sentenza 30 aprile 1984, n. 120 (Gazzetta ufficiale 16 maggio 1984, n. 134); Pres. Elia, Rel.Conso; Martini e altri; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Siconolfi). Ord. Pret.Torino 16 dicembre 1981 (Gazz. uff. 15 settembre 1982, n. 255); Pret. Saluzzo 25 maggio 1982(id. 23 febbraio 1983, n. 53); Pret. Torino 2 novembre 1982 (id. 8 giugno 1983, n. 156)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 5 (MAGGIO 1984), pp. 1171/1172-1175/1176Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175668 .
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PARTE PRIMA 1172
del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fiscale (art. 12 1. 9 maggio 1975 n. 153). Tale figura, individuata dapprima in sede comunitaria (direttive nn. 159 e
160 del 1972) e quindi accolta nella legislazione nazionale, è stata
giustamente considerata pienamente rispondente ai requisiti sog gettivi per la proficua gestione del fondo agricolo. Infatti sono
stati previsti nei confronti dell'imprenditore predetto agevolazioni e incentivi idonei al proseguimento dell'attività di un settore
generalmente depresso (vedasi I. n. 153 del 1975 cit.). Pertanto non
consentito, in base ai parametri degli art. 41 e 44 Cost., deve ritenersi il trattamento riservato al detto imprenditore dall'art. 30
della legge impugnata, il quale contiene una disciplina contorta e
contraddittoria che, in definitiva, permette l'estromissione di lui
dall'impresa, equiparandolo in tal modo al concedente « assentei sta ».
Analogamente non può ritenersi consentita la conversione for zosa nei confronti dei concedenti che osservano in maniera
adeguata i doveri inerenti alla condirezione dell'impresa mezzadri
le, pur non possedendo i rigorosi requisiti prescritti dal citato
articolo, resi più rigidi dalla legislazione nazionale rispetto alla normativa comunitaria, che indica il 50 per cento (in luogo dei due terzi) dell'attività lavorativa e del reddito da lavoro.
La corretta osservanza dei doveri del concedente, secondo i più elementari canoni di esperienza e di logica, non può, invero, non far ritenere l'efficace funzionalità dell'impresa mezzadrile, sicché in questo caso la conversione automatica non trova razionale fondamento.
II fine di stabilire equi rapporti sociali, prescritto dall'art. 44
Cost., impone al legislatore ordinario di intervenire per un
superiore fine di giustizia, ossia per stabilire un equilibrio sostan ziale fra le diverse categorie interessate e rimuovere cosi gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei coltivatori all'organizzazione econo mica del paese: equilibrio che chiaramente rimane escluso in
presenza di una normativa che privilegia smisuratamente e senza alcun valido fondamento razionale una parte a danno dell'altra
(cfr. per riferimenti sent. 5 aprile 1974, n. 107, id., 1974, I, 1274).
11. - I rilievi sopra formulati trovano riscontro anche nei lavori
preparatori della legge, essendosi le commissioni parlamentari della giustizia e degli affari costituzionali, oltre ad alcuni parla mentari, espresse contro l'indiscriminata conversione automatica, la quale non poteva ritenersi costituzionalmente corretta: preci samente, venne osservato che la premessa, da cui il legislatore muoveva, (e cioè l'assenteismo verificatosi nella maggioranza dei
casi) non giustificava una disciplina legale assolutamente genera lizzata, che si rilevava ictu oculi incoerente ed arbitraria.
Critiche sostanzialmente coincidenti sono state mosse da una vasta corrente dottrinale, comprendente i sostenitori dell'istituto della conversione in sé considerato, che hanno proposto di limitarne la previsione esclusivamente nei confronti dei conceden ti « assenteisti ».
Ed infine può ricordarsi come in Francia tale istituto, pur in mancanza — il che è molto significativo — di espressi vincoli di carattere costituzionale, quali invece quelli esistenti negli art. 41 e 44 della nostra Cost., è stato previsto soltanto in alcuni casi, nei
quali emergono il disinteresse del concedente e il conseguente pregiudizio derivante all'impresa agricola (art. 417/11 Code rural modificato dal decreto n. 83-212 del 16 marzo 1983).
Le gravi conseguenze dell'indiscriminata conversione non sono
sfuggite alla difesa dei mezzadri, la quale ha sostenuto che esse
possono essere impedite con l'esercizio del diritto di ripresa previsto dall'art. 42 1. n. 203 del 1982 in esame e che comunque i concedenti hanno diritto al « premio » previsto dall'art. 42, lett. g), 1. n. 153 del 1975 cit.
Tali argomenti peraltro non sembrano convincenti. Per quanto concerne il primo di essi, è sufficiente osservare che
il diritto di ripresa (mutuato dalla legislazione francese, nella
quale però, come si è detto, la conversione è stata ragionevol mente limitata) è subordinato >a tutte le condizioni elencate nelle lettere a), b), c) e d) del cit. art. 42, tra cui primeggiano quella di essere coltivatore diretto o equiparato e l'assunzione dell'obbli
go di coltivare per nove anni il fondo direttamente o a mezzo dei propri familiari. Al riguardo va osservato che queste condi zioni non sono ammissibili nei confronti del concedente che ha correttamente osservato i propri doveri e intende mantenere la
propria posizione di imprenditore senza assumere l'impegno o avere la possibilità di coltivare direttamente il fondo: sono evidenti per vero le irrazionalità ed iniquità del sistema verso
chi, adeguatamente cooperando al buon funzionamento dell'im
presa agricola, dà il suo contributo per lo sviluppo e il potenzia mento del settore e quindi non può essere allontanato per la
mera scelta del mezzadro, il quale, peraltro, di tale partecipazione si è in precedenza giovato.
Relativamente al secondo argomento difensivo, è sufficiente
replicare che l'art. 42 1. n. 153 del 1975 (e cioè molto anteriore
all'entrata in vigore della 1. n. 203 del 1982) non prevede un
indennizzo finalizzato a compensare una limitazione coattiva, bensì un semplice premio diretto ad incentivare il volontario
ricorso all'affitto: sicché non è possibile né sotto il profilo
giuridico della qualificazione né sotto quello economico (ossia della sua entità), la pretesa equiparazione, che peraltro, è sempli cemente affermata senza che sia stata data alcuna valida dimo
strazione.
13. - Conclusivamente deve dichiararsi l'illegittimità costituzio
nale dell'art. 25 1. 3 maggio 1982 n. 203 nella parte in cui
prevede che, nel caso di concedente il quale sia imprenditore a
titolo principale iai sensi dell'art. 12 1. 9 maggio 1975 il. 153, ovvero abbia comunque dato un adeguato apporto alla condire
zione dell'impresa di cui ai contratti associativi previsti nel 1°
comma del cit. art. 25, la conversione richiesta dal mezzadro
abbia luogo senza il consenso del concedente stesso. Ovviamente
spetta al giudice del precesso civile accertare la concreta adegua tezza nei singoli casi dell'attività svolta dal concedente nella
conduzione dell'impresa. Tale dichiarazione di illeggittimità determina anche quella del
l'art. 30 relativo all'imprenditore a titolo principale, la cui posi zione risulti compresa nella ora indicata pronuncia.
La pronuncia stessa assorbe poi la censura relativa all'art. 4
Cost. — il quale tutela ogni forma di lavoro — perché il
concedente, il quale ha adeguatamente contribuito alla conduzio
ne dell'impresa agricola trova, a seguito di essa, quella piena tutela che, invece, non spetta al concedente « assenteista ».
Di conseguenza va presa in considerazione la posizione del
mezzadro che non ottiene la conversione per il mancato consenso del concedente, non prevista dalla normativa in esame: perciò, in
applicazione dell'art. 27 1. n. 87 del 1953, va altresì' dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, 1° comma, lett. b, della
legge impugnata nella parte in cui non comprende anche il oaso di non avvenuta conversione per mancata adesione del conceden
te che sia imprenditore a titolo principale o che comunque abbia
dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa mezza
drile di cui ai contratti associativi previsti nel 1° comma dell'art.
25 della stessa legge: sicché anche in tali casi il contratto di
mezzadria in corso avrà la durata di dieci anni ivi stabilita.
Per questi motivi, la Corte costituzionale riuniti i giudizi: a) ■dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 25 1. 3 maggio 1982 n. 203 nella parte in cui prevede che, nel caso di concedente il
quale sia imprenditore a titolo principale ai sensi dell'art. 12 1. 9
maggio 1975 n. 153 o comunque abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impresa di cui ai contratti associativi previ sti nel 1° comma dello stesso art. 25, la conversione richiesta dal
mezzadro o dal colono abbia luogo senza il consenso del conce
dente stesso; b) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 della stessa legge; c) in applicazione dell'art. 27 1. n. 87 del 1953, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, 1° comma, lett.
b), 1. n. 203 del 1982 nella parte in cui non comprende anche il caso di non avvenuta conversione per mancata adesione del concedente che sia imprenditore a titolo principale o che comun
que abbia dato un adeguato apporto alla condirezione dell'impre sa di cui ai contratti associativi previti nell'art. 25, 1° comma, della medesima legge; d) dichiara per il resto non fondata la
questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 25 1. cit., sollevata dalle ordinanze in epigrafe in riferimento agli art. 3, 4, 41, 42, 43, 44 e 46 Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 aprile 1984, n. 120
(Gazzetta ufficiale 16 maggio 1984, n. 134); Pres. Elia, Rei.
Conso; Martini e altri; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello
Stato Siconolfi). Ord. Pret. Torino 16 dicembre 1981 (Gazz. uff. 15 settembre 1982, n. 255); Pret. Saluzzo 25 maggio 1982
(id. 23 febbraio 1983, n. 53); Pret. Torino 2 novembre 1982
{id. 8 giugno 1983, n. 156).
Pena — Applicazione della sanzione sostitutiva — Parere sfavo
revole del p.m. — Carattere vincolante per il giudice — Que stioni infondate di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 101, 102,
111; 1. 24 novembre 1981 n. 689, modifiche al sistema penale, art. 77, 78).
Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli art.
77 e 78 l. 24 novembre 1981 n. 689, nella parte in cui
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
prevedono il carattere vincolante per il giudice del parere
negativo espresso dal p.m. circa l'applicazione della sanzione
sostitutiva, dovendosi intendere che l'effetto preclusivo del
parere stesso sia limitato alle fasi dell'istruzione e del predibat
timento, in riferimento agli art. 3, 1" comma, 24, 1° e 2°
comma, 101, 2" comma, 102, 1° comma, e 111, 2° comma, Cost. (1)
Diritto. — 1. - Le tre ordinanze in epigrafe sottopongono alla
corte questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente coin
cidenti; i relativi giudizi vengono, pertanto, riuniti per essere
decisi con un'unica sentenza.
2. - Oggetto comune di censura è quella parte dell'art. 77, 1°
comma, 1. 24 novembre 1981 n. 689, che subordina al «parere favorevole del pubblico ministero » la possibilità per il giudice di
« disporre con sentenza, su richiesta dell'imputato ..., l'applica
ci) L'ordinanza di rimessione Pret. Torino 16 dicembre 1981 è massimata in Foro it., 1982, li, 546, ed è commentata da Ghiara,
Applicazione delle sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato, in
Giust. pen., 1982, III, 588. La medesima questione è stata sollevata anche da varie altre
ordinanze, tra cui cfr. Pret. Palestrina 13 ottobre 1982, Foro it., 1983, II, 496.
Come in molte delle successive, nelle tre ordinanze decise dalla
sentenza riportata la questione si è posta dopo l'apertura del dibatti mento. Il presupposto interpretativo accolto dai giudici a quibus è
dunque che il parere contrario del p.m. inibisca l'applicazione delle sanzioni sostitutive non soltanto in sede istruttoria e predibattimentale. Aderiscono a questa « lettura », facendone altresì salva la legittimità costituzionale, Cordero, Procedura penale, Milano, 1982, 461; M. e F.
Galasso, Il nuovo sistema delle sanzioni amministrative e le altre
modifiche dell'ordinamento penale, Roma, 1982, 123; S. Guarino, La
richiesta dell'imputato di sanzioni sostitutive, in Giur. merito, 1983,
IV, 565; Chiavario, « Patteggiamento » e potere discrezionale del
giudice, in Modifiche al sistema penale, a cura di Magistratura democratica, sezione Piemonte e Valle d'Aosta e dell'Istituto piemonte se di scienze economiche e sociali A. Gramsci, Milano, 1982, 139;
Castaldo, Aspetti problematici della disciplina del c.d. « patteggiamen to », in Arch, pen., 1982, 853; Bellavista-Tranchina, Lezioni di
diritto processuale penale, Milano, 1982, 217.
Per contro, pur sostanzialmente aderendo alla stessa interpretazione, dubitano della legittimità costituzionale della normativa Vinciguerra, La riforma del sistema punitivo nella l. 24 novembre 1981 n. 689.
Infrazioni amministrative e reato, Padova, 1983, 339; Morello, Le
sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, in Giust. pen., 1982, III,
445; Febbraro-De Marco, Sanzioni sostitutive e patteggiamento, Napo
li, 1982, 96; iPignatelli, L'applicazione delle sanzioni sostitutive su
richiesta dell'imputato, in Modifiche al sistema penale, a cura di
Magistratura democratica, cit., 86; Scaparone, Aspetti procedimentali della riforma, ibid., 32; Grosso, Principi ispiratori e linee di tendenza
della legge, ibid., 21; Lozzi, in Legislazione pen., 1982, 380;
Melchionda, Un primo sintetico bilancio, id., 1983, 205; Giar
da, Commento all'art. 77, in Dolcini-Giarda-Mucciarelli-Paliero-Ri va Crugnola, in Commentario alle « modifiche al sistema pena le», 1982, 372; Giuri, Rilievi sul c.d. patteggiamento, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 788; Grasso, La depenalizzazione e le sanzioni sostitutive nel disegno di legge « modifiche al
sistema penale», in Quaderni della giustizia, 1981, n. 1, 48.
La Corte costituzionale, intervenendo per la prima volta sulla
impugnatissima 1. n. 689/81 (cons, sul punto Elia, La giustizia costituzionale nel 1983. Conferenza stampa del presidente della
Corte costituzionale, in Foro it., 1984, V, 34, § 4), ha definito la
questione sottopostale con una decisione improntata a ragionevolezza ed attenta ponderazione dei valori costituzionali in gioco. La sentenza
infatti, cosi come si poteva leggere in Ghiara, Applicazione delle sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato, cit., ravvisa la possibilità di interpretare la normativa nel senso che l'effetto preclusivo del
parere negativo del p.m. sia limitato alle fasi dell'istruzione e degli atti
predibattimentali, altro non significando « che preclusione ad un epilo
go del procedimento in anticipo rispetto alla fase processuale mag giormente garantita, qual è il dibattimento imperniato sul contradditto rio diretto tra le parti. In altre parole, il no del pubblico ministero, circoscritto alle fasi dell'istruzione e degli atti predibattimentali, equi
vale, in armonia con le normali prerogative del pubblico ministero (v. art. 74, 396, 502 c.p.p.), ad una determinata scelta del rito processua le ».
Accolta questa interpretazione, la normativa viene ritenuta conforme
ai diversi parametri costituzionali invocati, sulla falsariga del resto di
precedenti decisioni della corte puntualmente menzionate in motivazio
ne. La sentenza, come dovrebbe risultare evidente, può assumere una
importanza fondamentale nell'auspicato sviluppo del sistema penale italiano. Per un verso, infatti, essa salva la possibilità, che ad avviso
di molti dovrebbe anzi essere ampliata (sulla limitata operatività della
nuova disciplina, cons. Thomas, Il monitoraggio del « patteggiamen
to», in Quaderni della giustizia, 1983, fase. 24, 11), di ricorrere a riti
differenziati e in particolare alla definizione abbreviata dei procedimen
ti; per l'altro, essa definisce chiaramente i rapporti tra i vari soggetti
processuali ed offre al legislatore e all'interprete un preciso quadro di
compatibilità costituzionali.
zione della sanzione sostitutiva » della libertà controllata o della
pena pecuniaria. Una precisazione s'impone preliminarmente al fine di indivi
duare con esattezza la norma giuridica impugnata. In ciascuno
dei procedimenti a quibus il problema dell'applicabilità della
libertà controllata o della pena pecuniaria su richiesta dell'impu tato è venuto in discussione solo dopo l'apertura del dibattimen
to, mentre l'art. 77, 1° comma, prende in diretta considerazione
l'esercizio di detto potere « nel corso dell'istruzione e fino a
quando non sono compiute per la prima volta le formalità di
apertura del dibattimento »: opportunamente, quindi, una delle
tre ordinanze — quella del Pretore di Saluzzo — coinvolge nel
giudizio anche l'art. 78, il cui 2° comma si riferisce al « giudice di dibattimento » ed al « pubblico ministero di udienza ». Questa
precisazione comporta che non si possa, altresì, prescindere dal
l'art. 79, che la stessa 1. 24 novembre 1981 n. 689 appositamente ed espressamente dedica all'applicazione del nuovo istituto « nel
l'ulteriore corso del procedimento », vale a dire « in ogni stato e
grado del procedimento » successivi all'avvenuta apertura del
dibattimento davanti al giudice di primo grado.
Di conseguenza, la norma da esaminare è rappresentata dagli art. 77, 1° comma, e 78, 2° comma, 1. 24 novembre 1981 n. 689,
in relazione all'art. 79 della stessa legge, nella parte concernente i
rapporti tra pubblico ministero e giudice. Infatti, pur non avendo
i giudici a quibus espressamente indicato tale ultimo articolo, dalle ordinanze di rimessione risulta nettamente individuata e
chiaramente evidenziata nei sensi suddetti la norma sottoposta a
vaglio di costituzionalità (v., in proposito, la sentenza n. 63 del
1982, Foro it., 1982, I, 1216): cioè, la norma secondo cui, in
qualsiasi stato e grado del procedimento, anche al di là dell'istru
zione e degli atti preliminari al dibattimento di primo grado,
sempre occorrerebbe il parere favorevole del pubblico ministero
per addivenire all'applicazione di una sanzione sostitutiva su
richiesta dell'imputato.
3. - Questa norma, ad avviso dei giudici a quibus, sarebbe in
contrasto con una pluralità di parametri costituzionali, alcuni dei
quali invocati da tutte le ordinanze (art. 24 e 101, 2° comma,
Cost.) ed altri non cosi unanimemente (art. 3, 1" comma, 102, 1°
comma, e 111, 2° comma, Cost.), ma sempre facendo leva sul
ruolo esorbitante che ne deriverebbe al pubblico ministero non
solo nei confronti dell'imputato, bensì anche e soprattutto nei
confronti del giudice. Essa viene ricavata da un'interpretazione della sezione II del capo III della 1. 24 novembre 1981 n. 689, decisamente orientata ad intendere come globale il rinvio che
l'art. 79 fa all'art. 77 e, quindi, a riconoscere come valevole in
ogni stato e grado del procedimento la portata di tutte le
prescrizioni contenute nell'art. 77, a cominciare da quella che
richiede il parere favorevole del pubblico ministero.
Si tratta, innegabilmente, di un'interpretazione assai diffusa
tanto nella giurisprudenza di merito quanto in dottrina. Tuttavia, consentono di escludere che si debba, al momento, ritenere
formato un diritto vivente la mancanza di precedenti nella
giurisprudenza della Corte di cassazione e, insieme, l'ancor breve
periodo di applicazione dell'istituto in questione, totalmente
nuovo per il nostro ordinamento (e con solo vaghe affinità in
ordinamenti stranieri) sia sotto il profilo dell'introduzione di
sanzioni sostitutive della detenzione, sia soprattutto sotto il
profilo della loro applicabilità su richiesta dell'imputato, cui può
seguire un'atipica « estinzione del reato ».
4. - Prima ancora che da considerazioni di ordine logico-siste matico (non va trascurata, in particolare, la differenza intercor
rente, quanto a legittimazione soggettiva attiva, tra il parere demandato nell'istruzione al procuratore della repubblica ed il
parere demandato nel dibattimento al pubblico ministero di
udienza, tutte le volte — e sono le più — che il procedimento interessato sia di competenza pretorile), è dalla stessa lettera
dell'art. 79 1. 24 novembre 1981 n. 689 che, secondo un indirizzo
dottrinale, prende spunto una diversa prospettazione dei suoi
rapporti con l'art. 77: una prospettazione tale da circoscrivere
l'incidenza del rinvio racchiuso nell'art. 79 al riconoscimento
della possibilità per il giudice di adottare, anche nel corso
ulteriore del processo, il provvedimento configurato dall'art. 77, in
tutti i suoi contenuti.
La formula « il giudice può procedere ai sensi dell'art. 77 in
ogni stato e grado del procedimento » non implica necessariamen
te un concomitante richiamo dell 'iter procedimentale antecedente
l'adozione del provvedimento. Potrebbe trarsene conferma dal
fatto che l'art. 79 prosegue e si conclude con l'esplicitare l'esigen za che l'imputato abbia « formulato la richiesta di cui allo stesso
articolo (il 77) nel termine previsto »: se il « può procedere ai
sensi dell'art. 77 » fosse comprensivo di tutti gli aspetti discipli nati da quest'ultimo, inclusi quelli di natura procedimentale,
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1175 PARTE PRIMA 1176
correrebbe il rischio di apparire superflua l'espressa prescrizione che esista una richiesta formulata dall'imputato entro il termine stabilito dall'art. 77.
La verità è che l'art. 77 pone si un termine (« fino a quando non sono compiute per la prima volta le formalità di apertura del dibattimento »), ma lo pone non tanto con riguardo all'inizia tiva dell'imputato, quanto con riguardo all'esercizio del potere di sostituzione da parte del giudice nei modi ivi previsti, compreso il parere favorevole del pubblico ministero. Scaduto quel termine, l'ambito di applicazione dell'art. 77, completato, per ciò che attiene alla determinazione delle competenze, dall'art. 78, 1°
comma, sarebbe di per sé esaurito. L'art. 79, in uno con il già ricordato 2° comma dell'art. 78, gli ridà spazio, ma soltanto per gli aspetti chiaramente richiamati dallo stesso art. 79 e, comun
que, non suscettibili di trovare soluzione nelle prescrizioni del diritto comune. Per gli altri aspetti, invece, non strettamente
collegati alla specialità del rito, le norme generali, in quanto non
espressamente derogate, tornano nuovamente ad operare. In particolare, per quel che concerne il pubblico ministero,
nell'assenza di un sicuro rinvio in proposito dell'art. 79 all'art. 77, nulla impedisce di riconoscere piena applicabilità alle disposizioni generali che il libro primo del codice di procedura penale, da
integrare con le disposizioni dettate per il dibattimento, dedica alle conclusioni del pubblico ministero, prescrivendole (art. 76
c.p.p.) come necessarie, mai come vincolanti. 5. - Prestandosi la normativa da applicare nei procedimenti a
quibus ad una interpretazione diversa dalla lettura offertane dalle ordinanze di rimessione, donde la possibilità di avvalersene per la definizione delle relative controversie, le sollevate eccezioni di
legittimità risultano senz'altro superabili, dal momento che pro prio l'interpretazione or ora delineata consente di pervenire nei casi di specie a quella soluzione che
' i giudici a quibus riterreb
bero raggiungibile soltanto in forza dei principi costituzionali invocati (cfr., per analoghi precedenti, le sentenze n. 13 del 1979, id., 1979, I, 1361, e n. 191 del 1983, id., 1983, I, 2074).
Più precisamente, una volta escluso che, per poter far luogo all'applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'impu tato dopo l'apertura per la prima volta del dibattimento di primo grado, sia indispensabile il parere favorevole del pubblico mini stero, dovendosi intendere limitata alle fasi dell'istruzione e del
predibattimento la portata preclusiva del parere sfavorevole del pubblico ministero, due diventano le conseguenze da trarre: per un verso, viene meno, con il cadere del presupposto da cui hanno preso le mosse i giudici a quibus, la stessa possibilità di ravvisare l'esistenza di un contrasto della normativa applicabile nel dibattimento con i vari parametri richiamati nelle ordinanze, mentre, per altro verso, viene ad emergere la non fondatezza del contrasto con i medesimi parametri ipotizzabile nei confronti della norma che trova applicazione prima del dibattimento.
Infatti, la principale argomentazione addotta dall'avvocatura dello Stato per sostenere la non fondatezza delle questioni sollevate — e, cioè, l'argomentazione secondo cui il legislatore farebbe soltanto « discendere da un apprezzamento discrezionale del pubblico ministero l'applicabilità o meno di uno specifico schema processuale » senza, pertanto, introdurre, allorquando il parere del pubblico ministero sia negativo, né ingiustificati squi libri con la difesa, sempre in grado di « far valere le proprie argomentazioni » nella pienezza degli sviluppi dello schema pro cessuale ordinario, né, tanto meno, inaccettabili limitazioni per il giudice, che conserva « integro » il suo potere decisionale —
merita adesione se ed in quanto riferita a fasi anteriori al dibattimento di primo grado, laddove non si potrebbe dire altrettanto se al parere negativo del pubblico ministero fosse riconosciuta natura vincolante anche dopo l'apertura del dibatti mento.
Fino a che il dibattimento non sia stato aperto, la formulazione di un parere negativo con efficacia vincolante da parte del pubblico ministero altro non significa che preclusione ad un
epilogo del procedimento in anticipo rispetto alla fase processuale maggiormente garantita, qual è il dibattimento imperniato sul contraddittorio diretto tra le parti. In altre parole, il no del pubblico ministero, circoscritto alle fasi dell'istruzione e degli atti predibattimentali, equivale, in armonia con le normali prerogative del pubblico ministero (v. art. 74, 396, 502 c.p.p.), ad una determinata scelta del rito processuale, nel senso di un passaggio — assolutamente non eludibile con la sentenza che dichiara estinto il reato per intervenuta applicazione di una sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato — alla fase del dibattimen to: fase nel corso della quale le parti avranno la piena possibilità di tutelare le rispettive posizioni, in parità di armi, compresi sia il mantenimento della richiesta di una sanzione sostitutiva ai sensi dell'art. 77, 1° comma, 1. 24 novembre 1981 n. 689, sia un nuovo interpello del pubblico ministero, ed il giudice avrà ogni
potere decisionale, compreso quello di accogliere o no la richiesta
dell'imputato, indipendentemente dall'atteggiamento assunto dal
pubblico ministero.
Cosi circoscritta alle fasi precedenti il dibattimento di primo
grado, la norma che conferisce portata vincolante al parere
negativo del pubblico ministero non contrasta, dunque, con
nessuno dei parametri costituzionali invocati: A) Non con il 1°
comma dell'art. 3 Cost., perché le ragioni del pubblico ministero, contrarie alla richiesta dell'imputato, non si impongono in modo
definitivo al giudice, ma anch'esse, come quelle dell'imputato, riceveranno obiettiva ed imparziale valutazione nella fase del
dibattimento: la differenza riscontrabile fra pubblico ministero ed
imputato per le fasi che precedono il dibattimento trova giu stificazione nelle esigenze sottostanti all'esercizio dell'azione pena le, sulle cui forme e modi il legislatore chiama il pubblico ministero a vigilare (v., per tutte, la sentenza n. 93 del 1974, id.,
1974, I, 1280), sino al punto di addivenire ad uno sdoppiamento tra pretore e procuratore della repubblica nei momenti più delicati dell'intervento pretorile (si pensi, come norma alla quale l'art. 77, 1" comma, è sotto certi aspetti maggiormente suscettibile
di accostamento, all'art. 74, 4° comma, c.p.p., di cui questa corte ha escluso — v. le sentenze n. 102 del 1964, id., 1965, I, 164, e
n. 95 del 1975, id., 1975, I, 1617 — la dedotta illegittimità). B) Non con l'art. 24, 1° e 2° comma, Cost., perché la richiesta
dell'imputato non viene ad essere sottratta in modo definitivo alla
valutazione del giudice, restando acquisita al processo, in attesa di un più approfondito esame nel contraddittorio della fase
dibattimentale. C) Non con l'art. 101, 2° comma, Cost., perché, con il pretendere il passaggio al dibattimento, il pubblico ministero lascia intatte, anzi esalta, le attribuzioni di organo
giudicante proprie del giudice, nella pienezza della sua libertà di
valutazione e di convincimento, ben potendo questi emettere in
sede dibattimentale qualsiasi tipo di sentenza, compresa la decla
ratoria di estinzione del reato per applicazione della sanzione
sostitutiva su richiesta dell'imputato. D) Non con l'art. 102, 1°
comma, Cost., perché ciò che attiene all'esercizio dell'azione
penale, nelle varie forme di impulso processuale previsto dal
legislatore, com'è il caso di ogni richiesta vincolante di passaggio al dibattimento da parte del pubblico ministero, « se pur eviden
temente implica una valutazione in senso logico delle prove raccolte, non per questo acquista natura decisoria, essendo diver sa dal giudizio in senso tecnico, in quanto non contiene alcuna
decisione sulla notitia criminis, cosi da non « sconfinare nel
campo dell'attività decisoria riservata al giudice » (cfr. la senten
za n. 96 del 1975, id., 1975, I, 1616): una diversità che, nella
fattispecie, risulta ulteriormente sottolineata, quando si tratti di
procedimenti pretorili, dal già ricordato sdoppiamento di compiti tra pretore e procuratore della repubblica. E) Non con l'art.
Ili, 2° comma, Cost., perché, per le ragioni dianzi evidenziate,
un parere negativo dalla cui formulazione discende soltanto la
necessità di far posto al dibattimento non integra in alcun modo
gli estremi di un provvedimento decisorio da sottoporre a ricorso
per cassazione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondate
nei sensi di cui in motivazione le questioni di legittimità costitu zionale degli art. 77 e 78 1. 24 novembre 1981 n. 689, sollevate, in riferimento agli art. 3, 1° comma, 24, 1° e 2° comma, 101, 2"
comma, 102, 1° comma, e 111, 2° comma, Cost., con le ordinanze in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 11 aprile 1984, n. 104
(Gazzetta ufficiale 18 aprile 1984, n. 109); Pres. Elia, Rei.
Andrioli; E.n.el. (Avv. Cogliati Dezza) c. Min. finanze; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Angelini
Rota). Ord. Trib. Genova 23 maggio 11977 {tre) (Gazz. uff. 15 febbraio 1978, n. 46); Trib. Roma 20 dicembre 1977 (id. 5
luglio 1978, n. 186); Trib. Palermo 3 marzo 1978 (id. 27 di cembre 1978 n. 359); Trib. Venezia 13 dicembre 1979 (due) (id. 13 luglio 1983, n. 191); Trib. L'Aquila 6 marzo 1981
(nove) e Trib. Brescia 8 gennaio 1981 (id. 14 ottobre 1981, n. 283); Trib. L'Aquila 18 novembre 1981 (id. 26 maggio 1982, n. 143).
Energia elettrica — E.n.el. — Tributi — Addizionale all'imposta erariale di consumo — Riforma tributaria — Abrogazione tacita — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 53; 1. 9 ottobre 1967 n. 973, istituzione di un'addizionale
all'imposta erariale di consumo sull'energia elettrica a carico dell'E.n.el. in sostituzione dell'imposta sulle industrie, i
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