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sentenza 4 aprile 1997; Giud. Dies; Iovene e Derami (Avv. Longo, Ferro) c. Comune di Paularo (Avv....

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sentenza 4 aprile 1997; Giud. Dies; Iovene e Derami (Avv. Longo, Ferro) c. Comune di Paularo (Avv. Beorchia) Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 3067/3068-3071/3072 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23192552 . Accessed: 28/06/2014 15:38 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 92.63.101.146 on Sat, 28 Jun 2014 15:38:01 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 4 aprile 1997; Giud. Dies; Iovene e Derami (Avv. Longo, Ferro) c. Comune di Paularo (Avv. Beorchia)

sentenza 4 aprile 1997; Giud. Dies; Iovene e Derami (Avv. Longo, Ferro) c. Comune di Paularo(Avv. Beorchia)Source: Il Foro Italiano, Vol. 120, No. 10 (OTTOBRE 1997), pp. 3067/3068-3071/3072Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23192552 .

Accessed: 28/06/2014 15:38

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3067 PARTE PRIMA 3068

fondatezza in fatto e in diritto dell'opposizione e chiedeva la

concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto ai

sensi dell'art. 648 c.p.c.; nel merito concludeva per la conferma

del provvedimento ingiuntivo e proponeva altresì domanda ri

convenzionale al fine di ottenere la condanna dell'attrice

opponente al pagamento della rivalutazione monetaria ex art.

1224, 2° comma, c.c. dalla mora al saldo effettivo, nonché del

la somma di lire 100.000 per le spese di custodia dei volumi

oggetto del contratto, posti a disposizione dell'acquirente e dal

la stessa mai ritirati. (Omissis) Motivi della decisione. — (Omissis). La subordinata richiesta

della difesa di parte attrice, di annullamento del contratto per vizio del consenso, merita, viceversa, di essere accolta. In pro

posito, va chiarito che la fase istruttoria si è chiusa senza che

si sia proceduto all'escussione di alcun testimone, essendo la

parte attrice-opponente decaduta dalle prove richieste. Tutta

via, si deve ritenere che alcune circostanze di fatto prospettate dalla difesa dell'opponente siano da considerare acquisite, in

assenza di contestazione da parte della convenuta-opposta. In

particolare risulta agli atti che la società Iac si è avvalsa, nei

confronti della Montanari, del proprio collaudato modus ope randi, così riassumibile: 1) contatto telefonico con il consuma

tore nel corso del quale viene chiesto un appuntamento per la

consegna di libri in omaggio; 2) effettiva esistenza di un «omag

gio», costituito da una serie di volumi costituenti alcune enci

clopedie; 3) «inscindibile legame» tra i volumi citati e i successi vi aggiornamenti delle opere medesime, questi ultimi ceduti a

titolo di compravendita con obbligo da parte dell'acquirente di

corrispondere il prezzo mediante rate periodiche di vari impor ti. In difesa della propria tecnica di vendita, parte convenuta

ha sostenuto che la Montanari, persona laureata e comunque con un tasso di cultura superiore alla media, sarebbe stata og

gettivamente in grado di comprendere — usando la normale

diligenza — gli obblighi connessi alla sottoscrizione del modulo

che le venne sottoposto, che il proprio comportamento potreb be al più integrare le caratteristiche del dolus bonus e che i

mezzi pubblicitari, anche se mendaci, non sono sufficienti a pro durre l'annullamento del negozio. A questo proposito vi è da

rilevare come l'Autorità garante della concorrenza e del merca

to, su ricorso del Comitato difesa consumatori, abbia vietato, con provvedimento n. 2075 emesso in data 23 giugno 1994, alla

Iac s.p.a. la continuazione della condotta sopra descritta, costi tuendo la stessa pubblicità ingannevole, ai sensi degli art. 1, 2° comma, e 2, lett. b), con riferimento all'art. 3, 1° comma, lett. a) e b), d.leg. 74/92. In particolare, l'Autorità — orga no istituzionalmente deputato a valutare il grado di capacità

ingannatoria dei messaggi pubblicitari — ha ritenuto che la tec nica di vendita della Iac induce il consumatore a fissare l'incon tro con gli agenti della società sul falso presupposto di non do

ver sostenere alcuna spesa per la consegna dell'omaggio, in quan to il reale costo di quanto inscindibilmente legato a quest'ultimo viene evidenziato solo in un secondo momento, e cioè al termi ne del colloquio, quando ormai il messaggio iniziale ha prodot to i suoi effetti e il consumatore resta fermo nella propria con vinzione circa la gratuità dell'offerta. Pertanto, secondo questa

negoziale, cfr., in giurisprudenza, Cass., 1° ottobre 1993, n. 9777, Foro it., 1994, I, 429; 28 marzo 1990, n. 2518, id., Rep. 1990, voce Contrat to in genere, n. 343, e 7 maggio 1982, n. 2844, id., Rep. 1982, voce cit., n. 235, che richiedono non il riconoscimento in concreto dell'erro re, bensì l'astratta possibilità di tale riconoscimento, in una persona di media avvedutezza. Ciò allo scopo di tutelare la buona fede dell'al tro contraente non in errore, «per modo che l'indagine sulla ricorrenza di detto requisito si risolve in un'indagine sulla buona fede dell'altro contraente» (così Cass. 1° febbraio 1991, n. 980, id., Rep. 1991, voce cit., n. 351). In dottrina, cfr. Villa, Errore riconosciuto, annullamento del contratto ed incentivi alta ricerca di informazioni, in Quadrimestre, 1988, 286.

Sulla pubblicità ingannevole, inoltre, cfr. Concorrenza e mercato, com mento alla l. 10 ottobre 1990 n. 287 e al d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74 a cura di Afferni, Padova, 1994; Fusi, Testa, Cottafavi, La pub blicità ingannevole, Milano, 1993; Rossello, Pubblicità ingannevole, in Contratto e impr., 1995, 137; Id., La pubblicità ingannevole —- L'at tuazione della direttiva comunitaria, in Economia e dir. de! terziario, 1994, 701; Nitti, Sulla nozione di pubblicità ingannevole nel d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74, in Riv. dir. impresa, 1995, 151; Gambino, La tutela del consumatore nel diritto della concorrenza: evoluzioni ed involuzioni legislative, anche alla luce del d.leg. 25 gennaio 1992 n. 74 in materia di pubblicità ingannevole, in Contratto e impr., 1992, 411; Contaldo, Commento al decreto legislativo sulla pubblicità ingannevole, in Nuovo dir., 1992, 640. [F. D'Aquino]

Il Foro Italiano — 1997.

ricostruzione, «la campagna pubblicitaria della Iac s.p.a., in

quanto prospetta unicamente la consegna di un omaggio ed oc

culta il reale costo connesso al ricevimento di tale omaggio, induce in errore il consumatore»: ciò a prescindere, evidente

mente, dal grado di istruzione dello stesso e dalla diligenza im

piegata nell'esame del modulo che gli viene sottoposto. Questo elemento indiziario, la cui gravità e precisione è direttamente

proporzionale all'autorevolezza della fonte da cui promana, va

le già di per sé a trarre come unica conseguenza logicamente

possibile, quella per cui la Montanari è caduta in errore circa

la natura del negozio concluso — ex art. 1429, n. 1, c.c. —

e degli effetti giuridici dello stesso, ed in particolare ha ritenuto

di sottoscrivere un contratto di acquisto di beni a titolo gratuito anziché a titolo oneroso. Tanto è vero ciò, che l'attrice, non

appena resasi conto della falsa rappresentazione della realtà nella

quale era incorsa, ha provveduto a comunicare — addirittura

nella stessa giornata — la propria volontà di non dar corso

al contratto, con una repentinità che non può essere legata ad

una diversa valutazione dei volumi in oggetto (peraltro, non

ancora avuti in visione), ma proprio alla «scoperta» della diver

genza tra quanto voluto e quanto risultante dall'accordo sotto

scritto. L'errore della Montanari, oltre che essenziale, deve es

sere senza dubbio considerato riconoscibile dalla controparte, considerato che la Iac era perfettamente consapevole, facendo

uso della normale diligenza (se non altro per esperienza diretta, atteso il rilevante numero di contestazioni insorte a seguito del

la conclusione di contratti similari e della conseguente quantità di cause civili portate all'attenzione di questa pretura) — e tra

lasciando ulteriori possibili profili in tema di dolo, che possono ritenersi qui assorbiti dalle presenti considerazioni — della con

fusione che poteva derivare dalle circostanze in cui l'accordo

era stato firmato, nonché dallo stesso contenuto materiale del

modulo predisposto per la sottoscrizione. Dalle esposte conside razioni deriva la dichiarazione di annullamento del contratto

stipulato tra le parti in data 6 marzo 1989 e, come necessaria

conseguenza, la revoca del decreto ingiuntivo opposto. La domanda riconvenzionale della convenuta-opposta deve

essere conseguentemente rigettata.

PRETURA DI TOLMEZZO; sentenza 4 aprile 1997; Giud. Dies; Iovene e Derami (Aw. Longo, Ferro) c. Comune di Paularo

(Avv. Beorchia).

PRETURA DI TOLMEZZO; s

Servitù pubbliche — Area privata — Servitù di uso pubblico — Presupposti (Cod. civ., art. 825).

Strade — Strada privata vicinale — Servitù di uso pubblico —

Assoggettamento — «Actio negatoria servitutis» — Onere della

prova (L. 12 febbraio 1958 n. 126, disposizioni per la classifi cazione e la sistemazione delle strade di uso pubblico, art. 9).

Affinché sorga una servitù di uso pubblico su un 'area privata è necessario che l'uso dell'area avvenga ad opera di una col lettività indeterminata di individui, considerati non uti singuli ma uti civis, e che tale uso soddisfi una publica utilitas. (1)

(1) In giurisprudenza, è assolutamente pacifico che l'assoggettamento di un'area privata a servitù di uso pubblico presuppone, dal lato sog gettivo, una comunità di persone, considerate non uti singuli ma uti civis (anche se non organizzate in un ente pubblico territoriale), quindi titolari di un interesse di carattere generale, e dal lato oggettivo una protratta utilizzazione di un bene privato da parte dei singoli apparte nenti alla comunità, giustificata da un fine di pubblico interesse (cfr. Cass. 29 aprile 1995, n. 4755, Foro it., Rep. 1995, voce Servitù pubbli che., n. 2; 23 maggio 1995, n. 5637, ibid., n. 3; 20 giugno 1995, n. 6952, ibid., n. 4; Trib. Latina 30 marzo 1990, id., Rep. 1991, voce Strade, n. 16, e Nuovo dir., 1991, 566; Cass. 16 novembre 1989, n. 4895, Foro it., Rep. 1989, voce cit., n. 10; 9 dicembre 1989, n. 5452, ibid., n. 11; 9 maggio 1987, n. 4284, id., Rep. 1987, voce Servitù pub bliche, n. 2; 4 luglio 1986, n. 351, ibid., voce Strade, n. 14; 8 settembre 1986, n. 5468, id., Rep. 1986, voce Servitù pubbliche, nn. 1, 2).

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Non costituiscono atti idonei ad assoggettare una strada privata vicinale a servitù di uso pubblico, la delibera comunale di

approvazione dell'elenco delle strade comunali, la delibera di

approvazione del nuovo stradario e l'ordinanza che qualifica l'area privata come strada di uso pubblico, sicché il comune, di fronte all'esercizio dell'actio negatoria servitutis deve pro vare l'esistenza della servitù di uso. (2)

Motivi della decisione. — La domanda è fondata e va pertan to accolta. Gli attori hanno infatti provato tutti i fatti costituti

vi del diritto fatto valere.

Va premesso che la domanda azionata dall'attore, nonostan

te le improprie conclusioni formulate, deve intendersi come azione

negatoria di una servitù di uso pubblico su una strada che si

assume essere di proprietà privata, dovendosi viceversa esclude

re costituisca un'azione di rivendica a norma dell'art. 948 c.c.

Questa conclusione emerge in modo piano, non solo dall'inter

pretazione degli scritti difensivi degli attori che univocamente

conduce a questa conclusione, ma anche dalla constatazione che

già dalla prospettazione dei fatti proposta dagli attori, gli stessi

si qualificano non solo come proprietari ma anche come attuali

possessori della strada in questione, mentre l'azione di cui al

l'art. 948 c.c., diretta all'accertamento del diritto di proprietà e alla restituzione della cosa, riposa su due condizioni: 1) che

l'attore si pretenda proprietario del bene rivendicato; 2) che il

convenuto ne sia possessore o detentore, ancorché non contesti

il diritto del proprietario. È ben vero che dottrina e giurispru denza ammettono un'azione di rivendica puramente dichiarati

va, tesa cioè al puro e semplice accertamento della proprietà, ma è in ogni caso necessario che vi sia contestazione in ordine

alla titolarità del bene. Nel caso di specie, invece, il convenuto

non pretende, né gli attori gli rimproverano di pretendere, la

titolarità del bene, ossia la proprietà, bensì solo il diritto di

In dottrina, per un quadro generale della materia, v. A. Pubusa, Uso pubblico (diritti di), voce é&VEnciclopedia giuridica Treccani, Ro

ma, 1994, XXXII.

(2) Le vie vicinali pubbliche sono caratterizzate dal fatto che, pur essendo private quanto alla proprietà del suolo, sono gravate da una servitù di pubblico transito a favore dei cittadini di un comune. Affin ché una strada privata possa rientrare nella categoria delle vie vicinali

pubbliche sono indispensabili tre condizioni: a) il passaggio esercitato iure servitutis publicae da una collettività di persone; b) l'idoneità con creta della strada a soddisfare, anche per il collegamento con la via

pubblica, esigenze di generale interesse; c) un titolo valido ad affermare il diritto di uso pubblico (cfr. Cass. 12 luglio 1991, n. 7718, Foro it.,

Rep. 1992, voce Strade, n. 7, e Arch, circolaz., 1991, 908; 6 febbraio

1986, n. 749, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 8; Trib Napoli 2 marzo

1979, id., Rep. 1981, voce cit., n. 17, e Dir. e giur., 1980, 907). Quanto all'ultimo requisito, costituisce titolo idoneo ad assoggettare un'area

privata a servitù di uso pubblico l'adozione di un provvedimento ammi nistrativo impositivo della servitù, la stipula di una convenzione tra

pubblica amministrazione e privato proprietario dell'area, l'atto di ulti ma volontà, la dicatio ad patriam e, infine, l'uso protratto dell'area

privata per il tempo necessario ad usucapire il relativo diritto (cfr. Cass. 24 marzo 1993, n. 3525, Foro it., Rep. 1993, voce Servitù pubbliche, n. 2; Tar Emilia-Romagna, sez. Parma, 18 giugno 1993, n. 155, ibid., n. 5; Tar Lazio, sez. II, 16 marzo 1993, n. 303, id., Rep. 1994, voce

cit., n. 3; Tar Lombardia, sez. II, 16 marzo 1987, n. 62, id., Rep. 1987, voce cit., n. 3; Cass. 8 settembre 1986, n. 5468, cit.).

La sentenza in epigrafe, perfettamente in linea con gli orientamenti

interpretativi ora segnalati, sembra tuttavia trascurare un consolidato indirizzo giurisprudenziale inteso ad affermare che l'iscrizione delle strade

negli appositi elenchi, secondo la procedura prevista dalle leggi in mate

ria, pur avendo carattere meramente dichiarativo e non costitutivo, crea una presunzione (iuris tantum) di uso pubblico della strada, presunzio ne che può essere vinta con ia prova contraria volta a dimostrare la natura privata della strada e l'inesistenza sulla stessa di un diritto di

godimento da parte della collettività (da ultimo, cfr. Cass. 17 marzo

1995, n. 3117, id., Rep. 1995, voce Strade, n. 9; Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 1995, n. 522, ibid., n. 12, e Giur. it., 1995, III, 1, 625, nonché

Giornale di dir. ammin., 1995, 902, con nota di G. Ninni; Cons, giust. amm. sic. 14 agosto 1995, n. 291, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n.

16; Cass. 24 aprile 1992, n. 4938, id., Rep. 1992, voce cit., n. 6; 28

gennaio 1984, n. 676, id., Rep. 1984, voce cit., n. 16). In dottrina, per alcune riflessioni sulla materia delle strade vicinali

asservite a uso pubblico, v. P. Lenzetti, Le strade vicinali nella più recente giurisprudenza amministrativa, in Ammin. it., 1995, 1592; Nin

ni, Le strade vicinali, cit., 902; A. Pierobon, Strade private e vicinali:

obbligo per il comune di sostenere le spese di manutenzione, in Riv.

giur. polizia locale, 1995, 103; G. Ferrari, In tema di strada vicinale

pubblica, in Giur. agr. it., 1990, 118; P. La Rocca, Il regime giuridico delle strade comunali e vicinali, Rimini, 1988.

Il Foro Italiano — 1997.

passaggio di uso pubblico ed il relativo possesso, con ciò con fermando che oggetto della causa non è la proprietà, bensì la libertà o meno da pesi di natura pubblica sul bene incontrover tibilmente di proprietà privata, dunque l'esistenza o inesistenza del diritto affermato sulla cosa dal convenuto.

Precisato che l'azione proposta dagli attori è diretta non al

riconoscimento del diritto di proprietà in quanto tale bensì ad ottenere una pronuncia che accerti la libertà del fondo possedu to dal diritto affermato dal convenuto, ossia che dichiari l'ine

sistenza di tale diritto, è evidente che si tratta di un'azione ne

gatoria, ai sensi dell'art. 949 c.c. riferita ad un diritto di servitù

di uso pubblico, in riferimento alla quale è certa la giurisdizio ne del giudice ordinario (Cass., sez. un. 13 dicembre 1993, n.

12267, Foro it., Rep. 1993, voce Giurisdizione civile, n. 117). Ora è noto che se è principio consolidato quello che impone

a chi agisce in rivendica la prova della sussistenza dell'asserito

dominio sulla cosa rivendicata risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario o dimo

strando il compimento dell'usucapione, mediante il cumulo dei

successivi possessi uti dominus (per tutte Cass. 23 maggio 1996, n. 4748, id., Rep. 1996, voce Proprietà (azioni e difesa), n.

3; 28 gennaio 1995, n. 1044, id., Rep. 1995, voce cit., n. 7);

questo rigore, già mitigato in sede di rivendica «in relazione

alle concrete particolarità della singola controversia» (cfr., ad

es., Cass. 22 dicembre 1995, n. 13066, ibid., n. 4), si stempera ulteriormente in sede di azione negatoria. Infatti è opinione co

mune che, nella negatoria, non è richiesta la prova rigorosa della proprietà, come nell'azione di rivendicazione, e può per tanto ottenersi con ogni mezzo, anche in base a presunzioni

semplici, appunto perché la titolarità del bene non si pone come

oggetto della causa, che viceversa è solo la libertà del fondo, bensì come requisito di legittimazione attiva (Cass. 4 dicembre

1995, n. 12488, ibid., n. 22; 13 luglio 1987, n. 6111, id., Rep. 1987, voce cit., n. 12; 24 febbraio 1984, n. 1312, id., Rep. 1984, voce cit., n. 9). D'altra parte, l'attore deve solo provare il suo

diritto di proprietà, nel senso sopra precisato, mentre spetta al convenuto provare il diritto reale da lui affermato sul fondo,

perché il diritto di proprietà importa l'esclusione di qualsiasi

ingerenza di altri sulla cosa e, perciò, l'onere della prova grava su chi afferma l'esistenza della servitù, grava cioè non su chi

agisce ma su chi afferma (da ultimo, Cass. 16 gennaio 1996, n. 301. id., Rep. 1996, voce cit., n. 6).

Chiariti questi punti, si deve rilevare che gli attori hanno fat

to di più; hanno provato non solo il loro diritto di proprietà attraverso una serie di elementi probatori dotati di sicura consi

stenza, ma hanno anche provato l'inesistenza del diritto affer

mato dal convenuto.

Sul piano della prova del diritto di proprietà si deve accorda

re valore di utili indizi, idonei, nel loro concorso, ad assurgere al valore di prova piena ai seguenti elementi: il possesso, i libri

catastali, la stessa conformazione dei luoghi che fa della strada

in contestazione un bene inconfutabilmente al servizio delle case

di abitazione degli attori, oltre che di terzi, che altrimenti non

avrebbero alcun accesso sulla pubblica via (cfr. planimetria agli

atti). La visura catastale agli atti indica inoltre la strada in que

stione, identificata al m.n. 529 del F. n. 41, come «corte comu

ne» ai mappali nn. 523, 531 e 532 ed i primi due mappali identi

ficano le case di abitazioni degli attori. Quanto al possesso i

testi degli attori escussi hanno tutti concordemente affermato

che la strada, oltre a servire da passaggio per tutti i proprietari dei fondi frontisti, è da sempre posseduta, usata e mantenuta

dagli attori (cfr. testimonianze di Ernesta Dereani, Giacomo De

reani e Irene Dereani). Il teste Giacomo Dereani ha inoltre pre cisato che in origine si trattava di un semplice sentiero, che nel

corso degli anni '60, quando arrivò l'acquedotto, l'allacciamen

to dalla via pubblica alla casa di abitazione e lungo tutta la stra

da de qua fu curato da Alberto Dereani, allora proprietario del

l'abitazione ora dell'attrice Fabiani; che quando si verificò un'in

filtrazione d'acqua nel garage identificato al mappale n. 518 il

comune, accortosi che la perdita proveniva non dalla strada pub blica ma dalla strada «Sicou», si disinteressò del problema che

fu risolto dagli attori; che attualmente, la strada è in calcestruz

zo grazie a dei lavori eseguiti dagli attori, come tutte le opere di manutenzione. Questa versione dei fatti riceve precisi riscon

tri, e nessuna smentita, dalle prove documentali agli atti. In par ticolare dal doc. n. 5 attori emerge che effettivamente i medesi

mi richiesero ed ottennero l'autorizzazione urbanistica per ese

guire i lavori sopra citati in data 30 agosto 1991.

Dalle risultanze istruttorie sopra illustrate emerge univocamente

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3071 PARTE PRIMA 3072

che gli attori sono comproprietari della strada controversa, po tendosi addirittura ipotizzare, quale titolo d'acquisto, l'usuca

pione, posto che le testimonianze assunte, riguardo al possesso loro o dei loro danti causa, fanno riferimento agli «anni 60».

Si deve pertanto ritenere che la contestazione del convenuto, che non afferma ed anzi nega un proprio diritto di proprietà sul bene, in ordine alla prova del diritto di proprietà degli atto

ri, oltre a palesarsi in prima battuta intrinsecamente debole, non indicando minimamente a chi il bene apparterebbe, risulta

in ogni caso destituita di ogni fondamento. L'ambiguità della

linea difensiva del convenuto, peraltro, si manifesta anche sul

piano sostanziale, posto che il medesimo non ha chiesto, in via

riconvenzionale, l'accertamento della costituzione, eventualmente

per usucapione, della servitù di uso pubblico che asserisce sussi

stere «da tempo immemorabile».

Sul piano della prova della libertà del fondo in contestazione

tutti i testi degli attori hanno categoricamente escluso che la

strada in questione sia mai stata adibita a transito pubblico, essendo servita sempre ed esclusivamente all'accesso alle pro

prietà frontiste (cfr. testimonianze di Ernesta Dereani, Giaco mo Dereani e Irene Dereani). Non solo, ma l'assunto è stato

confermato anche dal teste del convenuto Guerrino Adami, men tre i testi Roberto Della Schiava e Onorio Vuerli nulla hanno

saputo dire al riguardo. Sul piano giuridico si deve rilevare che il diritto affermato

del comune si qualifica come una c.d. «servitù di uso pubbli co», rientrando nel riferimento di cui all'art. 825 c.c., seconda

parte, ai diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni... per il conseguimento di fini di pubbico interesse

corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi. Il caso

più importante consiste proprio nel diritto di passaggio sulle

c.d. strade vicinali, che, sotto il profilo tecnico-giuridico, con trariamente alle c.d. servitù pubbliche, ossia servitù a favore di fondi demaniali (art. 825, prima parte, c.c.), non può pro priamente qualificarsi come vero e proprio diritto di servitù per l'assenza di un fondo dominante. Si tratta in sostanza di uno ius in re aliena di natura reale e pubblicistica, configurabile co me diritto di godimento a favore di una collettività per il conse

guimento di un fine di pubblico interesse, corrispondente a quelli cui servono i beni demaniali, e comportante l'obbligo per il pro prietario privato di sopportare che i componenti, appunto, la collettività godano del suo bene.

Ne deriva che per aversi una servitù c.d. di uso pubblico oc corre da un lato una comunità di persone che si presenti come una collettività indeterminata di individui, considerati non uti

singuli ma uti cives e cioè quali titolari di interesse di carattere

generale e, dall'altro, una publico utilitas, ossia una utilità che renda possibile la realizzazione di un fine di pubblico interesse, corrispondente al fine cui servono i beni demaniali. Questa con notazione finalistica si risolve nella generalità di un uso indi scriminato da parte dei singoli e presuppone l'oggettiva idoneità del bene privato al soddisfacimento di una esigenza comune ad una collettività indeterminata di cittadini (cfr. Cass. 23 maggio 1995, n. 5637, id., Rep. 1995, voce Servitù pubbliche, n. 3; 29 aprile 1995, n. 4755, ibid., n. 2).

Nel caso di specie la circostanza che la strada controversa conduca esclusivamente ad un numero ben delimitato di pro prietà private, esclude la publico utilitas e l'idoneità del bene ad essere utilizzato per un fine di interesse pubblico. La giuris prudenza ha infatti da tempo avuto modo di precisare che deve escludersi la sussistenza della servitù di uso pubblico, «quando l'uso è esercitato soltanto dalle persone che si trovano in una

posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato, come nel caso di passaggio di cui usufruiscano soltanto i pro prietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubi cazione di questi o coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione» (Cass. 23 maggio 1995, n. 5637, cit.; 16 novembre 1989 n. 4895, id., Rep. 1989, voce Strade, n. 10).

Inoltre, la servitù di uso pubblico non può fondarsi pura mente e semplicemente sul mero esercizio di fatto, che peraltro nel caso di specie manca del tutto, ma solo ed esclusivamente su di un preciso titolo costitutivo, che può essere una conven

zione, un atto di ultima volontà, la legge, la c.d. dicatio ad

patriam, ossia nel fatto del proprietario di mettere a disposizio ne del pubblico un bene di sua proprietà (Cass. 17 marzo 1995, n. 3177, id., Rep. 1995, voce Servitù pubbliche, n. 1), ed anche

l'usucapione (Cass. 29 aprile 1995, n. 4755, cit.; 24 marzo 1993, n. 3525, id., Rep. 1993, voce cit., n. 2).

Il Foro Italiano — 1997.

Ebbene, il convenuto non ha provato, né ha chiesto di farlo, nessuno dei titoli costitutivi citati, essendosi limitato a richia

marsi agli atti amministrativi esistenti al riguardo. In particola re, il convenuto pretende di fondare l'esistenza della servitù af

fermata dalla delibera comunale 19 dicembre 1960, n. 71 di ap

provazione dell'elenco delle strade comunali, dalla nota 26

febbraio 1988, n. 1443 dalla delibera 17 marzo 1990, n. 57 di

approvazione del «nuovo stradario», dall'autorizzazione urba

nistica 30 agosto 1991, n. 6332 e, infine, dall'ordinanza 9 mag

gio 1994, n. 749, atti tutti che definiscono la strada de qua come strada vicinale o comunque ad uso pubblico.

Si deve in contrario osservare, con l'unanime giurisprudenza di legittimità, che «l'assoggettamento di un'area privata a servi

tù di uso pubblico non è determinato dal semplice uso di fatto

o da unilaterale manifestazione di volontà della pubblica ammi

nistrazione...» (Cass. 24 marzo 1993, n. 3525, cit.; 8 settembre

1986, n. 5468, id., Rep. 1986, voce cit., n. 1). Infatti l'iscrizio ne nell'elenco delle vie pubbliche ha natura semplicemente di

chiarativa e mai costitutiva (Cass. 5 luglio 1994, n. 6337, id.,

Rep. 1994, voce Strade, n. 6; 28 novembre 1988 n. 6421, id.,

Rep. 1988, voce cit., n. 12). La domanda degli attori va pertanto accolta.

PRETURA DI TORINO; ordinanza 6 marzo 1996; Giud. Bre

sciani; De Benedetti c. Banco Ambrosiano.

PRETURA DI TORINO;

Esecuzione forzata in genere — Opposizione all'esecuzione —

Titolo esecutivo giudiziale — Deduzione di fatti sopravvenuti — Ammissibilità — Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 474, 615).

Esecuzione forzata in genere — Precetto — Intimazione per somma superiore a quella dovuta — Nullità — Esclusione — Sospensione parziale dell'esecuzione (Cod. proc. civ., art.

480, 624).

Il giudice dell'opposizione all'esecuzione non può esercitare al cun controllo sul contenuto intrinseco del titolo esecutivo e

l'opponente non può proporre alcuna questione superata dal

l'esistenza del titolo stesso ed in contrasto con il suo contenu

to; possono, invece, farsi valere solo fatti impeditivi, modifi cativi ed estintivi del rapporto consacrato nel titolo esecutivo che si sono verificati successivamente alla sua formazione (nella specie, transazione successiva alla sentenza costituente titolo

esecutivo). (1)

(1) Nel senso che il giudice dell'esecuzione non possa effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo esecutivo giudiziario (diretto ad invalidar ne l'efficacia, in base ad eccezioni che potevano essere dedotte nel giu dizio definito con il titolo medesimo) ma debba soltanto limitarsi a controllare l'attuale validità ed esistenza del titolo stesso, così da poter stabilire se esso stesso stia effettivamente a base dell'esecuzione o sia venuto meno per fatti posteriori alla sua formazione, cfr. Cass. 18 giu gno 1991, n. 6893, Foro it., Rep. 1991, voce Esecuzione forzata in genere, n. 45; App. Palermo 5 novembre 1990, ibid., n. 46, e Temi siciliana, 1990, 454; Pret. Buccino 20 giugno 1989, Foro it., Rep. 1990, voce cit., n. 51, e Arch, civ., 1990, 172; Cass. 20 maggio 1987, n. 4617, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 39, e Arch, locazioni, 1988, 91; 22 aprile 1981, n. 2385, Foro it., Rep. 1981, voce cit., n. 44; 23 novembre 1978, n. 5496, id., Rep. 1978, voce cit., n. 31; 24 agosto 1978, n. 3952, ibid., n. 32. Sul punto, si veda anche Cass. 23 ottobre 1976, n. 3817 (id., Rep. 1976, voce cit., n. 25), la quale, dopo aver ribadito il principio di cui sopra, ha altresì ritenuto che «tuttavia, poi ché l'opposizione all'esecuzione dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione il cui ambito di trattazione è rimesso al potere dispositivo delle parti, l'opponente può introdurvi questioni estranee all'esistenza o validità del titolo esecutivo, che il giudice deve decidere se la contro parte accetta il contraddittorio (nella specie: gli esecutanti in forza di sentenza di risoluzione di un contratto di vendita, nell'intimare il rila scio dell'immobile, avevano dichiarato di compensare il loro credito per risarcimento danni con quello di pari importo dell'esecutato per la restituzione dell'anticipo del prezzo della vendita; l'opponente soste neva che alla somma a lui dovuta dovevano essere aggiunti gli interessi e che, pertanto, residuando un debito degli esecutanti, gli stessi non potevano ottenere il rilascio)».

Sulla possibilità, per l'opponente, di far valere, in sede di opposizio ne all'esecuzione, solo i fatti modificativi o estintivi del rapporto so

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