Click here to load reader
Click here to load reader
sentenza 31 ottobre 1995, n. 473 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 8 novembre 1995, n. 46);Pres. Caianiello, Est. Santosuosso; Ufficio del registro di Maglie c. Macculi ed altra; Ufficio delregistro di Maglie c. Tondi ed altra; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Comm. trib. II gradoLecce 10 giugno 1994 (due) (G.U., 1 a s.s., n. 9 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 12 (DICEMBRE 1996), pp. 3653/3654-3657/3658Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23191037 .
Accessed: 25/06/2014 00:35
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 195.34.79.214 on Wed, 25 Jun 2014 00:35:38 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tà (lett. a del 1° comma dell'art. 1)». In tale linea direttiva
si giustifica la «abrogazione pura e semplice di quelle contrav
venzioni che, trovando sostanziale corrispondenza in omologhi
precetti del testo unico da sottoporre a depenalizzazione, non
potrebbero sopravvivere se non a costo di un'assurda contrad
dizione. Si tratta delle ipotesi contravvenzionali di cui agli art.
662 (esercizio abusivo dell'arte tipografica) e, appunto, 706 (com mercio clandestino di cose antiche) c.p. (lett. c del 1° comma
dell'art. 1)». Ed infatti l'art. 13, lett. a, d.leg. n. 480 del 1994 ha espressa
mente previsto l'abrogazione dell'art. 706 c.p.
Quanto al richiamo della relazione al disegno di legge-delega a pronunce di illegittimità costituzionale, esso non può non es
sere inteso in riferimento alla più volte ricordata sentenza n.
121 del 1963; tanto più che sempre dalla stessa relazione risulta
che pure con riguardo alle contravvenzioni previste dal testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza, alla depenalizzazione ge neralizzata avrebbero dovuto corrispondere «alcune eccezioni
giustificabili con il rango degli interessi in gioco». E ciò anche se della ridetta pronuncia di questa corte non
risulta menzione né nella relazione alla legge-delega né nei lavo
ri preparatori del d.leg. n. 480 del 1994.
Resta comunque, quale presupposto alla base dell'attuale di
sciplina del commercio di oggetti preziosi e del commercio di
oggetti antichi e usati, la permanente operatività della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 128 del te
sto unico; pure se non può non essere rilevato come una corret
ta previsione normativa avrebbe dovuto comportare un inter
vento sull'art. 128 del testo unico, al fine di escludere qualsivo
glia sanzione per la violazione dei precetti di cui ai primi quattro commi relativamente agli esercenti il commercio di oggetti pre ziosi nuovi.
11. - Gli equivoci a cui la non chiara lettera dell'art. 17 bis, 3° comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza può dar luogo appaiono evidenti dalla semplice lettura di una delle
ordinanze di rimessione (precisamente r.o. n. 331 del 1995). Di
fronte all'addebito elevato nei confronti di un commerciante
di cose antiche concernente l'omessa tenuta del registro delle
operazioni commerciali, il pubblico ministero aveva infatti ri
chiesto l'archiviazione, assumendo l'avvenuta depenalizzazione dell'art. 128 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in forza dell'art. 3, 3° comma, d.leg. n. 480 del 1994. In tre
altri casi, riguardanti un'analoga violazione, il pubblico mini
stero aveva, invece, domandato l'emissione del decreto penale
(r.o. 317, 318 e 440 del 1995). A tutte le dette richieste dei pubblici ministeri, peraltro, il
giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Firenze
ha risposto sollevando questione di legittimità costituzionale del
l'art. 17 bis, 3° comma, del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza, nella parte in cui esclude dalla depenalizzazione le
violazioni dell'art. 128 dello stesso testo unico commesse dai
commercianti di cose antiche o usate.
12. - Senonché, pur dovendosi condividere la scelta interpre
tativa quanto all'immanenza nei confronti degli esercenti il com
mercio di cose antiche e usate della sanzione penale prevista dall'art. 128, non altrettanto rigorosa appare, invece, la lettura
della norma assunta quale tertium comparationis in relazione
alla denunciata violazione del principio di eguaglianza: e cioè
quella risultante dal combinato disposto degli art. 17 bis, 3°
comma, 127 e 128 del testo unico delle leggi di pubblica sicurez
za relativamente alle stesse violazioni addebitabili con riferimento
agli esercenti di oggetti preziosi. Una simile prospettazione, in
fatti, non tiene conto del decisum della sentenza costituzionale
n. 121 del 1963, che, nel dichiarare l'illegittimità dei primi quat
tro commi dell'art. 128 per la parte riguardante le operazioni
su oggetti preziosi nuovi, ha precisato come la cosa preziosa
se non più nuova, nel senso chiarito in motivazione, rientra
nel novero delle cose usate in ordine alle quali trova piena giu
stificazione, considerate le esigenze teleologiche alla base del
l'art. 128, la repressione penale delle violazioni.
Di qui la conclusione che la norma denunciata, così come
interpretata alla stregua della sentenza n. 121 del 1963, non con
trasta con la Costituzione per nessuno dei parametri invocati.
Non con l'art. 3 Cost., perché la serie di controlli previsti dalla
norma più volte richiamata si giustifica soltanto nei confronti
degli esercenti il commercio di cose antiche e usate (ivi compre
se le cose preziose usate) e non anche nei confronti degli eser
II Foro Italiano — 1996.
centi commercio di preziosi (nuovi). E non con riguardo all'art.
41 Cost., perché, stanti le finalità di pubblica sicurezza poste a fondamento della norma che si assume violata nei procedi menti a quibus, non risulta irragionevole (argomentando a con
trario dalla sentenza n. 121 del 1963) un sistema di controlli
diretti a prevenire la commissione di reati contro il patrimonio. 13. - Non fondata è pure la questione di legittimità degli art.
705 c.p. e 13 d.leg. n. 480 del 1994 nella parte in cui il primo
contempla tuttora la repressione penale del commercio non au
torizzato di cose preziose ed il secondo ha corrispondentemente
depenalizzato il solo art. 706 c.p. e non anche l'art. 705 dello
stesso codice.
La scelta legislativa non appare, infatti, irragionevole ove si
consideri la necessità di una maggiore tutela connessa all'auto
rizzazione all'esercizio del commercio di cose preziose (nuove)
rispetto all'autorizzazione all'esercizio del commercio di cose
antiche usate. Si tratta di un giudizio di valore che non può definirsi arbitrario, dato che esso già emerge dalla semplice com
parazione della sanzione prevista dall'ancora vigente art. 705
c.p. (arresto fino a tre mesi o ammenda da lire centomila a
lire due milioni) rispetto alla pena prevista invece dall'abrogato art. 706 dello stesso codice (ammenda da lire ventimila a lire
duecentomila). Il che esclude anche la dedotta violazione dell'art. 41 Cost.,
intrinsecamente collegata, come essa appare, alla inosservanza
dell'art. 3.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17 bis, 3°
comma, r.d. 18 giugno 1931 n. 773 (testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza), nel contesto introdotto dall'art. 3 d.leg. 13
luglio 1994 n. 480 (riforma della disciplina sanzionatoria conte
nuta nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 18 giugno 1931 n. 773), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 41 Cost., dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Firenze e con tre ordinanze del 31 gennaio 1995
(r.o. 317, 318 e 440 del 1995) ed una ordinanza del 27 febbraio
1995 (r.o. 311 del 1995); dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 705 c.p. e dell'art. 13 d.leg. 13 luglio 1994 n. 480 (riforma della disciplina sanzionatoria con
tenuta nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approva to con r.d. 18 giugno 1931 n. 773), sollevata, in riferimento
agli art. 3 e 41 Cost., dal giudice per le indagini preliminari
presso la Pretura di Firenze con ordinanza del 31 gennaio 1995
(r.o. 319 del 1995).
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 31 ottobre 1995, n. 473
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 8 novembre 1995, n. 46); Pres. Caianiello, Est. Santosuosso; Ufficio del registro di
Maglie c. Macculi ed altra; Ufficio del registro di Maglie c.
Tondi ed altra; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Comm. trib.
II grado Lecce 10 giugno 1994 (due) (G.U., la s.s., n. 9 del
1995).
Tributi locali — Invim — Accertamento nei confronti del ven
ditore — Esecuzione nei confronti dell'acquirente — Decisio
ne ottenuta dall'acquirente in controversia concernente l'im
posta di registro — Invocabilità — Esclusione — Questione infondata di costituzionalità nei sensi di cui in motivazione
(Cost., art. 3, 53, 97; d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 643, istituzio
ne dell'imposta comunale sull'incremento di valori degli im
mobili, art. 6).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 6 d.p.r. 26 ottobre 1972 n.
643, nella parte in cui non prevede, ai fini della determinazio
ne del valore finale del bene con riguardo all'Invim, che l'ac
This content downloaded from 195.34.79.214 on Wed, 25 Jun 2014 00:35:38 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
3655 PARTE PRIMA 3656
quirente possa giovarsi degli effetti favorevoli conseguenti al
l'impugnazione da esso solo proposta avverso l'avviso di ac
certamento relativo all'imposta di registro, in riferimento agli art. 3, 53 e 97 Cost. (1)
Diritto. — 1. - La questione che la Commissione tributaria
di secondo grado di Lecce sottopone all'esame di questa corte
è se l'art. 6 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 643 (istituzione dell'impo sta comunale sull'incremento di valore degli immobili), nella
parte in cui non prevede, ai fini della determinazione del valore
finale del bene con riguardo all'Invim, che l'acquirente possa
giovarsi degli effetti favorevoli conseguenti alla impugnazione da esso solo proposta avverso l'avviso di accertamento relativo
all'imposta di registro, sia in contrasto: — con l'art. 3 Cost, in quanto viene irragionevolmente pre
cluso all'acquirente di giovarsi della riduzione di valore del be
ne già ottenuta ai fini dell'imposta di registro;
(1) Le massime di Comm. trib. II grado Lecce 10 giugno 1994, da cui trae origine la questione di costituzionalità, si leggono in Foro it., Rep. 1995, voce Tributi locali, nn. 153, 154.
La sentenza in epigrafe è annotata da F. Napolitano, in Corriere
trib., 1996, 570, e da E. Ferlito, in Fisco, 1995, 10759.
* * *
I. - La vicenda da cui scaturisce la presente decisione è facilmente riassumibile: l'acquirente (a titolo oneroso) di un immobile ricorreva contro l'avviso di accertamento di imposta complementare di registro, ottenendo dalla commissione tributaria una decisione favorevole. Dal canto suo, il venditore rimaneva inerte, con la conseguenza che l'avviso di accertamento allo stesso notificato (e relativo tanto all'imposta di
registro, quanto all'Invim) diventava inoppugnabile. Su questo presup posto, l'ufficio del registro agiva in executivis nei confronti dell'acqui rente per il recupero dell'Invim, a garanzia del pagamento della quale la legge (art. 28 d.p.r. 643/72) accorda, a favore dell'erario, un privile gio sopra l'immobile ceduto.
L'acquirente insorgeva contro l'atto di pignoramento immobiliare e, davanti alla commissione tributaria, invocava la decisione favorevole a suo tempo ottenuta nella controversia concernente l'imposta di regi stro (l'unica imposta — è bene ricordarlo — di cui la parte acquirente sia debitrice).
Il giudice tributario escludeva che all'acquirente fosse dato di giovar si di tale decisione — non potendo la stessa scalfire l'accertamento di venuto definitivo per acquiescenza prestata dai venditori —, ma, dubi tando della conformità di tale soluzione ai precetti costituzionali, rimet teva la questione alla Consulta.
II. - Per arrivare alla decisione di infondatezza (nei sensi di cui in
motivazione) la sentenza ricorda, in primo luogo, l'orientamento del
Supremo collegio concernente l'applicabilità dell'art. 1306 c.c. alla ma teria tributaria e la possibilità (accordata da Cass., sez. un., 22 giugno 1991, n. 7053, Foro it., 1991, I, 2359; più di recente, v. Cass. 2 feb braio 1995, n. 1225, id., Rep. 1995, voce Registro, n. 187; 4 agosto 1994, n. 7255, ibid., voce Tributi in genere, n. 853; per la giurispruden za tributaria, nello stesso senso, v., da ultimo, Comm. trib. centrale 11 maggio 1995, n. 1989, ibid., n. 854; 6 maggio 1995, n. 1877, ibid., n. 855; cfr. poi il parere dell'avvocatura generale dello Stato 3 dicembre 1994, n. 117957, Dir. e pratica trib., 1995, I, 949) di opporre al fisco — e a dispetto della prestata acquiescenza ad un previo avviso di accer tamento — il giudicato ottenuto (sulla medesima imposta) da altra par te condebitrice.
A ben vedere, però, tale giurisprudenza non appare granché confe rente, come riconosce la stessa sentenza in epigrafe, che pertanto richia ma il filone (espresso da Cass. 2 aprile 1992, n. 4024, Foro it., 1993, I, 178; 27 agosto 1993, n. 9097, id., Rep. 1994, voce Tributi locali, n. 129), secondo il quale — nonostante la diversità dei presupposti im positivi — il giudicato ottenuto dalla parte di un atto con riferimento ad un'imposta gravante sullo stesso (l'imposta di registro, nei casi trat tati dalla Suprema corte) è utilizzabile a proprio vantaggio anche da altra parte dell'atto e con riferimento a diversa imposta (in ipotesi, con riferimento all'Invim), senza che a ciò osti la definitività per acquie scenza dell'avviso di accertamento a questa notificato.
Anche siffatta giurisprudenza, però, non appare di stretta pertinenza, facendo la stessa riferimento pur sempre a vicende di estensione del giudicato reso inter alios, quando, nel caso che ci occupa, il problema era quello di far si che il medesimo contribuente potesse avvalersi, an che con riferimento all'Invim, della riduzione di valore (da lui) ottenuta nel giudizio relativo all'imposta di registro.
Per la Corte costituzionale, comunque, quello che conta è l'indivi duazione di «un principio di più ampia portata», applicabile alla fatti specie in esame: principio che si riassume in ciò che «nel caso in cui si verifichi il conflitto fra due titoli definitivi che nello stesso tempo
Il Foro Italiano — 1996.
— con l'art. 53 Cost., imponendosi agli acquirenti di pagare
un'imposta in misura da essi non dovuta in quanto riferentesi
ad un valore finale del bene divenuto definitivo nei confronti
dei venditori per mancata impugnazione da parte di questi ultimi; — con l'art. 97 Cost, in quanto appare collidere con il più
elementare senso di giustizia che un medesimo bene possa ave
re, agli effetti fiscali, due valori diversi a seconda del contri
buente dal quale è dovuta l'imposta. 2. - Data l'identicità delle questioni sollevate, i giudizi devo
no essere riuniti per essere decisi con una sola pronuncia. 3. - Nel suo atto di intervento il presidente del consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello
Stato, deduce anzitutto l'inammissibilità della questione per ca
renza di motivazione dell'ordinanza di rimessione sulla rilevan
za, riservandosi di argomentare in memoria, nella quale osserva
che l'inammissibilità sarebbe ravvisabile sotto due profili: da
un lato, lo stesso giudice a quo riconosce che il dedotto effetto
danno al medesimo bene valori differenti, quello risultante dal giudica to deve prevalere sul valore maggiore riportato nell'atto amministrativo».
Da tutto ciò l'infondatezza (nei sensi di cui in motivazione) della
questione di costituzionalità dell'art. 6 d.p.r. 643/72. III. - Rimane a questo punto da verificare se tale pronuncia abbia
finalmente dato all'acquirente la possibilità di contrastare l'azione ese cutiva promossa dall'amministrazione per il pagamento dell'Invim in vocando la decisione giurisdizionale a lui favorevole intervenuta in ma teria di registro.
La risposta sembra però negativa. Prima ancora dell'invocabilità della decisione (ipotizziamo, per segui
re il ragionamento della Consulta, che la stessa sia passata in giudica to), il problema risiede infatti nella possibilità per l'acquirente (ovvia mente a titolo oneroso), in quanto proprietario del bene gravato di pri vilegio, di contestare l'importo dell'Invim, l'importo cioè di un'imposta cioè di cui non è debitore.
Questo era e rimane il vero nodo da sciogliere, anche alla luce del fatto che la Suprema corte (sent. 23 giugno 1990, n. 6387, id., Rep. 1991, voce cit., n. 173; ma in termini analoghi è pure Comm. trib. centrale 4 novembre 1993, n. 3025, id., Rep. 1994, voce cit., n. 163, nonché min. fin., nota 14 luglio 1978, n. 4343, Fisco, 1978, fase. 17, 75; contra, Comm. trib. centrale 18 marzo 1991, n. 2121, Foro it., Rep. 1991, voce cit., n. 178; in dottrina, nel medesimo senso, P. Pavo ne, Esercizio contro il terzo proprietario del privilegio speciale immobi liare che assiste i tributi indiretti sugli affari, in Dir. e pratica trib., 1987, I, 1279: per un'aggiornata ricognizione dei diversi orientamenti in materia, cfr. A. Bodrito, Orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sulla posizione «Invim» dell'acquirente, id., 1995, II, 499) ha afferma to che l'acquirente di un immobile gravato dal privilegio di cui all'art. 28 d.p.r. 643/72 è soltanto soggetto passivo della procedura esecutiva e non anche parte della fase attinente all'accertamento del credito tribu tario, che si svolge nei confronti dell'alienante, con la conseguente ca renza di legittimazione ad impugnare l'accertamento del valore dell'im mobile.
La Consulta salta a pié pari tale giurisprudenza, omettendo, al con tempo, di farsi carico del problema della possibilità dell'acquirente di contestare la pretesa erariale relativa all'Invim; all'incontrarlo, tale pos sibilità sembra data per scontata (quando, come si è detto, scontata non lo è affatto).
IV. - Il rischio, a questo punto, è che tutto il ragionamento della Corte costituzionale non serva a nulla, nel senso che, fintanto che la giurisprudenza della Suprema corte e delle commissioni tributarie sarà orientata ad escludere la legittimazione dell'acquirente, apparirà ultro nea la questione della prevalenza — in un giudizio da questo attivato — del giudicato sull'accertamento fiscale divenuto definitivo nei con fronti del venditore.
Solo una volta ribaltata tale conclusione in punto di legittimazione dell'acquirente potrà porsi la questione della possibilità di far valere il giudicato intervenuto inter partes sul valore del cespite ceduto (anche se poi per arrivare alla sua soluzione non occorre neanche scomodare l'art. 1306 c.c. o i «principi generali desumibili dal sistema», trovandosi la soluzione bella e pronta nell'art. 2909 c.c.).
In altre parole: i limiti che l'acquirente (a titolo oneroso) di un im mobile incontra laddove intenda giovarsi, ai fini dell'Invim, della deci sione riduttiva del valore agli effetti dell'imposta di registro derivano dalla struttura dell'Invim che (come chiarisce l'art. 4 d.p.r. 643/72) non annovera questo tra i soggetti passivi debitori dell'imposta, senza che qui entri in gioco l'art. 6 d.p.r. 643/72, sull'imponibile Invim, con tro il quale si sono appuntati gli strali del giudice remittente e sul quale è intervenuta la corte.
In conclusione, tutto sembra rimasto come prima e tuttora aperto resta il dubbio di costituzionalità della (ritenuta) impossibilità per l'ac quirente di un immobile di contestare gli effetti esecutivi di un accerta mento di cui, in altra sede, ha dimostrato l'infondatezza. [M. An necchino]
This content downloaded from 195.34.79.214 on Wed, 25 Jun 2014 00:35:38 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
estensivo, ai sensi dell'art. 1306 c.c., della sentenza pronunziata nei confronti di uno dei condebitori solidali della imposta di
registro non potrebbe realizzarsi nei confronti dell'acquirente essendo questi estraneo al rapporto obbligatorio intercorrente
tra il fisco ed il venditore; dall'altro, il remittente ipotizza una
pronuncia additiva, senza soffermarsi sui noti limiti individuati
da questa corte in ordine ai propri interventi.
Entrambe le deduzioni sono strettamente connesse col merito
della questione di costituzionalità, e quindi occorre passare al
l'esame della stessa.
4. - La questione è infondata nei sensi che saranno ora pre cisati.
Va premesso che questa corte ha già avuto occasione di pro nunciarsi sul problema, parzialmente attinente a quello in esa
me, dell'applicabilità dei principi di cui all'art. 1306 c.c. all'ob
bligazione solidale tributaria, dando ad esso una soluzione af
fermativa (ordinanze n. 870 del 1988, Foro it., 1989, I, 1005, e 544 del 1987, id., Rep. 1988, voce Tributi in genere, n. 1095). Lo stesso orientamento veniva seguito nel 1991 dalle sezioni unite
della Corte di cassazione.
Ma nei citati casi si trattava semplicemente di estendere i pre detti principi civilistici all'obbligazione solidale fra più debitori della stessa imposta di registro.
5. - Anche riguardo alla diversa ipotesi della estensione degli effetti di un giudicato formatosi nei confronti del debitore del
l'imposta di registro all'acquirente dell'immobile su cui grava — a garanzia del pagamento dell'Invim — il privilegio dall'art.
28 d.p.r. n. 643 del 1972, la Corte di cassazione si è pronuncia ta più volte, ma con soluzioni contrastanti.
Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, pur ricono
scendosi che in detta seconda ipotesi non si tratta di più debito
ri della stessa imposta — in quanto l'acquirente dell'immobile
su cui grava il privilegio per l'Invim non è debitore di questa
imposta — nella regola prevista dall'art. 1306 si ravvisa un prin
cipio di più ampia portata, applicabile alla presente fattispecie, sia per realizzare il meccanismo contemplato dall'art. 6 della
legge sull'Invim (circa l'identità di valori dell'immobile sia ai
fini del registro che dell'Invim), sia per il rispetto dei principi costituzionali contenuti negli art. 3, 53 e 97 Cost.
6. - Ed invero, essendo indubbio che il legislatore ha voluto
che l'accertamento del valore del bene trasferito sia lo stesso
per entrambe le imposte, nel caso in cui si verifichi il conflitto
fra due titoli definitivi che nello stesso tempo danno al medesi
mo bene valori differenti, quello risultante dal giudicato deve
prevalere sul valore maggiore riportato nell'atto amministrativo.
Questa interpretazione risulta conforme ai principi di cui agli
art. 3, 53 e 97 Cost.
Il principio di uguaglianza impone, infatti, che se il valore
dello stesso immobile viene riconosciuto per ragioni obiettive
nei confronti di un debitore d'imposta, esso non può essere di
verso ove si tratti del contribuente di un'altra imposta connessa
e nello stesso contesto, che pur si riferisce al trasferimento dello
stesso bene.
Il principio della capacità contributiva esige che la medesima
situazione di fatto non può che essere rilevatrice della stessa
capacità contributiva e quindi dell'analogo prelievo fiscale. In
fine, quello della imparzialità della pubblica amministrazione
sancisce il dovere per essa di conformarsi al giudicato che ha
riconosciuto la illegittimità oggettiva del valore dato dall'atto
amministrativo ad un immobile.
7. - Questa corte ha più volte affermato (sentenze n. 18 del
1995, id., Rep. 1995, voce Previdenza sociale, n. 420, e n. 526
del 1990, id., Rep. 1991, voce Privilegio, n. 37) che l'estensione
della norma ad un caso non compreso nella lettera legislativa
risulta giustificata da un giudizio di meritevolezza del medesimo
trattamento, fondato sulla ratio legis indipendentemente dalla
identità o dalla somiglianza al caso previsto. Dal che deriva
che la regola contenuta nell'art. 1306 c.c. può estendersi ad al
tri casi, come quello in esame, in cui sia ravvisabile la stessa ratio.
La corte ha pure ritenuto costantemente che il giudice rimet
tente, nell'operare la ricognizione del contenuto normativo del
la disposizione, deve sempre e costantemente essere guidato dal
l'esigenza di rispetto dei precetti costituzionali e quindi, ove un'in
terpretazione appaia confliggente con alcuno di essi, è tenuto
— soprattutto in mancanza di diritto vivente — ad adottare
letture alternative maggiormente aderenti al parametro costitu
zionale altrimenti vulnerato (sentenza n. 149 del 1994, id., 1994,
Il Foro Italiano — 1996.
I, 3340; ordinanze n. 226 del 1994, ibid., 2332, e n. 121 del
1994, id., Rep. 1994, voce Separazione di coniugi, n. 26). I giudici rimettenti avrebbero dovuto, pertanto, seguire quel
la interpretazione data dalla citata giurisprudenza della Corte
di cassazione che risulta conforme ai principi costituzionali.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 6 d.p.r. 26 ottobre
1972 n. 643 (istituzione dell'imposta comunale sull'incremento
di valore degli immobili) sollevata, in riferimento agli art. 3, 53 e 97 Cost., dalla Commissione tributaria di secondo grado di Lecce con le ordinanze indicate in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 25 luglio 1995, n. 377
(Gazzetta ufficiale, V serie speciale, 16 agosto 1995, n. 34); Pres. Baldassarre, Est. Chieppa; Cordone c. Ufficio impo ste dirette di Larino; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Comm.
trib. I grado Larino 19 gennaio 1994 (G.U., la s.s., n. 5
del 1995).
Tributi in genere — Contribuente titolare di reddito da terreni — Accertamento sintetico — Questione infondata di costitu
zionalità (Cost., art. 3, 53; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597,
istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle persone
fisiche, art. 24, 30; d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, disposi zioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui red
diti, art. 38).
È infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
24 e 30 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597, nella parte in cui
dispongono che in presenza di solo reddito da terreni non
può trovare applicazione l'accertamento sintetico di cui al
l'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, in riferimento agli art. 3 e 53 Cost. (1)
(1) Accertamento sintetico e redditi agrari.
I. - La discussione sull'applicabilità dell'art. 38 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 ai contribuenti titolari di reddito agrario ha, in questi anni, ruotato essenzialmente intorno a tre questioni: a) se sia o meno applica bile l'accertamento c.d. sintetico a contribuenti cui sia dato — come
a quelli in questione — di esporre legittimamente in dichiarazione red
diti che, in quanto determinati su base catastale, possono risultare infe
riori a quelli effettivamente conseguiti; b) qualora tale possibilità si am
metta, se l'ufficio finanziario sia soggetto a particolari oneri o adempi
menti; c) se il contribuente possa o meno contrastare l'accertamento
dimostrando che il maggior reddito determinato sinteticamente (non è
frutto di evasione, bensì) è conseguenza della capacità del fondo di
produrre un reddito superiore a quello assunto — in via generale ed
astratta — dal catasto.
Quest'ultima, da un punto di vista teorico, appariva, tra tutte, la
questione più seria, dal momento che l'art. 38 d.p.r. n. 600 ammetteva
(ed ammette) tra le prove utilizzabili dal contribuente per inficiare l'ac
certamento sintetico solo ed esclusivamente quelle aventi ad oggetto l'e
sistenza di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di impo
sta, nulla prevedendo in ordine alla possibilità di dimostrare che il red
dito effettivo ritratto dal cespite è superiore a quello catastale riportato in dichiarazione.
La questione però non ha mai assunto rilievo pratico in virtù dell'in
tervento del ministero delle finanze (1) che aveva a chiare lettere am
messo che «oltre ai due casi espressamente previsti dal 5° comma del
l'art. 38 esistono altre ipotesi di valide eccezioni che il contribuente
può opporre all'accertamento sintetico quando è in possesso di proventi che siano legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile»; in particolare, si considerava l'esistenza di redditi effettivi conseguiti
(1) V. min. fin., circ. 14 agosto 1981, n. 27/7/2648, Fisco, 1981, 3385.
This content downloaded from 195.34.79.214 on Wed, 25 Jun 2014 00:35:38 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions