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sentenza 4 giugno 1982; Pres. ed est. Monteverde; imp. Traversa e altri

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sentenza 4 giugno 1982; Pres. ed est. Monteverde; imp. Traversa e altri Source: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 21/22-25/26 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23176874 . Accessed: 28/06/2014 07:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.138 on Sat, 28 Jun 2014 07:34:11 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 4 giugno 1982; Pres. ed est. Monteverde; imp. Traversa e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 106, No. 1 (GENNAIO 1983), pp. 21/22-25/26Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23176874 .

Accessed: 28/06/2014 07:34

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GIURISPRUDENZA PENALE

tempore depositario necessario della somma, ed è remunerato

per tale attività proprio con la disponibilità economica anzidetta.

La seconda risiede nel rapporto di lavoro subordinato esisten

te fra il lavoratore depositante ed il datore di lavoro depositario

e sostituto d'imposta. 7. - Contro le conclusioni raggiunte, la difesa ha sviluppato al

cuni argomenti che debbono esser considerati partitamente.

7.1. - Anzitutto ha rilevato che, vertendosi in tema di appro

priazione indebita, si deve ritenere persona offesa dal reato il

lavoratore, che mai fu citato in giudizio.

Donde la nullità del giudizio ex art. 408 - 412 c.p.p., ritenen

dosi sussistente l'appropriazione. Posto che « persona offesa (dal reato) è il soggetto passivo,

il titolare dello specifico interesse e bene giuridico considerato

dalla fattispecie singola » (cosi Cass. 28 giugno 1969, Sarluca,

id., Rep. 1970, voce Citazione penale, n. 33; 28 novembre 1973,

Barbaresi, id., Rep. 1974, voce cit., n. 21); che essa si distingue dal danneggiato; che nella specie non può parlarsi di uno speci fico titolare del bene protetto, essendo esso un bene astratto e

collettivo, secondo quanto s'è detto sopra, consegue che non

v'è una specifica persona offesa dal reato, e quindi l'eccepita nul

lità è inesistente.

Per altro verso l'eventuale omessa citazione del danneggiato

(amministrazione finanziaria) non determina nullità alcuna.

7.2. - La difesa ha negato ancora la configurabilità del delitto

in esame, poiché, in forza del principio di specialità di cui al

l'art. 15 c.p., nel caso sarebbe astrattamente applicabile unica

mente il reato di cui all'art. 92, 3° comma, d.p.r. n. 602/1973,

del quale tuttavia manca l'elemento oggettivo, costituito dall'am

montare dell'omesso versamento.

Dispone l'art. 92 cit.: « chi nel corso di un anno solare non

ha effettuato versamenti di ritenute alla fonte per un ammon

tare complessivo superiore a 50 milioni di lire è punito, indipen

dentemente dalle altre sanzioni, con la multa da un quarto alla

metà della somma non versata. La stessa pena si applica se

trattasi di singoli versamenti per ammontare superiore a 50 mi

lioni di lire effettuati con un ritardo di oltre 5 giorni dalla sca

denza ».

Indiscutibilmente il principio di specialità può trovare appli

cazione nell'ordinamento penale, esso tuttavia ha un limite nel

l'ipotesi di concorso formale di reati, di cui all'art. 81, 1° comma,

c.p., quando — com'è nel caso — il legislatore l'abbia esplicita

mente introdotto.

La norma trascritta, infatti, con la dizione « indipendentemen

te dalle altre sanzioni » configura proprio un concorso formale

di reati, dal momento che, a mente dell'art. 12 prel., son com

prese sia le sanzioni amministrative, che quelle penali.

Pertanto il datore di lavoro che ometta di versare allo Stato

le ritenute praticate risponde sempre del delitto in esame, in

concorso con quello di cui all'art. 92 cit., quando l'ammontare

dell'omissione raggiunga quel livello.

7.3. - La difesa s'è chiesta che accadrebbe, ritenendosi il de

litto di appropriazione indebita, nel caso di fallimento del so

stituto, obiettando che il fallito finirebbe per rispondere sempre

del reato.

Analogamente il datore di lavoro che avesse omesso di corri

spondere al lavoratore somme giudicate non dovute.

L'obiezione è infondata. In ordine al fallimento si debbono distin

guere tre ipotesi, a seconda che il fallimento sopravvenga prima

del pagamento al lavoratore, ovvero dopo il pagamento della retri

buzione ma prima dello spirare del termine di versamento allo

Stato, od infine dopo tale ultimo termine.

Nel primo caso il reato non esiste, poiché manca l'atto gene

ratore del debito d'imposta, il pagamento della retribuzione ap

punto, e quindi non può esservi ritenuta.

Neppure nel secondo caso il reato sussiste, poiché il fallimen

to determina lo spossessamento del fallito dai propri beni, con

l'obbligo di non effettuare pagamento alcuno (art. 42, 44, 216, 3"

comma, 1. fall.), donde la scriminante dell'adempimento del do

vere, ex art. 51 c.p., nel non effettuare il versamento.

Nel terzo caso risponde del reato, non ostandovi alcuna delle

anzidette ragioni, e sempreché il fatto, in forza del principio di

specialità, non integri gli estremi di alcuno dei delitti propri del

fallito.

Del pari, per l'ipotesi di omessa corresponsione di somme non

dovute, non esiste reato, dal momento che manca il fatto gene

ratore del debito d'imposta; manca il presupposto stesso del rea

to (la ritenuta), presupposto che sorge solo nel momento di :ic

certamento dell'obbligo da parte del giudice del lavoro. (Omissis)

CORTE D'ASSISE DI GENOVA; sentenza 4 giugno 1982; Pres.

ed est. Monteverde; imp. Traversa e altri. CORTE D'ASSISE DI GENOVA;

Personalità dello Stato (delitti contro la) — Associazione con

finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico —

Nozione — Fattispecie (Cod. pen., art. 270 bis; d.l. 15 dicem

bre 1979 n. 625, misure urgenti per la tutela dell'ordine demo

cratico e della sicurezza pubblica, art. 3; 1. 6 febbraio 1980 n.

15. conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 15 dicem

bre 1979 n. 625, art. unico). Circostanze di reato — Circostanze aggravanti — Finalità di ter

rorismo o di eversione dell'ordine democratico — Applicabi lità — Limiti (D.l. 15 dicembre 1979 n. 625, art. 1; 1. 6 feb

braio 1980 n. 15, art. unico).

Non costituisce « associazione con finalità di terrorismo e di ever

sione dell'ordine democratico », ai sensi dell'art. 270 bis c.p.

(per la cui sussistenza occorre che più persone concorrano a for mare una struttura organizzata che realizzi una entità formal mente distinta dai singoli partecipanti e che sia in concreto ido

nea a perseguire uno specifico programma di azioni violente, non

necessariamente terroristiche, al fine di sovvertire l'ordinamento

costituzionale) un gruppo fra i cui soggetti non si è mai formato il vincolo caratteristico dell'associazione, derivante da un sia

pur embrionale statuto, o eia una qualsiasi forma di organizza zione: che non è stato mai dotato di armi; che non si è dato un

programma concreto di atti di violenza o una specifica finalità eversiva. (1)

L'aggravante di cui all'art. 1 d.l. 15 dicembre 1979 n. 625, cosi

come convertito in l. 6 febbraio 1980 n. 15, non è applicabile ai reati commessi con sola finalità di eversione dell'ordine de

mocratico da chi non appartenga ad una struttura organizzata idonea in concreto a perseguire il fine di sovvertire l'ordina

mento costituzionale e sempre che il soggetto non abbia agito con finalità di terrorismo. (2)

(1-2) La sentenza si occupa di un gruppo di giovani genovesi (au todefinitosi « guerriglia comunista ») capeggiati da un sedicenne, tut

ti mandati assolti dal delitto di cui all'art. 270 bis c. p. sulla valu

tazione in fatto della mancanza di una valida struttura organizzativa e della assoluta inidoneità dei mezzi usati per perseguire il procla mato fine eversivo (il gruppo disponeva solo di un vecchio ciclostile

sottratto ad una scuola, provvedeva alla battitura dei volantini ser

vendosi di una macchina da scrivere presa a nolo, si era, infine, reso

responsabile di un solo attentato incendiario alla sede provinciale di

un partito). Quanto alla prima massima, la pronuncia ripete lo schema consoli

dato del reato associativo (in ordine al quale v. ampiamente Caselli, Plrduca, Terrorismo e reati associativi: problemi e soluzioni giuris prudenziali, in Giur. it., 1982, IV, 209; Palermo Faeris, II delitto

di associazione e sue problematiche costituzionali, in Giust. pen., 1980,

11, 357) adattato alla nuova formulazione dell'art. 270 bis c.p. (sul la cui definizione v. Albanello, Misure urgenti per la tutela dell'or

dine democratico e della sicurezza pubblica (Spunti critici sul d.l. 15

dicembre 1979 n. 625, convertito con modificazioni nella l. 6 febbraio 1980 n. 15), in Giur. merito, 1981, 276; Spoliti, Spunti sulla figura del delitto terroristico, in Giust. pen., 1980, II, 310; Mazzanti, La

I. 6 febbraio 1980 n. 15, contro il terrorismo, ibid., II, 235). In termini con la seconda massima v. Trib. Ivrea 15 luglio 1980,

Foro it., Rep. 1981, voce Circostanze di reato, n. 24 e, per esteso, in Giur. it., 1981, II, 240, con nota parzialmente adesiva di Rubiola,

che ha ritenuto essenziale, per l'applicabilità dell'aggravante di cui

all'art. 1 d.l. n. 625/1979, la sussistenza di una organizzazione ido

nea a perseguire lo scopo eversivo; analogamente Trib. Roma 23

febbraio 1981, Foro it., 1981, II, 476, con nota di richiami, ha rite

nuto che ai fini della sussistenza dell'aggravante in questione non

sia sufficiente la semplice enunciazione da parte dell'agente della

finalità di terrorismo o di eversione, ma occorra accertare l'univoca

direzione e l'obiettiva idoneità eversiva della sua condotta, anche in

riferimento alla appartenenza ad una più ampia organizzazione cui

riferire i singoli atti; determinante, per la configurazione della cir

costanza, è stata ancora ritenuta da Trib. Roma 8 giugno 1981,

ibid., l'oggettiva adeguatezza della condotta anche in relazione alla

idoneità concreta dei mezzi usati per sovvertire l'ordine democratico,

ancorché manchi la prova della appartenenza ad una associazione.

L'esigenza di delimitazione del campo di applicazione della circo

stanza è avvertito anche da una parte della dottrina (De Francesco.

in Legislazione pen., 1981, 36) che ha evidenziato l'eventualità di

un aggravamento di pena anche nei confronti di « comportamenti che da un punto di vista obiettivo si presentano scarsamente signi ficativi per il raggiungimento delle finalità indicate dalla norma ».

In senso contrario, e muovendo dal presupposto che l'aggravante in questione si applicherebbe a tutti i reati commessi con il « pro

posito di far valere istanze politiche, con qualunque contenuto, me

diante violenza », Trib. Genova 16 novembre 1981 (Pres. Fenizia,

Est. Beconi, imp. Cavallo e altri), inedita, ha ritenuto- sussistere la

circostanza nell'ipotesi di reato di minaccia, una volta accertato che

il male minacciato era consistito nel compimento di atti violenti

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PARTE SECONDA

Motivi della decisione. — I problemi da affrontare, sulla base

delle specifiche imputazioni, delle risultanze processuali e della

discussione finale, sono i seguenti: se « guerriglia comunista »

possa definirsi « associazione con finalità di terrorismo e di ever

sione », ciò che costituisce il presupposto del delitto di cui all'art.

270 bis c.p., cosi come contestato, pur sotto diversi profili, a tutti gli

imputati; se sussista realmente, nei delitti di furto e di danneggia mento seguito da incendio, l'aggravante di cui all'art. 1 d.l. 15 di

cembre 1979 n. 625, convertito nella 1. 6 febbraio 1980 n. 15; se

sussista il delitto di apologia e pubblica istigazione; come si rap

portino, in riferimento ai reati riconosciuti esistenti, le diverse

posizioni.

1) Sul primo punto, se « guerriglia comunista » possa definirsi

associazione con finalità di terrorismo e di eversione, queste sono le considerazioni che portano la corte ad una risposta ne

gativa. Occorre partire, per la risposta, dall'analisi della struttura

del reato.

Quali sono gli elementi che caratterizzano questo tipo di asso

ciazione? Una pluralità di soggetti ed una adeguata struttura or

ganizzativa, un programma concreto di atti di violenza, la fina

lità specifica di abbattere, con la violenza, l'ordine democratico.

Pluralità di soggetti e struttura organizzativa: la norma non

richiede, come per l'associazione a delinquere (art. 416 c.p.) e

per la cospirazione politica mediante associazione (art. 305 c.p.), un numero minimo di associati, da ciò consegue che anche due

soli individui possono costituire, in linea teorica, una associa

zione eversiva. Il problema del numero rileva, peraltro, ai fini

della idoneità della struttura e va risolto con un giudizio di fatto

che tenga conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui il

inteso nel senso sopra indicato; la pronuncia, peraltro, è stata riformata sul punto dalla Corte d'appello di Genova con sentenza 20 maggio 1982 (Pres. Becchino, Est. Rossini, imp. Cavallo ed

altri), inedita, che ha recepito la tesi secondo cui per la sussistenza della circostanza occorra che il reato commesso abbia caratteristiche di adeguatezza e di idoneità dei mezzi a perseguire il fine di ever sione dell'ordine democratico, definendo quest'ultimo non come me ro perseguimento di metodi antidemocratici, ma come sovvertimen to dell'ordine costituzionale e cosi anticipando l'interpretazione au tentica dell'espressione « ordine democratico » fornita dall'art. 11 1. 29 maggio 1982 n. 304, misure per la difesa dell'ordinamento costi tuzionale (in Le leggi, 1982, 954), che testualmente detta: « All'espres sione « eversione dell'ordine democratico » usata nelle disposizioni di legge precedenti alla presente, corrisponde, per ogni effetto giuri dico, l'espressione « eversione dell'ordinamento costituzionale ».

Più in generale e nel senso della compatibilità della circostanza di cui all'art. 1 d.l. n. 625/1979 con il reato di banda armata (e sul possibile concorso dei reati di cui agli art. 270 e 270 bis c. p. con quello di banda armata), v. Cass., sez. I, 12 ottobre 1982, Pres. Fasani, Est. Papadia, ric. Piermarini, inedita; 30 giugno 1981, Servel lo, Foro it., 1982, 1, 181, con nota di richiami. Sulla concedibilità della libertà provvisoria all'imputato di partecipazione a banda ar

mata, in senso contrastante, e sulla diversa interpretazione del com binato disposto degli art. 1 e 8 d. 1. n. 625/1979, v. Cass. 19 novem bre 1981, Ciapponi e Trib. Torino, ord. 13 settembre 1980, ibid., 177, con nota di richiami; v. anche Trib. Firenze, ord. 24 febbraio

1981, id., 1981, II, 220, con nota di richiami di Gironi, la quale ha ritenuto che il reato di partecipazione ad associazioni con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico non è compreso tra quelli per i quali l'art. 8 d.l. n. 625/1979 vieta la concessione della libertà provvisoria, non prevedendo esso la finalità di terrori smo come circostanza aggravante, ma come elemento costitutivo del la fattispecie. In argomento v. ancora Cass., sez. un., ord. 28 novembre

1981, Lombardo, id., 1982, II, 83, con nota di richiami, che ha ri tenuto che il divieto di concessione della libertà provvisoria per il reato di associazione per delinquere di cui all'art. 8 d. I. n. 625/ 1979 non trova applicazione nei casi in cui il mandato di cattura è facoltativo.

Sulla disciplina del prolungamento dei termini massimi di custodia

preventiva introdotta per taluni più gravi reati con il d.l. n. 625

cit., v. Corte cost. 1° febbraio 1982, n. 15, ibid., I, 2133, con nota di Nobili, Successione nel tempo di norme sui termini massimi della custodia preventiva e principi costituzionali.

V., infine, Cass. 14 maggio 1980, Picchiura, id., 1982, II, 331, con nota di Gironi, la quale ha ritenuto che non sia ravvisabile l'attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale in relazione a motivazioni di carattere ideologico-politico sottese ad un disegno diretto a realizzare asserite finalità di giustizia sociale me diante il ricorso generalizzato alla violenza e non condiviso in al cun modo dalla coscienza collettiva (fattispecie di appartenente alle « brigate rosse » colpevole di omicidio ed omicidio tentato in danno di agenti di pubblica sicurezza).

In dottrina oltre agli autori segnalati nelle citate note di richiami, v. Magistratura Democratica, Osservazioni sul d. I. 15 dicembre 1979 n. 625 concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine de mocratico e della sicurezza pubblica, id., 1980, V, 91; Calderone, Emergenza e necessità di tutela dell'ordine democratico, in Ciur. merito, 1980, 209, 714.

gruppo si è costituito. Nelle attuali circostanze, operando nel

nostro paese altri gruppi eversivi organizzati ed efficienti, si

deve ragionevolmente ritenere che anche un numero minimo di

persone possa costituire una associazione eversiva, sia perché

sono possibili collegamenti tra i diversi gruppi, sia perché qual

siasi piccolo gruppo può contribuire, nella situazione data, al

raggiungimento della stessa finalità eversiva perseguita dagli al

tri gruppi, con quel reale pericolo per le istituzioni democratiche

che rappresenta la ratio della norma incriminatrice. Tra queste

persone, poche o tante che siano, si deve comunque creare un

vincolo che comporti, pur senza formalità costitutive, una sta

bile organizzazione con una unica disciplina per tutti i parteci

panti. In questa struttura organizzativa va ravvisato l'elemento

tipico ed essenziale di qualsiasi fenomeno associativo. Non è ne

cessario, ovviamente, un completo ordinamento delle gerarchie e delle diverse attribuzioni, si richiede, in ogni caso, un ordina

mento, anche rudimentale, che consenta di individuare una en

tità formalmente distinta dai singoli, con una struttura interna

che evidenzi una risoluzione dei singoli seriamente formatasi e

che sia idonea a perseguire lo scopo prefissato (l'idoneità in

concreto della struttura deve infatti essere rapportata al pro

gramma ed alla finalità della singola associazione).

Programma concreto di atti di violenza e finalità: l'associazio

ne deve proporsi, perché sussista il delitto di cui all'art. 270 bis

c.p., non un generico programma rivoluzionario ma un concreto

e specifico programma di azioni violente, non necessariamente

terroristiche, con il fine di sovvertire violentemente l'ordinamen

to costituzionale. In rapporto a questo specifico programma deve

essere rapportata, come abbiamo rilevato, l'organizzazione, non

può infatti considerarsi espressione di una seria risoluzione dei

singoli un tipo di organizzazione che non sia in grado di attuare,

in tempi relativamente brevi, per deficienze strutturali o mancan

za di idonei strumenti, il programma che il gruppo si è dato.

L'esistenza di un gruppo organizzato, con un concreto program ma di azioni violente e con il fine di sovvertire l'ordinamento

costituzionale, rappresenta un reale pericolo per le istituzioni

democratiche e giustifica cosi la gravità delle pene previste (da

7 a 15 anni per chi promuove, costituisce, organizza o dirige, da

4 a 8 anni per chi semplicemente partecipa).

Se questi sono gli elementi del delitto di cui ali'art. 270 bis

c.p. è agevole rilevare che essi non si" ravvisano nel gruppo « guer

riglia comunista ». Il numero dei soggetti (da 3 a 6) era, è vero,

sufficiente, ma non si è mai realizzato, tra questi soggetti, quel vincolo e quell'ordinamento che consentisse il « salto » concet

tuale dalla nozione del concorso di più persone nei fatti posti in essere, alla nozione di associazione. In nessun momento della

sua vita, dalla sua pretesa costituzione al suo proclamato sciogli

mento, « guerriglia comunista » è divenuta « una entità concreta

e distinta dagli individui in essa compresi », essa non è mai stata

disciplinata da uno « statuto », sia pure embrionale, tra i suoi

componenti non si è mai creato alcun vincolo gerarchico, né vi

è mai stata, tra essi, distribuzione di compiti e funzioni. Nel

gruppo, in verità, l'Aste aveva subito assunto, per la sua perso nalità, pur non avendo ancora compiuto i 16 anni, un ruolo

predominante, ma questo ruolo non ha trovato un suo « ricono

scimento » ad alcun livello perché il gruppo né inizialmente, né

al momento dell'ingresso del Mana, del Sordo e del Buttà, fino al

suo scioglimento, si è data alcuna regola. Si è parlato di compartimentazione interna, di cellule (il Sor

do ed il Buttà avrebbero costituito, ad esempio, una cellula au

tonoma, il Traversa non avrebbe saputo, per la compartimenta zione interna, chi aveva trasportato il ciclostile da casa dell'Aste

al Righi, il proclama di scioglimento è indirizzato, con tono tra

gicomico, « a tutte le cellule »), di compagni responsabili dell'« in

tera organizzazione», di «transizione organizzativa», di colle

gamenti con altri gruppi (nella lettera acclusa al volantino di scio

glimento l'Aste si era definito responsabile « di molte realtà del

movimento armato genovese »), in realtà l'istruttoria ha chiarito

che non esistevano, né compartimentazione, né cellule, né colle

gamenti con altri gruppi, né una qualsiasi forma di organizza zione. Quando l'Aste si è ritenuto «pedinato», ma non è risul

tato che lo fosse, questa fantasiosa costruzione, in larga misura

dovuta a quel suo « prepotente desiderio di auto-affermazione »

poi rilevato dal perito, è miseramente crollata nel ridicolo di un

proclama di scioglimento, con annessa lettera di spiegazioni, dili

gentemente firmata con nome, cognome e indirizzo. Con quel pro clama, e con quella lettera, l'Aste, e i suoi compagni, raggiunge vano l'unico intento fino a quel momento tenacemente persegui to, quello di trovare un sufficiente spazio pubblicitario per le loro azioni, e di « apparire sui giornali » (anche se poi le con

seguenze, sono state, per tutti, più pesanti di quanto, per la loro

superficialità, probabilmente prevedessero). Non c'era, lo abbia

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GIURISPRUDENZA PENALE

mo visto, alcuna forma di organizzazione, non c'era, conseguente mente, quel tipo di organizzazione che le roboanti espressioni di alcuni documenti potevano far presumere. Già il Sordo non aveva saputo spiegarsi perché fosse stata usata quella espressione (« guerriglia ... ») che non trovava rispondenza effettiva nel

«tipo di politica portato avanti dal gruppo», ma poi il Sordo, stanco delle « vanterie » dell'Aste e dell'inconsistenza del grup po, se ne era andato. E nei documenti, non tutti chiaramente com

prensibili, si era continuato a parlare, di guerriglia comunista come parte del movimento armato, della necessità di ottenere una

maggiore efficacia militare, della necessità di unificare tutte le

forze combattenti, tutte espressioni che lasciavano presupporre non una qualsiasi forma di organizzazione ma, addirittura, una

organizzazione armata. Eppure è certo non solo che di armi, di

armi di qualsiasi specie e di qualsiasi strumento atto ad offen

dere, il gruppo non sia mai stato dotato nell'arco dell'anno della sua esistenza, ma che di armi, in quello stesso arco di tempo, non si è mai parlato, neppure come obiettivo intermedio per i fini che si volevano raggiungere, in alcuno dei numerosi docu

menti, volantini, striscioni e slogans diffusi (e, a quel che è ri

sultato, neppure nelle numerose riunioni che nello stesso periodo sono state tenute). L'unico strumento ambito dal gruppo e di cui il gruppo è riuscito a dotarsi nell'arco di un anno è quel vec chio ciclostile, sottratto alla scuola e trasportato a spalle prima a

casa dell'Aste e poi in un rudere del Righi, che ha consentito una più ampia diffusione dei volantini e documenti dattiloscritti, con la macchina da scrivere affittata a 500 lire l'ora, nel sotto

passaggio di piazza De Ferrari. Un po' poco, occorre dirlo, per una «realtà del movimento armato». A questo punto, mancan do il requisito organizzativo, il discorso sulla esistenza della as sociazione eversiva, e di qualsiasi altra associazione, potrebbe chiudersi.

Per completezza di argomentazione, in riferimento agli altri

requisiti del delitto contestato, non può non rilevarsi che non esisteva neppure un programma concreto di atti di violenza, né

la specifica finalità eversiva. Dal contenuto di alcuni documenti

si rileva un generico programma rivoluzionario, una confusa

adesione alle tesi del partito armato (e le relative espressioni

giustificano, come vedremo, gli specifici addebiti di pubblica

istigazione e apologia), non si rileva invece quel programma con

creto di azione e quel serio proposito, fondato su solide basi, in cui si concretizzano le finalità, immediate e lontane, previste dall'art. 270 bis c.p. Un programma di azioni violente e una spe cifica finalità eversiva non si rilevano dalle parole e dagli scritti

(che cosa volevano i velleitari guerriglieri?: rispondono: « fare

politica in modo illegale ... portare avanti un tipo di discorso

politico... in contrapposizione a quello portato avanti dal sin dacato e dal P.C.l. nella società... realizzare una propaganda alternativa e illegale »), non si rilevano neppure dalle azioni

compiute con continuità (volantinaggi, apposizioni di striscioni, scritte sui muri), rappresentando l'incendio della porta della sede

D.C. di via Caffaro, nel quadro complessivo delle azioni compiu te, un episodio di violenza del tutto isolato, privo, in quanto tale, di un supporto qualsiasi nei propositi espressi dal gruppo (ha dichiarato il Sordo: «...se si facevano certi discorsi non si po tevano fare certe cose »). Se un fine unitario vuol ritrovarsi tra

parole, scritte, azioni (tutte le azioni, anche l'incendio), procla ma di scioglimento e autodenuncia, questo fine, lo si è già notato, è di carattere esclusivamente pubblicitario e propagandistico. Pub blicità e propaganda di un gruppo inconsistente, di idee confuse, e, per quel che ha rilievo penale, delle tesi e delle azioni del « vero » movimento armato (ma, anche qui, non con un atteggia mento univoco: aveva dichiarato il Sordo nella sua prima versio

ne alla Digos « ero d'accordo sulla loro posizione che era di dis

sociazione completa dalla lotta armata »).

2) Si deve ora affrontare il secondo punto, strettamente colle

gato al primo, se sussista, nei delitti contestati di furto e di dan

neggiamento seguito da incendio, la aggravante della finalità di

terrorismo e di eversione dell'ordine democratico. A questo pro

posito è doveroso rilevare che è esatta la contestazione della du

plice finalità, quando i reati strumentali siano stati posti in es

sere da un soggetto, o da più soggetti, inseriti o meno in associa

zioni eversive, nel quadro di un disegno complessivo tendente, come spesso accade, allo scardinamento dell'ordinamento costitu

zionale attraverso il terrorismo. È pur tuttavia ipotizzabile il per

seguimento dell'una finalità indipendentemente dall'altra, nell'un

caso, quando l'azione del soggetto o dei soggetti tenda esclusiva

mente a creare nella collettività una situazione di terrore, nell'al

tro caso, quando tenda al sovvertimento violento dell'ordinamen

to costituzionale senza avvalersi dello strumento del terrorismo.

Questa distinzione concettuale comporta conseguenze a livello

applicativo.

La finalità di terrorismo, da sola, può essere propria sia di

persone inserite in gruppi organizzati (è infatti ipotizzabile, e talvolta è stato realizzato, un disegno terroristico di un gruppo organizzato tendente, non a sovvertire l'ordinamento statuale esi stente ma a bloccare, attraverso la diffusione del panico nella collettività, il progressivo affermarsi di istanze politiche volte alla trasformazione democratica dello Stato), sia di persone isolate, non inserite in alcun gruppo o associazione (è infatti ipotizzabi le, e talvolta è stato realizzato, un disegno terroristico individuale fine a se stesso, tendente cioè esclusivamente a creare panico nella collettività o in determinati gruppi di persone). La finalità di ever sione dell'ordine democratico, invece, quando non è unita alla finalità di terrorismo (ad esempio, nella ipotesi di un disegno politico tendente ad un colpo di stato militare, volto a sovvertire l'ordinamento costituzionale senza ricorrere al terrorismo), non può che essere propria di persone inserite in associazioni eversive. Essa infatti presuppone, concettualmente, una pluralità di sog getti, una disponibilità di mezzi adeguati, una idonea struttura

organizzativa, un preciso programma operativo. Questa interpretazione, escludendo l'applicabilità della aggra

vante a reati commessi con la specifica finalità di eversione del l'ordine democratico, quando questa finalità non sia unita a

quella di terrorismo, da persone non inserite, in qualche modo, in associazioni eversive, consente di evitare direttamente, alme no in parte, il pericolo che l'aggravamento di pena, cosi' rigida mente strutturato, si risolva nella repressione di tendenze me ramente soggettive, prive di riscontro nei fatti. Si può ancora osservare che una ragionevole interpretazione della norma con sente di evitare lo stesso pericolo anche nelle altre ipotesi (quan do cioè il reato sia finalizzato ad un disegno terroristico o ad un disegno eversivo attraverso il terrorismo).

In tutte le ipotesi, infatti, l'accertamento del nesso che deve unire, sotto il profilo psichico, il reato compiuto con le finalità

perseguite, deve essere particolarmente rigoroso. Ma ciò, ovvia mente, non basta. Per finalità di terrorismo e di eversione non può intendersi qualsiasi velleitaria aspirazione, ma un proposito seriamente meditato e seriamente perseguito e, laddove manchi il riscontro oggettivo della appartenenza del soggetto o dei sog getti agenti ad una associazione eversiva, la serietà del propo sito deve rilevarsi necessariamente da altri elementi obiettivi, quali la idoneità dei mezzi e l'adeguatezza della condotta, per il

raggiungimento del fine perseguito, in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo nelle quali la condotta è posta in essere. Quando i reati siano commessi da individui non appartenenti ad associazioni eversive, è cosi sempre necessario, per le consi derazioni espresse, che la condotta dei soggetti stessi, ed i mezzi dei quali dispongono, siano quanto meno adeguati a raggiungere «la finalità di terrorismo», non importa se anche la finalità

eversiva, perché la serietà del proposito, e quindi la sua concreta

esistenza, non può che rilevarsi, in questi casi, da quesii speci fici elementi oggettivi.

Queste premesse, in linea di diritto, portano ad escludere, in

fatto, l'applicabilità della aggravante ai reati di furto e di dan

neggiamento seguito da incendio, attribuiti a quasi tutti gli im

putati. L'accertata inesistenza della associazione eversiva esclu

de, di per sé, che attraverso quei reati i giovani potessero perse guire, seriamente, la finalità di eversione dell'ordine democrati co. Per quanto riguarda la finalità di terrorismo, necessaria per ché l'aggravante sussista quando i reati siano compiuti da indivi dui non inseriti in associazione eversiva, essa non si rileva in alcun modo da elementi obiettivi ed era in ogni caso estranea ai giovani anche sotto il profilo meramente soggettivo (su que sto punto, dopo quanto si è detto sul « programma » del gruppo, non sembra opportuno dilungarsi).

Per completezza di argomentazione si deve rilevare che a..a stessa conclusione negativa, in ordine alla sussistenza delk ag gravante, si dovrebbe pervenire anche aderendo alla tesi -ii chi ravvisa la finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine demo cratico, riportando ad una nozione unitaria le due espressioni, nell'azione del soggetto tendente a far valere istanze politiche mediante la violenza. Rimarrebbe infatti sempre ferma la neces sità di valutare la serietà del proposito, non potendo attribuirsi alcun significato a velleitarie aspirazioni, e la serietà del propo sito, e quindi l'esistenza effettiva della finalità, non può che rile varsi, come si è già sottolineato, da quegli elementi oggettivi — l'idoneità della condotta e l'adeguatezza dei mezzi — in con

creto, nel caso in esame, insussistenti. (Omissis)

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