovanni Pepi, stante la liceità dei
contenuti dell'articolo pubblicato dal suddetto quotidiano.
Il Foro Italiano — 2004.
TRIBUNALE DI FORLÌ; sentenza 9 dicembre 2003; Giud.
Montagni; imp. Leonidou.
TRIBUNALE DI FORLÌ;
Omicidio e lesioni personali colpose — Omicidio colposo —
Responsabilità del medico-chirurgo per omesso impedi mento della morte di un paziente — Reato — Esclusione —
Fattispecie (Cod. pen., art. 40, 589; cod. proc. pen., art. 425).
Va pronunciata sentenza di non luogo a procedere perché il
fatto non sussiste, in relazione all'accusa di omicidio colpo so, nei confronti del medico che abbia omesso di prescrivere
tempestivamente ad una paziente, pur in presenza di sintomi
indicativi della possibile insorgenza di un tumore al seno, un
esame mammografico, con conseguente ritardo nella diagnosi e nell'inizio della terapia, allorché residui un insuperabile dubbio sulla efficacia condizionante della condotta omissiva
addebitata rispetto alla morte della paziente successivamente
verificatasi. (1)
( 1 ) La sentenza in epigrafe intende, per sua espressa ammissione, fa re concreta applicazione dei rigorosi principi fissati, in materia di ac certamento del nesso di causalità nei reati omissivi impropri e in parti colare nei casi di responsabilità medica, da Cass., sez. un., 10 luglio 2002, Franzese, Foro it., 2002, II, 601, con nota di Di Giovine, che co stituisce in atto il punto di arrivo di un lungo travaglio giurispruden ziale.
Al sanitario si imputava nel caso di specie di non avere tempestiva mente richiesto un controllo mammografico, unico strumento diagno stico idoneo a svelare l'insorgenza di un tumore al seno, fin dal mo mento in cui la paziente aveva lamentato un anomalo indurimento di
quest'ultimo, vale a dire un sintomo indicativo della possibile esistenza della suddetta patologia.
Accertato, sulla base delle indicazioni fornite dal collegio peritale: che l'effettuazione tempestiva di una mammografia difficilmente avrebbe consentito, già all'epoca dell'insorgenza dei primi sintomi, di individuare l'esistenza di un tumore; che il ritardo nell'avvio della cor retta terapia non aveva avuto influenza determinante sul decorso del
male; che la morte della paziente si era comunque verificata dopo un
periodo di tempo pari alla speranza di vita del 58,7 per cento dei pa zienti che si trovino nelle stesse condizioni, anche se tempestivamente sottoposti a intervento; e infine che il ritardo diagnostico aveva deter minato una perdita di probabilità di sopravvivenza oltre tale periodo solo del 15-20 per cento, il giudice conclude nel senso della sussistenza di un insuperabile dubbio sulla ipotesi che l'evento dannoso potesse es sere scongiurato o anche solo posticipato ponendo in essere la condotta doverosa omessa, la quale non potrebbe pertanto essere considerata condizione necessaria dell'evento.
Di conseguenza, all'esito dell'udienza preliminare, ritenendo assente
ogni margine per poter sostenere efficacemente l'accusa in giudizio, il
g.u.p. ha pronunciato nei confronti dell'imputato sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, ai sensi dell'art. 425, 3° com
ma, c.p.p. Sembra alquanto evidente, in proposito, il riferimento impli cito a Cass., sez. un., 10 luglio 2002, cit., laddove si afferma che «l'in
sufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella
produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'i
potesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio». Nella giurisprudenza di merito, per un caso di assoluzione di un pri
mario ospedaliero dall'accusa di omicidio colposo — in relazione alla morte di due pazienti seguita ad alcune diagnosi errate — come conse
guenza dell'adozione di un modello rigoroso di accertamento del nesso causale che rifugge dal ricorso a giudizi genericamente probabilistici, v. già Pret. Roma 26 settembre 1997, id.. 1999, II, 268, con nota di ri
chiami, e ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali. Per un caso di erronea interpretazione dei risultati di un esame
mammografico incompleto e di omessa prescrizione di ulteriori accer tamenti ad opera di un medico radiologo ospedaliero — con conse
guente decesso di una paziente affetta da carcinoma duttale al seno —, deciso invece dal giudice di merito nel senso della sussistenza della re
sponsabilità penale per omicidio colposo, v. Pret. Ascoli Piceno-San Benedetto del Tronto 2 ottobre 1999, id., 2000, II, 511, con nota di
Fiandaca, il quale rilevava come nel caso di specie il giudice, pur avendo affermato in astratto di voler adottare un modello rigoroso di
spiegazione causale, non sembrasse però aver tenuto fede a tale propo sito e avesse finito in concreto per ricadere nell'utilizzo di schemi di ti
po probabilistico (aumento o mancata diminuzione del rischio). Per un caso di omessa diagnosi di carcinoma al seno e omessa pre
scrizione di ulteriori esami strumentali ancora da parte di un medico
radiologo ospedaliero, anch'esso deciso dal giudice di merito nel senso della sussistenza del reato di lesioni personali colpose in danno della
paziente, ma stavolta in conseguenza dell'adozione esplicita di un mo dello di accertamento del nesso causale meno rigoroso, v. infine Pret.
Modena-Carpi 7 giugno 1999, ibid., 202, con nota di Genovese, e ivi ulteriori richiami giurisprudenziali.
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