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sentenza 30 aprile 1996; Pres. Mazzocca, Est. Di Marzio; Lener (Avv. Bizzarro) c. Vendemia

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sentenza 30 aprile 1996; Pres. Mazzocca, Est. Di Marzio; Lener (Avv. Bizzarro) c. Vendemia Source: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 2019/2020-2023/2024 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192674 . Accessed: 28/06/2014 17:00 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 46.243.173.188 on Sat, 28 Jun 2014 17:00:15 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 30 aprile 1996; Pres. Mazzocca, Est. Di Marzio; Lener (Avv. Bizzarro) c. Vendemia

sentenza 30 aprile 1996; Pres. Mazzocca, Est. Di Marzio; Lener (Avv. Bizzarro) c. VendemiaSource: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 2019/2020-2023/2024Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192674 .

Accessed: 28/06/2014 17:00

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2019 PARTE PRIMA 2020

ti) la chiara indicazione delle parti in causa, con precisazione della qualifica dei ricorrenti;

c) l'esposizione dei fatti su cui si basa la domanda, benché

concisa per qualche aspetto che però appare marginale ai fini

della richiesta cautelare;

d) l'indicazione degli elementi di diritto in base ai quali si pone la domanda, consistenti nel richiamo alla normativa sui

licenziamenti individuali ed a quella sui licenziamenti collettivi, anche se indubbiamente gli elementi di diritto sono stati enun

ciati in maniera assai sintetica; ritenuto che in ogni caso sussiste un principio generale nel

l'ordinamento, applicabile sia agli atti sostanziali che proces

suali, quale il principio di conservazione dell'atto (di cui è espres sione l'art. 156, 2° e 3° comma, c.p.c.), che impone comunque di ricercare ogni strada, possibile per legge, per salvare l'utiliz

zabilità della manifestazione di volontà: attraverso l'integrazio

693, 3° comma, c.p.c.; ragione sistematica, questa, ritenuta, al contra

rio, debole e controproducente da Chiarloni, op. cit., 785, in quanto disposizione relativa specificamente alla domanda di istruzione preven

tiva); Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, voce del

Digesto civ., 1996, XIV, 402; Salvaneschi, in Nuove leggi civ., 1992, 298; Frus, op. cit., 613; Proto Pisani, op. loc. cit.-, Olivieri, Iprov vedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in Riv. dir. proc., 1991, 700 ss.

IV. - Il profilo più dibattuto, peraltro, concerne l'individuazione del le conseguenze derivanti dalla mancanza (di uno) dei requisiti necessari del ricorso cautelare.

In giurisprudenza, nel senso della nullità insanabile dell'atto, cfr. Trib.

Napoli, ord. 30 aprile 1997, cit., che, in particolare, esclude l'applica zione analogica dell'art. 164 c.p.c., in quanto tale norma, dettata per l'ordinario processo di cognizione, non è compatibile con la rapidità e la semplicità che caratterizzano il processo cautelare; Pret. Alessan

dria, ord. 16 marzo 1993, cit.; Pret. Monza, ord. 3 febbraio 1993, cit. In dottrina, v. Frus, op. cit., 615 ss.; Dalmotto, op. ult. cit., 270.

Contra, Rizzuto, op. cit., 1219; Gambineri, cit., 1866; Merlin, op. cit., 403; Salvaneschi, op. cit., 298; Proto Pisani, op. cit., 339; Tom

maseo, op. cit., 97 s.; Consolo, Il nuovo processo cautelare, cit., 110, il quale sostiene la possibilità di sanatoria attraverso un ordine del giu dice di integrazione della domanda più che altro per ragioni di econo mia processuale.

Nel senso, invece, che l'insufficienza degli elementi necessari all'iden

tificazione della domanda di merito comporta l'inammissibilità del ri

corso, v. Trib. Potenza, ord. 29 marzo 1995, cit.; Trib. Catania, ord. 26 agosto 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 72, e Giur. it., 1994, I, 2, 675, e 6 aprile 1994, cit.

Contra, espressamente, Consolo, Commentario alla riforma, cit., 579, secondo cui «per l'ipotesi qui considerata, non è previsto che l'irregola re esercizio del potere ne precluda il perfezionamento, eventualmente anche per impulso del giudice, come è argomentabile anche dall'art. 640 c.p.c.».

Cfr., peraltro, l'ordinanza in epigrafe, secondo cui «gli unici limiti alla conservazione degli atti giuridici sono ravvisabili in quelle norme che testualmente prevedono sanzioni di nullità assolute, o inammissibi lità ovvero termini perentori di decadenza, e quindi testualmente tolgo no efficacia agli atti o alle attività compiute».

Esclude che «nel proporre ante causam una domanda di tutela caute

lare, il ricorrente sia tenuto ad indicare (o nominare, o descrivere, o

magari evocare) la propria futura domanda di merito», v. Chiarloni, op. cit., 786, il quale, sulla base di tale premessa, nega anche che la mancanza di tale indicazione provochi la nullità del ricorso introduttivo e che tanto meno conduca all'assoluzione dall'osservanza del giudizio cautelare.

V. - Il ricorso deve poi contenere, oltre all'indicazione del pericolo nel ritardo e degli elementi che rendono plausibile la pretesa di merito, anche la prospettazione del provvedimento cautelare ricercato ed even tualmente (nelle ipotesi di tutela cautelare atipica) le specifiche misure

anticipatorie da concedere (cfr., in questo senso, Consolo, Commenta rio alla riforma, cit., 580).

Contra, Merlin, op. loc. cit., la quale non ritiene necessaria, né, ove presente, vincolante per il giudice l'indicazione del tipo di misura cautelare richiesto; occorrerebbe soltanto precisare lo scopo materiale che la parte si prefigge, lasciandosi poi al giudice di individuare precisa mente la tipologia giuridica del provvedimento cautelare corrisponden te; Verde (Di Nanni), Codice di procedura civile, Torino, 1993, 462, che propende per la fungibilità delle tipiche misure disciplinate dal legis latore, risolvendo gli oneri del ricorrente nell'allegazione del fumus bo ni iuris e del periculum in mora.

Il Foro Italiano — 1998.

ne degli atti incompleti, o l'utilizzazione per la finalità diversa

cui siano comunque idonei, ovvero la rinnovazione delle attività

non esperite ritualmente; ritenuto che gli unici limiti alla conservazione degli atti giuri

dici sono ravvisabili in quelle norme che testualmente prevedo no sanzioni di nullità assolute, o inammissibilità ovvero termini

perentori di decadenza, e quindi testualmente tolgono efficacia

agli atti o alle attività compiute; ritenuto che non appare quindi ravvisabile l'asserita nullità

del ricorso, ai sensi dell'art. 156, 1° comma, c.p.c., non difet

tando il medesimo dei requisiti essenziali, e comunque avendo

comunque raggiunto lo scopo ai sensi dell'art. 156, 2° comma,

c.p.c., di porre in grado la controparte, ed anche il primo giu

dice, come si evince dalla parte narrativa del provvedimento

reclamato, di avere chiara contezza dei fatti dedotti; ritenuto che pertanto erroneamente il primo giudice ha rite

nuto la nullità dell'atto introduttivo del giudizio cautelare, omet

tendo su tale presupposto di affrontare il petitum sostanziale

dei ricorrenti, e che tale esame va compiuto dal tribunale, il

quale, in sede di reclamo ha i medesimi poteri del giudice del

cautelare; (omissis)

TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE; senten

za 30 aprile 1996; Pres. Mazzocca, Est. Di Marzio; Lener

(Avv. Bizzarro) c. Vendemia.

TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE; i

Interdizione e inabilitazione — Giudizio — Impulso su istanza

di parti private o del p.m. — Proseguibilità d'ufficio (Cod.

civ., art. 414, 417, 419; cod. proc. civ., art. 71, 100, 712,

713, 714).

Iniziato il giudizio di interdizione su impulso delle parti private o del p.m., il processo prosegue d'ufficio e deve concludersi

con una pronuncia giurisdizionale idonea a tutelare gli inte

ressi coinvolti; pertanto, il p.m. non ha il potere di provocare l'estinzione del giudizio accettando la rinuncia agli atti pre sentata dal ricorrente. (1)

(1) In senso conforme, sull'inammissibilità della rinuncia nel giudizio di interdizione, cfr. Cass. 16 dicembre 1971, n. 3664, Foro it., 1972, I, 2139, e Riv. dir. proc., 1973, 315, con nota di Comoglio. Le sezioni unite della Suprema corte (10 dicembre 1970, n. 2621, Foro it., 1971, I, 61) hanno negato al p.m., che spiega intervento obbligatorio in cause che egli stesso non può proporre, il potere di non accettare la rinuncia

agli atti del giudizio fatta da una parte ed accettata dall'altra. Sul tema, cfr. Cass. 8 marzo 1995, n. 2704, id., Rep. 1995, voce

Interdizione, n. 11, e Giust. civ., 1995, I, 2775, con nota di Ranieri, secondo cui per il principio della domanda il giudice non può pronun ciare d'ufficio l'interdizione nel corso del giudizio diretto alla pronun cia dell'inabilitazione; cfr., altresì, Cass. 10 agosto 1979, n. 4650, Foro it., 1980, I, 1057, che ha ritenuto l'insufficienza della mancata compa rizione dell'interdicendo davanti al giudice istruttore, ai fini dell'ema nazione della pronuncia di interdizione senza l'esame dell'interdicendo stesso.

In dottrina, in senso conforme, cfr. Mandrioli, Corso di diritto pro cessuale civile, Torino, 1991, 250, che configura il giudizio in esame come avente «struttura tipicamente inquisitoria col conseguente operare dell'impulso d'ufficio».

Ancora in dottrina, sui poteri del p.m. che interviene nelle cause che avrebbe avuto il potere di proporre, cfr. Codice di procedura civile commentato a cura di Vaccarella, Verde, Torino, 1997, sub art. 72, secondo cui il p.m. che interviene ex art. 72.1 c.p.c. ha la facoltà «pro cessuale di rinunciare agli atti del giudizio o di accettare la rinuncia da altra parte interposta poiché da essa deriva unicamente l'effetto pro cessuale dell'estinzione del processo . . .».

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 23 ot

tobre 1992, Michelina Lener chiedeva che fosse pronunziala l'in terdizione di suo figlio Vendemia Giovanni, nato a Marcianise (Ce) il 23 ottobre 1966 ed ivi residente alla via Bellini, n. 3. La ricorrente affermava che il resistente risultava affetto da psi

cosi, depressione atipica e turbe comportamentali, e per tali ra

gioni era già stato riconosciuto invalido civile abbisognevole di

accompagnamento con decorrenza 11 febbraio 1983. Prosegui va l'istante chiarendo che la menomazione mentale di suo fi

glio, sebbene accompagnata da apprezzabili facoltà di razioci

nio, risultava pur sempre: grave, abituale, irreversibile e conti

nua. Il Vendemia era pertanto incapace di provvedere ai propri

interessi, anche non patrimoniali, ed abbisognava di frequenti cure in istituti specializzati. In questi ultimi, del resto, era già stato frequentemente ricoverato, e vi aveva pure conseguito la

licenza elementare. La ricorrente chiedeva, pertanto, che fosse

dichiarata l'interdizione di Vendemia Giovanni, nominandosi allo

stesso un tutore provvisorio; incarico che la ricorrente dichiara

va di essere disposta ad assumere. Indicava quindi i parenti del

l'interdicendo. (Omissis) Motivi della decisione. — La domanda proposta da Lener

Michelina, che ha chiesto pronunciarsi l'interdizione del figlio Giovanni Vendemia, è infondata e deve essere rigettata.

Preliminarmente, occorre chiarire perché il collegio ritiene che

la dichiarazione di rinunziare agli atti operata dalla ricorrente

non abbia comportato il venir meno dell'obbligo del tribunale

di pronunziarsi nel merito.

La Lener ha manifestato il suo intento nei modi e termini

di legge. La parte che propone un'azione in giudizio, infatti, ha la possibilità di dichiarare la propria rinunzia agli atti, ai sensi dell'art. 306 c.p.c., in qualsiasi momento che preceda la

deliberazione del giudicante, pertanto, anche in un momento

successivo alla precisazione delle conclusioni (Cass. 2103/70, Foro

it., Rep. 1971, voce Impugnazioni civili, n. 57). L'atto di rinun

cia che si esamina è stato firmato dalla parte personalmente, ed il suo difensore ha provveduto ad autenticarne la sottoscri

zione (procedura che è ritenuta ammissibile secondo un consli

dato orientamento giurisprudenziale, cfr. Cass., ord. 57/79, id.,

1979, I, 624). La Lener ha poi avuto cura di notificare la pro

pia dichiarazione al p.m. Ritenuta rituale e tempestiva la rinuncia agli atti del giudizio,

così come operata dalla ricorrente, resta da valutare se essa sia

risultata idonea a provocare l'estinzione del processo, conse

guendo in questa sede l'insorgere dell'obbligo del giudice di di

chiararla. Non ignora il collegio l'insegnamento della Suprema corte secondo cui l'accettazione della rinunzia agli atti operata dalla parte ricorrente non richiede l'accettazione del p.m. quan do egli pur assuma la veste di interventore nel processo per ob

bligo di legge (Cass., sez. un., 2621/70, id., 1971, I, 61). Nel caso in esame, tuttavia, ci troviamo in presenza di un'i

potesi (procedimento di interdizione) in cui il p.m., oltre ad

essere un interventore obbligatorio, avrebbe potuto egli stesso

promuovere il giudizio. Proprio a tale ipotesi fa riferimento il

1° comma dell'art. 72 c.p.c., ove si dispone che il p.m., quando interviene nelle cause che avrebbe potuto proporre, ha gli stessi

poteri che competono alle parti, e li esercita nelle forme che

la legge stabilisce per queste ultime. Ciò vuol dire che, essendo

la rinuncia agli atti del giudizio proposta da chi provvide a pro muoverlo inidonea a comportare l'estinzione del processo se la

stessa non risulta accettata dalle altre parti (che possono avere

interesse alla prosecuzione del giudizio, ed in tale categoria de

ve sicuramente includersi il p.m. in base alle considerazioni di

Sull'argomento, in generale, cfr. Janniruberto, Natura giuridica e

parti del processo d'interdizione e d'inabilitazione, in Riv. dir. proc., 1988, 1022 ss.; Tommaseo, Sui profili processuali dell'interdizione e del

l'inabilitazione, in Giur. it., 1987, IV, 201 ss.; Poggeschi, Interdizione e inabilitazione, voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1983,

IV, 304 ss.; Sorace, Interdizione (dir. proc. civ.), voce àt\YEnciclope dia del diritto, Milano, 1971, XXI, 953 ss.; Vignoio, Principio inquisi torio e impulso d'ufficio nel procedimento di interdizione, in Riv. dir.

civ., 1975, I, 337 ss.; Poggeschi, Il procedimento di interdizione e d'i

nabilitazione, Milano, 1958.

Il Foro Italiano — 1998.

cui poco oltre), e non essendo intervenuta )'accettazione detta

rinunzia operata dalla Lcnev patte dil sebbene l'atto

della ricorrente gli sìa stato ritualmente nvutimo, v estinzione del giudizio non potrebbe comunque essere pronunziata.

È opportuno soffermarsi brevemente ad esaminare i caratteri

del presente procedimento. Il giudizio di interdizione è discipli nato dal nostro ordinamento nelle forme di un processo inquisi torio (cfr. art. 419 c.c.), riconoscendosi al giudice ampi poteri

perché possa svolgere le attività istruttorie ritenute più opportu ne senza che occorra l'impulso di parte. La scelta del legislatore

appare subito comprensibile quando si consideri che lo scopo del procedimento consiste, in primo luogo, nell'assicurare piena

protezione giuridica a coloro che, a causa dell'infermità di mente

da cui risultano affetti, sono abitualmente incapaci di provve dere a sé ed al proprio patrimonio. In secondo luogo, il giudi zio di interdizione è volto ad evitare che un soggetto incapace di intendere e di volere possa concludere — non essendo stata

la sua infermità dichiarata con una pronunzia giudiziale da tutti

conoscibile — con terzi (semmai incolpevolmente ignari), nego zi di natura personale o patrimoniale che, potendo essere an

nullati (ricorrendo i presupposti previsti dalla legge nei diversi

casi), rischiano di originare un'inopportuna situazione di con

fusione e di incertezza nel mondo giuridico. Entrambi gli interessi presentano rilievo pubblicistico e, se

condo consuetudine, si è inteso affidare al p.m. il compito di

provvedere alla loro tutela. Da quanto osservato discende che

egli è (sempre) portatore di un interesse proprio (di natura pub

blicistica) alla prosecuzione di un giudizio di interdizione fino

alla pronuncia di merito. La rinunzia agli atti del giudizio ope rata da un'altra parte processuale dovrebbe sempre, pertanto, essere accettata dal p.m. perché possa verificarsi l'estinzione di

un simile processo (conf., App. Venezia 11 maggio 1965). La riflessione esposta — che imporrebbe comunque al colle

gio di procedere all'esame del merito della causa — però, non

sembra neppure necessaria per affermare che il giudizio in esa

me non si è estinto a seguito della descritta rinunzia operata dalla Lener.

Gli stessi soggetti privati cui la legge riconosce il potere di

promuovere il giudizio di interdizione, infatti, possono provve dervi non in quanto titolari di un proprio diritto soggettivo alla

pronunzia, bensì quali portatori di un mero interesse di fatto,

analogo a quello vantato dagli altri consociati. Essi sono titola

ri, in altri termini, di una mera azione, di un semplice potere di legittimazione processuale, che possono esercitare nell'inte

resse della collettività. Neppure il p.m., del resto, in quanto

portatore dell'interesse pubblicistico all'accertamento della ca

pacità d'agire delle persone, possiede alcun potere circa l'ogget to del giudizio, che risulta assolutamente indisponibile. In altri

termini, entrambe le categorie di soggetti legittimati, proponen do l'istanza di interdizione, promuovono un processo costituti

vo necessario a contenuto oggettivo. La rilevanza pubblicistica dei rapporti giuridici tutelati è tale che tanto il p.m. quanto i soggetti privati, vedono i loro poteri sull'oggetto del giudizio ristretti alla facoltà (parti private) oppure all'obbligo (p.m.), sussistendone i presupposti, di dare impulso al giudizio. A se

guito dell'esercizio di tale ultimo potere, il processo proseguirà

poi d'ufficio, anche in assenza di impulsi di parte, e dovrà ne

cessariamente concludersi con una pronunzia giurisdizionale, vol

ta ad offrire un'idonea tutela agli interessi della collettività (ol tre che dell'interdicendo). Ciò vuol dire che allo stesso p.m. non può mai riconoscersi il potere di provocare l'estinzione del

giudizio, neppure accettando la rinunzia agli atti proposta dal

ricorrente, ma, ancor prima, si ribadisce, la stessa rinuncia del

ricorrente è inidonea a sortire alcun effetto ai fini dell'estinzio

ne del giudizio. Naturalmente, quanto detto non esclude che i parenti che pro

muovono un giudizio di interdizione siano di regola portatori di un proprio interesse, spesso patrimoniale, a che intervenga la pronunzia richiesta. Tale interesse, tuttavia, rimane estraneo

all'oggetto del processo così come lo stesso è stato individuato

dal legislatore. Occorre pertanto procedere all'esame del merito del giudizio.

La ricorrente ha prodotto in atti, tra l'altro, un accertamento

della Commissione sanitaria provinciale invalidi civili di Mar

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2023 PARTE PRIMA 2024

cianise (prat. n. 15056, pos. 213/88, dell' 11 febbraio 1983) se

condo la quale il Vendemia presenta un patrimonio ideativo

povero di contenuti ed è affetto da una psicosi d'innesto, origi nata da una presumibile meningopatia verificatasi in età infan

tile. La commissione ha pertanto ritenuto che l'odierno resi

stente è abbisognevole di accompagnamento ai sensi della 1. 11

febbraio 1980, ed ha pure stimato che lo stesso debba essere

qualificato come irreversibilmente invalido al cento per cento.

Il c.t.u. nominato da questo tribunale, all'esito di un'accura

ta analisi del caso, condotta nel rispetto dei principi tecnici ed

immune da vizi logici, ha evidenziato che il Vendemia «presen ta un livello intellettivo leggermente superiore alla media, con

una buona aderenza alla realtà . . . conosce il valore dei soldi

ed è capace di programmare le sue spese, pur se ha un ristretto

gruppo di amici di riferimento socio-affettivo», pertanto il resi

stente non presenta «un quadro psicopatologico grave, tale da

renderlo incapace di intendere e di volere». Inoltre, nel soggetto esaminato «non si evidenziano tratti di patologia centroencefa

lica e di interesse psicotico». L'esame dell'interdicendo, svolto dall'istruttore alla presenza

del p.m., aveva condotto ad analoghe valutazioni.

II c.t.u. ha provveduto anche a raccogliere le dichiarazioni

della madre del resistente, l'odierna ricorrente Michelina Lener, ed ha ottenuto conferma che la stessa si trattiene la maggior

parte del tempo fuori casa, essendo impegnata ad accudire dei

nipoti in casa di un'altra figlia. Giovanni Vendemia provvede

perciò da sé alla cura della propria persona, e trascorre il tem

po, solo in casa, leggendo libri di interesse culturale e religioso ed ascoltando musica. Quando ne ha voglia passeggia (da solo)

per il paese e si reca periodicamente dal barbiere. Talvolta, per incontrare degli amici, raggiunge Caserta in pullman, e saltua

riamente si reca ad Aversa in treno per partecipare alle riunioni

di un gruppo religioso protestante. Anche in occasione degli incontri avuti con il c.t.u. il Vendemia, il più delle volte, ha

raggiunto lo studio del profesisonista da solo, servendosi di un

mezzo pubblico. Tenuto conto che il resistente è stato ritenuto

totalmente e permanentemente inabile al lavoro e ad autogestir

si, nonché abbisognevole di accompagnamento, dalla commis

sione provinciale predetta, il c.t.u. non ha potuto esimersi dal

l'osservare che: o la lamentata invalidità è inesistente, oppure ci troviamo in presenza dell'abbandono di un invalido. Tanto

premesso, il c.t.u. ha rilevato pure che il Vendemia percepisce una pensione bimestrale di lire 800.000 quale invalido civile e

che il detto importo viene interamente gestito dalla madre (che

gli consente di disporre soltanto di 50.000 lire). La Lener svolge anche la funzione di tutore provvisorio sebbene, secondo il pa rere del c.t.u., il «mancato rapporto con la madre ha esaltato

il vissuto angosciante» del resistente. Ritiene, pertanto, il colle

gio, che le osservazioni del consulente debbano essere nuova

mente sottoposte al p.m., cui dovranno essere trasmessi gli atti

del giudizio, perché effettui le valutazioni di sua competenza. Alla luce di quanto esposto, il tribunale reputa che Vendemia

Giovanni non versa in condizioni di abituale infermità di mente

ed è in grado di attendere ai propri interessi in maniera suffi

ciente. Egli non deve, per conseguenza, essere dichiarato inter

detto. Neppure sono emersi dall'istruttoria elementi che induca

no a ritenere che il resistente debba essere inabilitato. Il ricorso

proposto dalla madre, Lener Michelina, deve pertanto essere

rigettato.

Il Foro Italiano — 1998.

PRETURA DI COSENZA; ordinanza 1° giugno 1998; Giud.

Baraschi; Aceto (Aw. V. Ferrari) c. Soc. Muglia elevatori

(Avv. Cost abile).

PRETURA DI COSENZA;

Provvedimenti di urgenza — Borsa di lavoro per giovani inoc

cupati nel Mezzogiorno — Recesso dell'imprenditore — Or

dine di ripristino del rapporto (Cod. proc. civ., art. 700; d.leg. 7 agosto 1997 n. 280, attuazione della delega conferita dal

l'art. 26 1. 24 giugno 1997 n. 196, in materia di interventi a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno, art. 5).

Su istanza del giovane inoccupato immesso in azienda che frui sca dell'utilizzazione di borse di lavoro ai sensi del d.leg. 7

agosto 1997 n. 280, va ordinato, con provvedimento d'urgen

za, il ripristino del rapporto di borsa di lavoro interrotto dal

recesso dell'imprenditore effettuato senza il rispetto della pro cedura e dei presupposti previsti nella circolare dell'Inps che, in quanto ente tenuto alla corresponsione del sussidio costi

tuente l'unico supporto finanziario per il borsista, ha regola mentato lo svolgimento del rapporto. (1)

Premesso che: con ricorso d'urgenza Aceto Emiliana ha con

venuto in giudizio la Muglia elevatori s.r.l., nella persona del

legale rappresentante, esponendo di avere, in data 3 febbraio

1998, iniziato con la società convenuta una «borsa di lavoro»,

stipulata ai sensi del d.leg. 280/97, attuativo della 1. 196/97, che ha previsto la possibile immissione nelle aziende di giovani

inoccupati, per un periodo massimo fissato dalla legge stessa, dietro corresponsione di un sussidio a totale carico dell'Inps, allo scopo di favorire l'apprendimento professionale dei giovani borsisti e la loro possibile futura assunzione in sede alle aziende

medesime;

ha quindi evidenziato che con lettera del 13 marzo 1998 la

società aveva comunicato l'interruzione del rapporto, senza che

le fosse mai in precedenza contestato alcun inadempimento dei

compiti svolti; ha quindi evidenziato la illegittimità del recesso operato dalla

Muglia s.r.l. in quanto il rapporto di borsa di lavoro stipulato ai sensi del decreto legislativo citato se da un lato espressamente non viene configurato come rapporto di lavoro subordinato, dall'altro non prevede la possibilità di un recesso anticipato da

parte della impresa stipulante; ha dunque chiesto al pretore di ordinare in via d'urgenza alla

convenuta di ripristinare con la Aceto il rapporto di borsa di

lavoro interrotto; a sostegno della domanda d'urgenza ha evidenziato come, in

considerazione della durata limitata del rapporto stesso (undici

mesi, con scadenza al 2 dicembre 1998), una pronunzia emessa

con i tempi del giudizio ordinario rischierebbe di intervenire quando il periodo in questione sia già decorso, in tutto o in parte.

Si è costituita nella presente procedura la Muglia elevatori

s.r.l., nella persona del legale rappresentante, ed ha chiesto il

rigetto della domanda a sua volta sostenendo: — che il rapporto in questione, se pure non viene configurato

come di lavoro subordinato, pure comporta per il borsista l'ob

(1) Questione nuova. Sulle borse di lavoro, cfr. S. Ciucciovino, Le borse di lavoro, in

Argomenti dir. lav., 1998, fase. 1, 143; P. Lambertucci, Politiche del

l'impiego e promozione dell'occupazione, in Flessibilità e diritto del la voro a cura di G. Santoro Passarelli, 1997, III, 474 ss.; S. Maretti, Emersione del lavoro sommerso e politiche attive del lavoro nella l. 24 giugno 1997 n. 196, in II lavoro temporaneo e i nuovi strumenti di promozione dell'occupazione, Commento alta l. 24 giugno 1997 n. 196 a cura di L. Gaiantino, Giuffrè, Milano, 1997, 496 ss.; M.T. Ve do velii, Interventi a favore dei giovani inoccupati nel Mezzogiorno, in Mercati e rapporti di lavoro a cura di M. Biagi, Giuffrè, Milano, 1997, 321 ss.

Per riferimenti sul c.d. «pacchetto Treu», cfr. M. De Luca, Nuove

forme di lavoro (oltre la subordinazione e l'autonomia), in nota a Cor te cost. 29 gennaio 1998, n. 3, Foro it., 1998, I, 665.

Sulla tutelabilità in via d'urgenza di posizioni che comportino un fa cere infungibile, v. Trib. Milano, ord. 2 ottobre 1997, ibid., 241, con nota di richiami.

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