Sentenza 30 dicembre 1961, n. 73; Pres. Cappi P., Rel. Chiarelli; Pres. Giunta prov. di Bolzano(Avv. Tinzl) c. Pres. Regione Trentino-Alto Adige (Avv. dello Stato Guglielmi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 1 (1962), pp. 7/8-11/12Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151950 .
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PARTE PRIMA
«Se la sezione specializzata deve essere considerata, come
si desume dall'art. 102, non già un tertiwm genus fra la
giurisdizione speciale e quella ordinaria, bensì una species di quest'ultima, bisogna fare riferimento ai caratteri fun
zionali e strutturali che appaiono meglio indicati ad acco
starla ad essa. Per quanto attiene ai primi si deve ritenere
clie, nel silenzio della legge in ordine al procedimento da
seguire avanti le sezioni specializzate, siano da adottare
le norme del codice di rito civile, mentre le deroghe che
apparisse necessario apportare alle medesime, onde ren
derle più rapide o meno costose, oltre a non potere, com'è
ovvio, contraddire ai principi fondamentali, dovrebbero es
sere formulate in modo esplicito, rimanendo poi affidata
alle norme stesse senza uopo di alcun richiamo, la regola mentazione delle parti non derogate.
Dal punto di vista della struttura poi, le sezioni non
possono essere sottratte alla sorveglianza dei capi degli uffici giudiziari, ai quali sono collegate. Quanto alla loro
composizione deve considerarsi elemento distintivo la pre senza nel collegio di magistrati ordinari. Se anche è vero
che tale presenza può riscontrarsi pure in giurisdizioni spe ciali (come avviene per es. nel Tribunale superiore delle
acque pubbliche, allorché decide come unica istanza), essa
tuttavia rimane quale circostanza del tutto accidentale, mentre nelle sezioni specializzate non può mai mancare.
Inoltre l'autonomia che caratterizza la giurisdizione ordi
naria nei confronti di poteri diversi dall'ordine della magi stratura deve trovare espressione, per quanto riguarda i
cittadini idonei, nel farne dipendere la preposizione alla
carica da un atto proveniente da organi della medesima
(secondo dispone l'art. 10, n. 1, legge sul Consiglio superiore della magistratura, che l'affida, per delega da parte del
Consiglio stesso, ai presidenti delle corti di appello). Da quanto si è detto risulta la sussistenza di una serie
di caratteri sufficientemente precisi, idonei ad operare la
discriminazione che si ricerca, sicché non sarebbe esatto
ritenere che questa sia condizionata solo alla prevalenza numerica nel collegio dei giudici togati rispetto ai cittadini, così da stare o cadere con questa.
Si tratta ora di vedere se tale prevalenza, pur non co
stituendo elemento esclusivo ai fini della differenziazione
tra i due tipi di giurisdizione in discorso, sia da ritenere
imposta dalle disposizioni dell'art. 102 o dal sistema costi
tuzionale. È anzitutto da precisare al riguardo che elementi
di giudizio per la soluzione della questione non possono trarsi dall'ultimo comma di tale articolo, poiché, secondo
risulta dal confronto con il comma precedente ed è confer
mato dai lavori preparatori, si è inteso assicurare con esso
la partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della
giustizia, che può anche richiedere, affinchè il suo carattere
popolare non riesca alterato, la prevalenza numerica dei
componenti non togati. Si può aggiungere che, ove si pre scindesse dalla diversa funzione voluta assegnare nei due
casi all'intervento nei collegi giudicanti di personale estraneo
alla magistratura, si verrebbe a privare l'ultimo comma di
ogni significato, risolvendosi in ima pura e semplice ripeti zione del precedente. La finalità che invece giustifica la
« partecipazione » di cittadini alle sezioni specializzate non
è già quella di farvi risuonare la voce di una generica « co
scienza sociale », bensì l'altra di acquisire l'apporto di cono
scenze tecniche o di particolari esperienze di vita, quando ciò sia riconosciuto utile ad una migliore applicazione della
legge ai rapporti concreti. Che siffatta partecipazione sia
stata prevista come meramente eventuale (sicché può anche
mancare senza che ne riesca alterato il carattere proprio della sezione in parola), e che in ogni caso essa è mera
mente integrativa e complementare rispetto a quella dei
magistrati, si può argomentare dalla congiunzione « anche »
che precede il riferimento alla medesima.
Non ritiene però la Corte che da tale ammissione debba
farsi derivare come conseguenza che, nello stabilire la
proporzione fra i due gruppi di componenti, sia in ogni caso e necessariamente da dare maggior peso numerico
a quello costituito dai giudici togati. È vero che la fun
zione della interpretazione ed applicazione della legge ri
chiede il possesso della tecnica giuridica, qual'è patrimonio
appunto di questi ultimi, ma è vero altresì ohe, in con
fronto a determinati tipi di controversie, possa risultare
opportuno dare una qualche limitata prevalenza all'ele
mento non togato (sempre che ne siano, come si è detto, assicurati i requisiti di capacità e di indipendenza, e non
risulti altresì snaturata l'indole che il collegio deve sempre conservare di organo della giurisdizione ordinaria). Tale
esigenza potrebbe verificarsi allorché il giudizio deman
dato al collegio non sia vincolato a rigidi schemi normativi, o assuma caratteri che lo accostino al giudizio di equità,
oppure quando la natura dei rapporti sottoposti al giudice richieda in modo speciale apprezzamenti e valutazioni che
presuppongano, per potere riuscire esatti, non solo il pos sesso di certe conoscenze, bensì anche l'acquisizione di
una esperienza concreta e, per così dire, vissuta dei rap
porti medesimi, dell'ambiente in cui si svolgono, degli interessi alla cui soddisfazione sono rivolti. Invece, in
altre ipotesi, allorché il contributo che si richiede ai cit
tadini esperti rivesta indole prevalentemente tecnica, pari a quello che potrebbe essere fornito all'organo giudicante da un qualsiasi perito, allora sembra più conforme a Costi
tuzione che il voto di costoro di norma non prevalga su
quello del magistrato. Facendo ora applicazione dei criteri esposti alla que
stione in esame, ritiene la Corte che la lieve prevalenza stabilita, limitatamente ai giudizi di primo grado, a favore
degli esperti della vita agraria (a prescindere da ogni rilievo
in ordine alle modalità della loro scelta e del procedimento di nomina, dato che esse attengono ai requisiti di indipen
denza, esulanti, come si è detto, dal presente esame), trovi
giustificazione nella materia della proroga dei contratti
agrari parziari che ne è oggetto, perchè rispetto ad essi la
determinazione di im assetto equilibrato dei rapporti fra
le parti si giova della particolare conoscenza di usi, di
pratiche, di situazioni locali, quale può essere posseduta da chi rivesta la qualità richiesta per gli esperti dall'art. 7
della legge impugnata. La più larga partecipazione di
costoro nella prima fase del procedimento, suggerita dalla
esigenza che si è prospettata, trova poi un temperamento nella sede di gravame, nella quale la ricostituzione della
preminenza numerica del giudice togato può contribuire
alla eliminazione di qualche eventuale eccesso delle valu
tazioni compiute dal primo giudice, senza che tuttavia
venga meno il contributo delle conoscenze proprie degli
esperti. Per questi motivi, dichiara non fondata la questione
proposta con l'ordinanza del Tribunale di Sassari, in data
7 febbraio 1961, sulla legittimità costituzionale dell'art. 7
legge 4 agosto 1948 n. 1094, in riferimento all'art. 102
Costituzione.
CORTE CÓSTITDZIONALE.
Sentenza 30 dicembre 1961, n. 73 ; Pres. Cappi P., Rei.
Chiarelli ; Pres. Giunta prov. di Bolzano (Avv. Tinzl) c. Pres. Regione Trentino-Alto Adige (Avv. dello Stato
Guglielmi).
Trentino-Alto Adiye — Atti «li controllo della Giunta
provinciale -— Kicorso alla Giunta regionale —
Inammissibilità (Statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige, appr. con legge cost. 26 febbraio 1948 n. 5, art. 48).
Alla Giunta regionale del Trentino-Alto Adige non compete
provvedere sui ricorsi contro gli atti di controllo, adottati
dalla Giunta provinciale (di Trento o di Bolzano), ai
sensi dell'art. 48 dello Statuto speciale. (1)
(1) Sull'argomento vedi, in giurisprudenza, Corte cost. 4
luglio 1956, n. 15 (Foro it., 1956, I, 1025, con nota di richiami) ; 5 maggio 1959, n. 23 (id., 1959, I, 718, con nota di richiami) ; 29 marzo 1960, n. 14 (id., 1960, X, 713, con nota di richiami) ; in
dottrina, Cesareo, L'autonomia della Regione Trentino-Alto Adige
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La Corte, eco. — Fatto. — L'Azienda elettrica consor ziale delle Città di Bolzano e Merano, eon deliberazione 10 maggio 1958 (n. 33/4), approvava una transazione, sti
pulata dal Commissario straordinario dell'Azienda col dott. Tullio Menestrina, per la definizione di diverse cause pen denti.
Con provvedimento 29 maggio 1958 (n. 14916/5015), la Giunta provinciale di Bolzano annullava detta delibera
zione, ai sensi dell'art. 17, ult. comma, t. u. 15 ottobre 1925 n. 2578, ritenendola lesiva degli interessi dell'Azienda. Contro il provvedimento della Giunta, il dott. Menestrina
propose ricorso al Ministero dell'interno, ma questo, con atto 11 aprile 1959, si dichiarò incompetente. Il dott. Me nestrina presentò allora nuovo ricorso alla Giunta regio nale del Trentino-Alto Adige, la quale, con deliberazione 28 luglio 1960, n. 1311, ritenuta la propria competenza, accolse il ricorso, e dichiarò valida ed operante la delibe razione con cui l'Azienda aveva approvato la transazione.
In riferimento a tale deliberazione della Giunta regio nale, la Provincia di Bolzano, rappresentata dall'avv. Tinzl, con atto notificato l'8 febbraio 1961 al Presidente della Giunta regionale e al Presidente del Consiglio dei ministri e depositato il 22 febbraio successivo, ha proposto ricorso
per regolamento di competenza, chiedendo che questa Corte dichiari l'incompetenza della Regione e della Giunta re
gionale. (Omissis) Diritto. — Il ricorso della Provincia di Bolzano pone la
questione se contro un atto della Giunta provinciale di Trento o di Bolzano, che neghi l'approvazione al provve dimento di un ente soggetto alla sua vigilanza e tutela ai sensi dell'art. 48, n. 5, Statuto, sia ammesso ricorso
gerarchico improprio alla Giunta regionale, in applicazione dell'art. 343, 2° comma, t. u. legge com. e prov. 3 marzo 1934 n. 383, successivamente modificato.
Osserva la Corte che l'ordinamento regionale, previsto dalla Costituzione e instaurato dagli Statuti per le Regioni a ordinamento speciale, ha dato luogo a un sistema di autonomia e di decentramento, che comprende la disci
plina dei controlli sugli atti delle provincie, dei comuni e
degli altri enti locali. Tale disciplina, basata sull'art. 130
Cost., è contenuta in norme dei singoli Statuti e, in maniera
organica, nella legge 10 febbraio 1953 n. 62, sulle Regioni a statuto ordinario. Un'applicazione del principio di auto
nomia, su cui si fonda il sistema, e del criterio di decentra
mento, secondo cui la Costituzione vuole sia esercitato il controllo sugli enti locali (art. 130 cit.), consiste nel carat tere definitivo delle pronunce degli organi a cui è affidato il detto controllo. La impugnabilità di esse in via ammini
strativa, infatti, implicherebbe una posizione di subordi nazione gerarchica di tali organi, quanto meno impropria, che contrasterebbe con l'autonomia dell'ente a cui essi
appartengono. È noto, del resto, che la definitività degli atti di con
trollo, nel campo dell'ordinamento regionale, è enunciata nell'art. 63 cit. legge n. 62 del 1953 ; e questa Corte ha già avuto occasione di affermare che, pur riferendosi tale legge alle Regioni a statuto ordinario, da essa possono desumersi i principi delle leggi dello Stato, a cui si richiamano gli Statuti delle Regioni a ordinamento speciale. È vero clic tali principi possono dedursi anche da altre norme statali sui controlli amministrativi, ma solo in quanto si inqua drino nel sistema dell'ordinamento regionale e nei suoi
principi fondamentali, costituzionalmente garantiti. Non è
questo il caso, a giudizio della Corte, della disposizione dell'art. 343, 2° comma, legge com. e prov. 1934, giacche detta disposizione introdurrebbe nell'ordinamento regionale una figura di ricorso gerarchico improprio, in antitesi coi
richiamati principi di autonomia. Può aggiungersi che, se si fosse voluto riprodurre in tale ordinamento quella ecce
zione al generale principio della definitività degli atti degli
e delle Provincie di Trento e di Bolzano, Milano, 1958, 19 e segg. ; Sepe, in Corriere amministrativo, 1952, 456.
Sul ricorso gerarchico improprio, cons. Benvenuti, in Ras
segna dir. pubblico, 1957, I, 1.
enti autarchici, che è rappresentata dal 2° comma del l'art. 343, lo si sarebbe detto esplicitamente nel ricordato art. 63 legge 10 febbraio 1953 n. 62 : avendo, invece, detto articolo stabilito indiscriminatamente la definitività degli atti di controllo per le Regioni a statuto ordinario, si è
portati a riconoscere a maggior ragione tale carattere negli atti di controllo compresi negli Statuti speciali, che attri
buiscono una più ampia e penetrante autonomia alle rispet tive Regioni.
Le esposte considerazioni vanno riferite al caso in
oggetto. Lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nell'art.
48, n. 5, ha assegnato alle giunte provinciali quei poteri di controllo sui comuni e gli enti locali, che gli altri Statuti
speciali hanno affidato ad organi della Regione (art. 46 Statuto sardo, art. 43 Statuto Valle d'Aosta). È questo un
aspetto della particolare autonomia che si è intesa attri
buire alle Provincie di Trento e di Bolzano. In applicazione dei principi innanzi esposti, deve ritenersi che gli atti di
controllo compiuti dalle dette Provincie abbiano quel ca
rattere di definitività, che è proprio, nell'ordinamento re
gionale, delle pronunce di controllo sugli atti degli enti
locali.
Nè lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige con
tiene elementi da cui possa desumersi una deroga all'enun
ciato principio. Secondo la tesi della Regione si dovrebbe configurare,
come si è detto, un ricorso gerarchico improprio alla Giunta
regionale contro i cosiddetti atti di controllo negativi emessi dalla Giunta provinciale. Se non che va osservato
in proposito che è ormai pacifico in giurisprudenza e in
dottrina che il ricorso gerarchico impròprio è un rimedio
eccezionale, che deve essere espressamente previsto dalla
legge. Nella specie, non solo non è contemplato dallo Sta
tuto, ma l'ammissibilità di esso non si può neanche desu
mere dai richiami in questo contenuti alle potestà e alle
leggi dello Stato, nò si inquadra nei rapporti tra Provincia
e Regione, quali sono garantiti dallo stesso Statuto. A dimo
strarlo è sufficiente una breve analisi delle norme su cui
si è imperniata la discussione tra le parti. L'art. 5 Statuto spec, attribuisce alla potestà legislativa
secondaria della Regione l'« ordinamento dei comuni e delle
Provincie ». Prescindendo dalla questione se tale indica
zione comprende la materia dei controlli e se la Regione, nell'esercizio della detta competenza, possa attribuire a se
stessa poteri in questa materia, è rilevante la conside
razione che la competenza legislativa regionale, di cui al
detto art. 5, trova un limite nei « principi stabiliti dalle
leggi dello Stato ». Ora se, come si è visto, la definitività
degli atti di controllo è un principio stabilito dalla legge dello Stato in relazione all'ordinamento regionale, e deriva,
per di più, dai principi costituzionali di autonomia e di
decentramento, ne consegue che in nessun caso la Regione
potrebbe derogare, con una propria legge, al detto principio. A parte il fatto che una tale legge non è stata, nella specie, emanata dalla Regione.
Ulteriore conseguenza è che non vale a dimostrare l'am
missibilità del ricorso in questione far riferimento all'art.
13 dello stesso Statuto. Tale articolo attribuisce, rispettiva
mente, alla Regione e alla Provincia le potestà amministra
tive già dello Stato, nelle materie e nei limiti in cui Regione e Provincia hanno competenza legislativa ; ma, se la com
petenza legislativa della Regione ha un limite nella inde
rogabilità del principio della definitività degli atti di con
trollo, manca il presupposto perchè la Regione possa essere
considerata titolare di una potestà amministrativa di cono
scere dell'impugnativa contro i detti atti.
Risulta invece chiaramente dallo Statuto che la potestà di controllo sugli atti dei comuni e degli altri enti locali,
già esercitata da organi statali, è stata interamente trasfe
rita alla Provincia, senza possibilità di ulteriori gravami. È vero che la disposizione dell'art. 48, n. 5, Statuto spe
ciale richiede l'integrazione di altre norme, relative ai casi, ai modi e ai procedimenti di vigilanza e di tutela, e che, in
mancanza di leggi regionali o provinciali, per l'art. 92
Statuto si applicano le leggi dello Stato ; ma tali leggi si
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11 PARTE PRIMA 12
applicano nell'ambito delle competenze attribuite alla Re
gione o alla Provincia e non si può, attraverso il riferimento
ad esse, riconoscere alla Regione una competenza che non
le sia stata già attribuita dallo Statuto.
Nè vale richiamarsi all'art. 38, n. 1, Statuto spec., cbe
attribuisce alla Giunta regionale l'« attività amministra
tiva per gli affari di interesse regionale » ; in primo luogo, è chiaro che la norma intende far riferimento all'ammini
strazione cosiddetta attiva ; in secondo luogo, la decisione
di ricorsi, anche in materia di pura legittimità, non può considerarsi affare di interesse regionale e, quando anche
la Regione potesse essere ritenuta titolare di un interesse
alla legittimità degli atti delle Provincie, da ciò non deri
verebbe un suo potere di decidere ricorsi contro tali atti.
Maggior pregio non ha la considerazione che la Regione ha una sfera di interessi più ampia di quella della Pro
vincia. A parte il fatto, per se stesso decisivo, che la mag
giore ampiezza di interessi non basta a determinare un
rapporto di gerarchia impropria, che, come si è visto, solo
la legge può, eccezionalmente ed esplicitamente, stabilire tra enti autonomi, va riconosciuto che lo Statuto del Tren
tino-Alto Adige ha compiuto ima precisa e del tutto parti colare distribuzione di competenze tra Regione e Provincie, che non può essere alterata dalla indubbia esigenza che
l'attività delle Provincie si svolga in armonia con gli inte
ressi della Regione, nel quadro dell'unitario ordinamento dello Stato.
Per questi motivi, dichiara che non spetta alla Regione Trentino-Alto Adige decidere ricorsi proposti avverso atti di controllo adottati dalla Giunta provinciale, ai sensi del l'art. 48 Statuto speciale Trentino-Alto Adige ; annulla per conseguenza la deliberazione della Giunta regionale del Trentino-Alto Adige 28 luglio 1960, n. 1311.
CORTE COSTITUZIONALE.
Sentenza 22 dicembre 1961, n. 71 ; Pres. Cappi P., Rei. Gabrieli ; Del Zotto c. I.n.p.s. (Avv. Nakdone) ; interv. Pres. Cons, ministri (Avv. dello Stato Sihi)
Previdenza sociale —- Assicurazione superstiti — Ite
«filisi! i contributivi - Periodo di lavoro all'estero
Questione di incostiliizionalità — Infondatezza
(L. 4 aprile 1952 n. 218, riordinamento delle pensioni per l'assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e
superstiti, art. 37 ; d. pres. 26 aprile 1957 n. 818, norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952 n. 218, art. 37).
È infondata la questione di legittimità costituzionale del l'art. 37, lett. b, decreto pres. 26 aprile 1957 n. 818, circa i periodi di lavoro subordinato all'estero non protetti da accordi internazionali, in relazione all'art. 37 della legge 4 aprile 1952 n. 218. (1)
La Corte, ecc. L'I.n.p.s. ha eccepito che l'ordi nanza del Tribunale di Udine viola il principio, secondo il
quale il giudizio incidentale di costituzionalità non può essere proposto se non quando sia accertata la necessità di
applicare la norma della cui costituzionalità si dubita ; necessità, nella specie, da escludere in quanto la norma dell'art. 37, lett. b, decreto pres. 26 aprile 1957 n. 818 impu gnata non sarebbe retroattiva ; che pertanto la Corte deve
preliminarmente stabilire se l'accertamento, da parte del
giudice di merito, dell'applicabilità della surriferita dispo sizione debba precedere o meno la decisione relativa alla
sospensione del giudizio e alla remissione degli atti a questa Corte. Anche l'Avvocatura dello Stato lamenta che il Tri bunale di Udine non ha motivato sulla rilevanza.
L'eccezione va disattesa. Invero il Tribunale nel con
(1) L'ordinanza di rimessione, Trib. Udine 23 giugno I960, è riassunta in Foro it., 1960, I, 1868,
trasto tra la tesi dell'attrice che chiedeva la pensione super stiti in virtù dell'art. 37, lett. b, decreto pres. 26 aprile 1957
n. 818 e la tesi dell'I.n.p.s., secondo la quale la norma
invocata non è applicabile, riteneva non potersi tale con
trasto risolvere senza che fosse preventivamente accertata
la legittimità costituzionale della surriportata norma ; la
quale, creando nuove condizioni per la concessione della
pensione, non sembrava in armonia con i criteri fissati
dalla legge 4 aprile 1952 n. 218. E soggiungeva che l'ipo tesi del computo ai fini della pensione dei periodi di lavoro
subordinato all'estero, non protetti da convenzioni interna
zionali (art. 37, lett. b, legge n. 818), non potesse ritenersi
implicitamente contemplata dalla legge del 1952 e dalle
leggi precedenti, le quali prevedono casi particolari di con
tribuzione figurativa, ma nulla dispongono per il caso in
esame. In tale modo il Tribunale con motivazione suffi
ciente ha compiuto un adeguato accertamento sulla ri
levanza.
Nel merito devesi dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata ex officio dal Tribu
nale di Udine.
Secondo l'art. 37, lett. b, decreto pres. 26 aprile 1957
n. 818, i periodi di lavoro subordinato all'estero, non pro tetti agli effetti delle assicurazioni interessate in base a
convenzioni od accordi internazionali, sono esclusi dal
computo del quinquennio ai fini dell'accertamento dei re
quisiti contributivi per il diritto alla pensione superstiti. È questa una norma di coordinamento che, formando
oggetto specifico di delega legislativa (art. 37, 1° comma,
legge 4 aprile 1952 n. 218), può comprendere, come più volte ha affermato questa Corte, la possibilità di eliminare eventuali lacune o discordanze nel particolare settore cui la legge si riferisce (Corte cost. sent. n. 24 del 5 maggio 1959, Foro it., 1959, I, 715, ecc.).
L'art. 37 legge 4 aprile 1952 n. 218 dà al Governo il potere di emanare norme in conformità dei principi e
criteri direttivi in detta legge contenuti, nonché norme intese a coordinare le vigenti disposizioni sulle assicura zioni sociali con quelle della stessa legge delegante.
Giova a tal punto ricordare che dal succedersi delle
leggi nel campo della previdenza sociale affiorano direttive
sempre più favorevoli al lavoratore soprattutto al fine di
garantire il diritto alla pensione (r. decreto 30 dicembre 1923 n. 3184 : art. 30 ; r. decreto 28 agosto 1924 n. 1422 : art. 71 ; legge 1928 n. 2900 ; r. decreto legge 4 ottobre 1935 n. 1827 : art. 56, convertito nella legge 6 gnigno 1936 n. 1155 ; r. decreto legge 14 giugno 1939 n. 636 : art. 9, convertito nella legge 6 luglio 1939 n. 1272, ecc.).
Inoltre, dal sistema previdenziale si desume che il le
gislatore ha voluto estendere la tutela assicurativa al mag gior numero di lavoratori, rendendola sempre più efficace, sia attuando il principio della continuità del rapporto assi curativo e della conservazione dei corrispondenti diritti
quesiti (passaggio dal sistema di assicurazione volontaria al sistema di assicurazione obbligatoria : t. u. 30 maggio 1907 n. 376 ; decreto legisl. 21 aprile 1919 n. 603; r. decreto 30 dicembre 1923 n. 3184) ; sia col fare rientrare nell'ambito della tutela situazioni d'impossibilità obiettiva da parte del lavoratore di versare i prescritti contributi o di prestare la sua opera (servizio militare, puerperio, disoccupazione, malattia, ecc.). Ed il principio della conservazione della tutela previdenziale è stato attuato, tra l'altro, con la neu tralizzazione dei periodi, prescritti per conseguire deter minati benefici inerenti al rapporto assicurativo (r. decreto
legge 4 ottobre 1935 n. 1827 : art. 56, 74, 2° comma ; legge 4 aprile 1952 n. 218 : art. 4, ecc.).
Ciò posto la disposizione dell'art. 37, lett. b, traduce in formula legislativa il principio che, quando situazioni obiettive determinano la sospensione del rapporto assicu
rativo, i diritti acquisiti dal lavoratore rimangono quali erano al momento della sospensione senza l'obbligo di ver sare i contributi durante il periodo della sospensione stessa
(neutralizzazione del periodo), realizzandosi così la conser vazione dei relativi diritti, indipendentemente dalle vicende del rapporto di lavoro, che può sospendersi o interrompersi.
Ora non v'ha dubbio che la legge 4 aprilet1952 n. 218
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