sentenza 4 aprile 1997; Giud. Dies; Iovene e Derami (Avv. Longo, Ferro) c. Comune di Paularo(Avv. Beorchia)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 3067/3068-3071/3072Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192552 .
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3067 PARTE PRIMA 3068
fondatezza in fatto e in diritto dell'opposizione e chiedeva la
concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto ai
sensi dell'art. 648 c.p.c.; nel merito concludeva per la conferma
del provvedimento ingiuntivo e proponeva altresì domanda ri
convenzionale al fine di ottenere la condanna dell'attrice
opponente al pagamento della rivalutazione monetaria ex art.
1224, 2° comma, c.c. dalla mora al saldo effettivo, nonché del
la somma di lire 100.000 per le spese di custodia dei volumi
oggetto del contratto, posti a disposizione dell'acquirente e dal
la stessa mai ritirati. (Omissis) Motivi della decisione. — (Omissis). La subordinata richiesta
della difesa di parte attrice, di annullamento del contratto per vizio del consenso, merita, viceversa, di essere accolta. In pro
posito, va chiarito che la fase istruttoria si è chiusa senza che
si sia proceduto all'escussione di alcun testimone, essendo la
parte attrice-opponente decaduta dalle prove richieste. Tutta
via, si deve ritenere che alcune circostanze di fatto prospettate dalla difesa dell'opponente siano da considerare acquisite, in
assenza di contestazione da parte della convenuta-opposta. In
particolare risulta agli atti che la società Iac si è avvalsa, nei
confronti della Montanari, del proprio collaudato modus ope randi, così riassumibile: 1) contatto telefonico con il consuma
tore nel corso del quale viene chiesto un appuntamento per la
consegna di libri in omaggio; 2) effettiva esistenza di un «omag
gio», costituito da una serie di volumi costituenti alcune enci
clopedie; 3) «inscindibile legame» tra i volumi citati e i successi vi aggiornamenti delle opere medesime, questi ultimi ceduti a
titolo di compravendita con obbligo da parte dell'acquirente di
corrispondere il prezzo mediante rate periodiche di vari impor ti. In difesa della propria tecnica di vendita, parte convenuta
ha sostenuto che la Montanari, persona laureata e comunque con un tasso di cultura superiore alla media, sarebbe stata og
gettivamente in grado di comprendere — usando la normale
diligenza — gli obblighi connessi alla sottoscrizione del modulo
che le venne sottoposto, che il proprio comportamento potreb be al più integrare le caratteristiche del dolus bonus e che i
mezzi pubblicitari, anche se mendaci, non sono sufficienti a pro durre l'annullamento del negozio. A questo proposito vi è da
rilevare come l'Autorità garante della concorrenza e del merca
to, su ricorso del Comitato difesa consumatori, abbia vietato, con provvedimento n. 2075 emesso in data 23 giugno 1994, alla
Iac s.p.a. la continuazione della condotta sopra descritta, costi tuendo la stessa pubblicità ingannevole, ai sensi degli art. 1, 2° comma, e 2, lett. b), con riferimento all'art. 3, 1° comma, lett. a) e b), d.leg. 74/92. In particolare, l'Autorità — orga no istituzionalmente deputato a valutare il grado di capacità
ingannatoria dei messaggi pubblicitari — ha ritenuto che la tec nica di vendita della Iac induce il consumatore a fissare l'incon tro con gli agenti della società sul falso presupposto di non do
ver sostenere alcuna spesa per la consegna dell'omaggio, in quan to il reale costo di quanto inscindibilmente legato a quest'ultimo viene evidenziato solo in un secondo momento, e cioè al termi ne del colloquio, quando ormai il messaggio iniziale ha prodot to i suoi effetti e il consumatore resta fermo nella propria con vinzione circa la gratuità dell'offerta. Pertanto, secondo questa
negoziale, cfr., in giurisprudenza, Cass., 1° ottobre 1993, n. 9777, Foro it., 1994, I, 429; 28 marzo 1990, n. 2518, id., Rep. 1990, voce Contrat to in genere, n. 343, e 7 maggio 1982, n. 2844, id., Rep. 1982, voce cit., n. 235, che richiedono non il riconoscimento in concreto dell'erro re, bensì l'astratta possibilità di tale riconoscimento, in una persona di media avvedutezza. Ciò allo scopo di tutelare la buona fede dell'al tro contraente non in errore, «per modo che l'indagine sulla ricorrenza di detto requisito si risolve in un'indagine sulla buona fede dell'altro contraente» (così Cass. 1° febbraio 1991, n. 980, id., Rep. 1991, voce cit., n. 351). In dottrina, cfr. Villa, Errore riconosciuto, annullamento del contratto ed incentivi alta ricerca di informazioni, in Quadrimestre, 1988, 286.
Sulla pubblicità ingannevole, inoltre, cfr. Concorrenza e mercato, com mento alla l. 10 ottobre 1990 n. 287 e al d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74 a cura di Afferni, Padova, 1994; Fusi, Testa, Cottafavi, La pub blicità ingannevole, Milano, 1993; Rossello, Pubblicità ingannevole, in Contratto e impr., 1995, 137; Id., La pubblicità ingannevole —- L'at tuazione della direttiva comunitaria, in Economia e dir. de! terziario, 1994, 701; Nitti, Sulla nozione di pubblicità ingannevole nel d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74, in Riv. dir. impresa, 1995, 151; Gambino, La tutela del consumatore nel diritto della concorrenza: evoluzioni ed involuzioni legislative, anche alla luce del d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74 in materia di pubblicità ingannevole, in Contratto e impr., 1992, 411; Contaldo, Commento al decreto legislativo sulla pubblicità ingannevole, in Nuovo dir., 1992, 640. [F. D'Aquino]
Il Foro Italiano — 1997.
ricostruzione, «la campagna pubblicitaria della Iac s.p.a., in
quanto prospetta unicamente la consegna di un omaggio ed oc
culta il reale costo connesso al ricevimento di tale omaggio, induce in errore il consumatore»: ciò a prescindere, evidente
mente, dal grado di istruzione dello stesso e dalla diligenza im
piegata nell'esame del modulo che gli viene sottoposto. Questo elemento indiziario, la cui gravità e precisione è direttamente
proporzionale all'autorevolezza della fonte da cui promana, va
le già di per sé a trarre come unica conseguenza logicamente
possibile, quella per cui la Montanari è caduta in errore circa
la natura del negozio concluso — ex art. 1429, n. 1, c.c. —
e degli effetti giuridici dello stesso, ed in particolare ha ritenuto
di sottoscrivere un contratto di acquisto di beni a titolo gratuito anziché a titolo oneroso. Tanto è vero ciò, che l'attrice, non
appena resasi conto della falsa rappresentazione della realtà nella
quale era incorsa, ha provveduto a comunicare — addirittura
nella stessa giornata — la propria volontà di non dar corso
al contratto, con una repentinità che non può essere legata ad
una diversa valutazione dei volumi in oggetto (peraltro, non
ancora avuti in visione), ma proprio alla «scoperta» della diver
genza tra quanto voluto e quanto risultante dall'accordo sotto
scritto. L'errore della Montanari, oltre che essenziale, deve es
sere senza dubbio considerato riconoscibile dalla controparte, considerato che la Iac era perfettamente consapevole, facendo
uso della normale diligenza (se non altro per esperienza diretta, atteso il rilevante numero di contestazioni insorte a seguito del
la conclusione di contratti similari e della conseguente quantità di cause civili portate all'attenzione di questa pretura) — e tra
lasciando ulteriori possibili profili in tema di dolo, che possono ritenersi qui assorbiti dalle presenti considerazioni — della con
fusione che poteva derivare dalle circostanze in cui l'accordo
era stato firmato, nonché dallo stesso contenuto materiale del
modulo predisposto per la sottoscrizione. Dalle esposte conside razioni deriva la dichiarazione di annullamento del contratto
stipulato tra le parti in data 6 marzo 1989 e, come necessaria
conseguenza, la revoca del decreto ingiuntivo opposto. La domanda riconvenzionale della convenuta-opposta deve
essere conseguentemente rigettata.
PRETURA DI TOLMEZZO; sentenza 4 aprile 1997; Giud. Dies; Iovene e Derami (Aw. Longo, Ferro) c. Comune di Paularo
(Avv. Beorchia).
PRETURA DI TOLMEZZO; s
Servitù pubbliche — Area privata — Servitù di uso pubblico — Presupposti (Cod. civ., art. 825).
Strade — Strada privata vicinale — Servitù di uso pubblico —
Assoggettamento — «Actio negatoria servitutis» — Onere della
prova (L. 12 febbraio 1958 n. 126, disposizioni per la classifi cazione e la sistemazione delle strade di uso pubblico, art. 9).
Affinché sorga una servitù di uso pubblico su un 'area privata è necessario che l'uso dell'area avvenga ad opera di una col lettività indeterminata di individui, considerati non uti singuli ma uti civis, e che tale uso soddisfi una publica utilitas. (1)
(1) In giurisprudenza, è assolutamente pacifico che l'assoggettamento di un'area privata a servitù di uso pubblico presuppone, dal lato sog gettivo, una comunità di persone, considerate non uti singuli ma uti civis (anche se non organizzate in un ente pubblico territoriale), quindi titolari di un interesse di carattere generale, e dal lato oggettivo una protratta utilizzazione di un bene privato da parte dei singoli apparte nenti alla comunità, giustificata da un fine di pubblico interesse (cfr. Cass. 29 aprile 1995, n. 4755, Foro it., Rep. 1995, voce Servitù pubbli che., n. 2; 23 maggio 1995, n. 5637, ibid., n. 3; 20 giugno 1995, n. 6952, ibid., n. 4; Trib. Latina 30 marzo 1990, id., Rep. 1991, voce Strade, n. 16, e Nuovo dir., 1991, 566; Cass. 16 novembre 1989, n. 4895, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 10; 9 dicembre 1989, n. 5452, ibid., n. 11; 9 maggio 1987, n. 4284, id., Rep. 1987, voce Servitù pub bliche, n. 2; 4 luglio 1986, n. 351, ibid., voce Strade, n. 14; 8 settembre 1986, n. 5468, id., Rep. 1986, voce Servitù pubbliche, nn. 1, 2).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Non costituiscono atti idonei ad assoggettare una strada privata vicinale a servitù di uso pubblico, la delibera comunale di
approvazione dell'elenco delle strade comunali, la delibera di
approvazione del nuovo stradario e l'ordinanza che qualifica l'area privata come strada di uso pubblico, sicché il comune, di fronte all'esercizio dell'actio negatoria servitutis deve pro vare l'esistenza della servitù di uso. (2)
Motivi della decisione. — La domanda è fondata e va pertan to accolta. Gli attori hanno infatti provato tutti i fatti costituti
vi del diritto fatto valere.
Va premesso che la domanda azionata dall'attore, nonostan
te le improprie conclusioni formulate, deve intendersi come azione
negatoria di una servitù di uso pubblico su una strada che si
assume essere di proprietà privata, dovendosi viceversa esclude
re costituisca un'azione di rivendica a norma dell'art. 948 c.c.
Questa conclusione emerge in modo piano, non solo dall'inter
pretazione degli scritti difensivi degli attori che univocamente
conduce a questa conclusione, ma anche dalla constatazione che
già dalla prospettazione dei fatti proposta dagli attori, gli stessi
si qualificano non solo come proprietari ma anche come attuali
possessori della strada in questione, mentre l'azione di cui al
l'art. 948 c.c., diretta all'accertamento del diritto di proprietà e alla restituzione della cosa, riposa su due condizioni: 1) che
l'attore si pretenda proprietario del bene rivendicato; 2) che il
convenuto ne sia possessore o detentore, ancorché non contesti
il diritto del proprietario. È ben vero che dottrina e giurispru denza ammettono un'azione di rivendica puramente dichiarati
va, tesa cioè al puro e semplice accertamento della proprietà, ma è in ogni caso necessario che vi sia contestazione in ordine
alla titolarità del bene. Nel caso di specie, invece, il convenuto
non pretende, né gli attori gli rimproverano di pretendere, la
titolarità del bene, ossia la proprietà, bensì solo il diritto di
In dottrina, per un quadro generale della materia, v. A. Pubusa, Uso pubblico (diritti di), voce é&VEnciclopedia giuridica Treccani, Ro
ma, 1994, XXXII.
(2) Le vie vicinali pubbliche sono caratterizzate dal fatto che, pur essendo private quanto alla proprietà del suolo, sono gravate da una servitù di pubblico transito a favore dei cittadini di un comune. Affin ché una strada privata possa rientrare nella categoria delle vie vicinali
pubbliche sono indispensabili tre condizioni: a) il passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone; b) l'idoneità con creta della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via
pubblica, esigenze di generale interesse; c) un titolo valido ad affermare il diritto di uso pubblico (cfr. Cass. 12 luglio 1991, n. 7718, Foro it.,
Rep. 1992, voce Strade, n. 7, e Arch, circolaz., 1991, 908; 6 febbraio
1986, n. 749, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 8; Trib Napoli 2 marzo
1979, id., Rep. 1981, voce cit., n. 17, e Dir. e giur., 1980, 907). Quanto all'ultimo requisito, costituisce titolo idoneo ad assoggettare un'area
privata a servitù di uso pubblico l'adozione di un provvedimento ammi nistrativo impositivo della servitù, la stipula di una convenzione tra
pubblica amministrazione e privato proprietario dell'area, l'atto di ulti ma volontà, la dicatio ad patriam e, infine, l'uso protratto dell'area
privata per il tempo necessario ad usucapire il relativo diritto (cfr. Cass. 24 marzo 1993, n. 3525, Foro it., Rep. 1993, voce Servitù pubbliche, n. 2; Tar Emilia-Romagna, sez. Parma, 18 giugno 1993, n. 155, ibid., n. 5; Tar Lazio, sez. II, 16 marzo 1993, n. 303, id., Rep. 1994, voce
cit., n. 3; Tar Lombardia, sez. II, 16 marzo 1987, n. 62, id., Rep. 1987, voce cit., n. 3; Cass. 8 settembre 1986, n. 5468, cit.).
La sentenza in epigrafe, perfettamente in linea con gli orientamenti
interpretativi ora segnalati, sembra tuttavia trascurare un consolidato indirizzo giurisprudenziale inteso ad affermare che l'iscrizione delle strade
negli appositi elenchi, secondo la procedura prevista dalle leggi in mate
ria, pur avendo carattere meramente dichiarativo e non costitutivo, crea una presunzione (iuris tantum) di uso pubblico della strada, presunzio ne che può essere vinta con ia prova contraria volta a dimostrare la natura privata della strada e l'inesistenza sulla stessa di un diritto di
godimento da parte della collettività (da ultimo, cfr. Cass. 17 marzo
1995, n. 3117, id., Rep. 1995, voce Strade, n. 9; Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 1995, n. 522, ibid., n. 12, e Giur. it., 1995, III, 1, 625, nonché
Giornale di dir. ammin., 1995, 902, con nota di G. Ninni; Cons, giust. amm. sic. 14 agosto 1995, n. 291, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n.
16; Cass. 24 aprile 1992, n. 4938, id., Rep. 1992, voce cit., n. 6; 28
gennaio 1984, n. 676, id., Rep. 1984, voce cit., n. 16). In dottrina, per alcune riflessioni sulla materia delle strade vicinali
asservite a uso pubblico, v. P. Lenzetti, Le strade vicinali nella più recente giurisprudenza amministrativa, in Ammin. it., 1995, 1592; Nin
ni, Le strade vicinali, cit., 902; A. Pierobon, Strade private e vicinali:
obbligo per il comune di sostenere le spese di manutenzione, in Riv.
giur. polizia locale, 1995, 103; G. Ferrari, In tema di strada vicinale
pubblica, in Giur. agr. it., 1990, 118; P. La Rocca, Il regime giuridico delle strade comunali e vicinali, Rimini, 1988.
Il Foro Italiano — 1997.
passaggio di uso pubblico ed il relativo possesso, con ciò con fermando che oggetto della causa non è la proprietà, bensì la libertà o meno da pesi di natura pubblica sul bene incontrover tibilmente di proprietà privata, dunque l'esistenza o inesistenza del diritto affermato sulla cosa dal convenuto.
Precisato che l'azione proposta dagli attori è diretta non al
riconoscimento del diritto di proprietà in quanto tale bensì ad ottenere una pronuncia che accerti la libertà del fondo possedu to dal diritto affermato dal convenuto, ossia che dichiari l'ine
sistenza di tale diritto, è evidente che si tratta di un'azione ne
gatoria, ai sensi dell'art. 949 c.c. riferita ad un diritto di servitù
di uso pubblico, in riferimento alla quale è certa la giurisdizio ne del giudice ordinario (Cass., sez. un. 13 dicembre 1993, n.
12267, Foro it., Rep. 1993, voce Giurisdizione civile, n. 117). Ora è noto che se è principio consolidato quello che impone
a chi agisce in rivendica la prova della sussistenza dell'asserito
dominio sulla cosa rivendicata risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario o dimo
strando il compimento dell'usucapione, mediante il cumulo dei
successivi possessi uti dominus (per tutte Cass. 23 maggio 1996, n. 4748, id., Rep. 1996, voce Proprietà (azioni e difesa), n.
3; 28 gennaio 1995, n. 1044, id., Rep. 1995, voce cit., n. 7);
questo rigore, già mitigato in sede di rivendica «in relazione
alle concrete particolarità della singola controversia» (cfr., ad
es., Cass. 22 dicembre 1995, n. 13066, ibid., n. 4), si stempera ulteriormente in sede di azione negatoria. Infatti è opinione co
mune che, nella negatoria, non è richiesta la prova rigorosa della proprietà, come nell'azione di rivendicazione, e può per tanto ottenersi con ogni mezzo, anche in base a presunzioni
semplici, appunto perché la titolarità del bene non si pone come
oggetto della causa, che viceversa è solo la libertà del fondo, bensì come requisito di legittimazione attiva (Cass. 4 dicembre
1995, n. 12488, ibid., n. 22; 13 luglio 1987, n. 6111, id., Rep. 1987, voce cit., n. 12; 24 febbraio 1984, n. 1312, id., Rep. 1984, voce cit., n. 9). D'altra parte, l'attore deve solo provare il suo
diritto di proprietà, nel senso sopra precisato, mentre spetta al convenuto provare il diritto reale da lui affermato sul fondo,
perché il diritto di proprietà importa l'esclusione di qualsiasi
ingerenza di altri sulla cosa e, perciò, l'onere della prova grava su chi afferma l'esistenza della servitù, grava cioè non su chi
agisce ma su chi afferma (da ultimo, Cass. 16 gennaio 1996, n. 301. id., Rep. 1996, voce cit., n. 6).
Chiariti questi punti, si deve rilevare che gli attori hanno fat
to di più; hanno provato non solo il loro diritto di proprietà attraverso una serie di elementi probatori dotati di sicura consi
stenza, ma hanno anche provato l'inesistenza del diritto affer
mato dal convenuto.
Sul piano della prova del diritto di proprietà si deve accorda
re valore di utili indizi, idonei, nel loro concorso, ad assurgere al valore di prova piena ai seguenti elementi: il possesso, i libri
catastali, la stessa conformazione dei luoghi che fa della strada
in contestazione un bene inconfutabilmente al servizio delle case
di abitazione degli attori, oltre che di terzi, che altrimenti non
avrebbero alcun accesso sulla pubblica via (cfr. planimetria agli
atti). La visura catastale agli atti indica inoltre la strada in que
stione, identificata al m.n. 529 del F. n. 41, come «corte comu
ne» ai mappali nn. 523, 531 e 532 ed i primi due mappali identi
ficano le case di abitazioni degli attori. Quanto al possesso i
testi degli attori escussi hanno tutti concordemente affermato
che la strada, oltre a servire da passaggio per tutti i proprietari dei fondi frontisti, è da sempre posseduta, usata e mantenuta
dagli attori (cfr. testimonianze di Ernesta Dereani, Giacomo De
reani e Irene Dereani). Il teste Giacomo Dereani ha inoltre pre cisato che in origine si trattava di un semplice sentiero, che nel
corso degli anni '60, quando arrivò l'acquedotto, l'allacciamen
to dalla via pubblica alla casa di abitazione e lungo tutta la stra
da de qua fu curato da Alberto Dereani, allora proprietario del
l'abitazione ora dell'attrice Fabiani; che quando si verificò un'in
filtrazione d'acqua nel garage identificato al mappale n. 518 il
comune, accortosi che la perdita proveniva non dalla strada pub blica ma dalla strada «Sicou», si disinteressò del problema che
fu risolto dagli attori; che attualmente, la strada è in calcestruz
zo grazie a dei lavori eseguiti dagli attori, come tutte le opere di manutenzione. Questa versione dei fatti riceve precisi riscon
tri, e nessuna smentita, dalle prove documentali agli atti. In par ticolare dal doc. n. 5 attori emerge che effettivamente i medesi
mi richiesero ed ottennero l'autorizzazione urbanistica per ese
guire i lavori sopra citati in data 30 agosto 1991.
Dalle risultanze istruttorie sopra illustrate emerge univocamente
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che gli attori sono comproprietari della strada controversa, po tendosi addirittura ipotizzare, quale titolo d'acquisto, l'usuca
pione, posto che le testimonianze assunte, riguardo al possesso loro o dei loro danti causa, fanno riferimento agli «anni 60».
Si deve pertanto ritenere che la contestazione del convenuto, che non afferma ed anzi nega un proprio diritto di proprietà sul bene, in ordine alla prova del diritto di proprietà degli atto
ri, oltre a palesarsi in prima battuta intrinsecamente debole, non indicando minimamente a chi il bene apparterebbe, risulta
in ogni caso destituita di ogni fondamento. L'ambiguità della
linea difensiva del convenuto, peraltro, si manifesta anche sul
piano sostanziale, posto che il medesimo non ha chiesto, in via
riconvenzionale, l'accertamento della costituzione, eventualmente
per usucapione, della servitù di uso pubblico che asserisce sussi
stere «da tempo immemorabile».
Sul piano della prova della libertà del fondo in contestazione
tutti i testi degli attori hanno categoricamente escluso che la
strada in questione sia mai stata adibita a transito pubblico, essendo servita sempre ed esclusivamente all'accesso alle pro
prietà frontiste (cfr. testimonianze di Ernesta Dereani, Giaco mo Dereani e Irene Dereani). Non solo, ma l'assunto è stato
confermato anche dal teste del convenuto Guerrino Adami, men tre i testi Roberto Della Schiava e Onorio Vuerli nulla hanno
saputo dire al riguardo. Sul piano giuridico si deve rilevare che il diritto affermato
del comune si qualifica come una c.d. «servitù di uso pubbli co», rientrando nel riferimento di cui all'art. 825 c.c., seconda
parte, ai diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni... per il conseguimento di fini di pubbico interesse
corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi. Il caso
più importante consiste proprio nel diritto di passaggio sulle
c.d. strade vicinali, che, sotto il profilo tecnico-giuridico, con trariamente alle c.d. servitù pubbliche, ossia servitù a favore di fondi demaniali (art. 825, prima parte, c.c.), non può pro priamente qualificarsi come vero e proprio diritto di servitù per l'assenza di un fondo dominante. Si tratta in sostanza di uno ius in re aliena di natura reale e pubblicistica, configurabile co me diritto di godimento a favore di una collettività per il conse
guimento di un fine di pubblico interesse, corrispondente a quelli cui servono i beni demaniali, e comportante l'obbligo per il pro prietario privato di sopportare che i componenti, appunto, la collettività godano del suo bene.
Ne deriva che per aversi una servitù c.d. di uso pubblico oc corre da un lato una comunità di persone che si presenti come una collettività indeterminata di individui, considerati non uti
singuli ma uti cives e cioè quali titolari di interesse di carattere
generale e, dall'altro, una publico utilitas, ossia una utilità che renda possibile la realizzazione di un fine di pubblico interesse, corrispondente al fine cui servono i beni demaniali. Questa con notazione finalistica si risolve nella generalità di un uso indi scriminato da parte dei singoli e presuppone l'oggettiva idoneità del bene privato al soddisfacimento di una esigenza comune ad una collettività indeterminata di cittadini (cfr. Cass. 23 maggio 1995, n. 5637, id., Rep. 1995, voce Servitù pubbliche, n. 3; 29 aprile 1995, n. 4755, ibid., n. 2).
Nel caso di specie la circostanza che la strada controversa conduca esclusivamente ad un numero ben delimitato di pro prietà private, esclude la publico utilitas e l'idoneità del bene ad essere utilizzato per un fine di interesse pubblico. La giuris prudenza ha infatti da tempo avuto modo di precisare che deve escludersi la sussistenza della servitù di uso pubblico, «quando l'uso è esercitato soltanto dalle persone che si trovano in una
posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato, come nel caso di passaggio di cui usufruiscano soltanto i pro prietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubi cazione di questi o coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione» (Cass. 23 maggio 1995, n. 5637, cit.; 16 novembre 1989 n. 4895, id., Rep. 1989, voce Strade, n. 10).
Inoltre, la servitù di uso pubblico non può fondarsi pura mente e semplicemente sul mero esercizio di fatto, che peraltro nel caso di specie manca del tutto, ma solo ed esclusivamente su di un preciso titolo costitutivo, che può essere una conven
zione, un atto di ultima volontà, la legge, la c.d. dicatio ad
patriam, ossia nel fatto del proprietario di mettere a disposizio ne del pubblico un bene di sua proprietà (Cass. 17 marzo 1995, n. 3177, id., Rep. 1995, voce Servitù pubbliche, n. 1), ed anche
l'usucapione (Cass. 29 aprile 1995, n. 4755, cit.; 24 marzo 1993, n. 3525, id., Rep. 1993, voce cit., n. 2).
Il Foro Italiano — 1997.
Ebbene, il convenuto non ha provato, né ha chiesto di farlo, nessuno dei titoli costitutivi citati, essendosi limitato a richia
marsi agli atti amministrativi esistenti al riguardo. In particola re, il convenuto pretende di fondare l'esistenza della servitù af
fermata dalla delibera comunale 19 dicembre 1960, n. 71 di ap
provazione dell'elenco delle strade comunali, dalla nota 26
febbraio 1988, n. 1443 dalla delibera 17 marzo 1990, n. 57 di
approvazione del «nuovo stradario», dall'autorizzazione urba
nistica 30 agosto 1991, n. 6332 e, infine, dall'ordinanza 9 mag
gio 1994, n. 749, atti tutti che definiscono la strada de qua come strada vicinale o comunque ad uso pubblico.
Si deve in contrario osservare, con l'unanime giurisprudenza di legittimità, che «l'assoggettamento di un'area privata a servi
tù di uso pubblico non è determinato dal semplice uso di fatto
o da unilaterale manifestazione di volontà della pubblica ammi
nistrazione...» (Cass. 24 marzo 1993, n. 3525, cit.; 8 settembre
1986, n. 5468, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1). Infatti l'iscrizio ne nell'elenco delle vie pubbliche ha natura semplicemente di
chiarativa e mai costitutiva (Cass. 5 luglio 1994, n. 6337, id.,
Rep. 1994, voce Strade, n. 6; 28 novembre 1988 n. 6421, id.,
Rep. 1988, voce cit., n. 12). La domanda degli attori va pertanto accolta.
PRETURA DI TORINO; ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bre
sciani; De Benedetti c. Banco Ambrosiano.
PRETURA DI TORINO;
Esecuzione forzata in genere — Opposizione all'esecuzione —
Titolo esecutivo giudiziale — Deduzione di fatti sopravvenuti — Ammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 474, 615).
Esecuzione forzata in genere — Precetto — Intimazione per somma superiore a quella dovuta — Nullità — Esclusione — Sospensione parziale dell'esecuzione (Cod. proc. civ., art.
480, 624).
Il giudice dell'opposizione all'esecuzione non può esercitare al cun controllo sul contenuto intrinseco del titolo esecutivo e
l'opponente non può proporre alcuna questione superata dal
l'esistenza del titolo stesso ed in contrasto con il suo contenu
to; possono, invece, farsi valere solo fatti impeditivi, modifi cativi ed estintivi del rapporto consacrato nel titolo esecutivo che si sono verificati successivamente alla sua formazione (nella specie, transazione successiva alla sentenza costituente titolo
esecutivo). (1)
(1) Nel senso che il giudice dell'esecuzione non possa effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo esecutivo giudiziario (diretto ad invalidar ne l'efficacia, in base ad eccezioni che potevano essere dedotte nel giu dizio definito con il titolo medesimo) ma debba soltanto limitarsi a controllare l'attuale validità ed esistenza del titolo stesso, così da poter stabilire se esso stesso stia effettivamente a base dell'esecuzione o sia venuto meno per fatti posteriori alla sua formazione, cfr. Cass. 18 giu gno 1991, n. 6893, Foro it., Rep. 1991, voce Esecuzione forzata in genere, n. 45; App. Palermo 5 novembre 1990, ibid., n. 46, e Temi siciliana, 1990, 454; Pret. Buccino 20 giugno 1989, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 51, e Arch, civ., 1990, 172; Cass. 20 maggio 1987, n. 4617, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 39, e Arch, locazioni, 1988, 91; 22 aprile 1981, n. 2385, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 44; 23 novembre 1978, n. 5496, id., Rep. 1978, voce cit., n. 31; 24 agosto 1978, n. 3952, ibid., n. 32. Sul punto, si veda anche Cass. 23 ottobre 1976, n. 3817 (id., Rep. 1976, voce cit., n. 25), la quale, dopo aver ribadito il principio di cui sopra, ha altresì ritenuto che «tuttavia, poi ché l'opposizione all'esecuzione dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione il cui ambito di trattazione è rimesso al potere dispositivo delle parti, l'opponente può introdurvi questioni estranee all'esistenza o validità del titolo esecutivo, che il giudice deve decidere se la contro parte accetta il contraddittorio (nella specie: gli esecutanti in forza di sentenza di risoluzione di un contratto di vendita, nell'intimare il rila scio dell'immobile, avevano dichiarato di compensare il loro credito per risarcimento danni con quello di pari importo dell'esecutato per la restituzione dell'anticipo del prezzo della vendita; l'opponente soste neva che alla somma a lui dovuta dovevano essere aggiunti gli interessi e che, pertanto, residuando un debito degli esecutanti, gli stessi non potevano ottenere il rilascio)».
Sulla possibilità, per l'opponente, di far valere, in sede di opposizio ne all'esecuzione, solo i fatti modificativi o estintivi del rapporto so
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