sentenza 3 marzo 1986, n. 42 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 12 marzo 1986, n. 10); Pres.Paladin, Rel. Andrioli; Soc. A. Amato (Avv. Clarizia, Guarino, Sena) c. Soc. C. Amato; interv.Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Baccari). Ord. App. Salerno 31 gennaio 1978 (G. U. n. 313del 1978)Source: Il Foro Italiano, Vol. 109, No. 9 (SETTEMBRE 1986), pp. 2103/2104-2105/2106Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23180628 .
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2103 PARTE PRIMA 2104
Diritto. — 4. - La connessione obiettiva tra le norme sospettate di illegittimità costituzionale dal Tribunale di Ascoli Piceno e dal Pretore di La Spezia induce a procedere a congiunta deliberazio ne nella quale non può questa corte tener conto delle argomenta zioni scritte e orali svolte nell'interesse del Righetti la cui difesa si è tardivamente costituita.
5. - Il Tribunale di Ascoli Piceno ha ravvisato violazione dell'art. 38, 2° comma (« i lavoratori hanno diritto che siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita
in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupa zione involontaria ») Cost, in ciò che l'art. 112, 1° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 (riprodotto supra 1.1.), con statuire che il termine di tre anni, fissato per la prescrizione dell'azione diretta a conseguire le prestazioni assicurative, prenda a decorrere dal
giorno dell'infortunio, si applica anche all'ipotesi — verificatasi nella specie controversa — in cui il danno si manifesti solo in
tempo successivo a quello dell'infortunio.
Senonché l'interpretazione dell'art. 112, 1° comma, che ha
indotto il Tribunale di Ascoli Piceno a provocare l'incidente in
esame è disattesa dal dominante orientamento esegetico che,
prendendo le mosse dalla Corte cost. 116/69 (Foro it., 1969, I,
2076) resa nella contigua materia delle malattie professionali, è
da vario tempo avviato nel senso che il termine prescrizionale di
tre anni prende a decorrere dalla manifestazione del danno
provocato dall'infortunio. Ne segue che la questione sollevata dal
giudice a quo va dichiarata infondata in quanto l'art. 112, 1°
comma, è da interpretare in guisa tale che il termine triennale
prenda a decorrere dalla data della manifestazione del danno
provocato dall'infortunio.
6. - La giurisprudenza dell'organo giudiziario, cui nel campo delle norme sottordinate compete il magistero della nomofìlachia, ha a chiare note rescritto che il tema della prescrizione dell'azio
ne diretta a conseguire le prestazioni assicurative dovute per infortuni sul lavoro e malattie professionali è dominato dal solo
art. 112, 1° comma, e pertanto non residua spazio per l'art. 2943, 1° e 4° comma, ex., per modo che infortunati sul lavoro e affetti
da malattie professionali possono interrompere il corso della
prescrizione sol con domanda giudiziale di esercizio dell'azione e
non anche con ogni altro atto che valga a costituire in mora il
debitore.
Le possibilità in minor misura riservate a infortunati e affetti
da malattie professionali rispetto ai creditori per altri titoli non
costituiscono di per sé violazioni del principio di eguaglianza
perché l'esigenza di non ritardare oltre il triennio l'accesso alla
giustizia è giustificata dalla necessità di non rendere più ardua, se
non impossibile, la ricerca dei fatti e la ricostruzione delle
situazioni nelle quali si sostanziano infortuni sul lavoro e malattie
diversi dalla proposizione dell'azione a differenza di quanto prevede per i secondi l'art. 2943, 4° comma, c.c.
La corte conferma l'esattezza di questa interpretazione (ritenendola legittima) sulla scorta della giurisprudenza della Cassazione (cui rico nosce espressamente in motivazione la funzione di nomofìlachia « nel
campo delle norme sottordinate ») che, pur prevalente in tal senso, non è però univoca: ne dissentono sez. un. 6 novembre 1980, n. 5945, id., 1981, I, 409, con nota di richiami; sez. lavoro 14 dicembre 1983, n.
7387, id., 1983, I, 2983, con osservazioni di V. Ferrari, e 11 maggio 1984, n. 2904, id., 1985, I, 849, con nota di richiami; mentre
esprimono l'orientamento prevalente, anche da ultimo, sent. 7 marzo
1986, n. 1529, id., Mass., 271; 25 febbraio 1986, n. 1160, ibid.,
218; 21 novembre 1985, n. 5750, id., Mass., 1062; 26 febbraio
1985, n. 1661, ibid., 318, e sez. un. 8 ottobre 1985, n. 4857, Corriere giur., 1985, 1205, che peraltro ribadisce il principio rias
sunto nella prima massima sulla decorrenza della prescrizione ex art. 112, 1° comma, t.u. 1124/65. Nel senso che il termine
triennale previsto dalla norma cit. è di prescrizione e non di
decadenza, v. Cass. 27 aprile 1985, n. 2755, Foro it., Mass., 518. Sulla
sospensione della prescrizione durante la fase di liquidazione in via
amministrativa delle prestazioni, ma solo per il tempo fissato per l'esaurimento della liquidazione, v. Cass. 21 novembre 1985, n. 5758,
ibid., 1063. Cass. 24 gennaio 1984, n. 588, id., Rep. 1984, voce Infortuni sul
lavoro, n. 295, e in Riv. infortuni, 1984, II, 109, afferma l'inidoneità
interruttiva della domanda giudiziale di rendita da malattia professio nale ai fini del diritto alla rendita da infortunio, non potendosi oltre
tutto trasformare l'una domanda nell'altra. Nel senso che è sufficiente il deposito del ricorso entro il triennio ad
interrompere la prescrizione, v. Pret. Napoli 3 ottobre 1984, Lavoro
80, 1985, 336. In dottrina, oltre ai riferimenti contenuti nelle note cit., cfr. M. De
Luca, Prescrizione triennale relativa a prestazioni erogate dall'I.n.a.i.l.:
« revirement » della Cassazione in tema di interruzione, in Riv. it. dir.
lav., 1984, II, 853; nonché F. Conti, Prestazioni I.n.a.i.l., in Nuova
giur. civ., 1985, I, 173.
professionali: peculiarità che non si riscontrano nella generalità dei rapporti credito-debitori.
Ma se violazione del principio di eguaglianza non era lecito
ipotizzare nei primi anni di applicazione del t.u. del 1965, in cui
ben sarebbesi potuto replicare all'infortunato sul lavoro e al
l'affetto da malattia professionale che lasciasse trascorrere il
triennio senza proporre domanda giudiziale: « chi è causa del suo
mal pianga se stesso », il rito speciale del lavoro introdotto dalla
1. 11 agosto 1973 n. 533, con separare l'imploratici iudicis offici dalla vocatio in ius e con subordinare la notificazione al conve
nuto del ricorso introduttivo del giudizio alla prolazione del
decreto pretorile di fissazione dell'udienza di discussione —
separazione non svuotata di pratico contenuto per l'impossibilità di anticipare con gli strumenti interpretativi previsti nell'art. 12
disp. prel. c.c. al primo elemento della fattispecie a formazione
successiva nella quale s'inquadra la domanda giudiziale descritta nel rito speciale del lavoro — vieta di addossare all'infortunato sul
lavoro e all'affetto da malattia professionale i tempi della prola zione del decreto pretorile di fissazione dell'udienza di discussio
ne, in difetto del quale non si può effettuare la vocatio in ius.
Niun dubbio che, se questa corte non sancisse la parziale incostituzionalità dell'art. 112, 1° comma, nei termini del disposi tivo che va a dettare, il trattamento riservato agli infortunati sul
lavoro e agli affetti da malattie professionali sarebbe in notevole
grado deteriore rispetto a quello della comune dei creditori: da
un lato sarebbe ad essi preclusa la utilizzazione dei mezzi
stragiudiziali previsti nell'art. 2943, 1° e 4° comma, c.c. e dall'al
tro lato sarebbero astretti ad integrare la propria iniziativa
giudiziale con la fissazione, da parte dell'adito pretore, dell'udien
za di discussione tra le quali — dispone il novellato art. 415, 4°
comma, c.p.c. — « non devono decorrere più di sessanta giorni ».
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti gli incidenti
iscritti ai nn. 450/79 e 358/82, a) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di
Ascoli Piceno, in riferimento all'art. 38, 2° comma, Cost., con
l'ordinanza in epigrafe, dell'art. 112, 1° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 (t.u. delle disposizioni per l'assicurazione obbligato ria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali)
interpretato nel senso che l'azione per conseguire le prestazioni assicurative si prescriva nel termine di tre anni decorrente
nell'ipotesi in cui il danno si manifesti in tempo successivo
all'evento dal tempo della manifestazione del danno e non dal
tempo dell'infortunio; b) dichiara l'illegittimità costituzionale del
l'art. 112, 1° comma, d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in
cui non prevede che il termine triennale di prescrizione dell'azio ne per conseguire le prestazioni assicurative sia interrotto a far
tempo dalla data del deposito del ricorso introduttivo della
controversia, effettuato nella cancelleria dell'adito pretore, e
seguito dalla notificazione del ricorso e del decreto pretorile di
fissazione dell'udienza di discussione.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 3 marzo 1986, n. 42
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 marzo 1986, n. 10); Pres. Paladin, Rei. Andrioli; Soc. A. Amato (Avv. Clarizia,
Guarino, Sena) c. Soc. C. Amato; interv. Pres. cons, ministri
(Avv. dello Stato Baccari). Orci. App. Salerno 31 gennaio 1978 (G.U. n. 313 del 1978).
Marchio — Adozione di marchi comprendenti il nome patronimi co di omonimi imprenditori concorrenti — Divieto — Efficacia
retroattiva — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 25, 41, 42; 1. 21 marzo 1967 n. 158, modifica dell'art. 13 r.d. 21 giugno 1942 n. 929, in materia di brevetti per marchi
d'impresa, art. unico).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art, unico l. 21 marzo 1967 n. 158, recante modifica dell'art. 13, 2"
comma, r.d. 21 giugno 1942 n. 929, nella parte in cui non consente la coesistenza di marchi comprendenti il nome patro nimico di omonimi imprenditori concorrenti, sia pure con
l'aggiunta di idonei elementi differenziatori, anche con riguardo alle situazioni già consolidate nel vigore dell'originario art. 13 r.d. n. 929/42, in riferimento agli art. 25, 2" comma, 41 e 42, 2° e 3° comma, Cost. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione della Corte d'appello di Salerno è massimata in Foro it., 1979, I, 591, con nota di R. Pardolesi, cui adde Trib. Torino 12 luglio 1975, Giur. ann. dir. ind., 1975, nn.
Il Foro Italiano — 1986.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Fatto. — 1.1. - Con sent. 14 dicembre 1976-17 febbraio 1977, il
Tribunale di Salerno, sezione I civile, dichiarò la convenuta s.p.a. Amato Antonio responsabile di concorrenza sleale nei confronti della attrice s.p.a. Cosimo Molini e Pastifici in liquidazione per uso illegittimo dei segni distintivi di impresa limitatamente al
periodo compreso tra l'entrata in vigore della 1. 21 marzo 1967 n. 158 e la cessazione definitiva della produzione e del commercio della società attrice, e per l'effetto condannò la convenuta al
risarcimento in favore dell'attrice del relativo danno da deter
minarsi e liquidarsi in separato giudizio; rigettò le altre domande
proposte dalla società attrice dichiarando assorbito l'esame della
riconvenzionale condizionata della convenuta; dichiarò interamen te compensate tra le parti le spese del giudizio.
1.2. - Con ordinanza emessa il 31 gennaio 1978 (notificata il 16 e comunicata il 27 del successivo maggio; pubblicata nella G. U. n. 313 dell. 8 novembre 1978 e iscritta al n. 394 r.o. 1978) la Corte d'appello di Napoli — sezione distaccata di Salerno,
premesso che la s.p.a. Antonio Amato e C. eccepiva la incostitu zionalità della 1. 21 marzo 1967 n. 158 e quindi dell'art. 13, 2°
comma, r.d. 25 giugno 1942 n. 929 per quanto concerne l'appli cazione della norma alle situazioni già consolidate nel vigore del testo originario dell'art. 13 (in particolare, quando nella adozione successiva dello stesso nome fossero stati introdotti elementi idonei a differenziare i marchi ed in esecuzione di convenzione intervenuta tra i titolari di marchi con lo stesso nome patronimi co) e ritenuto che l'art. 13, nella nuova formulazione, più non
consente la coesistenza di marchi comprendenti il nome patroni mico di omonimi imprenditori concorrenti pur con l'aggiunta di
idonei elementi differenziatori e pare disporre, in via assoluta ed
inderogabile, la prevalenza del marchio anteriore su quello suc
cessivo non più legittimamente utilizzabile e che la 1. n. 158/67 era da consolidata giurisprudenza ritenuta di natura pubblicistica ed incidente anche su situazioni pregresse, ha reputato la 1.
158/67 in contrasto con gli art. 25, 2° comma, Cost, e 11 disp. prel. c.c. perché verrebbe ad essere data efficacia retroattiva con
conseguenze anche in situazioni legittimamente consolidate, con
l'art. 41 Cost, perché verrebbe a comprimersi il libero svolgimen to della iniziativa economica privata di alcuni ad esclusivo
vantaggio di altri della medesima categoria, con l'art. 42, 2° e 3°
comma, Cost., perché verrebbe ad espropriarsi il bene patrimo niale (marchio) senza corrispondere indennizzo ha la sollevata
questione di costituzionalità giudicato non manifestamente infon data e pregiudiziale alla decisione della controversia di merito in
quanto la s.p.a. Cosimo Amato in liquidazione ha posto a
fondamento della propria pretesa la ripetuta legge. (Omissis) Diritto. — 3.1. - Con l'art, un. 1. 21 marzo 1967 n. 158, l'art.
13, 2° comma, r.d. 21 giugno 1942 n. 929 (« coloro ai quali spetta il diritto alla ditta, sigla od insegna, hanno anche la facoltà
745, 564 (in tale sentenza per la prima volta è stata presa in esame la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 r.d. 21 giugno 1942 n. 929 nuovo testo, prospettata con riferimento agli art. 2, 3 e 41 Cost. Il Tribunale di Torino, decidendo nel senso della manifesta infondatezza di tutti i dubbi di legittimità costituzionale sollevati in quella sede, chiariva in particolare come la norma in esame, avendo per scopo la tutela dell'iniziativa economica privata contro i pericoli di turbamento derivanti dalla confondibilità dei marchi, non fosse da ritenere in contrasto con il dettato dell'art. 41 Cost.).
Sul vecchio e sul nuovo testo dell'art. 13 v. in dottrina, oltre ai riferimenti contenuti nella nota cit., G. Puoti, Note in margine alla l. 27 marzo 1967 n. 158, in Dir. fall., 1969, I, 163; P. Crugnola, Trasferimento del marchio e questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico l. 27 marzo 1967 n. 158, in Giust. civ., 1983, I, 2446; e da ultimo, P. Crugnola, Uso come marchio del nome e del ritratto di una persona, in Riv. dir. ind., 1983, I, 195.
La corte liquida laconicamente tutti i dubbi di legittimità costituzio nale sollevati dal giudice a quo precisando in particolare come la norma in discorso, costituendo espressione del generale principio prior in tempore, potior in iure, sia perciò da ritenere non con trastante con l'art. 41 Cost. A ben vedere, però, il novellato art. 13 r.d. 929/42 non solo e non tanto è da intendere come applicazione del canone suddetto (tale argomento, da solo, non sarebbe forse
sufficiente a giustificare la conformità all'art. 41 Cost.), quanto piutto sto è da collocarsi in una più ampia prospettiva di tutela della
collettività dei consumatori dal pericolo di inganni e frodi, assicuran
do, fra l'altro, l'inconfondibilità delle indicazioni relative alla prove nienza dei prodotti, a garanzia di interessi, quindi, aventi sicura
rilevanza costituzionale. In questo senso v. App. Napoli 17 marzo
1981, Foro it., Rep. 1983, voce Marchio, n. 63; conforme Cass. 20
novembre 1982, n. 6259, id., Rep. 1982, voce cit., n. 19. Nel senso
invece, dell'illegittimità costituzionale della norma in discorso, partico larmente con riferimento all'art. 42 Cost., si era pronunciato in dottrina P. Rescigno, Nome civile, marchio, confondibilità, in Giur. it., 1978,
I, 2, 137.
esclusiva di farne uso come marchio, per la loro industria od il
loro commercio. Il proprio nome, o la sigla corrispondente, può essere usato come marchio. Quando però questo sia costituito
dallo stesso nome, ditta, sigla, od insegna usati da altri in un
marchio anteriore per prodotti o merci dello stesso genere, deve
essere accompagnato da elementi idonei a differenziarlo ») è stato
cosi' modificato: « coloro ai quali spetta il diritto al nome, alla
ditta, sigla o insegna, hanno la facoltà esclusiva di farne uso
come marchio, per la loro industria o il loro commercio, purché non sia costituito da un nome, ditta, sigla o insegna uguale o
simile a quello usato da altri in un marchio anteriore per
prodotti o merci dello stesso genere ».
La modificazione è stata giustificata dalla constatazione che
l'onere, imposto dall'art. 13, 2° comma, r.d. 929/42, di accompa
gnare i marchi patronimici con elementi idonei a differenziarli
da omonimi marchi non era, alla luce dell'esperienza, apparsa
efficace; cosi la relazione illustrativa della proposta di legge di
modifica dell'art. 13, 2° comma, d'iniziativa del deputato Bima,
presentata alla camera il 18 febbraio 1964, nella quale non si
mancava di porre in rilievo l'opportunità di adeguare la patria
legislazione sui marchi al « Projet d'une loi uniforme pour la pro tection des Marqes de fabrique », proposto dalla CEE, il cui art.
3 prevedeva che il nome di un marchio — sia di fantasia o di
nome patronimico — non deve essere uguale né rassomigliante ad
un altro marchio depositato né porre sullo stesso piano sia i
marchi costituiti da nomi patronimici che quelli costituiti da altre
indicazioni.
3.2. - La constatazione che la giurisprudenza, su cui si è
fondato il giudice a quo per dire incidente l'art, un. 1. 158/67 su
situazioni pregresse, non può dirsi « consolidata » al punto da
rappresentare alla data della ordinanza di rimessione (31 gennaio
1978) diritto vivente, non esime dallo scrutinare la fondatezza del
sospetto di incostituzionalità questa corte che in non pochi incontri
non ha esitato a verificare la conformità alla Carta costituzionale
di interpretazioni di norme, alle quali pur si affiancavano altra o
altre interpretazioni, rilevando sf la interpretazione ritenuta con
traria ai dettami costituzionali ma non vietando altra o altre
interpretazioni non soggette al vaglio di legittimità. 4. - Tali punti fermati, il contrasto, dal giudice a quo ravvisato,
tra il testo dell'art. 13, 2° comma, r.d. 929/42, quale modificato in
virtù dell'art, un. 1. 158/67, da un lato e gli art. 25, 41 e 42, 2° e
3° comma, Cost, dall'altro lato non sussiste.
L'art. 25 non può essere esteso fuori della materia penale nè a
tanto giova il richiamo dell'art. 11 disp. prel. c.c., che non ha
vigore costituzionale e comunque non ha carattere assoluto.
I valori della iniziativa economica privata pur nel rispetto dell'utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità
umana, garantiti dall'art. 41, non sono menomamente offesi dalla
norma impugnata, che mira — traverso il rispetto del canone,
prior in tempore potior in iure — ad assicurare al titolare del
marchio patronimico preminenza rispetto a chi usa in un tempo successivo lo stesso contrassegno d'identificazione del prodotto senza altri elementi d'identificazione di cui la esperienza aveva
svelato la inidoneità.
L'art. 42, 2° e 3° comma, lungi dal porre in dubbio la
legittimità della norma impugnata, ne fornisce giustificazione
perché anche la titolarità e il godimento dei beni immateriali
vanno armonizzati con l'interesse sociale, la cui sussistenza nel
caso di specie non compete a questa corte verificare.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione d'illegittimità costituzionale dell'art, un. 1. 21 marzo
1967 n. 158 (modifica dell'art. 13 r.d. 21 giugno 1942 n. 929 in
materia di brevetti per marchi d'impresa), sollevata, in riferimen
to agli art. 25, 2° comma, 41, 42, 2° e 3° comma, Cost., con
ordinanza 31 gennaio 1978 (n. 394 r.o. 1978) della Corte d'appel lo di Napoli - sezione distaccata di Salerno.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 febbraio 1986, n. 32
(Gazzetta ufficiale, 1* serie speciale, 12 febbraio 1986, n. 6);
Pres. Paladin, Rei. La Pergola; Angella ed altri; Lissoni ed
altri c. Min. pubblica istruzione ed altri; interv. Pres. cons,
ministri. Ord. T.A.R. Lombardia 12 ottobre 1977 (G. U.
n. 201 del 1978) e 22 marzo 1979 (G. U. n. 298 del 1979).
Istruzione pubblica — Personale non insegnante non di ruolo —
Passaggio ad altra carriera della stessa amministrazione —
Conservazione dello stipendio — Esclusione — Questione in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 36, 76, 97; 1. 30 luglio 1973 n. 477, delega al governo per l'emanazione di norme sullo
Il Foro Italiano — 1986.
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