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sentenza 30 giugno 2003; Giud. Scaramuzzi; Soc. Pandora (Avv. D'Aloja) c. Comune di Roma (Avv....

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sentenza 30 giugno 2003; Giud. Scaramuzzi; Soc. Pandora (Avv. D'Aloja) c. Comune di Roma (Avv. Avenati) Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 11 (NOVEMBRE 2003), pp. 3165/3166-3169/3170 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23197895 . Accessed: 28/06/2014 08:29 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.142.30.174 on Sat, 28 Jun 2014 08:29:45 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 30 giugno 2003; Giud. Scaramuzzi; Soc. Pandora (Avv. D'Aloja) c. Comune di Roma (Avv. Avenati)

sentenza 30 giugno 2003; Giud. Scaramuzzi; Soc. Pandora (Avv. D'Aloja) c. Comune di Roma(Avv. Avenati)Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 11 (NOVEMBRE 2003), pp. 3165/3166-3169/3170Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197895 .

Accessed: 28/06/2014 08:29

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

quindi ininfluente nel caso de quo), ma di naturali pronunciati in

tema di necessario affidamento dei figli all'uno o all'altro ge nitore, di assegnazione della casa coniugale e di fissazione del

l'obbligo di mantenimento.

Anche nel merito il proposto reclamo non appare comunque fondato: l'accertamento dell'intollerabilità della convivenza,

presupposto per l'emanazione dei provvedimenti presidenziali di cui all'art. 708 c.p.c., ben può risultare per mera determina

zione unilaterale di uno dei coniugi, venendosi altrimenti a de

privare il coniuge che tale intollerabilità assume, di esercitare il

proprio diritto ad interrompere il rapporto matrimoniale.

TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 30 giugno 2003; Giud. Scaramuzza Soc. Pandora (Avv. D'Aloja) c. Comune di

Roma (Avv. A venati).

TRIBUNALE DI ROMA;

Espropriazione per pubblico interesse — Occupazione ap

propriala — Risarcimento del danno — Giurisdizione

ordinaria (Cost., art. 42; d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, attua

zione della delega di cui all'art. 1 1. 22 luglio 1975 n. 382, art.

80; d.l. 11 luglio 1992 n. 333, misure urgenti per il risana

mento della finanza pubblica, art. 5 bis; 1. 8 agosto 1992 n.

359, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 11 lu

glio 1992 n. 333; 1. 23 dicembre 1996 n. 662, misure di razio nalizzazione della finanza pubblica, art. 3, comma 65; d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, nuove disposizioni in materia di orga nizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pub

bliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giuris dizione amministrativa, emanate in attuazione dell'art. 11, 4°

comma, 1. 15 marzo 1997 n. 59, art. 34; 1. 8 marzo 1999 n. 50,

delegificazione e testi unici di norme concernenti procedi menti amministrativi -

Legge di semplificazione 1998, art. 7, ali. 3; 1. 21 luglio 2000 n. 205, disposizioni in materia di giu stizia amministrativa, art. 7; d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327, t.u.

delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di

espropriazione per pubblica utilità (testo A), art. 43).

Rientra nella giurisdizione ordinaria la controversia sul risar

cimento del danno da occupazione appropriativa, iniziata

successivamente al 10 luglio 2000. (1)

(1) Il dibattito sull'attribuzione delle controversie sul risarcimento da

occupazione appropriativa, che sembravano sopite dopo le prime pro nunce delle sezioni unite, che, sul presupposto della riconducibilità ad

«atti, provvedimenti e comportamenti» della pubblica amministrazione, dubitavano delia legittimità costituzionale dell'art. 34 d.leg. 31 marzo

1998 n. 80, per contrasto con gli art. 76 e 77 Cost., dando per scontata

la giurisdizione esclusiva, è riacceso dalla pronuncia in epigrafe, che

riecheggia le impressioni a caldo di alcuni autori all'entrata in vigore del nuovo sistema di riparto (S. Benini, Occupazione appropriativa e

nuove regole di riparto delle giurisdizioni, in Foro it., 1999,1, 3529; V.

Carbone, Occupazione acquisitiva tra giudice ordinario e giudice am

ministrativo: le sezioni unite si astengono e «chiamano la Consulta», in

Corriere giur., 2000. 723; S. Salvago, Occupazione acquisitiva e giu risdizione in seguito al d.leg. 80/98, id., 1999, 1281), propensi a utiliz

zare in varia misura i due argomenti, ora valorizzati dal Tribunale di

Roma, dell'autonomia della materia espropriativa da quella urbanistica

(questione destinata a caricarsi di particolari valenze nella definizione

degli ambiti di potestà legislativa tra lo Stato e le regioni, con l'espro

priazione in bilico tra ordinamento civile, se attinente allo statuto della

proprietà, livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili in

cui possono riflettersi i criteri indennitari, e governo del territorio, se è

vero che l'acquisizione dei suoli è funzionale agli obiettivi dell'urbani

stica), e dell'omogeneità del risarcimento da occupazione appropriativa all'indennità di esproprio (nella disamina del giudice romano manca

peraltro una delle pronunce più significative nel trend di accostamento,

rappresentata da Cass. 3 aprile 2002, n. 4766, Foro it.. Rep. 2002, voce

Espropriazione per p.i., n. 298, che riconoscendo al debito risarcitorio,

la stessa natura di valuta dell'obbligazione indennitaria, cui è commisu

rato, ne fa intravedere possibili ricadute in tema di riparto di giurisdi zione).

Riguardo alla giurisdizione in tema di occupazione usurpativa, si ri

chiama il contrasto che emerge tra la più recente giurisprudenza ammi

II Foro Italiano — 2003.

Motivi della decisione. — Allo stato tra le parti esiste contro

versia esclusivamente in ordine all'individuazione dell'autorità

giudiziaria che deve provvedere a liquidare l'ammontare della

somma che il comune di Roma è obbligato a pagare alla s.r.l.

Pandora quale ristoro per il pregiudizio da quest'ultima subito a

causa della perdita della proprietà dei terreni sui quali è stato costruito il collettore dell'Acqua traversa. Ed infatti tra le parti non è controverso che, con riferimento ad un appezzamento di

terreno agricolo di proprietà della s.r.l. Pandora, sia stato legit timamente intrapreso, sulla base di una valida dichiarazione di

pubblica utilità, un procedimento di esproprio in funzione della

costruzione dell'opera pubblica rappresentata dal collettore fo

gnario dell'Acqua traversa. Neppure è controverso tra le parti che l'opera pubblica sia stata portata a compimento entro i pre scritti termini e che, però, non sia mai stato emanato il decreto

di esproprio. Ed ancora: le parti concordano in ordine alla sussi

stenza nel caso di specie di tutti gli elementi della fattispecie

dell'occupazione acquisitiva. Lo stesso comune di Roma, infi

ne, nelle proprie difese ha ammesso di dovere in qualche modo

ristorare l'attrice per il pregiudizio patrimoniale da quest'ultima subito, tanto è vero che, subordinatamente al rigetto dell'ecce

zione di difetto di giurisdizione dell'a.g.o., nel merito ha chiesto

a questo giudice non di rigettare integralmente la domanda della

s.r.l. Pandora, bensì di «determinare il risarcimento nella misura

che risulterà dall'istruttoria di causa», essendo tra le parti con

traverso soltanto l'ammontare di quanto dovuto dal convenuto

all'attrice.

Ciò posto — ricordato che la giurisdizione non è materia di

sponibile e che, pertanto, questo giudice ben può disattendere le

concordi conclusioni rassegnate in argomento dalle parti — oc

corre doverosamente dare atto che al concetto di materia «urba

nistica» di cui all'art. 34 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 la Corte di

cassazione ha attribuito un'ampiezza estrema (ordinanza n.

494/SU del 14 luglio 2000 delle sezioni unite, Foro it., 2001,1,

2475) e che la stessa corte ha esplicitamente ritenuto (sia pure

prima dell'emanazione della 1. 205/00) che in virtù della men

zionata norma nella giurisdizione esclusiva del giudice ammini

strativo siano ormai comprese anche tutte le controversie in te

ma di c.d. occupazione acquisitiva ovvero accessione invertita

(v. l'ordinanza n.,43/SU del 25 maggio 2000, id., 2000.1, 2143,

nistrativa e le affermazioni della corte regolatrice (v. nota di richiami a

Cass. 16 maggio 2003, n. 7643, id., 2003,1, 2333). Sulla compatibilità dell'occupazione appropriativa con la conven

zione europea dei diritti dell'uomo, v. Cass. 6 maggio 2003, n. 6853, id., 2003, I, 2368, ma anche Cass. 14 aprile 2003, n. 5902, id., Mass.,

501, e 15 maggio 2003, n. 7504, ibid., 672. Sui rapporti tra proroga dell'occupazione e sopravvenuta inefficacia

della dichiarazione di pubblica utilità, Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2002, n. 1986, in questo fascicolo, III, 626.

Per la data del 29 ottobre 2003, intanto, risulta fissata davanti alla Corte costituzionale, nel ruolo della camera di consiglio, la questione di

legittimità degli art. 34 e 35 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, sotto un dupli ce profilo: nel testo originario per eccesso di delega (in esame varie or

dinanze, anche della Suprema corte: v. nota di richiami a Corte cost. 16

aprile 2002, n. 123, id., 2002. I, 1265), questione per cui è prevedibile che la Consulta prenda atto del trend inequivocabile delle sezioni unite nel senso dell'applicabilità, nel lasso di tempo tra il 1° luglio 1998 ed il 9 agosto 2000, di tale vecchio testo (e non di quello introdotto dall'art. 7 1. 21 luglio 2000 n. 205: v. le considerazioni di A. Barone in nota a

Corte cost. 12 luglio 2002, n. 340, ibid., 2552), anche per riequilibrare l'asimmetria creata con la dichiarazione d'incostituzionalità dell'art.

33, per effetto di Corte cost. 17 luglio 2000, n. 292, id., 2000, I, 2393, nel testo novellato con legge ordinaria (art. 7 1. 21 luglio 2000 n. 205),

per le liti iniziate dal 10 agosto 2000 in poi (la questione è sollevata da

Trib. Roma 31 luglio 2002, G.U., la s.s„ n. 44 del 2002; e di nuovo

sollevata, ma non ancora oggetto di esame della Consulta, da Trib.

Roma 31 gennaio 2003, G.U., la s.s., n. 37 del 2003), per contrasto con

gli art. 3, 24, 25, 102, 103 e 111 Cost, (e il dibattito sui nuovi consi

stenti blocchi di giurisdizione esclusiva, si arricchisce dei contributi di

S. Baccarini, La giurisdizione esclusiva e il nuovo riparto, in Dir.

proc. amm., 2003, 365; G. Verde, L'unità della giurisdizione e la di

versa scelta del costituente, in Dir. amm., 2003, 343; G. Cerreto, Ur

banistica,, incostituzionale la giurisdizione esclusiva del Tar?, in Dir. e

giustizia, 2003, fase. 25, 72; V. Parisio, Carta costituzionale, giurisdi zione esclusiva e pubblici servizi, relazione al convegno «Trasforma

zioni dell'amministrazione e nuova giurisdizione» presso l'università

di Bergamo, 15 novembre 2002; Id., Giurisdizione esclusiva del giudi ce amministrativo, appalti e natura delle posizioni giuridiche soggetti ve, in Giust. civ., 2003, II, 93; nonché AA.VV., Le nuove frontiere della giurisdizione esclusiva a cura di V. Parisio e A. Perini, Milano,

2003). [S. Benini]

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PARTE PRIMA

che sulla base di tale interpretazione ha sollevato la questione di

legittimità costituzionale, per difetto di delega, dell'art. 34; v.

anche, peraltro, Cons. Stato, ad. plen., 26 marzo 2003, n. 4, id.,, 2003, III, 433). Orbene, questo giudice ritiene di non poter con

dividere tale orientamento giurisprudenziale sia nella parte in

cui inserisce nella materia urbanistica la materia dell'espropria zione e della cosiddetta occupazione acquisitiva sia nella parte in cui ritiene che il 3° comma, lett. b), dell'art. 34 d.leg. 80/98

faccia riferimento — allo scopo di escluderne il trasferimento

alla giurisdizione del giudice amministrativo — esclusivamente

alle controversie relative alla determinazione ed al pagamento delle indennità dovute a coloro che abbiano subito la compres sione o la perdita del proprio diritto dominicale a seguito di pro cedimenti amministrativi esenti da vizi e regolarmente esitati

nel provvedimento finale di esproprio e/o di asservimento. Ed

invero — premesso che già alcuni giudici di merito (Trib. Na

poli 23 novembre 1999, id., Rep. 2000, voce Espropriazione per

p.i., n. 506; Trib. Taranto 3 gennaio 2000, ibid., n. 505; Tar

Calabria, sez. Reggio Calabria, 23 giugno 2000, n. 1025, ibid., n. 507) hanno espresso un parere dissonante da quello della Su

prema corte — ritiene questo giudicante che l'interpretazione delle norme in questione debba svolgersi secondo due fonda

mentali linee guida. La prima è desumibile dallo stesso art. 34, il quale esplicitamente chiarisce che la nozione di urbanistica

alla quale intende fare riferimento non ha valore generale e non

è desunta da altri provvedimenti legislativi o da elaborazioni

giurisprudenziali, ma è esclusivamente funzionale all'applica zione delle regole dettate ed al raggiungimento degli scopi per seguiti dal d.leg. 80/98. Recita infatti la norma: «Agli effetti del

presente decreto, la materia urbanistica concerne ...». Ne con

segue che — nonostante la contraria opinione espressa da gran

parte della giurisprudenza e della dottrina e nonostante quanto sembra emergere dai lavori preparatori

— nel momento di detta

re la regola il legislatore non ha richiamato una determinata de

finizione di «urbanistica» contenuta in leggi già vigenti o già in

precedenza elaborata dalla giurisprudenza, ma ha affidato al

l'interprete il compito di determinare il contenuto della materia

urbanistica esclusivamente in funzione degli scopi perseguiti dal

d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 (e dalla legge delega) preoccupando si esclusivamente di salvaguardare la coerenza interna di tale

provvedimento legislativo. Peraltro, se il citato art. 34 non aves

se così chiaramente indirizzato il compito dell'interprete, sareb

be stato assai problematico sia scegliere le norme alle quali fare

riferimento sia costruire un coerente quadro normativo a caratte

re generale, attesa l'estrema variabilità e, a volte, l'evidente in

conciliabilità delle varie definizioni della materia urbanistica

contenute nelle altre leggi. In proposito basti considerare che, mentre il frequentemente richiamato art. 80 d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, comprende nella materia urbanistica l'uso e la gestione del territorio, nonché la protezione dell'ambiente, il combinato

disposto dell'art. 7 e del n. 2 dell'ali. 3 1. 8 marzo 1999 n. 50

espressamente afferma che l'ambiente e la tutela del territorio, da una parte, e l'urbanistica, dall'altra, sono materie diverse e

tra loro neppure omogenee (art. 7, 2° comma, 1. 50/99) e devono essere riordinate sotto il profilo normativo mediante l'emana zione di testi unici distinti, con ciò ponendosi in aperto contra sto anche con l'art. 34 qui in esame, il quale espressamente af ferma che «la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti del

l'uso del territorio». Neppure può sottacersi la consapevole scelta del legislatore (determinata dall'accoglimento del parere espresso dal Consiglio di Stato) di differenziare in maniera so stanziale il contenuto dell'art. 34 in questione dal contenuto dell'art. 80 d.p.r. 616/77, mediante l'esclusione dal testo origi nariamente previsto della locuzione «compresa la protezione dell'ambiente e dei valori artistici, storici e paesistici e gli aspetti della trasformazione e della salvaguardia del suolo anche

in relazione ai vincoli di qualsiasi natura imposti sulla proprietà

privata».

Neppure può sottacersi che la stessa Carta costituzionale pone su di un piano completamente diverso la materia dell'espropria zione, i cui principi fondamentali sono stabiliti dall'art. 42 Cost, ed in ordine alla quale le regioni non hanno il potere di legifera re, rispetto alla materia urbanistica, che, invece, il regolamento costituzionale, in ben diversa sede (art. 117), annovera tra quel le attribuite alla competenza anche legislativa delle regioni. Si

potrebbe continuare, ma quanto detto è sufficiente a giustificare la convinzione di questo giudice di doversi strettamente attenere all'avvertimento contenuto nella norma in esame di elaborare la definizione di «urbanistica» esclusivamente in funzione degli scopi del d.leg. 80/98 (nel testo attualmente vigente).

Il Foro Italiano — 2003.

Va in secondo luogo considerato che l'art. 34, operando una

deroga (certo consentita da un'espressa riserva di legge, purché non travalicante i limiti fissati dalla Costituzione medesima) ai

principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione in tema di ri

partizione della giurisdizione sulla base della distinzione tra in

teressi legittimi e diritti soggettivi e di attribuzione ai giudici ordinari della giurisdizione sui diritti (art. 102, 103 e 113 Cost.), non è suscettibile di interpretazione estensiva; per meglio dire,

l'interprete, di fronte a due possibili interpretazioni di una nor

ma di rango non costituzionale, comportanti due diverse esten

sioni di una deroga ad un principio fondamentale stabilito dalla

Costituzione, non può, nell'incertezza, che privilegiare l'inter

pretazione che tende a restringere il campo di operatività della

deroga rispetto a quella che tale campo tende ad ampliare. Orbene, l'esame dell'art. 34 alla luce delle due considerazioni

appena svolte non può che prendere le mosse dall'ovvia con

statazione che il d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 (anche nell'assetto

attuale, successivo all'emanazione della 1. n. 205 del 2000), ha

quale fine fondamentale quello di dettare nuove regole in tema

di riparto di giurisdizione e, ciò, allo scopo di semplificare la

materia, rendendo più agevole a chi voglia far valere in giudizio una propria posizione giuridica l'identificazione dell'autorità

giudiziaria alla quale rivolgersi e consentendogli di ricevere da

quest'ultima una tutela piena, anche sotto il profilo dell'am

piezza dei poteri attribuiti al giudice munito di giurisdizione. Per raggiungere tale scopo il legislatore ha scelto di fare ricorso

soprattutto allo strumento della «giurisdizione esclusiva» e,

quindi, di derogare dal criterio di separazione fondato sulla di

stinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e di ripartire, invece, la giurisdizione per blocchi di materie omogenee. Ab

bandonato così, nelle materie regolate dal d.leg. 80/98, il princi

pio del cosiddetto doppio binario, il legislatore ha poi ampliato i

«limiti interni» di ciascuna giurisdizione, fino a realizzare, nella

sostanza, un notevolissimo riavvicinamento tra i poteri dei due

diversi ordini di giurisdizione (v., per quanto concerne i giudici ordinari, l'art. 29 d.leg. 80/98, che ha modificato l'art. 68 d.leg. 29/93). Questo essendo lo scopo perseguito dal legislatore,

l'interpretazione delle norme da quest'ultimo dettate non può

produrre alcun effetto estensivo, ma deve perseguire il fine di

rispettare rigorosamente i nuovi confini tra giurisdizione ordina

ria ed amministrativa disegnati dal provvedimento legislativo in

esame nella sua attuale formulazione.

Ciò detto, sembra piuttosto evidente a questo giudice che il 3°

comma dell'art. 34 ha una precisa funzione delimitativa del

campo di applicazione delle disposizioni di cui al 1° e 2° com

ma della medesima norma e, in particolare, per quanto riguarda la lett. b), proprio la funzione di stabilire che l'espropriazione non rientra nell'ambito della materia «urbanistica» e non è tra

sferita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ed invero nessuna delle altre interpretazioni proposte di tale

norma riesce ad attribuire al giudice amministrativo anche la

giurisdizione sulle domande di determinazione delle indennità

di occupazione legittima e di condanna dell'espropriante al pa gamento delle stesse e tanto basta a porre tutte queste interpre tazioni in insanabile contrasto con tutti gli scopi, sopra eviden

ziati, del d.leg. 80/98 e con tutti gli strumenti che tale provve dimento legislativo ha adottato per raggiungere tali scopi. Tali

interpretazioni, proprio perché non riescono ad attribuire al giu dice amministrativo tutta la materia in esame, tradiscono in ma niera evidente l'indicazione fornita dal legislatore di stabilire il

contenuto della materia urbanistica «agli effetti del presente de

creto». Ed infatti la scelta di attribuire al giudice amministrativo tutte le controversie in tema di cosiddetta occupazione acquisi tiva o accessione invertita (ed anche, per alcuni, di occupazione

usurpativa; ma sul punto regna, in attesa dell'entrata in vigore del testo unico di cui al d.p.r. n. 327 del 2001, la più grande in

certezza) e di lasciare, invece, in via esclusiva al giudice ordina

rio ogni decisione in merito alle indennità di occupazione e di

espropriazione cosiddette legittime, non è certo coerente con il

criterio della ripartizione della giurisdizione in base a blocchi omogenei di materie né risponde allo scopo di facilitare l'indi

viduazione del giudice munito di giurisdizione e neppure allo

scopo di fare in modo che tutti i possibili aspetti (e, in particola re, quelli che si pongono tra loro in rapporto di necessaria alter

natività) di una determinata vicenda storico-giuridica vengano conosciuti ed interamente risolti dal medesimo giudice. Né al

cuno è finora riuscito a dare una motivazione convincente al

perché il legislatore esclusivamente per le indennità da occupa zione ed espropriazione legittima avrebbe conservato la giuris dizione del giudice ordinario. Non vi è dubbio, invece^ che

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

l'interpretazione della norma in esame come norma diretta a

conservare al giudice ordinario non soltanto la materia delle in

dennità per occupazione ed espropriazione legittime, ma tutta la

materia inerente al ristoro patrimoniale per la perdita di diritti

reali a seguito dell'attività latamente espropriativa (legittima ed

illegittima) della pubblica amministrazione (v. anche le sentenze

n. 500/SU del 1999, id., 1999, I, 2487, e n. 501/SU del 1999, non massimata, della Corte di cassazione) si pone in piena sin

tonia con gli scopi, sopra elencati, perseguiti dal legislatore. Né

può sottacersi che l'interpretazione qui propugnata acquista for

za superiore rispetto alle altre in quanto restringe, anziché am

pliarlo, il campo operativo di una deroga (certo consentita, pur ché non travalicante i limiti fissati dalla Costituzione medesima)

al principio fondamentale stabilito dalla Costituzione della ri

partizione della giurisdizione sulla base della distinzione tra in

teressi legittimi e diritti soggettivi. Neppure può dirsi che l'interpretazione qui propugnata si

ponga in contrapposizione con la lettera della norma. Ed infatti,

va innanzitutto attribuita la giusta rilevanza al categorico incipit del 3° comma dell'art. 34: «Nulla è innovato ...». Una siffatta

dichiarazione programmatica è troppo enfatica perché possa es

sere riferita ad un singolo, specifico passaggio di una ben più vasta fattispecie giuridica, ricca di tante altre implicazioni, in

relazione alle quali, invece, secondo i fautori della tesi qui non

accolta, tutto dovrebbe essere innovato.

Inoltre non osta certo all'interpretazione della norma nel sen

so qui sostenuto l'utilizzazione da parte del legislatore del ter

mine indennità. Ed invero non vi è dubbio che il ristoro legisla tivamente dovuto a chi ha ingiustamente patito lo svuotamento

del proprio diritto di proprietà a causa della fattispecie della co

siddetta occupazione acquisitiva ben possa (per alcuni debba) essere qualificato come indennità a seguito dell'entrata in vigo re dell'art. 5 bis, comma 7 bis, 1. 8 agosto 1992 n. 359, come

aggiunto dall'art. 3, comma 65, 1. 23 dicembre 1996 n. 662 e

della pronuncia n. 148 del 30 aprile 1999 della Corte costituzio

nale (ibid., 1715), che ha affermato la piena legittimità costitu

zionale di tale norma, in quanto diretta a realizzare un equo

contemperamento tra interessi costituzionalmente protetti, quali

quello della pubblica amministrazione alla conservazione del

l'opera di pubblica utilità ed al contenimento della spesa pub blica e quello del privato al ristoro per la perdita del diritto di

proprietà. Ciò basta per rilevare come il termine indennità sia

allo stato ben più in sintonia con l'attuale configurazione giuris

prudenzial-legislativa della fattispecie dell'occupazione acqui sitiva di quanto non lo sia il termine risarcimento. E, anzi, forse

possibile azzardare un'ulteriore affermazione e rilevare che la

più recente evoluzione della giurisprudenza e della legislazione sembra ormai preludere alla caduta (ad opera del legislatore, non censurato, in materia, dal giudice delle leggi) dello steccato

che divideva la natura giuridica del risarcimento (tendenzial

mente integrale e tendenzialmente collegato ad un fatto illecito

completo sotto ogni profilo, ivi compreso quello soggettivo) dalla natura giuridica dell'indennità (non necessariamente inte

grale e non necessariamente legata ad un fatto illecito completo sotto ogni profilo). In argomento l'esempio più chiaro si rinvie

ne, come detto, proprio in tema di occupazione acquisitiva, lad

dove il legislatore ha stabilito e la Corte costituzionale non ha

vietato, che il ristoro dovuto a chi ha ingiustamente patito lo

svuotamento del proprio diritto di proprietà a causa di una con

dotta illecita della pubblica amministrazione (o di soggetti alla

stessa equiparati) ben può essere commisurato non all'intero

ammontare del danno calcolato nella sua effettività, bensì ad un

parametro predeterminato. Ancor più eclatanti, poi, sono le pa role utilizzate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 179

del 1999 (ibid., 1705), laddove indicando quale deve essere il ri

storo certamente dovuto a chi ha subito un pregiudizio econo

mico a causa della reiterazione (anche pienamente lecita) di

vincoli urbanistici scaduti, preordinati all'espropriazione, ha te

stualmente stabilito che tale ristoro potrà indifferentemente con

cretizzarsi, secondo la scelta del legislatore, in misure risarcito

ne, indennitarie, e anche, in taluni casi di riparazione in forma

specifica mediante assegnazione o offerta di altre aree idonee

alle esigenze del soggetto che ha diritto al ristoro, ovvero me

diante altri sistemi compensativi. Dunque: assolutamente identi

ca la fattispecie dannosa, assolutamente equivalente e lecita la

risposta, sia che la si chiami risarcimento (se del caso anche in

forma specifica), sia che la si chiami indennità, sia che la si rea

lizzi mediante forme originali ed innovative di compensazione con altre utilità, diverse da quelle perdute. Veramente difficile

Il Foro Italiano — 2003.

è, dunque, in questo quadro, affidarsi al termine indennità per desumere che il legislatore in materia di occupazione acquisitiva ha voluto «innovare» il sistema costituzionale del riparto della

giurisdizione. Quanto appena detto a proposito del ristoro dovuto a chi ha

(con procedimento e provvedimento, legittimi o meno) patito lo

svuotamento del proprio diritto di proprietà in funzione della

costruzione di un'opera pubblica serve anche per introdurre il

tema del progressivo inserimento della fattispecie dell'occupa zione acquisitiva all'interno della generale categoria dei proce dimenti ablatori (va ricordato che la norma in esame richiama

espressamente sia gli atti di natura «espropriativa», sia gli atti di

natura «ablatoria»). Ed infatti il progressivo avvicinamento tra

ta natura giuridica del risarcimento del danno e la natura giuri dica dell'indennità e la progressiva accettazione della intercam

biabilità di tali istituti nella funzione di ristoro del pregiudizio derivante da un'identica fattispecie dannosa costituisce parte

integrante del medesimo percorso legislativo, giurisprudenziale e storico (l'infinita reiterazione da parte della pubblica ammini

strazione di procedimenti espropriativi imperfetti è già stata af

fermata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 148 del

1999, cit.) che ha ormai condotto il diritto vivente ad annoverare

la cosiddetta occupazione acquisitiva tra le possibili, stabili ed

«istituzionalizzate» (v., da ultimo, la chiarissima sentenza della

Corte di cassazione n. 5902 del 14 aprile 2003, id., Mass., 501) forme ablatorie del diritto dominicale. Tra i tanti passaggi fon

damentali di tale non breve processo si ritiene opportuno citare

qui almeno Cass., sez. un., n. 12546 del 1992, id., 1993,1, 87; n.

5902 del 2003, cit.; Corte cost. n. 188 del 1995, id., 1996, I, 464; l'art. 3 1. 458/88 e (ed è forse l'esempio più eclatante) l'art.

43 del già emanato e poi modificato d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327,

la cui entrata in vigore è ormai prossima (30 giugno 2003). In

proposito non si può non rilevare che anche la fattispecie del

l'occupazione acquisitiva è caratterizzata dalla indefettibile esi

stenza di un atto amministrativo fondamentale, quale è la di

chiarazione di pubblica utilità (in una qualsiasi delle sue possi bili forme) e che, per di più, proprio nelle pronunce giurispru denziali più recenti si nota come il cardine fondamentale della

fattispecie dell'occupazione acquisitiva stia progressivamente slittando dalla irreversibile trasformazione del bene immobile

all'esigenza di utilizzazione ed all'effettiva utilizzazione del

bene privato a fini pubblici (vedi, in particolare, le non isolate

Cass. 7532/97, id., 1998, I, 1947, e 394/99/SU, id., Rep. 2000, voce cit., n. 438). A giusta ragione, quindi, può attribuirsi alla

locuzione «atti di natura ablatoria» un significato onnicompren sivo di tutte le fattispecie che conducono al sacrificio della pro

prietà privata in funzione del soddisfacimento del pubblico inte

resse alla realizzazione di una determinata opera pubblica. La

già evidenziata intima ed indefettibile connessione in tutte le

fattispecie «ablatorie», e, in particolar modo, nell'occupazione

acquisitiva, tra atti amministrativi (v., ad esempio, l'assoluta

necessità di una dichiarazione di pubblica utilità) e meri com

portamenti della pubblica amministrazione rende coerente la

scelta del legislatore di non richiamare, dopo gli atti di natura

ablatoria, anche i comportamenti della pubblica amministrazio

ne, che negli atti di natura ablatoria (o, almeno, in alcuni di essi)

sono necessariamente compresi. In conclusione è possibile affermare che agli effetti del d.leg.

31 marzo 1998 n. 80, nel testo attualmente vigente, la materia

«urbanistica» non comprende la materia dell'espropriazione per

pubblica utilità e che in relazione alla materia delle espropria zioni il menzionato d.leg. 80/98 nulla ha innovato per quanto concerne il riparto di giurisdizione.

Ciò posto — ricordato che il d.p.r. 327/01 non è ancora en

trato in vigore, che lo stesso non sarebbe comunque applicabile,

per quanto concerne l'individuazione del giudice munito di giu

risdizione, al presente giudizio (introdotto in data 26 ottobre

2000 e relativo ad un'occupazione acquisitiva che nei primi me

si del 1995 si era già realizzata in tutti i suoi elementi), che lo

stesso nulla sembra innovare rispetto alla fattispecie qui esami

nata e che, in ogni caso, anche alla luce delle considerazioni che

precedono, non appaiono manifestamente infondati i dubbi circa

la non esistenza di una legge delega che giustifichi il disposto

dell'art. 53 citato d.p.r. se interpretato in senso innovativo ri

spetto alle leggi previgenti — va affermata la giurisdizione di

questa autorità giudiziaria ordinaria e la causa va rimessa sul

ruolo con separata ordinanza per lo svolgimento dell'attività

istruttoria.

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