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Sentenza 3 giugno 1965; Pres. Giurazza P., Est. Fernicola; Asborno (Avv. Morace) c. Soc. Hotel...

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Sentenza 3 giugno 1965; Pres. Giurazza P., Est. Fernicola; Asborno (Avv. Morace) c. Soc. Hotel Miramare (Avv. Coppa) Source: Il Foro Italiano, Vol. 89, No. 2 (FEBBRAIO 1966), pp. 375/376-379/380 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23155491 . Accessed: 28/06/2014 18:23 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.71 on Sat, 28 Jun 2014 18:23:22 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: Sentenza 3 giugno 1965; Pres. Giurazza P., Est. Fernicola; Asborno (Avv. Morace) c. Soc. Hotel Miramare (Avv. Coppa)

Sentenza 3 giugno 1965; Pres. Giurazza P., Est. Fernicola; Asborno (Avv. Morace) c. Soc. HotelMiramare (Avv. Coppa)Source: Il Foro Italiano, Vol. 89, No. 2 (FEBBRAIO 1966), pp. 375/376-379/380Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23155491 .

Accessed: 28/06/2014 18:23

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PARTE PRIMA

provvedimenti contemplati dall'art. 2409 possono essere

adottati anche su richiesta del p. m., non è dissimulato

che, si aggiunge, in tema di società per azioni, « l'interesse

pubblico coincide di regola con l'interesse sociale e l'inte

resse del socio in tanto costituisce oggetto di tutela giuridica in quanto trovasi sullo stesso piano dell'interesse sociale ».

Senonchè è agevole rilevare che in tali asserzioni non si

riscontra affatto, anzi rimane elusa, la dimostrazione d'una

obiettiva diversità di interesse, che rimane postulata solo in funzione dei soggetti, cui compete di denunziare

il fondato sospetto di gravi irregolarità nell'adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci.

Appare invece chiaro che il rimedio di cui all'articolo

in esame, così come apprestato, nelle sue caratteristiche

sostanziali e formali di attuazione, è dato ai soci di mino

ranza non a salvaguardia di interessi enunciati in una loro

individualità, ma soltanto quali portatori dell'interesse so

ciale. Quello particolare del socio è presidiato, nell'organico e poliedrico ordinamento della società, dall'azione di respon sabilità contro gli amministratori (art. 2395) e i sindaci

(art. 2409, ult. comma) ; mentre la denunzia dei soci, al

pari della richiesta del p. m., accordata dall'art. 2409, sta a rappresentare solo il meccanismo inteso ad assicurare, in ogni modo, anche in via sostitutiva, un'ordinata ammini

strazione. Epperò la minoranza persegue e realizza tutto

il proprio interesse legittimo solo in quanto espressione del

l'interesse generale prevalente, reputato dalla norma degno di speciale protezione.

Nelle note autorizzate, il Carbone facendosi carico di

sopperire alla sopra rilevata lacuna di motivazione del

provvedimento, pone poi in evidenza, attraverso la disa

mina degli art. 32 e 35 della legge n. 141 del 1938, che alla

Banca d'Italia « spetta di vigilare sul buon governo tecnico »

e non sulle infrazioni di legge e di statuto, che non si ri

solvono in irregolarità tecniche.

Anche questa obiezione però non regge, ove si consideri

che la costante e penetrante ingerenza nell'amministra

zione, che si attua, in materia di raccolta del risparmio e

di esercizio del credito, secondo le norme contenute nei

titoli V e VI della citata legge, non può non essere assor

bente rispetto alle « gravi irregolarità dei doveri degli am

ministratori e dei sindaci », contemplate dall'art. 2409 ; mentre ogni diversa violazione di legge e di statuto che non

assurga al malgoverno, può, se mai, costituire fonte auto

noma di responsabilità, allorché abbia leso il diritto sog

gettivo del socio (art. 2395 e 2407 cod. civile). Il resistente deduce ancora che avendo il codice civile

introdotto, con il disposto dell'art. 246, espressa deroga nei riguardi delle sole società azionarie d'interesse nazio

nale, resterebbe per ciò stesso esclusa ogni altra eccezione.

L'equivoco è però evidente : l'art. 2461 si riferisce a

tutte le società per azioni d'interesse nazionale, indipen dentemente dall'attività esercitata : coordina quindi le di

sposizioni del capo VI, titolo II, libro V del codice civile con

le leggi speciali « che stabiliscono per le società per azioni

di interesse nazionale una particolare disciplina circa la

gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto

e la nomina degli amministratori, dei sindaci e dei dirigenti ».

Nell'ipotesi in esame, invece, al di là della deroga es

pressa, bisogna far luogo all'ordinario procedimento inter

pretativo per coordinare la legge posteriore generale, con

la legge speciale in vigore nel particolare settore della rac

colta del risparmio ed esercizio del credito, considerate

«funzioni di interesse pubblico» (art. 1 della cit. legge). Non può quindi che competere all'interprete di provve dervi (art. 15 preleggi), nell'osservanza, bene inteso, del

l'art. 251 delle disposizioni di attuazione e transitorie del

codice civile, secondo cui « quando nel codice o in queste

disposizioni si fa riferimento a istituto di credito in detta

espressione s'intendono comprese, oltre l'istituto di emis

sione, le imprese autorizzate e controllate, a norma delle

leggi vigenti, dall'ispettorato per la difesa del risparmio e l'esercizio del credito ». Peraltro la Corte di cassazione

ha di recente ritenuto, anche nei confronti di un'impresa

bancaria, priva della prescritta autorizzazione, il difetto

di giurisdizione del giudice ordinario, in relazione alla na tura di attività, elevata a funzione d'interesse pubblico e come tale soggetta « per lo speciale meccanismo di ricono sciuta delicatezza e le ripercussioni sulla economia nazio

nale, a rigorosa disciplina » e soprattutto « a controllo pre ventivo e repressivo dell'amministrazione », indispensabile per assicurare il perseguimento dei fini d'interesse generale (Sez. un. 13 marzo 1965, n. 425, Foro it., 1965, I, 618).

Ulteriore argomento di conferma proviene dalla infon datezza della tesi, affermata dal tribunale, del regime ecce zionale cui risultano sottoposte le banche popolari, deno minazione questa riservata « soltanto alle società coopera tive a responsabilità limitata, autorizzate alla raccolta del

risparmio o all'esercizio del credito » (art. 1 decreto legisl. 10 febbraio 1948 n. 105).

Il codice civile, con il disposto dell'art. 2516 rinvia, quanto alle società cooperative, alla disciplina delle so cietà per azioni « in quanto compatibili con le disposizioni seguenti e con quelle delle leggi speciali ». Per talune cate

gorie di cooperative, tra cui quelle che esercitano il cre

dito, il successivo articolo testualmente coordina le norme

comprese nel titolo VI del libro V con le leggi speciali, ren dendole applicabili « in quanto compatibili ».

E apertamente l'art. 2542 pone le cooperative sotto il

controllo dell'autorità governativa, da attuarsi secondo 11 decreto legisl. 14 dicembre 1947 n. 1577. Se non che questo speciale regime riceve ulteriore deroga per le sopra menzio nate « banche popolari », le quali vengono esentate per es sere appunto assoggettate alle disposizioni del r. decreto

legge 12 marzo 1936 n. 375 e successive modificazioni (art. 3 decreto legisl 10 febbraio 1948 n. 105). Sicché, per le so cietà cooperative « autorizzate alla raccolta del risparmio e all'esercizio del credito », pur in presenza di apposita normativa elaborata per tutelare, in deroga alla legge co

mune, adeguatamente la cooperazione, è data preferenza al più minuzioso e penetrante controllo tecnico contem

plato dalla legge bancaria. Resta in tal modo dimostrato

che, nell'ordinamento vigente, quest'ultima legge si gradua come del tutto eccezionale e tale da prevalere sulla stessa

deroga esplicitamente sancita dal codice in via generale

per le cooperative. In merito, infine, alla concreta incompatibilità tra il

controllo di merito previsto per le imprese bancarie e quello

giudiziario ex art. 2409 cod. civ., basta profilare l'inevi

tabile convergenza degli insindacabili poteri spettanti alla

Banca d'Italia, con quelli cautelari che dovrebbe esercitare

l'autorità giudiziaria durante o in esito dell'ispezione, e, ancor più, l'insanabile contrasto, che si verificherebbe nel

l'evenienza di nomina contemporanea di un commissario

straordinario da parte dell'autorità amministrativa e di

un amministratore giudiziario da parte del tribunale.

Affermata quindi la inapplicabilità dell'art. 2409 alle

imprese bancarie, va revocato il decreto emesso dal tri

bunale.

Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI NAPOLI.

Sentenza 3 giugno 1965 ; Pres. Ciurazza P., Est. Ferni

cola ; Asborno (Aw. Mobace) c. Soc. Hotel Miramare

(Aw. Coppa).

Società — Società a responsabilità limitata — Impu

gnazione di deliberazione assembleare — Onere

di depositare il certificato di quota — Insussi

stenza (Cod. civ., art. 2378, 2486). Società — Società a responsabilità limitata — Eredi

del socio — Trasierimento della quota —■ Omessa

iscrizione nel libro dei soci — Legittimazione al

voto — Insussistenza (Cod. civ., art. 2479, 2485).

L'impugnazione di una deliberazione assembleare di società

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

a responsabilità limitata non deve essere preceduta dal

deposito in cancelleria del certificato di quota. (1) Oli eredi del socio di società a responsabilità limitata, che non

abbiano provveduto all'iscrizione nel libro dei soci del l'avvenuto trasferimento della quota del loro dante causa, non sono legittimati all'esercizio del diritto di voto. (2)

Il Tribunale, ecc. — Preliminare è l'indagine sull'ecce

zione di improcedibilità della domanda per non aver l'at

tore depositato, a norma del combinato disposto degli art. 2378 e 2486 cod. civ., un estratto del libro dei soci o

un certificato attinente la sua titolarità di una quota so

ciale.

L'eccezione è infondata. Per vero, la disposizione di

cui al 2° comma dell'art. 2378 cod. civ., che prescrive il deposito in cancelleria di almeno un'azione da parte del

socio opponente nel procedimento di impugnazione di deli

berazioni assembleari, è inapplicabile, nel caso in cui trat

tasi di società a responsabilità limitata (Cass. 1° dicembre

1959, n. 3486, Foro it., 1960, I, 1357). Infatti la disciplina citata è applicabile soltanto alle

società per azioni atteso che la finalità essenziale della

norma è quella di evitare contestazioni e discussioni pre liminari sulla legittimazione dell'impugnante e di rendere

il giudizio d'impugnazione il più spedito possibile. L'azione

è titolo di credito, in cui è incorporato lo status di socio, laddove nella società a r. 1. le quote di partecipazione dei

soci non possono essere rappresentate da azioni, ossia da

titoli di credito.

Questa strutturale differenza spiega la ragione della

inapplicabilità della norma di cui al 2° comma dell'art.

2378 alla società a r. 1. Al riguardo è stato giustamente os

servato che la necessità del preventivo deposito di almeno

un'azione è richiesta non solo allo scopo di provare la le

gittimazione del socio all'impugnazione, ma altresì per as

sicurare che la qualità di socio permanga nel corso del giu dizio.

Ora, siffatto scopo può conseguirsi col deposito, soltanto

nel caso di società per azioni, ove la vendita del titolo de

termina il trasferimento alla qualità del socio, laddove

(1-2) Conforme alla prima massima la più recente giuri sprudenza : Trib. Roma 14 gennaio 1960, Foro it., 1960, I, 1423

(con nota di richiami) ; Cass. .1° dicembre 1959, n. 3486, ibid., 1357 ; Trib. Roma 16 novembre 1959, id., Rep. 1961, voce So

cietà,i n. 315. Sulla necessità del preventivo deposito in cancelleria di al

meno una azione, nell'ipotesi di impugnativa di deliberazioni assembleari di società per azioni, fra le altre : Trib. Roma 23

marzo 1962, id., 1962, I, 799, e App. Milano 16 aprile 1960, id., i960, I, 1019.

Ha ritenuto che l'obbligo del deposito di un'azione sussista anche nel caso di opposizione a deliberazioni assembleari di so

cietà cooperative Trib. Catania 17 giugno 1960, id., Rep. 1961, voce Impresa cooperativa, n. 23. Contra App. Roma 26 aprile 1960, id., Rep. 1960, voce cit., n. 20.

In dottrina, Santini, Società a responsabilità limitata, in

Commentario, a cura di A. Scialoja e G. Branca, 1964, pag. 162 (ove ampi richiami di dottrina e di giurisprudenza).

Mancano, sulla seconda massima, precedenti in termini.

Per qualche riferimento, possono vedersi : Trib. Genova 15

giugno 1959, Foro it., 1960, I, 1758 (che ha ritenuto non legitti mati all'esercizio dell'azione ex art. 2377 cod. civ. gli eredi del

socio di società a responsabilità limitata, che non abbiano fatto

iscrivere il trasferimento della quota sul libro dei soci) e Trib.

La Spezia 22 maggio 1956, id., Rep. 1956, voce Società, nn.

304, 305 (che ugualmente ha ritenuto la mancanza di legittima zione dell'erede del socio defunto, sempre nell'ipotesi di non

iscrizione dell'avvenuto trasferimento della quota, a proporre l'azione ex art. 2409 cod. civile).

Sul valore dell'iscrizione del trasferimento di quote nel

libro dei soci —• ai fini di rendere il trasferimento stesso efficace

nei confronti della società —• Trib. Roma 15 novembre 1962,

id., 1963, I, 602 ; App. Roma 18 luglio 1962, id., Rep. 1963, voce cit., nn. 238, 239 ; Trib. Genova 15 giugno 1959, cit.

In dottrina : Santini, op. cit., pag. 104 e seg. ; B. Biondi,

Trasferimento di quote e funzione del libro dei soci nella società

a responsabilità limitata, in Banca, borsa, ecc., 1959, II, 226

(che non considerano però l'ipotesi del trasferimento mortis causa).

Il Foro Italiano — Volume LXXXIX — Parte 1-25.

nella società a r. 1., mancando un titolo in cui sia incorpo rata la qualità di socio, il preventivo deposito del certifi cato di quota non garantirebbe la permanenza nel corso del

giudizio della qualità stessa.

Nella società a r. 1. essendo socio solo chi è iscritto nel libro dei soci, la società è sempre in grado di conoscere i soci. Ne consegue che, ai fini della prova della legittima zione, è necessario far riferimento al libro dei soci nel caso di impugnazione di delibera di assemblea di società a r. 1.

Nella specie, dalla copia del verbale di assemblea 8

luglio 1961 della società a r. 1. Hotel Miramare e dal libro dei soci, si evince che l'attore era ed è socio della società convenuta.

Ciò posto, osservasi che la domanda è fondata. La norma di cui all'art. 2479, 2° comma, dispone che il trasferimento delle quote ha effetto di fronte alla società dal momento dell'iscrizione nel libro dei soci. La norma riguarda sia il

trasferimento per atto tra vivi che per successione a causa di morte.

Invero l'iscrizione del socio nel relativo libro rientra nello schema della pubblicità costitutiva interna, attesa la struttura della società a r. 1. In questa, infatti, le quote di partecipazione dei soci non possono mai essere « anonime »

pur essendo trasferibili per atto tra vivi e per la succes sione mortis causa.

Siffatta specificazione nominativa o soggettiva rileva

inanzitutto ai fini dell'osservanza delle condizioni per la

costituzione della società (art. 2475, nn. 1 e 5) e della pro cedura per l'iscrizione della società costituita nel registro delle imprese (art. 2475, ult. comma, in relazione agli art. 2330 e 2343).

L'iscrizione nel libro dei soci è operativa di effetti anche

nell'ambito dei rapporti tra i soci. Si considerano ad es.

le disposizioni degli art. 2342 e 2343, che, dettate per la

società per azioni, si applicano anche alla società a r. 1., relativamente all'obbligo, salvo patto contrario, di confe

rire in denaro e alla valutazione dei conferimenti in natura, eventualmente ammessi. Al riguardo è, pure, utile fare

riferimento agli art. 2254 e 2295 relativi alla garanzia degli

oggetti conferiti.

La rilevanza dell'iscrizione nel libro dei soci può essere de

sunta, altresì, dall'esame della norma di cui all'art. 2477, che riguarda il mancato pagamento delle quote e la non

legittimazione del diritto di voto.

Si consideri ancora la norma di cui all'art. 2481 secondo cui in caso di cessione della quota l'alienante è obbligato solidalmente con l'acquirente per il periodo di tre anni dal

trasferimento per i versamenti ancora dovuti.

Ora, sulla base di un'interpretazione teleologica delle

richiamate disposizioni, si può agevolmente concludere che

ad una complessa funzione d'individuazione soggettiva

adempie l'iscrizione dei soci nel relativo libro, cioè in quel libro obbligatorio (art. 2490, n. 1) nel quale debbono essere

indicati il nome dei soci, e i versamenti fatti sulle quote, nonché le variazioni delle persone dei soci.

Infine è da rilevare che la società a r. 1. costituisce un

quid medium fra la società per azioni e le società personali.

Invero, l'atto costitutivo può vietare la alienazione delle

quote. Inoltre, in caso di espropriazione della quota, la

vendita della stessa può restare senza effetto per l'aggiudi

catario, se, entro dieci giorni, la società presenti un altro

acquirente a parità di prezzo. Questi elementi evidenziano

in modo particolare l'intuitus personae tra i soci, richia

mano ancora una volta la natura di atto di pubblicità costi

tutiva relativa e non assoluta, nel senso che gli effetti del

l'iscrizione operano solo nei confronti della società. Ben vero, anche in caso di intrasferibilità il trasferimento della quota non può mai essere impedito in relazione agli effetti tra

alienante ed acquirente, ma il suo effetto non opera verso

la società, laddove, in caso di trasferibilità, il trasferimento

ha effetto, di fronte alla società, soltanto mediante l'iscri

zione di esso nel libro dei soci.

Le argomentazioni svolte inducono a ritenere, per quanto attiene alla titolarità del diritto di voto e alla legittima zione al suo esercizio, che la legittimazione richiede sol

tanto la prova della titolarità del diritto, il problema della

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PARTE PRIMA

legittimazione rispetto alla quota risolvendosi esclusiva

mente nella prova della normatività o titolarità soggettiva. Per vero la sola forma di legittimazione è quella deri

vante dal libro dei soci.

Ne consegue che alle assemblee possono partecipare sol

tanto i soci, che risultino iscritti nel relativo libro al mo

mento della adunanza (art. 2484, 1° comma, e 2486) pur

non operando le limitazioni poste al diritto d'intervento

dei soci dall'art. 2370, che non risulta richiamato nel 2°

comma dell'art. 2486.

Alla stregua delle svolte considerazioni, deve ritenersi

che gli eredi del socio Fontana Gaetano erano privi di le

gittimazione nell'esercizio del diritto di voto, per il motivo

che non era stato, all'epoca dell'8 luglio 1961, iscritto nel

libro dei soci il trasferimento mortis causa delle quote.

Non essendo stato seguito il regolare procedimento di

votazione, la deliberazione 8 luglio 1961 deve considerarsi

nulla ; infine deve rilevarsi che la deliberazione non si

salva alla « prova di resistenza ».

Deve, di conseguenza, dichiararsi la nullità della deli

berazione impugnata, nel punto riguardante la nomina di

Bianca Russo ved. Fontana a componente il consiglio di

amministrazione della società convenuta.

Non può, per contro, accogliersi la domanda diretta

ad ottenere che gli amministratori siano tenuti a prendere,

in un termine da fissare, i provvedimenti conseguenti al

l'annullamento. Trattasi, invero, di obbligo che agli am

ministratori incombe ope legis, (art. 2377, 3° comma), per

il che la richiesta declaratoria sarebbe inutiliter data.

Per questi motivi, ecc.

Rivista di Giurisprudenza [ostiniate e Ovile

Tribunale «lei minorenni — Goimpulati mafjcjiori

«li diciotto anni Incompetenza del tribunale —

Questione infondata di costituzionalità (Costi

tuzione, art. 3 ; r. d. 1. 20 luglio 1934 n. 1404, istitu

zione e funzionamento del tribunale per i minorenni,

art. 9, 2° comma).

È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 9,

2° comma, la parte, r. decreto legge 20 luglio 1934 n. 1404,

che esclude dalla competenza del tribunale per i minorenni

i procedimenti penali per i reati commessi dai minori di

diciotto anni quando vi siano coimputati maggiori, in rife

rimento all'art. 3 della Costituzione. (1)

Corte costituzionale ; sentenza 8 febbraio 1966. n. 10

(Gazzetta ufficiale 12 febbraio 1966, n. 38) ; Pres. Ambro

sini P., Rei. Fragali ; ini]). Ferrari e Donati.

(1) L'ordinanza 12 gennaio 1965 del Pretore di Iseo è massi

inata in Foro it., 1965, II, 230, con nota di richiami, cui adde

Floridia, in Riv. it. dir. proci pen., 1965, 578, in nota alla ordi

nanza. La sentenza 13 luglio 1963, n. 130 della Corte costituzionale,

richiamata nella motivazione della presente, leggesi in Foro

it., 1963, I, 1602, con nota di richiami, cui adde Pizzorusso, in

Giur. it., 1963, I, 1, 1309 ; Somma, in Riv. it. dir. proc. pen.,

1963, 975 ; Ranieri, in Scuola positiva, 1964, 262.

***

La sentenza è così motivata : « La sentenza di questa corte

del 13 luglio 1963, n. 130 (Foro it., 1963, I, 1602) ha deciso che

non contrasta con l'art. 25 della Costituzione la deroga alla

competenza generale del tribunale dei minorenni, quando siano

coimputati maggiori e minori dei diciotto anni ; e ciò sotto il

riflesso che essa è ispirata alla necessità del simultaneas processus

per ogni caso di connessione, che è alla base di uno dei criteri

fondamentali di attribuzione della competenza giurisdizionale. « Questa deroga non contraddice nemmeno alla norma del

l'art. 3 della Costituzione, come ora invece dubita il Pretore di

Iseo. « Non vi contraddice perchè la circostanza che il minore

degli anni diciotto sia imputato in concorso con persone di età

maggiore, causa una situazione diversa da quella in cui imputati siano soltanto minori, e rende inevitabile una normativa parti colare. L'unicità del procedimento è, in questo caso, giustificata dalla esigenza di uniformità nel giudizio sull'accertamento del

fatto e sulla sua valutazione ; che è una regola razionale di scelta

legislativa, a preferenza dell'altra implicante la separazione dei

procedimenti, la quale crea rischio di incoerenze o di contrasti

d-i decisioni, oppure soltanto di incompletezza nell'esame dei

fatti. Presupposta la necessità di precostituire la competenza di

uno solo di quegli organi giurisdizionali che ne avrebbero po tuto avere l'attribuzione, la legge ha ritenuto opportuno attrarre

il minore nella competenza del giudice precostituito per il maggiore

degli anni diciotto, anziché portare quest'ultimo innanzi al giu dice dei minorenni, sulla base di una valutazione della concreta

idoneità dei due organi all'esplicazione della rispettiva funzione

nel procedimento unico. Questa corte, nella citata sentenza del

13 luglio 1963, n. 130, ha avvertito che la scelta compiuta dalla

legge non può formare oggetto di sindacato di legittimità costi

tuzionale ; e il giudizio così espresso deve ora essere confermato,

sia perchè il simultaneus processus potrebbe talora essere imposto

proprio da una esigenza di uguaglianza fra i coimxmtati ove si

consideri il pericolo già accennato di difformità di giudizio sulle

medesime ipotesi di fatto, sia perchè la legge istitutiva del tribu

nale dei minorenni dà la possibilità della separazione dei processi

ove l'unico processo non fosse ritenuto indispensabile. La norma

che permette tale divisione fu dichiarata illegittima con la sud

detta sentenza 13 luglio 1963, soltanto nella parte in cui affidava

al procuratore generale della corte d'appello ogni decisione sulla

opportunità dello spostamento di competenza, e gli dava po

teri espressamente qualificati come esenti da qualsiasi sindacato.

La stessa sentenza faceva « salva una nuova disciplina della

materia » ; ma la mancanza attuale di questa nuova normativa

nè include l'illegittimità costituzionale del principio di separa

bilità dei procedimenti, nè travolge nell'illegittimità costituzio

nale la regola che unifica il processo innanzi all'organo ordinario,

ove debba essere ritenuto inscindibile. Potrebbe, se mai, imporre

di intendere il sistema nella sua completezza, per decidere se esso,

quando, nella singola fattispecie, l'unione non si giustifichi,

solleciti l'ordinaria competenza del giudice a pronunciare sulla

necessità della scissione, per meglio realizzare la volontà della

legge istitutiva del tribunale dei minorenni.

« Non si vede pertanto come il principio di uguaglianza resti

compromesso dalla norma denunciata, che contiene in sè un tem

peramento al rigore della regola di connessione. Quando questo

temperamento non risulta attuabile, la diversità di trattamento

che il minore riceve rispetto ad altri minori dipende, sia quanto

alla competenza sia quanto al procedimento e quindi alla spe

cializzazione della difesa (sulla quale particolarmente si sof

ferma l'ordinanza di rimessione), da una diversità sostanziale

della situazione che si determina quando sono coimputati mag

giori e minori di diciotto anni rispetto a quella che si concreta

quando gli imputati hanno tutti una età minore dei diciotto anni.

Questa diversità va considerata anche se implica il sottrarre

competenza ad un giudice specializzato, perchè i principi della

connessione non concernono soltanto problemi di ripartizione

di competenza tra giudici ordinari, come invece ritiene il Pretore

di Iseo (arg. 49 cod. proc. penale). « Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non

fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9

2° comma, la parte, del r. decreto legge 20 luglio 1934 n. 1404,

concernente l'istituzione e il funzionamento del tribunale dei

minorenni, proposta dal Pretore di Iseo con ordinanza del X2

gennaio 1965, in riferimento all'art. 3 della Costituzione».

Iteato continuato — Concorso formale omogeneo —

Incostituzionalità della normativa — Questione

infondata (Costituzione, art. 3 ; cod. pen., art. 81,

2° e 3° comma).

È infondata la questione di costituzionalità dell'art.

81, 2° e 3° comma, cod. pen., che esclude dal trattamento

più favorevole il caso della pluralità di violazioni commesse

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