sentenza 30 giugno 1994, n. 265 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 6 luglio 1994, n. 28);Pres. Pescatore, Est. Spagnoli e Ferri; De Benedetto; Tammeo; Aloschi; Di Francesco; Pontellini;interv. Pres. cons. ministri. Ord. Pret. Paola-Scalea 23 ottobre 1992, Pret. Venezia-Chioggia 17novembre 1992, Pret. Napoli-Sorrento 18 maggio 1993, Pret. Caltanissetta 11 giugno 1993,Pret. Urbino 23 settembre 1993 (G.U., 1 a s.s. ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 9 (SETTEMBRE 1995), pp. 2435/2436-2441/2442Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189015 .
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2435 PARTE PRIMA 2436
pazione al processo penale, ovvero (per la parte civile) di sen
tenza assolutoria.
Non può, d'altra parte, dubitarsi che, compromessa la valen
za di postulato dogmatico, a partire dalla ricordata sentenza
n. 1 del 1970, del principio della unità della giurisdizione, è venuto a cadere anche il suo valore di regola interpretativa nei casi in cui, facendo appello all'osservanza di tale principio, ri
sulti vulnerato il diritto di azione e difesa del titolare dell'azio
ne di danno.
10. - Una volta accertata la violazione dell'art. 24 Cost, da
parte di una norma che non consente alla parte civile, nei casi
sopra indicati, l'esodo dal processo penale, resta da stabilire, in base al devolutum, se si profili una soluzione, da ritenere
costituzionalmente obbligata, in grado di eliminare il vulnus ar
recato al diritto di azione e difesa.
Esclusa la percorribilità di un itinerario normativo che con
duca ad estendere alla fattispecie denunciata il regime di cui
all'art. 88, 5° comma, c.p.p., sia per l'inadeguatezza del regime della sospensione del processo a costituire il presupposto per
superare la preclusione sia per gli effetti in danno dell'imputato che ne potrebbero conseguire sul piano del diritto penale so
stanziale (si pensi alla sospensione della prescrizione in conse
guenza della sospensione del processo, un evento, peraltro, non
ineluttabilmente collegato al fine perseguito dal giudice a quo), l'unica norma in grado di fronteggiare il denunciato vizio di
illegittimità è da individuare in un precetto che — svincolato
dalle vicende direttamente collegate alle sorti del processo pena le e, quindi, al diritto dell'imputato di non presenziare al dibat
timento senza che ciò debba comportare l'utilizzazione di un
regime esorbitante rispetto alla tutela del suo diritto di difesa
in sede penale — consenta alla parte civile di chiedere al giudi
ce, ove l'imputato rifiuti che il processo si svolga in sua assen
za, di esercitare l'azione civile in sede propria. Questa soluzio
ne, già contemplata nel regime del codice di procedura penale del 1913, il cui art. 471 attribuiva al giudice, tra l'altro, nel
caso in cui l'imputato «si trova nell'impossibilità di comparire
per legittimo e grave impedimento», il potere di «autorizzare
il danneggiato che ne faccia istanza, a promuovere o proseguire l'azione per i danni avanti al giudice civile indipendentemente dal procedimento penale, e nonostante che siavi stata costitu
zione di parte civile», viene a profilarsi come la sola in grado di dare vita ad un regime che contemperi l'esigenza di tutelare il diritto di difesa dell'imputato senza esporlo alla sospensione del processo con la parallela esigenza di garantire alla parte ci
vile — ove si verifichi l'impossibilità di celebrare il processo per un periodo di tempo non determinato né determinabile —
il diritto di esercitare l'azione civile in sede propria. Il tutto,
del resto, secondo una linea coerente ai decisa di questa corte
quanto al superamento del principio dell'unità della giurisdizio ne allorché sia in gioco il diritto di azione e difesa.
11. - L'art. 88, 5° comma, c.p.p. del 1930 va dunque, dichia
rato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 24
Cost., nella parte in cui non prevede, in caso di accertato impe dimento fisico permanente di durata indeterminabile che non
permetta all'imputato di comparire all'udienza, ove questi non
consenta che il dibattimento prosegua in sua assenza, che il giu dice possa autorizzare la parte civile a proporre l'azione civile
davanti al giudice civile.
Resta cosi assorbita l'ulteriore questione relativa al dedotto
contrasto con l'art. 3 Cost. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 88, 5° comma, c.p.p. del 1930, nel
la parte in cui non prevede che, in caso di accertato impedimen to fisico permanente di durata indeterminabile che non permet ta all'imputato di comparire all'udienza, ove questi non consenta
che il dibattimento prosegua in sua assenza, il giudice possa autorizzare la parte civile a proporre l'azione civile davanti al
giudice civile.
Il Foro Italiano — 1995.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 30 giugno 1994, n. 265 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 6 luglio 1994, n. 28); Pres. Pescatore, Est. Spagnoli e Ferri; De Benedetto; Tam
meo; Aloschi; Di Francesco; Pontellini; interv. Pres. cons,
ministri. Ord. Pret. Paola-Scalea 23 ottobre 1992, Pret.
Venezia-Chioggia 17 novembre 1992, Pret. Napoli-Sorrento 18 maggio 1993, Pret. Caltanissetta 11 giugno 1993, Pret. Ur
bino 23 settembre 1993 (G.U., la s.s., nn. 7, 10, 35, 41, 50
del 1993).
Dibattimento penale — Modificazione dell'imputazione — Con
testazione tardiva di fatto diverso o di reato concorrente —
Richiesta dell'imputato di applicazione di pena — Inammissi
bilità — Incostituzionalità (Cost., art. 3, 24; cod. proc. pen., art. 444, 516, 517).
Dibattimento penale — Modificazione dell'imputazione — Con
testazione tardiva di fatto diverso o di reato concorrente —
Giudizio abbreviato — Richiesta — Inammissibilità — Que stione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 111; cod. proc. pen., art. 439, 516, 520).
Sono illegittimi gli art. 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non
prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del
dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444
c.p.p., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente
contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione con
cerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al mo
mento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'im
putato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta
di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni. (1) È inammissibile, in quanto importerebbe l'esercizio di scelte at
tinenti alla sfera della discrezionalità legislativa, la questione di legittimità costituzionale degli art. 520 e 516 c.p.p., relati
vamente alla preclusione al giudizio abbreviato in ordine alle
tardive contestazioni dibattimentali, in riferimento agli art.
3, 24 e 111 Cost. (2)
(1-2) La decisione merita di essere segnalata non solo per la comples sità e la delicatezza della materia su cui ha inciso, ma altresì per la
poliedricità delle questioni prospettate dai giudici a quibus (sottolinea ta, peraltro, sotto il profilo del rito costituzionale, dalla compresenza di due giudici correlatori e coestensori).
La pronuncia sembra incanalarsi su un asse logico già tracciato dalla
corte, avuto riguardo al giudizio abbreviato, con le sentenze nn. 81
del 1991 (Foro it., 1991, I, 2322), 23 del 1992 (id., 1992, I, 1057) e
92 del 1992 (ibid., 1635; per una sintesi di tale percorso e per ulteriori
richiami, cfr. Di Chiara, Il nuvo codice di procedura penale alla vigilia del primo triennio: gli itinerari della giurisprudenza costituzionale, ibid., 1642 ss.): l'accesso dell'imputato al rito speciale costitusce diretta ema
nazione della garanzia posta dall'art. 24 Cost., attesi i riflessi sostanzia li — in termini di abbattimento della sanzione, nell'ipotesi di condanna — che ciò comporta; ove, dunque, Vinterdictio a tale accesso scaturisca da 'fatto del pubblico ministero' (per ingiustificato dissenso alla richie sta della parte privata di definizione «allo stato degli atti», ovvero per inottemperanza all'obbligo di «completezza delle indagini») o da altra causa non addebitabile all'imputato (ad esempio per erronea statuizio
ne, da parte del g.u.p., dell'impossibilità di decidere «allo stato degli atti»), si è ritenuto necessario apportare correttivi al sistema onde co
munque garantire alla parte privata la fruizione della diminuente previ sta dall'art. 442, 2° comma, c.p.p.
La «tardività della contestazione dibattimentale» — oggetto della su
riprodotta sentenza — determina effetti non dissimili sul 'diritto al rito
premiale': ove, infatti, il «patteggiamento sul rito» o «sulla pena» risul tino preclusi da una erronea (o, a fortiori, «maliziosa») formulazione
dell'imputazione in sede di richiesta di rinvio a giudizio, l'imputato su birebbe — in termini di trattamento sanzionatorio — un irragionevole danno per fatti o circostanze non a sé imputabili.
Diverse sono, tuttavia, le conclusioni cui la corte perviene in ordine all'uno e all'altro dei riti 'patteggiati'. Quanto all'applicazione di pena su richiesta delle parti, essendo essa «una forma di definizione pattizia del contenuto della sentenza che non richiede particolari procedure» (sulla natura della sentenza di «patteggiamento», cfr., di recente, Cass., sez. un., 11 maggio 1993, Zanlorenzi, id., 1994, II, 91, con nota di
richiami, e sez. I 12 gennaio 1994, Romano, id., 1995, II, 243, con nota di ulteriori richiami), è ben possibile che, a seguito di una «conte stazione tardiva», il giudice rimetta in termini la parte privata, si da consentirle — sempre che l'imputato medesimo lo ritenga utile, nell'e sercizio di insindacabili scelte difensive — la formulazione della richiesta ex art. 444 c.p.p. La corte ha, a tal proposito, cura di ribadire i limiti del thema decidendum: l'indicato correttivo dispiega i suoi effetti in
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Pur nella diversità delle vicende processuali
e, in parte, delle disposizioni impugnate, le ordinanze attengo no tutte al tema del diritto dell'imputato ai riti speciali in rela zione alla evenienza di nuove contestazioni dibattimentali. Ri
chiedendo, pertanto, una valutazione congiunta, i relativi giudi zi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
2. -1 giudici a quibus ritengono che, in base ai principi costi
tuzionali richiamati, non possa non essere assicurata all'impu tato la facoltà di optare per i procedimenti speciali (applicazio ne di pena su richiesta e giudizio abbreviato) per ogni imputa zione ascrittagli, a prescindere dai «tempi» di esercizio dell'azione
penale. La disciplina sottoposta a scrutinio di costituzionalità,
invece, stante la previsione di precisi e invalicabili limiti tempo rali entro i quali è possibile l'instaurazione di tali procedimenti, non soddisferebbe tale esigenza: e ciò sia nei casi in cui l'impu tazione è il prodotto di nuove contestazioni dibattimentali che
in realtà — risultando già dall'attività di indagine preliminare — avrebbero dovuto formare oggetto di enunciazione nel decre
to di citazione a giudizio; sia nel caso in cui l'imputato ha tem
pestivamente richiesto l'applicazione di pena ex art. 444 c.p.p.
(preclusa dal dissenso del pubblico ministero) in ordine a una
imputazione superata dalla successiva contestazione dibattimen
tale del fatto diverso ex art. 516 del medesimo codice.
Più precisamente, tre delle quattro ordinanze che si fondano
sulla «tardività» della contestazione dibattimentale, come anche
l'ordinanza che si fonda sulla tempestività della richiesta di ap
plicazione di pena, deducono unicamente la preclusione all'in
staurabilità del «patteggiamento»: il Pretore di Caltanissetta,
in ordine alla contestazione del fatto diverso, impugnando gli art. 516 e 519 c.p.p. in riferimento agli art. 24, 2° comma, e 3 Cost. (r.o. n. 576 del 1993); il Pretore di Paola, in ordine alla contestazione del reato concorrente, impugnando gli art.
446, 1° comma, e 517 c.p.p. in riferimento agli art. 3 e 24
Cost. (r.o. n. 37 del 1993); il Pretore di Napoli, sempre in ordi
ne alla contestazione del reato concorrente, impugnando l'art.
519 c.p.p. in riferimento agli art. 3 e 24, 2° comma, Cost. (r.o. n. 435 del 1993); il Pretore di Urbino, in ordine alla contesta
zione del fatto diverso, impugnando gli art. 446, 1° comma,
516 e 519 c.p.p. in riferimento agli art. 3, 1° comma, e 24,
2° comma, Cost. (r.o. n. 719 del 1993). Solo il Pretore di Vene
zia deduce espressamente, in ordine alla «tardiva» contestazio
ne del fatto diverso, la preclusione all'instaurabilità sia del «pat
teggiamento» sia del giudizio abbreviato impugnando gli art.
520 e 516 c.p.p. in riferimento agli art. 3, 24 e 111 Cost. (r.o.
n. 81 del 1993). 3. - Vanno preliminarmente rigettate le eccezioni di inammis
sibilità sollevate dall'avvocatura generale dello Stato; quanto a
quella che si fonda sulla inconferenza della impugnativa del
l'art. 520 c.p.p., risultante dall'ordinanza del Pretore di Vene
zia, perché tale riferimento normativo va coordinato con quel
lo, pure contenuto nell'ordinanza, all'art. 516 del medesimo co
dice, ed è giustificato dalla peculiare situazione del procedimento
a quo, in cui la nuova contestazione, trattandosi di imputato
contumace, si è dovuta necessariamente effettuare con l'osser
vanza della predetta disposizione; quanto a quella relativa alla
carenza di motivazione, che cratterizzerebbe l'ordinanza del Pre
tore di Napoli, perché, ai fini della valutazione sulla rilevanza
ordine alla tardiva contestazione del fatto diverso e del reato concor
rente, e non anche con riguardo alla nuova contestazione delle circo stanze aggravanti, estranee al devolutum e, dunque, all'odierno deci
simi (sul punto, cfr., in generale, Retico, Contestazione suppletiva e
limiti cronologici per il «patteggiamento», in Giur. costit., 1994, 2166 ss.). Un simile meccanismo solutore non si è, invece, ritenuto applicabile
al fine di ricondurre a razionalità il raccordo tra contestazione tardiva
e giudizio abbreviato: realizzandosi tale rito «attraverso una vera e pro
pria 'procedura', incompatibile con quella dibattimentale», residuavano
innegabili margini di discrezionalità legislativa nella scelta della soluzio
ne tecnico-processuale che consentisse di superare l'empasse-, da qui la
declaratoria di inammissibilità della quaestio, in attesa di un intervento
del legislatore che risolva, in un'ottica unitaria, gli innumerevoli nodi
problematici posti (e più volte richiamati: cfr., da ultimo, Kostoris,
Urgente modificare il giudizio abbreviato, in Dir. pen. e proc., 1995,
362 s.; nonché Siracusano, Per una revisione del giudizio abbreviato, in Cass, pen., 1994, 474 ss.) dal «patteggiamento sul rito».
Il Foro Italiano — 1995.
della specifica questione sollevata, la vicenda processuale risulta
nell'ordinanza sufficientemente delineata.
4. - Passando al merito, va per prima esaminata la questione di costituzionalità degli art. 516 e 517 c.p.p. sollevata, in riferi mento agli art. 3 e 24 Cost., da tutti i giudici a quibus, sia pure con riguardo ora all'uno ora all'altro articolo in relazione alla specifica fattispecie processuale. Ciò vale anche per l'ordi
nanza del Pretore di Napoli, che ha formalmente impugnato l'art. 519 del medesimo codice, ma riferendosi a un «caso di
contestazione suppletiva ai sensi dell'art. 517».
Come è stato ricordato in gran parte delle ordinanze, la corte
ha già avuto modo di pronunciarsi sul tema delle nuove conte stazioni dibattimentali (art. 516-522 c.p.p.) in rapporto all'a
spettativa dell'imputato di accedere ai riti speciali. Con la sen
tenza n. 593 del 1990 (Foro it., Rep. 1991, voce Procedimento
penale davanti al pretore, n. 37), è stato affermato che l'inte
resse dell'imputato a beneficiare dei riti speciali può trovare tu
tela «solo in quanto la sua condotta consenta l'effettiva adozio ne di una sequenza procedimentale, che, evitando il dibattimen
to e contraendo la possibilità di appello, permette di raggiungere
quell'obiettivo di rapida definizione del processo che il legisla tore ha inteso perseguire con l'introduzione del giudizio abbre
viato e più in generale dei riti speciali». D'altra parte, ha osser
vato ancora la corte in successive pronunce, «rientra nelle valu tazioni che lo stesso imputato deve compiere ai fini della
determinazione della scelta del rito la evenienza della modifica
zione dell'imputazione a seguito dell'istruttoria dibattimentale, non infrequente nell'attuale sistema processuale penale il quale riserva al dibattimento la formazione della prova, mentre nella
fase preliminare si raccolgono solo gli elementi sufficienti per la formulazione dell'accusa e il rinvio a giudizio» (ordinanza n. 213 del 1992, id., Rep. 1992, voce Pena (applicazione su
richiesta), n. 125); di conseguenza, «il relativo rischio rientra
naturalmente nel calcolo in base al quale l'imputato si determi
na a chiedere o meno tale rito, onde egli non ha che da addebi
tare a se medesimo le conseguenze della propria scelta» (senten za n. 316 del 1992, ibid., voce Dibattimento penale, n. 146;
cfr. anche ordinanza n. 107 del 1993, id., Rep. 1993, voce Giu
dizio direttissimo, n. 12, e sentenza n. 129 del 1993, ibid., voce
Pena (applicazione su richiesta), n. 27).
Tuttavia, come è stato precisato in altra occasione, qualora non possa rinvenirsi «alcun profilo di inerzia dell'imputato e
quindi di "addebitabilità" al medesimo delle conseguenze della
mancata instaurazione del rito differenziato (. . .) sarebbe mol
to difficile negare la impossibilità di ottenere i relativi benefici
concreti una ingiustificata compressione del diritto di difesa»
(sentenza n. 101 del 1993, id., 1994, I, 301). Ora, nelle situazioni rappresentate dalle ordinanze che si fon
dano sulla «tardività» della contestazione, la libera determina
zione dell'imputato verso i riti speciali risulta sviata da aspetti di «anomalia» caratterizzanti la condotta processuale del pub blico ministero. Tale anomalia deriva o dalla erroneità della
imputazione (il fatto è diverso) o dalla sua incompletezza (man
ca l'imputazione relativa a un reato connesso). La erroneità o
la incompletezza della imputazione non è qui un dato emergen te dall'attività dibattimentale: esso viene apprezzato sulla base
degli stessi atti di indagine (in un caso rivelato dallo stesso pub blico ministero del predibattimento). In una ordinanza si adom
bra addirittura, in via di ipotesi, la possibilità di comportamen ti maliziosi del pubblico ministero, tendenti ad impedire o co
munque ad ostacolare il ricorso ai riti speciali da parte
dell'imputato. Non può dunque parlarsi, in simili vicende, di una libera as
sunzione del rischio del dibattimento da parte dell'imputato. Sia pure con riferimento ad altro istituto, la corte ha avuto
modo di sottolineare che «le valutazioni dell'imputato circa la
convenienza del rito speciale vengono a dipendere anzitutto dal
la concreta impostazione data al processo dal pubblico ministe
ro», ditalché, quando, in presenza di una evenienza patologica del procedimento, quale è quella derivante dall'errore sulla in
dividuazione del fatto e del titolo del reato in cui è incorso
il pubblico ministero, l'imputazione subisce una variazione so
stanziale, risulta lesivo del diritto di difesa precludere all'impu
tato l'accesso ai riti speciali (sentenza n. 76 del 1993, id., 1993,
I, 1025; cfr. anche sentenza n. 214 del 1993, ibid., 2735).
Tale affermazione è in linea con la configurazione che i pro
cedimenti speciali hanno assunto a seguito dei noti interventi
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2439 PARTE PRIMA 2440
di questa corte. In particolare, con la sentenza n. 92 del 1992
{id., 1992,1, 1635) è stato ribadito in termini generali, nel solco
tracciato dalle precedenti decisioni (sentenze nn. 66 del 1990,
id., 1990, I, 737, e 183 del 1990, id., 1992, I, 1012; 81 del 1991, id., 1991, I, 2322; 23 del 1992, id., 1992, I, 1057), che «l'introduzione, o meno, di un rito avente automatici effetti
sulla determinazione della pena non può farsi dipendere da scelte
discrezionali del pubblico ministero».
Il principio, affermato relativamente al giudizio abbreviato,
non può non estendersi all'altra procedura pattizia. Premesso
che la richiesta di applicazione di una pena da parte dell'impu tato esprime una modalità di esercizio del diritto di difesa, che
si estrinseca nella possibilità offerta a tale soggetto di acquisire, con libera scelta, un trattamento sanzionatorio predefinito (cfr. sentenze nn. 313 del 1990, id., 1991, I, 2385 e 101 del 1993,
cit.; ordinanza n. 116 del 1992, id., Rep. 1992, voce Pena (ap
plicazione su richiesta), n. 26), è di tutta evidenza come in que sto rito la valutazione dell'imputato sia indissolubilmente lega ta, ancor più che nel giudizio abbreviato, alla natura dell'adde
bito, trattandosi non solo di avviare una procedura che permette di definire il merito del processo al di fuori e prima del dibatti mento, ma di determinare lo stesso contenuto della decisione, il che non può avvenire se non in riferimento a una ben indivi
duata fattispecie penale. La disciplina in esame risulta inoltre censurabile in riferimen
to all'art. 3 Cost., venendo l'imputato irragionevolmente discri
minato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipen denza dalla maggiore o minore esattezza o completezza della
discrezionale valutazione delle risultanze delle indagini prelimi nari operata dal pubblico ministero nell'esercitare l'azione pe nale alla chiusura delle indagini stesse.
È bene precisare che sul thema decidendum non esplica in
fluenza l'esistenza o meno di una fase di controllo giurisdizio nale predibattimentale (udienza preliminare) sull'oggetto dell'a
zione penale. È vero che, se si dà ingresso a tale controllo, è possibile utilizzare il meccanismo di adeguamento delle impu tazioni previsto dall'art. 423 c.p.p.; ma se, nonostante tale isti
tuto, l'oggettiva erroneità o la incompletezza del quadro accu
satorio non viene sanata (perché l'art. 423 non è in concreto
applicato o perché nemmeno la nuova contestazione risulterà
poi aderente agli elementi che scaturiscono dagli atti di indagi
ne), la successiva «variazione» dibattimentale ex art. 516 e 517
ripropone comunque, negli stessi termini, il vizio di costituzio
nalità sopra evidenziato.
5. - Al di là delle ipotesi di contestazione «tardiva», analoghe considerazioni valgono per il caso in cui l'imputato abbia for
mulato tempestivamente e ritualmente la richiesta di procedi mento speciale in ordine alla originaria imputazione.
Di norma, in tale situazione, ove il procedimento richiesto
sia stato ingiustificatamente o erroneamente negato, all'imputa to è assicurato lo stesso trattamento penale che egli avrebbe
conseguito ove al rito si fosse addivenuti. Ciò deriva, quanto al «patteggiamento», dal disposto dell'art. 448, 1° comma, ulti
mo periodo, c.p.p., secondo cui, all'esito del dibattimento, il
giudice applica la pena richiesta dall'imputato, previa valuta
zione della congruità di essa e dell'ingiustificatezza del dissenso
del pubblico ministero; e, quanto al giudizio abbreviato, dalle
sentenze di questa corte nn. 66 e 183 del 1990, 81 del 1991
e 23 del 1992, con le quali risulta affidata al giudice del dibatti
mento la verifica della eventuale lesione delle aspettative del
l'imputato in ordine a tale rito, che, ove accertata, fa consegui re la diminuzione della pena nel caso di condanna.
Ma, relativamente al «patteggiamento», non è considerata l'e
venienza in cui la pena richiesta dall'imputato risulti inevitabil
mente incongrua, in quanto formulata con riferimento a una
imputazione poi modificatasi nel corso della istruzione dibatti mentale (come è il caso evidenziato nell'ordinanza del Pretore
di Urbino, ove si tratta di una contravvenzione tramutata in
delitto), con la conseguente inapplicabilità della regola contenu
ta nel citato 1° comma dell'art. 448; mentre, sia per il «patteg
giamento» che per il giudizio abbreviato, l'attuale disciplina non
consente all'imputato di esprimere l'opzione per i suddetti riti
speciali relativamente a imputazioni che, nel corso del dibatti
mento, si vengono ad «aggiungere» (ex art. 517 c.p.p.) a quelle
originariamente contestate.
Anche in tali situazioni, non dipendendo la preclusione al
Il Foro Italiano — 1995.
rito da una consapevole scelta dell'imputato, che anzi ha posto in essere tutto quello che la legge prevede per favorire la defini
zione del procedimento in sede predibattimentale, è da ravvisa
re una lesione dei principi costituzionali sopra richiamati.
6. - Per valutare quale sia la soluzione per ricondurre il siste
ma delle nuove contestazioni in sintonia con i principi costitu
zionali è necessario separare la tematica del «patteggiamento» da quella del giudizio abbreviato.
Il primo, più che essere un rito speciale, è una forma di defi
nizione pattizia del contenuto della sentenza che non richiede
particolari procedure e che pertanto, proprio per tali sue carat
teristiche, si presta ad essere adottata in qualsiasi fase del pro
cedimento, compreso il dibattimento.
Con la sentenza n. 101 del 1993, la corte ha affermato che
nei casi in cui la inosservanza del termine per formulare la ri
chiesta di applicazione della pena «sia stata determinata da un
evento non evitabile dall'interessato» è possibile fare applica zione dell'istituto della restituzione nel termine; e che, in tale
ipotesi, «nulla impedisce che il rito speciale in esame (. . .) trovi
collocazione nel corso di dibattimento», subendo, tuttavia, «un
inevitabile adattamento, ricavabile dal sistema», nel senso che
«sia il consenso delle parti, sia il controllo del giudice (. . .) dovranno avvenire sulla base del complesso degli atti fino allo
ra compiuti», che restano pienamente validi e utilizzabili.
Ora, deve riconoscersi che anche nelle situazioni qui conside
rate non sussistono ostacoli di carattere logico-sistematico a che
il giudice, eventualmente anche alla ripresa del dibattimento do
po la sospensione connessa al termine per la difesa previsto dal
l'art. 519 c.p.p., accertati i presupposti di cui si è detto, si pro
nunci, se del caso previa separazione dei procedimenti, sulla
eventuale richiesta di applicazione di pena concordata che le
parti abbiano avanzato relativamente alla nuova contestazione.
Con riferimento alla ipotesi della contestazione «tardiva», com
portante una valutazione contenutistica degli atti del procedi
mento, non è neppure di ostacolo, ai fini della verifica dei pre
supposti di tale meccanismo, la limitata conoscenza degli atti di indagine da parte del giudice del dibattimento. E ciò in quan to nel vigente ordinamento processuale è in via ordinaria onere
delle parti, ove ne abbiano interesse, fornire elementi di cono
scenza al giudice, sia che la decisione riguardi il merito del pro cesso ovvero fatti dai quali dipende l'applicazione delle norme
processuali (art. 187 e 190 c.p.p.). 7. - Va pertanto dichiarata, in riferimento agli art. 3 e 24
Cost., l'illegittimità costituzionale degli art. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di ri
chiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a nor
ma dell'art. 444 c.p.p., relativamente al fatto diverso o al reato
concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova conte
stazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagi ne al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando
l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richie
sta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni. Resta naturalmente salva, quanto alle originarie imputazioni,
l'applicabilità dell'art. 448, 1° comma, ultimo periodo, c.p.p., alle condizioni e nei termini da esso previsti.
Deve peraltro essere avvertito che tale conclusione rimane ri
gorosamente circoscritta alle specifiche situazioni dedotte dai
giudici a quibus, che riguardano, come precisato, le contesta
zioni dibattimentali del fatto diverso e del reato concorrente
(in quanto connesso ex art. 12, 1° comma, lett. b, c.p.p.). In
particolare, è ad essa estranea la diversa evenienza della conte
stazione delle circostanze aggravanti, non devoluta all'esame di
questa corte.
8. - Resta assorbito l'ulteriore profilo di illegittimità prospet tato dal Pretore di Venezia in riferimento all'art. Ill Cost.
Una volta dichiarata l'illegittimità costituzionale degli art. 516 e 517 c.p.p., nella parte sopra precisata, risultano superate le
questioni relative agli art. 519, 520 e 446, 1° comma, del mede
simo codice.
9. - Quanto al giudizio abbreviato, cui fa riferimento solo
l'ordinanza del Pretore di Venezia, esso si realizza attraverso
una vera e propria «procedura», inconciliabile con quella dibat timentale. Non potrebbe, quindi, ritenersi scelta costituzional
mente obbligata, allo stato dell'ordinamento processuale, un si
mile meccanismo di trasformazione del rito.
A parte l'opinabilità di tale soluzione da un punto di vista
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tecnico-sistematico, essa si pone in termini alternativi ad altre
possibili opzioni, attinenti alla sfera della discrezionalità legisla
tiva, come ad esempio quella di attribuire al giudice, all'esito
del dibattimento, il compito di verificare l'esistenza dei presup
posti di cui si è detto al solo fine di applicare, nel caso di con
danna, la riduzione della pena di un terzo; o quella di una pre clusione, in tali casi, della nuova contestazione, con conseguen te trasmissione degli atti al pubblico ministero relativamente ad
essa.
La questione, per la parte concernente la preclusione al giudi zio abbreviato, va pertanto dichiarata inammissibile, non diver
samente da quanto deciso da questa corte con sentenza n. 129 del 1993, riguardante un caso analogo.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: dichiara l'illegittimità costituzionale degli art. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di ri
chiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a nor
ma dell'art. 444 c.p.p., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova conte
stazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagi ne al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando
l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richie
sta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni; dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
degli art. 520 e 516 c.p.p., relativamente alla preclusione al giu dizio abbreviato in ordine alle nuove contestazioni dibattimen
tali, sollevata, in riferimento agli art. 3, 24 e 111 Cost., dal
Pretore di Venezia — sezione distaccata di Chioggia — con l'or
dinanza in epigrafe.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 14 giugno
1995, n. 6725; Pres. Sensale, Est. Criscuolo, P.M. Amiran
te (conci, conf.); Min. finanze (Aw. dello Stato Fiorilli) c. Ente nazionale previdenza dipendenti da enti di diritto pub blico (Aw. Carbone). Conferma Comm. trib. centrale 8 mag
gio 1990, n. 3416.
CORTE DI CASSAZIONE;
Tributi in genere — Agevolazioni ed esenzioni — Interessi di
titoli pubblici — Esenzione dalle imposte sui redditi — Epoca di sottoscrizione — Irrilevanza (D.p.r. 29 settembre 1973 n.
601, disciplina delle agevolazioni tributarie, art. 31).
L'esenzione dalle imposte dirette degli interessi dei titoli del de
bito pubblico prevista dall'art. 31 d.p.r. 29 settembre 1973
n. 601 opera tanto con riferimento alle obbligazioni sotto
scritte dopo, quanto con riferimento a quelle sottoscritte pri ma dell'entrata in vigore del ripetuto d.p.r. (1)
(1) Non si rinvengono precedenti in termini nella giurisprudenza del
la Suprema corte. Per la giurisprudenza tributaria, v., in senso conforme, Comm. trib.
centrale 7 giugno 1991, n. 4516, Foro it.. Rep. 1991, voce Redditi (im
poste sui), n. 592. La disciplina agevolativa agli effetti delle imposte sui redditi degli
interessi dei titoli del debito pubblico di cui all'art. 31 d.p.r. 29 settem
bre 1973 n. 601 (cui corrisponde l'art. 85 bis d.p.r. 14 febbraio 1963
n. 1343, contenente il testo unico delle leggi sul debito pubblico, intro dotto nell'art. 8 d.p.r. 15 marzo 1984 n. 74) è stata modificata con
d.l. 19 settembre 1986 n. 556 (convertito, con modificazioni, nella 1.
17 novembre 1986 n. 759), che all'art. 1 sancisce l'imponibilità degli interessi e degli altri proventi dei titoli emessi successivamente alla data
di entrata in vigore dello stesso d.l. (i.e., 20 settembre 1986); v. anche
d.l. 9 settembre 1992 n. 372, convertito con modificazioni nella 1. 5
novembre 1992 n. 429, che esclude l'esenzione degli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e degli altri titoli di cui all'art. 31 d.p.r. n. 601, emessi all'estero a decorrere dalla data di entrata in vigore dello
stesso d.l. (i.e., 10 settembre 1992), se conseguiti da soggetti residenti
anche mediante cessione dei titoli.
In generale, sul regime impositivo dei titoli del debito pubblico, v.
R. Moro Visconti, Ipotesi di riforma della tassazione dei titoli del de
bito pubblico, in Dir. e pratica trib., 1994, I, 1628 ss.
Ir Foro Italiano — 1995.
Svolgimento del processo. — In data 20 novembre 1980 l'uf
ficio distrettuale delle imposte dirette di Roma notificò all'Ente
nazionale di previdenza per i dipendenti da enti di diritto pub blico (Enpdedp) avviso di accertamento, relativo all'Irpeg e al
l'Ilor per l'anno 1974, rettificando le voci relative: a) alle perdi te attinenti alla gestione d'impresa farmaceutica; ti) alla manca ta denuncia di diritti da fabbricati sulla base dei canoni di
mercato; c) agli interessi su titoli pubblici in possesso dell'ente. A seguito di ricorso del contribuente la Commissione tributaria
di primo grado di Roma accolse l'impugnazione dal medesimo
spiegata avverso il detto accertamento. La decisione fu confer
mata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma
la quale, quanto al punto sub a), riteneva provata, in relazione
alle risultanze contabili, l'esistenza delle spese attinenti al reddi
to d'impresa nell'ammontare dichiarato dal contribuente; quan to al punto sub ti), riteneva non dimostrata dall'amministrazio
ne finanziaria l'esistenza di redditi da fabbricati diversi da quel li costituiti dalla rendita catastale; quanto al punto sub c), considerava dimostrata la non tassabilità dei redditi da capitale scaturenti da titolo del debito pubblico siccome esenti per legge.
L'amministrazione finanziaria adi la Commissione tributaria
centrale che, con decisione n. 3416 in data 21 febbraio-8 mag
gio 1990, rigettò il ricorso.
La commissione (per quanto qui interessa) rilevò che l'esen zione per i titoli del debito pubblico era prevista nell'art. 31
d.p.r. 29 settembre 1973 n. 601 e che il beneficio non poteva ritenersi escluso in materia di Irpeg dall'art. 30 d.p.r. 598/73, in quanto tale disposizione riguardava titoli diversi da quelli del debito pubblico.
Per la cassazione di codesta pronuncia — nella parte relativa alla ritenuta non soggezione all'Irpef degli interessi sui titoli
del debito pubblico sottoscritti anteriormente al 1° gennaio 1974,
per la metà del loro valore ai sensi dell'art. 30 d.p.r. 29 settem
bre 1973 n. 598 — ricorre l'amministrazione finanziaria dello
Stato con unico motivo di annullamento. L'ente resiste con con
troricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione. — Con l'unico mezzo di cassazione
l'amministrazione finanziaria dello Stato denunzia violazione degli art. 30 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598 e 31 d.p.r. 29 settembre
1973 n. 601, in rei. all'art. 360, n. 3, c.p.c. Sostiene che la Commissione tributaria centrale avrebbe male
interpretato il citato art. 31, il quale dispone l'esenzione dalla
imposizione diretta — sia Irpef che Irpeg — degli interessi delle
obbligazioni pubbliche, ma unicamente per quelle sottoscritte
dopo l'entrata in vigore dei decreti della riforma tributaria, cioè
a far tempo dal 1° gennaio 1974. La decisione impugnata, inve
ce, ha ritenuto che la disposizione dovesse intendersi riferita
anche agli interessi delle obbligazioni pubbliche sottoscritte an
teriormente alla riforma tributaria, cosi disapplicando il chiaro
disposto dell'art. 30 d.p.r. 598/73. È erroneo — ad avviso della
ricorrente — l'assunto secondo cui la interpretaazione adottata
dalla Commissione tributaria centrale sarebbe imposta dall'esi
genza di evitare una lettura non conforme a Costituzione del
cennato art. 30 per eccesso di delega, in relazione al disposto della 1. 9 ottobre 1971 n. 825 (art. 15), sia perché la commissio
ne non avrebbe potuto disapplicare la norma ma soltanto solle
vare la relativa questione e rimetterne la decisione alla Corte
costituzionale, sia perché in realtà nessun eccesso di delega sa
rebbe ravvisabile.
Le suddette censure non hanno fondamento.
I dati oggettivi da cui occorre prendere le mosse sono i se
guenti: a) si verte in tema di tassabilità (a fini Irpeg e Ilor)
degli interessi su titoli del debito pubblico in possesso dell'ente
resistente, sottoscritti in epoca anteriore al 31 dicembre 1973;
ti) il periodo d'imposta cui si riferisce la contestata imposizione è il 1974.
Orbene, l'art. 9, n. 2,1. 9 ottobre 1971 n. 825, recante delega
legislativa al governo della repubblica per la riforma tributaria,
dispone che «saranno esclusi dal computo del reddito comples
sivo ai fini delle imposte sul redidto delle persone fisiche e sul
reddito delle persone giuridiche ed esentati dalla imposta locale
sui redditi gli interessi, i premi e gli altri frutti dei titoli del debito pubblico, dei buoni postali di risparmio e delle cartelle
di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi
e prestiti, nonché quelli delle obbligazioni e titoli similari emessi da amministrazioni statali anche con ordinamento autonomo,
da regioni, province e comuni e da enti pubblici istituiti esclusi
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