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sentenza 31 marzo 1995, n. 105 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 5 aprile 1995, n. 14); Pres....

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sentenza 31 marzo 1995, n. 105 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 5 aprile 1995, n. 14); Pres. Baldassarre, Est. Ferri; Soc. Ampex e Soc. Miragoli c. Usl n. 53 di Crema; interv. Regione Lombardia; Soc. Ronzoni e Perego c. Usl n. 34 di Chieri. Ord. App. Brescia 9 febbraio 1994, 9 marzo 1994, 23 marzo 1994 (G.U., 1 a s.s., nn. 28 e 47 del 1994) Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 3 (MARZO 1996), pp. 831/832-833/834 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190838 . Accessed: 28/06/2014 14:11 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.107 on Sat, 28 Jun 2014 14:11:16 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 31 marzo 1995, n. 105 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 5 aprile 1995, n. 14); Pres.Baldassarre, Est. Ferri; Soc. Ampex e Soc. Miragoli c. Usl n. 53 di Crema; interv. RegioneLombardia; Soc. Ronzoni e Perego c. Usl n. 34 di Chieri. Ord. App. Brescia 9 febbraio 1994, 9marzo 1994, 23 marzo 1994 (G.U., 1 a s.s., nn. 28 e 47 del 1994)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 3 (MARZO 1996), pp. 831/832-833/834Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190838 .

Accessed: 28/06/2014 14:11

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PARTE PRIMA

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 31 marzo 1995, n. 105

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 5 aprile 1995, n. 14); Pres. Baldassarre, Est. Ferri; Soc. Ampex e Soc. Miragoli c. Usi n. 53 di Crema; interv. Regione Lombardia; Soc. Ron

zoni e Perego c. Usi n. 34 di Chieri. Ord. App. Brescia 9

febbraio 1994, 9 marzo 1994, 23 marzo 1994 (G.U., la s.s., nn. 28 e 47 del 1994).

Regione in genere e regioni a statuto ordinario — Lombardia — Igiene degli alimenti — Animali sottoposti a macellazione

e carni fresche — Visita sanitaria e relativa certificazione —

Prestazioni eseguite su richiesta di operatori economici del

settore — Compenso — Obbligo di pagamento — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 117, 119; r.d. 27 lu

glio 1934 n. 1265, testo unico delle leggi sanitarie, art. 61; 1. reg. Lombardia 26 ottobre 1981 n. 64, norme per l'eserci

zio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, per l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi veterinari e dei presidi multi

zonali di igiene e prevenzione, art. 56; 1. reg. Lombardia 30

novembre 1984 n. 61, modifiche ed integrazioni alla 1. 26 ot

tobre 1981 n. 64, art. 7).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

56 I. reg. Lombardia 26 ottobre 1981 n. 64, come sostituito

dall'art. 7 l. reg. Lombardia 30 novembre 1984 n. 61, nella

parte in cui prevede l'obbligo del pagamento di un compenso

per la visita sanitaria cui devono essere sottoposti gli animali

all'atto della macellazione e le carni introdotte nel territorio

comunale, su richiesta di operatori economici del settore, non ché per il rilascio della relativa certificazione, in riferimento agli art. 117 e 119 Cost. (1)

(1) La «diffusa lettura giurisprudenziale» cui si è richiamata la Corte costituzionale nella sentenza in epigrafe, consiste in realtà in un esiguo numero di, sporadiche decisioni, che non hanno delineato alcun orienta mento univoco sulla questione della legittimità dei compensi pretesi dal le aziende Usi (e in precedenza dai comuni) per le visite veterinarie cui

gli operatori economici del settore devono far sottoporre, a norma degli art. 11, 40 e 41 del regolamento per la vigilanza sanitaria delle carni, approvato con il r.d. 20 dicembre 1928 n. 3298, gli animali all'atto della macellazione e le carni introdotte dall'esterno anche se già con trollate all'origine, nonché per il rilascio delle relative certificazioni.

La questione è stata affrontata in sede di legittimità per la prima volta, a quanto consta, con la sentenza 5 aprile 1960, n. 780 (Foro it., Rep. 1960, voce Tasse comunali, n. 129, e Foro amm., 1960, II, 252, con nota di G. Miele, Sull'istituzione di speciali «diritti» da parte del comune in corrispondenza a misure di carattere sanitario) che l'ha risolta in senso positivo: i corrispettivi di cui si tratta sono stati consi derati come una «tassa» validamente istituita in base all'art. 3 del testo unico della legge sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province, approvato con r.d. 15 ottobre 1925 n.

2578, che consente agli enti gestori di stabilire le relative tariffe. Il principio è stato poi incidentalmente ribadito dalla Corte di cassa

zione in varie successive pronunce (sentenze 28 aprile 1973, n. 1167, Foro it., 1973, I, 3070; 9 gennaio 1974, n. 61, id., Rep. 1974, voce Mercato, n. 6; 7 febbraio 1974, n. 345, ibid., voce Comune, n. 92; 21 novembre 1975, n. 3908, id., 1976, I, 661; 15 ottobre 1983, n. 6053, id., Rep. 1983, voce Tributi locali, n. 175) con le quali è stata bensì dichiarata l'illegittimità di alcune contribuzioni diversamente denomi nate (tassa di sosta, diritto di gancinaia, diritto d'ingresso, diritto di mancato mercato, spese di mercato, spese generali, rimborso del merca to forese) istituite dai comuni a compenso di presunte prestazioni acces sorie al controllo sanitario compiuto nei macelli pubblici e nei mercati

all'ingrosso, ma sono stati espressamente fatti salvi i «diritti di visita».

Tuttavia, il fondamento della loro legittimità (che non veniva diretta mente in questione in quei giudizi) è stato ravvisato non più nella disci

plina dei servizi pubblici municipalizzati, ma nell'art. 61 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con r.d. 27 luglio 1934 n. 1265, come modificato dall'art. 9 d.p.r. 10 giugno 1955 n. 854, il quale dispone che «per il rilascio dei certificati, concernenti gli accertamenti che le

vigenti disposizioni demandano al veterinario condotto, è dovuto al co mune un compenso a carico dei richiedenti, quando tali certificati sono domandati nell'esclusivo interesse privato».

Richiamandosi a questo indirizzo giurisprudenziale e affermando di volerlo seguire, la stessa corte se ne è invece discostata con la sentenza 13 giugno 1979, n. 3335 (id., Rep. 1979, voce Sanità pubblica, n. 104), pronunciata su un ricorso che aveva specificamente ad oggetto i «diritti di visita»: è stata negata la legittimità della loro imposizione, in base al rilievo che non ricorre la condizione dell'esclusivo interesse privato

Il Foro Italiano — 1996.

Diritto. — 1. - Le questioni di legittimità costituzionale solle

vate dalla Corte d'appello di Brescia riguardano tutte la dispo sizione di legge regionale della Lombardia che, disciplinando le tariffe per gli accertamenti e le indagini in materia di igiene e sanità pubblica e di medicina veterinaria, «ivi inclusi i com

pensi per le prestazioni effettuate nell'interesse dei privati», sta

bilisce i criteri per la loro determinazione (art. 56 1. reg. Lom

bardia 26 ottobre 1981 n. 64, come sostituito dall'art. 7 1. reg. 30 novembre 1984 n. 61). Risulterebbero cosi soggette a paga mento anche le prestazioni eseguite nell'interesse della collettivi

tà e non dei privati che ne fanno richiesta, come appunto nel

caso della visita veterinaria di animali da macello e dell'ispezio ne sanitaria delle carni, soggette ad apposita certificazione.

prescritta dalla disposizione citata, quando la prestazione avviene su

richiesta di imprenditori commerciali del settore, dato che «la visita sanitaria costituisce l'esercizio di una pubblica funzione che il veterina rio comunale assolve nella veste di organo governativo ... e, quindi, nell'interesse precipuo della comunità e non dei singoli operatori econo mici cui incombe il relativo obbligo» e che la conseguente certificazione «non è predisposta . . . nell'interesse privato dei commercianti, ma per la tutela igienica e sanitaria dei consumatori, essendo preordinata all'e sercizio del controllo annonario del comune sugli spacci di vendita e ad impedire che vengano ritenute ed offerte in vendita ai consumatori carni di animali macellati clandestinamente».

Solo recentemente la corte è stata investita di nuovo della questione e ancora le ha dato due soluzioni contrastanti: con sent. 9 novembre

1994, n. 9309 (id., Rep. 1994, voce cit., nn. 361, 362) ha ritenuto che i «diritti di (rivisita» — per il caso di introduzione da altro comune di carni già sottoposte a controllo nel luogo di provenienza — non sono dovuti, poiché «il certificato di cui al suddetto art. 40 del regola mento, pur necessario per la commercializzazione della carne e quindi per la realizzazione di un interesse del privato imprenditore, è richiesto dalla legge come elemento di un procedimento che, per concludersi con una nuova visita sanitaria dell'animale macellato (questa, certamente non richiesta dal privato), appare chiaramente finalizzato innanzitutto

alla salvaguardia dell'igiene e della salute pubblica»; con le sentenze 22 febbraio 1995, n. 1923 (id., Mass., 256) e 14 marzo 1995, n. 2912

(ibid., 378), invece, ha deciso nel senso della legittimità dell'imposizio ne — sempre con riferimento a certificati di «rivisita» — in base alla considerazione che si tratta di «un servizio pubblico condizionante l'ac

cesso ad una fonte di utilità individuale, assicurandone la certificazione onerosa agli interessati all'utilizzo» e svolto a seguito di richieste pre sentate da privati «al precipuo scopo di soddisfare le proprie esigenze di carattere commerciale», mentre non rileva il coinvolgimento anche di «interessi di natura pubblica, postoché ciò si verifichi ogniqualvolta l'ordinamento pone prescrizioni e vincoli all'attività privata, per garan tirne lo svolgimento in conformità dell'interesse pubblico».

Ma il richiamo a queste pronunce, contenuto nella sentenza in epi grafe, non sembra pertinente per l'ulteriore ragione che le une e l'altra

partono da due premesse contrarie: anche nelle sue decisioni più recenti la Corte di cassazione ha presupposto che i «diritti di visita» siano tut tora disciplinati dal citato art. 61 t.u. leggi sanitarie e nella ricordata sentenza 9309/94 ha espressamente escluso che tale disposizione (da in

terpretare a suo avviso nel senso che «la presenza di un interesse pub blico travalica quello privato e non consente l'applicazione della tarif

fa») sia stata innovata dall'art. 2 1. reg. Veneto 31 maggio 1980 n.

78, il quale ha attribuito alla giunta il compito di fissare i compensi per le prestazioni rese a richiesta di privati in campo veterinario; invece la Corte costituzionale, aderendo alla prospettazione delle ordinanze di rimessione, ha ritenuto che la norma sottoposta al suo giudizio (che analogamente prevede la formazione di un tariffario per tali prestazio ni) abbia senz'altro sostituito la disposizione della legge statale, la quale infatti è stata presa in considerazione sotto il profilo della (poi negata) enunciazione di un principio fondamentale, inderogabile da parte delle regioni.

Quanto alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, cui pure generica mente si è rifatta la sentenza in rassegna, non constano precedenti spe cificamente relativi a un eventuale obbligo dei privati richiedenti verso

l'amministrazione, ma solo ai rapporti tra quest'ultima e i veterinari suoi dipendenti: v., per tutte, sez. V 29 maggio 1984, n. 408 (id., Rep. 1984, voce Sanitario, n. 218).

In dottrina, la questione è stata presa in esame, per quanto risulta, da Papaldo, Macello e macellazione, in Scritti giuridici, Milano, 1959, 376 s., che sembra propendere per la legittimità della «tassa di visita», e da Stipo, Macello e macellazione, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1975, XXV, 122 s., che la ritiene invece non dovuta, trattando si di un servizio la cui obbligatorietà «non è stata accompagnata da alcuna autorizzazione legislativa a riscuotere un diritto».

Per un'ampia e aggiornata panoramica sulla materia, v. Procaccini, Veterinaria, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1993, XL VI, 661 ss. [E. Bucciante]

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Il compenso disposto con apposita tariffa per queste presta zioni avrebbe, ad avviso del giudice rimettente, natura tributa

ria. In assenza di una legge statale che attribuisca alla regione

questo tributo, non sarebbe consentito al legislatore regionale di imporlo, rispettando i limiti dell'art. 119 Cost. Inoltre l'art.

61 del testo unico delle leggi sanitarie (r.d. 27 luglio 1934 n.

1265) enuncerebbe un principio fondamentale di gratuità del ri

lascio delle certificazioni veterinarie che non siano richieste nel

l'esclusivo interesse privato. La disposizione regionale denun

ciata, non conformandosi a questo principio, violerebbe l'art.

117 Cost.

2. - I giudizi hanno ad oggetto questioni identiche; possono essere pertanto riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. - I dubbi di legittimità costituzionale poggiano essenzial

mente sul presupposto che vi sia un principio fondamentale del

la legislazione statale di gratuità delle certificazioni relative a

prestazioni demandate al veterinario comunale, salvo che siano

richieste nell'esclusivo interesse privato. Implicano inoltre che

le visite sanitarie, cui devono essere sottoposti gli animali da

macello, non rispondano ad un interesse di chi le richiede, ma

esclusivamente all'interesse collettivo dell'igiene e della sanità

delle carni.

Questo presupposto interpretativo non può essere condiviso.

Dalla disciplina di settore in materia di vigilanza sanitaria sugli alimenti di origine animale e di ispezione delle carni nei macelli

non è dato ricavare un principio di gratuità delle prestazioni

e delle certificazioni veterinarie, richieste in ragione della com

mercializzazione e della destinazione al consumo delle carni. Anzi,

talvolta è espressamente previsto che gli oneri che questi con

trolli comportano siano interamente posti a carico dei privati,

quando sia richiesta una visita collegiale (art. 20 r.d. 20 dicem

bre 1928 n. 3298), ovvero quando veterinari comunali incaricati

operino in macelli privati (art. 6 d.p.r. 11 febbraio 1961 n. 264).

La previsione di onerosità per il privato richiedente non co

stituisce eccezione rispetto ad una regola di gratuità. Lo stesso

art. 61 del testo unico delle leggi sanitarie, indicato dall'ordi

nanza di rimessione come fonte di questo principio, non con

sente, in aderenza ad una diffusa lettura giurisprudenziale, que

sta interpretazione. Esso esclude, secondo la Corte di cassazio

ne, che a carico degli operatori economici possano essere imposte

contribuzioni in aggiunta ai diritti percepiti per le visite veteri

narie. La stessa disposizione consente, secondo il Consiglio di

Stato, che si determinano le tariffe per gli accertamenti e le

indagini sanitarie richiesti dai privati al fine di ottenere le auto

rizzazioni previste dalle leggi e necessarie per lo svolgimento

dell'attività imprenditoriale. Si tratta di prestazioni nell'interes

se del privato che le richiede, anche se coinvolgono un interesse

pubblico al rispetto delle prescrizioni previste da norme igienico sanitarie. Del resto, il principio del pagamento di un contribu

to, non superiore al costo globale effettivo delle ispezioni e dei

controlli sanitari, continua ad essere previsto dal d.leg. 15 gen

naio 1992 n. 51.

La disposizione denunciata non contrasta, quindi, con l'art.

117 Cost., non essendo violati i criteri generali ai quali si ispira la disciplina statale.

Né può essere invocato l'art. 119 Cost., in quanto non confi

gura un tributo regionale la percezione di un compenso, sia pu

re con la tariffa determinata dell'amministrazione secondo i cri

teri fissati dalla legge, a parziale copertura dei costi per presta

zioni erogate nell'interesse del richiedente.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale

dell'art. 56 1. reg. Lombardia 26 ottobre 1981 n. 64 (norme

per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubbli ca, per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, per l'organiz

zazione ed il funzionamento dei servizi veterinari e dei presidi multizonali di igiene e prevenzione), come sostituito dall'art.

7 1. reg. Lombardia 30 novembre 1984 n. 61 (modifiche ed inte

grazione alle leggi reg. 26 ottobre 1981 n. 64 e n. 65 concernenti

«norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sani

tà pubblica, per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, per

l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi veterinari e dei

presidi multizonali di igiene e prevenzione»), sollevate, in riferi

mento agli art. 117 e 119 Cost., dalla Corte d'appello di Brescia

con le ordinanze indicate in epigrafe.

Il Foro Itaiiano — 1996.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 febbraio 1995, n.

59 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 1° marzo 1995, n.

9); Pres. Spagnoli, Est. Ferri; Maiorca; interv. Pres. cons,

ministri. Ord. G.i.p. Trib. Siracusa 28 giugno 1993 (G.U., la s.s., n. 41 del 1993).

Procedimento penale — Atti del fascicolo per il dibattimento — Pubblicazione — Limiti — Incostituzionalità (Cost., art.

3, 21, 76; cod. pen., art. 684; cod. proc. pen., art. 114; 1.

16 febbraio 1987 n. 81, delega legislativa al governo della

repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura

penale, art. 2).

È incostituzionale, in relazione all'art. 2, n. 71, l. 16 febbraio 1987 n. 81, l'art. 114, 3° comma, c.p.p., nella parte in cui

non consente la pubblicazione degli atti del fascicolo per il

dibattimento anteriormente alla pronuncia della sentenza di

primo grado. (1)

Diritto. — 1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa solleva, in riferimento agli art. 3, 21

e 76 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 114,

3° comma, c.p.p., nella parte in cui vieta la pubblicazione —

anche parziale — degli atti del fascicolo per il dibattimento fino

alla pronuncia della sentenza di primo grado. 2. - Il remittente, dopo aver premesso che a fronte del detto

divieto l'ultimo comma del medesimo art. 114 dispone che «è

sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non

coperti da segreto», ritiene che il citato 3° comma, oltre a porre una irragionevole ed ontologicamente incerta distinzione tra

«pubblicazione di atti» (vietata) e «pubblicazione del contenuto

di atti» (lecita), realizzi una ingiustifica disparità di trattamento

tra due situazioni sostanzialmente assimilabili, violi il principio della libertà di stampa sancito dall'art. 21 Cost., e, infine, si

ponga in contrasto con la direttiva n. 71 dell'art. 2 della legge di delega 16 febbraio 1987 n. 81, la quale non prevede alcun

divieto di pubblicazione degli atti del fascicolo per il dibattimento.

3. - Sotto quest'ultimo ed assorbente profilo la questione è

fondata.

Nel dare riconoscimento alle esigenze di trasparenza e di con

trollo sociale sullo svolgimento della vicenda processuale, e quindi

nel contemperare interessi di giustizia ed interessi dell'informa

zione — entrambi costituzionalmente rilevanti — il legislatore

delegante ha operato una scelta ben precisa. I primi due periodi della direttiva n. 71 delineano un sistema

in cui «su tutti gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria e dal

pubblico ministero» è posto sia l'obbligo del segreto che il di

vieto di pubblicazione fino a quando i medesimi «non possono

essere conosciuti dall'imputato» (recte: indagato). Da questa chiara enunciazione può evincersi che, nell'intento

del legislatore delegante, i limiti alla divulgabilità degli atti di

indagine preliminare si collegano inequivocabilmente alle esi

genze investigative, operando al fine di scongiurare ogni possi

bile pregiudizio alle indagini a causa di una anticipata cono

scenza delle stesse da parte della persona indagata.

(1) La corte, attraverso una puntuale ricostruzione della volontà del

legislatore delegante, ha ritenuto la limitazione espressa dall'art. 114, 3° comma, c.p.p. in contrasto con i principi espressi nella legge delega 81/87 ed in particolare con la direttiva n. 71 dell'art. 2 della stessa.

L'ordinanza di rimessione del G.i.p. Trib. Siracusa 28 giugno 1993

è massimata in Foro it., Rep. 1994, voce Procedimento penale, n. 8.

Con riguardo al previgente codice di procedura penale la Corte costi

tuzionale aveva dichiarato infondata e manifestamente infondata la que stione di costituzionalità degli art. 684 c.p. e 164, 1° comma, c.p.p., nella parte in cui non prevedevano limiti all'assoluto divieto di pubbli cazione di atti o documenti di un procedimento penale in fase di istru

zione e non stabilivano forme di verifica della sussistenza dell'esigenza di giustizia alla non pubblicazione degli atti e dei documenti stessi: v.

sent. 10 marzo 1966, n. 18, id., 1966, I, 412 e ord. 3 dicembre 1987,

n. 457, id., 1988, I, 1748, con nota di richiami.

In ordine ai limiti entro cui può ritenersi lecita la pubblicazione di

atti di un procedimento penale, ai sensi dell'art. 114 c.p.p. e, conse

guentemente, è configurabile il reato di pubblicazione arbitraria di atti

di procedimento penale, di cui all'art. 684 c.p., v. Trib. Bologna 11

febbraio 1994, id., 1995, II, 525, con nota di Bongiorno, Il divieto

di pubblicare atti del processo penale: dalla tutela dei giurati alla tutela

del segreto investigativo; Trib. Trieste 28 luglio 1993, id., 1994, I, 3250,

con nota di richiami, e Trib. Lecce 22 febbraio 1993, ibid., II, 658, con nota di richiami.

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