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sentenza 30 aprile 1996; Pres. Mazzocca, Est. Di Marzio; Lener (Avv. Bizzarro) c. VendemiaSource: Il Foro Italiano, Vol. 121, No. 6 (GIUGNO 1998), pp. 2019/2020-2023/2024Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192674 .
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2019 PARTE PRIMA 2020
ti) la chiara indicazione delle parti in causa, con precisazione della qualifica dei ricorrenti;
c) l'esposizione dei fatti su cui si basa la domanda, benché
concisa per qualche aspetto che però appare marginale ai fini
della richiesta cautelare;
d) l'indicazione degli elementi di diritto in base ai quali si pone la domanda, consistenti nel richiamo alla normativa sui
licenziamenti individuali ed a quella sui licenziamenti collettivi, anche se indubbiamente gli elementi di diritto sono stati enun
ciati in maniera assai sintetica; ritenuto che in ogni caso sussiste un principio generale nel
l'ordinamento, applicabile sia agli atti sostanziali che proces
suali, quale il principio di conservazione dell'atto (di cui è espres sione l'art. 156, 2° e 3° comma, c.p.c.), che impone comunque di ricercare ogni strada, possibile per legge, per salvare l'utiliz
zabilità della manifestazione di volontà: attraverso l'integrazio
693, 3° comma, c.p.c.; ragione sistematica, questa, ritenuta, al contra
rio, debole e controproducente da Chiarloni, op. cit., 785, in quanto disposizione relativa specificamente alla domanda di istruzione preven
tiva); Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, voce del
Digesto civ., 1996, XIV, 402; Salvaneschi, in Nuove leggi civ., 1992, 298; Frus, op. cit., 613; Proto Pisani, op. loc. cit.-, Olivieri, Iprov vedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in Riv. dir. proc., 1991, 700 ss.
IV. - Il profilo più dibattuto, peraltro, concerne l'individuazione del le conseguenze derivanti dalla mancanza (di uno) dei requisiti necessari del ricorso cautelare.
In giurisprudenza, nel senso della nullità insanabile dell'atto, cfr. Trib.
Napoli, ord. 30 aprile 1997, cit., che, in particolare, esclude l'applica zione analogica dell'art. 164 c.p.c., in quanto tale norma, dettata per l'ordinario processo di cognizione, non è compatibile con la rapidità e la semplicità che caratterizzano il processo cautelare; Pret. Alessan
dria, ord. 16 marzo 1993, cit.; Pret. Monza, ord. 3 febbraio 1993, cit. In dottrina, v. Frus, op. cit., 615 ss.; Dalmotto, op. ult. cit., 270.
Contra, Rizzuto, op. cit., 1219; Gambineri, cit., 1866; Merlin, op. cit., 403; Salvaneschi, op. cit., 298; Proto Pisani, op. cit., 339; Tom
maseo, op. cit., 97 s.; Consolo, Il nuovo processo cautelare, cit., 110, il quale sostiene la possibilità di sanatoria attraverso un ordine del giu dice di integrazione della domanda più che altro per ragioni di econo mia processuale.
Nel senso, invece, che l'insufficienza degli elementi necessari all'iden
tificazione della domanda di merito comporta l'inammissibilità del ri
corso, v. Trib. Potenza, ord. 29 marzo 1995, cit.; Trib. Catania, ord. 26 agosto 1993, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 72, e Giur. it., 1994, I, 2, 675, e 6 aprile 1994, cit.
Contra, espressamente, Consolo, Commentario alla riforma, cit., 579, secondo cui «per l'ipotesi qui considerata, non è previsto che l'irregola re esercizio del potere ne precluda il perfezionamento, eventualmente anche per impulso del giudice, come è argomentabile anche dall'art. 640 c.p.c.».
Cfr., peraltro, l'ordinanza in epigrafe, secondo cui «gli unici limiti alla conservazione degli atti giuridici sono ravvisabili in quelle norme che testualmente prevedono sanzioni di nullità assolute, o inammissibi lità ovvero termini perentori di decadenza, e quindi testualmente tolgo no efficacia agli atti o alle attività compiute».
Esclude che «nel proporre ante causam una domanda di tutela caute
lare, il ricorrente sia tenuto ad indicare (o nominare, o descrivere, o
magari evocare) la propria futura domanda di merito», v. Chiarloni, op. cit., 786, il quale, sulla base di tale premessa, nega anche che la mancanza di tale indicazione provochi la nullità del ricorso introduttivo e che tanto meno conduca all'assoluzione dall'osservanza del giudizio cautelare.
V. - Il ricorso deve poi contenere, oltre all'indicazione del pericolo nel ritardo e degli elementi che rendono plausibile la pretesa di merito, anche la prospettazione del provvedimento cautelare ricercato ed even tualmente (nelle ipotesi di tutela cautelare atipica) le specifiche misure
anticipatorie da concedere (cfr., in questo senso, Consolo, Commenta rio alla riforma, cit., 580).
Contra, Merlin, op. loc. cit., la quale non ritiene necessaria, né, ove presente, vincolante per il giudice l'indicazione del tipo di misura cautelare richiesto; occorrerebbe soltanto precisare lo scopo materiale che la parte si prefigge, lasciandosi poi al giudice di individuare precisa mente la tipologia giuridica del provvedimento cautelare corrisponden te; Verde (Di Nanni), Codice di procedura civile, Torino, 1993, 462, che propende per la fungibilità delle tipiche misure disciplinate dal legis latore, risolvendo gli oneri del ricorrente nell'allegazione del fumus bo ni iuris e del periculum in mora.
Il Foro Italiano — 1998.
ne degli atti incompleti, o l'utilizzazione per la finalità diversa
cui siano comunque idonei, ovvero la rinnovazione delle attività
non esperite ritualmente; ritenuto che gli unici limiti alla conservazione degli atti giuri
dici sono ravvisabili in quelle norme che testualmente prevedo no sanzioni di nullità assolute, o inammissibilità ovvero termini
perentori di decadenza, e quindi testualmente tolgono efficacia
agli atti o alle attività compiute; ritenuto che non appare quindi ravvisabile l'asserita nullità
del ricorso, ai sensi dell'art. 156, 1° comma, c.p.c., non difet
tando il medesimo dei requisiti essenziali, e comunque avendo
comunque raggiunto lo scopo ai sensi dell'art. 156, 2° comma,
c.p.c., di porre in grado la controparte, ed anche il primo giu
dice, come si evince dalla parte narrativa del provvedimento
reclamato, di avere chiara contezza dei fatti dedotti; ritenuto che pertanto erroneamente il primo giudice ha rite
nuto la nullità dell'atto introduttivo del giudizio cautelare, omet
tendo su tale presupposto di affrontare il petitum sostanziale
dei ricorrenti, e che tale esame va compiuto dal tribunale, il
quale, in sede di reclamo ha i medesimi poteri del giudice del
cautelare; (omissis)
TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE; senten
za 30 aprile 1996; Pres. Mazzocca, Est. Di Marzio; Lener
(Avv. Bizzarro) c. Vendemia.
TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE; i
Interdizione e inabilitazione — Giudizio — Impulso su istanza
di parti private o del p.m. — Proseguibilità d'ufficio (Cod.
civ., art. 414, 417, 419; cod. proc. civ., art. 71, 100, 712,
713, 714).
Iniziato il giudizio di interdizione su impulso delle parti private o del p.m., il processo prosegue d'ufficio e deve concludersi
con una pronuncia giurisdizionale idonea a tutelare gli inte
ressi coinvolti; pertanto, il p.m. non ha il potere di provocare l'estinzione del giudizio accettando la rinuncia agli atti pre sentata dal ricorrente. (1)
(1) In senso conforme, sull'inammissibilità della rinuncia nel giudizio di interdizione, cfr. Cass. 16 dicembre 1971, n. 3664, Foro it., 1972, I, 2139, e Riv. dir. proc., 1973, 315, con nota di Comoglio. Le sezioni unite della Suprema corte (10 dicembre 1970, n. 2621, Foro it., 1971, I, 61) hanno negato al p.m., che spiega intervento obbligatorio in cause che egli stesso non può proporre, il potere di non accettare la rinuncia
agli atti del giudizio fatta da una parte ed accettata dall'altra. Sul tema, cfr. Cass. 8 marzo 1995, n. 2704, id., Rep. 1995, voce
Interdizione, n. 11, e Giust. civ., 1995, I, 2775, con nota di Ranieri, secondo cui per il principio della domanda il giudice non può pronun ciare d'ufficio l'interdizione nel corso del giudizio diretto alla pronun cia dell'inabilitazione; cfr., altresì, Cass. 10 agosto 1979, n. 4650, Foro it., 1980, I, 1057, che ha ritenuto l'insufficienza della mancata compa rizione dell'interdicendo davanti al giudice istruttore, ai fini dell'ema nazione della pronuncia di interdizione senza l'esame dell'interdicendo stesso.
In dottrina, in senso conforme, cfr. Mandrioli, Corso di diritto pro cessuale civile, Torino, 1991, 250, che configura il giudizio in esame come avente «struttura tipicamente inquisitoria col conseguente operare dell'impulso d'ufficio».
Ancora in dottrina, sui poteri del p.m. che interviene nelle cause che avrebbe avuto il potere di proporre, cfr. Codice di procedura civile commentato a cura di Vaccarella, Verde, Torino, 1997, sub art. 72, secondo cui il p.m. che interviene ex art. 72.1 c.p.c. ha la facoltà «pro cessuale di rinunciare agli atti del giudizio o di accettare la rinuncia da altra parte interposta poiché da essa deriva unicamente l'effetto pro cessuale dell'estinzione del processo . . .».
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato il 23 ot
tobre 1992, Michelina Lener chiedeva che fosse pronunziala l'in terdizione di suo figlio Vendemia Giovanni, nato a Marcianise (Ce) il 23 ottobre 1966 ed ivi residente alla via Bellini, n. 3. La ricorrente affermava che il resistente risultava affetto da psi
cosi, depressione atipica e turbe comportamentali, e per tali ra
gioni era già stato riconosciuto invalido civile abbisognevole di
accompagnamento con decorrenza 11 febbraio 1983. Prosegui va l'istante chiarendo che la menomazione mentale di suo fi
glio, sebbene accompagnata da apprezzabili facoltà di razioci
nio, risultava pur sempre: grave, abituale, irreversibile e conti
nua. Il Vendemia era pertanto incapace di provvedere ai propri
interessi, anche non patrimoniali, ed abbisognava di frequenti cure in istituti specializzati. In questi ultimi, del resto, era già stato frequentemente ricoverato, e vi aveva pure conseguito la
licenza elementare. La ricorrente chiedeva, pertanto, che fosse
dichiarata l'interdizione di Vendemia Giovanni, nominandosi allo
stesso un tutore provvisorio; incarico che la ricorrente dichiara
va di essere disposta ad assumere. Indicava quindi i parenti del
l'interdicendo. (Omissis) Motivi della decisione. — La domanda proposta da Lener
Michelina, che ha chiesto pronunciarsi l'interdizione del figlio Giovanni Vendemia, è infondata e deve essere rigettata.
Preliminarmente, occorre chiarire perché il collegio ritiene che
la dichiarazione di rinunziare agli atti operata dalla ricorrente
non abbia comportato il venir meno dell'obbligo del tribunale
di pronunziarsi nel merito.
La Lener ha manifestato il suo intento nei modi e termini
di legge. La parte che propone un'azione in giudizio, infatti, ha la possibilità di dichiarare la propria rinunzia agli atti, ai sensi dell'art. 306 c.p.c., in qualsiasi momento che preceda la
deliberazione del giudicante, pertanto, anche in un momento
successivo alla precisazione delle conclusioni (Cass. 2103/70, Foro
it., Rep. 1971, voce Impugnazioni civili, n. 57). L'atto di rinun
cia che si esamina è stato firmato dalla parte personalmente, ed il suo difensore ha provveduto ad autenticarne la sottoscri
zione (procedura che è ritenuta ammissibile secondo un consli
dato orientamento giurisprudenziale, cfr. Cass., ord. 57/79, id.,
1979, I, 624). La Lener ha poi avuto cura di notificare la pro
pia dichiarazione al p.m. Ritenuta rituale e tempestiva la rinuncia agli atti del giudizio,
così come operata dalla ricorrente, resta da valutare se essa sia
risultata idonea a provocare l'estinzione del processo, conse
guendo in questa sede l'insorgere dell'obbligo del giudice di di
chiararla. Non ignora il collegio l'insegnamento della Suprema corte secondo cui l'accettazione della rinunzia agli atti operata dalla parte ricorrente non richiede l'accettazione del p.m. quan do egli pur assuma la veste di interventore nel processo per ob
bligo di legge (Cass., sez. un., 2621/70, id., 1971, I, 61). Nel caso in esame, tuttavia, ci troviamo in presenza di un'i
potesi (procedimento di interdizione) in cui il p.m., oltre ad
essere un interventore obbligatorio, avrebbe potuto egli stesso
promuovere il giudizio. Proprio a tale ipotesi fa riferimento il
1° comma dell'art. 72 c.p.c., ove si dispone che il p.m., quando interviene nelle cause che avrebbe potuto proporre, ha gli stessi
poteri che competono alle parti, e li esercita nelle forme che
la legge stabilisce per queste ultime. Ciò vuol dire che, essendo
la rinuncia agli atti del giudizio proposta da chi provvide a pro muoverlo inidonea a comportare l'estinzione del processo se la
stessa non risulta accettata dalle altre parti (che possono avere
interesse alla prosecuzione del giudizio, ed in tale categoria de
ve sicuramente includersi il p.m. in base alle considerazioni di
Sull'argomento, in generale, cfr. Janniruberto, Natura giuridica e
parti del processo d'interdizione e d'inabilitazione, in Riv. dir. proc., 1988, 1022 ss.; Tommaseo, Sui profili processuali dell'interdizione e del
l'inabilitazione, in Giur. it., 1987, IV, 201 ss.; Poggeschi, Interdizione e inabilitazione, voce del Novissimo digesto, appendice, Torino, 1983,
IV, 304 ss.; Sorace, Interdizione (dir. proc. civ.), voce àt\YEnciclope dia del diritto, Milano, 1971, XXI, 953 ss.; Vignoio, Principio inquisi torio e impulso d'ufficio nel procedimento di interdizione, in Riv. dir.
civ., 1975, I, 337 ss.; Poggeschi, Il procedimento di interdizione e d'i
nabilitazione, Milano, 1958.
Il Foro Italiano — 1998.
cui poco oltre), e non essendo intervenuta )'accettazione detta
rinunzia operata dalla Lcnev patte dil sebbene l'atto
della ricorrente gli sìa stato ritualmente nvutimo, v estinzione del giudizio non potrebbe comunque essere pronunziata.
È opportuno soffermarsi brevemente ad esaminare i caratteri
del presente procedimento. Il giudizio di interdizione è discipli nato dal nostro ordinamento nelle forme di un processo inquisi torio (cfr. art. 419 c.c.), riconoscendosi al giudice ampi poteri
perché possa svolgere le attività istruttorie ritenute più opportu ne senza che occorra l'impulso di parte. La scelta del legislatore
appare subito comprensibile quando si consideri che lo scopo del procedimento consiste, in primo luogo, nell'assicurare piena
protezione giuridica a coloro che, a causa dell'infermità di mente
da cui risultano affetti, sono abitualmente incapaci di provve dere a sé ed al proprio patrimonio. In secondo luogo, il giudi zio di interdizione è volto ad evitare che un soggetto incapace di intendere e di volere possa concludere — non essendo stata
la sua infermità dichiarata con una pronunzia giudiziale da tutti
conoscibile — con terzi (semmai incolpevolmente ignari), nego zi di natura personale o patrimoniale che, potendo essere an
nullati (ricorrendo i presupposti previsti dalla legge nei diversi
casi), rischiano di originare un'inopportuna situazione di con
fusione e di incertezza nel mondo giuridico. Entrambi gli interessi presentano rilievo pubblicistico e, se
condo consuetudine, si è inteso affidare al p.m. il compito di
provvedere alla loro tutela. Da quanto osservato discende che
egli è (sempre) portatore di un interesse proprio (di natura pub
blicistica) alla prosecuzione di un giudizio di interdizione fino
alla pronuncia di merito. La rinunzia agli atti del giudizio ope rata da un'altra parte processuale dovrebbe sempre, pertanto, essere accettata dal p.m. perché possa verificarsi l'estinzione di
un simile processo (conf., App. Venezia 11 maggio 1965). La riflessione esposta — che imporrebbe comunque al colle
gio di procedere all'esame del merito della causa — però, non
sembra neppure necessaria per affermare che il giudizio in esa
me non si è estinto a seguito della descritta rinunzia operata dalla Lener.
Gli stessi soggetti privati cui la legge riconosce il potere di
promuovere il giudizio di interdizione, infatti, possono provve dervi non in quanto titolari di un proprio diritto soggettivo alla
pronunzia, bensì quali portatori di un mero interesse di fatto,
analogo a quello vantato dagli altri consociati. Essi sono titola
ri, in altri termini, di una mera azione, di un semplice potere di legittimazione processuale, che possono esercitare nell'inte
resse della collettività. Neppure il p.m., del resto, in quanto
portatore dell'interesse pubblicistico all'accertamento della ca
pacità d'agire delle persone, possiede alcun potere circa l'ogget to del giudizio, che risulta assolutamente indisponibile. In altri
termini, entrambe le categorie di soggetti legittimati, proponen do l'istanza di interdizione, promuovono un processo costituti
vo necessario a contenuto oggettivo. La rilevanza pubblicistica dei rapporti giuridici tutelati è tale che tanto il p.m. quanto i soggetti privati, vedono i loro poteri sull'oggetto del giudizio ristretti alla facoltà (parti private) oppure all'obbligo (p.m.), sussistendone i presupposti, di dare impulso al giudizio. A se
guito dell'esercizio di tale ultimo potere, il processo proseguirà
poi d'ufficio, anche in assenza di impulsi di parte, e dovrà ne
cessariamente concludersi con una pronunzia giurisdizionale, vol
ta ad offrire un'idonea tutela agli interessi della collettività (ol tre che dell'interdicendo). Ciò vuol dire che allo stesso p.m. non può mai riconoscersi il potere di provocare l'estinzione del
giudizio, neppure accettando la rinunzia agli atti proposta dal
ricorrente, ma, ancor prima, si ribadisce, la stessa rinuncia del
ricorrente è inidonea a sortire alcun effetto ai fini dell'estinzio
ne del giudizio. Naturalmente, quanto detto non esclude che i parenti che pro
muovono un giudizio di interdizione siano di regola portatori di un proprio interesse, spesso patrimoniale, a che intervenga la pronunzia richiesta. Tale interesse, tuttavia, rimane estraneo
all'oggetto del processo così come lo stesso è stato individuato
dal legislatore. Occorre pertanto procedere all'esame del merito del giudizio.
La ricorrente ha prodotto in atti, tra l'altro, un accertamento
della Commissione sanitaria provinciale invalidi civili di Mar
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2023 PARTE PRIMA 2024
cianise (prat. n. 15056, pos. 213/88, dell' 11 febbraio 1983) se
condo la quale il Vendemia presenta un patrimonio ideativo
povero di contenuti ed è affetto da una psicosi d'innesto, origi nata da una presumibile meningopatia verificatasi in età infan
tile. La commissione ha pertanto ritenuto che l'odierno resi
stente è abbisognevole di accompagnamento ai sensi della 1. 11
febbraio 1980, ed ha pure stimato che lo stesso debba essere
qualificato come irreversibilmente invalido al cento per cento.
Il c.t.u. nominato da questo tribunale, all'esito di un'accura
ta analisi del caso, condotta nel rispetto dei principi tecnici ed
immune da vizi logici, ha evidenziato che il Vendemia «presen ta un livello intellettivo leggermente superiore alla media, con
una buona aderenza alla realtà . . . conosce il valore dei soldi
ed è capace di programmare le sue spese, pur se ha un ristretto
gruppo di amici di riferimento socio-affettivo», pertanto il resi
stente non presenta «un quadro psicopatologico grave, tale da
renderlo incapace di intendere e di volere». Inoltre, nel soggetto esaminato «non si evidenziano tratti di patologia centroencefa
lica e di interesse psicotico». L'esame dell'interdicendo, svolto dall'istruttore alla presenza
del p.m., aveva condotto ad analoghe valutazioni.
II c.t.u. ha provveduto anche a raccogliere le dichiarazioni
della madre del resistente, l'odierna ricorrente Michelina Lener, ed ha ottenuto conferma che la stessa si trattiene la maggior
parte del tempo fuori casa, essendo impegnata ad accudire dei
nipoti in casa di un'altra figlia. Giovanni Vendemia provvede
perciò da sé alla cura della propria persona, e trascorre il tem
po, solo in casa, leggendo libri di interesse culturale e religioso ed ascoltando musica. Quando ne ha voglia passeggia (da solo)
per il paese e si reca periodicamente dal barbiere. Talvolta, per incontrare degli amici, raggiunge Caserta in pullman, e saltua
riamente si reca ad Aversa in treno per partecipare alle riunioni
di un gruppo religioso protestante. Anche in occasione degli incontri avuti con il c.t.u. il Vendemia, il più delle volte, ha
raggiunto lo studio del profesisonista da solo, servendosi di un
mezzo pubblico. Tenuto conto che il resistente è stato ritenuto
totalmente e permanentemente inabile al lavoro e ad autogestir
si, nonché abbisognevole di accompagnamento, dalla commis
sione provinciale predetta, il c.t.u. non ha potuto esimersi dal
l'osservare che: o la lamentata invalidità è inesistente, oppure ci troviamo in presenza dell'abbandono di un invalido. Tanto
premesso, il c.t.u. ha rilevato pure che il Vendemia percepisce una pensione bimestrale di lire 800.000 quale invalido civile e
che il detto importo viene interamente gestito dalla madre (che
gli consente di disporre soltanto di 50.000 lire). La Lener svolge anche la funzione di tutore provvisorio sebbene, secondo il pa rere del c.t.u., il «mancato rapporto con la madre ha esaltato
il vissuto angosciante» del resistente. Ritiene, pertanto, il colle
gio, che le osservazioni del consulente debbano essere nuova
mente sottoposte al p.m., cui dovranno essere trasmessi gli atti
del giudizio, perché effettui le valutazioni di sua competenza. Alla luce di quanto esposto, il tribunale reputa che Vendemia
Giovanni non versa in condizioni di abituale infermità di mente
ed è in grado di attendere ai propri interessi in maniera suffi
ciente. Egli non deve, per conseguenza, essere dichiarato inter
detto. Neppure sono emersi dall'istruttoria elementi che induca
no a ritenere che il resistente debba essere inabilitato. Il ricorso
proposto dalla madre, Lener Michelina, deve pertanto essere
rigettato.
Il Foro Italiano — 1998.
PRETURA DI COSENZA; ordinanza 1° giugno 1998; Giud.
Baraschi; Aceto (Aw. V. Ferrari) c. Soc. Muglia elevatori
(Avv. Cost abile).
PRETURA DI COSENZA;
Provvedimenti di urgenza — Borsa di lavoro per giovani inoc
cupati nel Mezzogiorno — Recesso dell'imprenditore — Or
dine di ripristino del rapporto (Cod. proc. civ., art. 700; d.leg. 7 agosto 1997 n. 280, attuazione della delega conferita dal
l'art. 26 1. 24 giugno 1997 n. 196, in materia di interventi a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno, art. 5).
Su istanza del giovane inoccupato immesso in azienda che frui sca dell'utilizzazione di borse di lavoro ai sensi del d.leg. 7
agosto 1997 n. 280, va ordinato, con provvedimento d'urgen
za, il ripristino del rapporto di borsa di lavoro interrotto dal
recesso dell'imprenditore effettuato senza il rispetto della pro cedura e dei presupposti previsti nella circolare dell'Inps che, in quanto ente tenuto alla corresponsione del sussidio costi
tuente l'unico supporto finanziario per il borsista, ha regola mentato lo svolgimento del rapporto. (1)
Premesso che: con ricorso d'urgenza Aceto Emiliana ha con
venuto in giudizio la Muglia elevatori s.r.l., nella persona del
legale rappresentante, esponendo di avere, in data 3 febbraio
1998, iniziato con la società convenuta una «borsa di lavoro»,
stipulata ai sensi del d.leg. 280/97, attuativo della 1. 196/97, che ha previsto la possibile immissione nelle aziende di giovani
inoccupati, per un periodo massimo fissato dalla legge stessa, dietro corresponsione di un sussidio a totale carico dell'Inps, allo scopo di favorire l'apprendimento professionale dei giovani borsisti e la loro possibile futura assunzione in sede alle aziende
medesime;
ha quindi evidenziato che con lettera del 13 marzo 1998 la
società aveva comunicato l'interruzione del rapporto, senza che
le fosse mai in precedenza contestato alcun inadempimento dei
compiti svolti; ha quindi evidenziato la illegittimità del recesso operato dalla
Muglia s.r.l. in quanto il rapporto di borsa di lavoro stipulato ai sensi del decreto legislativo citato se da un lato espressamente non viene configurato come rapporto di lavoro subordinato, dall'altro non prevede la possibilità di un recesso anticipato da
parte della impresa stipulante; ha dunque chiesto al pretore di ordinare in via d'urgenza alla
convenuta di ripristinare con la Aceto il rapporto di borsa di
lavoro interrotto; a sostegno della domanda d'urgenza ha evidenziato come, in
considerazione della durata limitata del rapporto stesso (undici
mesi, con scadenza al 2 dicembre 1998), una pronunzia emessa
con i tempi del giudizio ordinario rischierebbe di intervenire quando il periodo in questione sia già decorso, in tutto o in parte.
Si è costituita nella presente procedura la Muglia elevatori
s.r.l., nella persona del legale rappresentante, ed ha chiesto il
rigetto della domanda a sua volta sostenendo: — che il rapporto in questione, se pure non viene configurato
come di lavoro subordinato, pure comporta per il borsista l'ob
(1) Questione nuova. Sulle borse di lavoro, cfr. S. Ciucciovino, Le borse di lavoro, in
Argomenti dir. lav., 1998, fase. 1, 143; P. Lambertucci, Politiche del
l'impiego e promozione dell'occupazione, in Flessibilità e diritto del la voro a cura di G. Santoro Passarelli, 1997, III, 474 ss.; S. Maretti, Emersione del lavoro sommerso e politiche attive del lavoro nella l. 24 giugno 1997 n. 196, in II lavoro temporaneo e i nuovi strumenti di promozione dell'occupazione, Commento alta l. 24 giugno 1997 n. 196 a cura di L. Gaiantino, Giuffrè, Milano, 1997, 496 ss.; M.T. Ve do velii, Interventi a favore dei giovani inoccupati nel Mezzogiorno, in Mercati e rapporti di lavoro a cura di M. Biagi, Giuffrè, Milano, 1997, 321 ss.
Per riferimenti sul c.d. «pacchetto Treu», cfr. M. De Luca, Nuove
forme di lavoro (oltre la subordinazione e l'autonomia), in nota a Cor te cost. 29 gennaio 1998, n. 3, Foro it., 1998, I, 665.
Sulla tutelabilità in via d'urgenza di posizioni che comportino un fa cere infungibile, v. Trib. Milano, ord. 2 ottobre 1997, ibid., 241, con nota di richiami.
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