sentenza 5 dicembre 2003, n. 350 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 10 dicembre 2003, n.49); Pres. Chieppa, Est. Contri; Scirocco; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. sorv. Bari 23dicembre 2002 (G.U., 1 a s.s., n. 12 del 2003)Source: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2004), pp. 2015/2016-2019/2020Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199541 .
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PARTE PRIMA
dovranno essere in armonia con i precetti e con i principi tutti
ricavabili dalla Costituzione, ai sensi dell'art. 123, 1° comma,
Cost. (cfr. sentenza n. 304 del 2002). Si deve però eccettuare l'ipotesi dello scioglimento o rimo
zione «sanzionatori», prevista dall'art. 126, 1° comma, Cost. In
questo caso, trattandosi di un intervento repressivo statale (non
più previsto per la semplice impossibilità di funzionamento,
come accadeva nel vecchio testo dell'art. 126 Cost., ma solo a
seguito di violazioni della Costituzione o delle leggi, o per ra
gioni di sicurezza nazionale), è logico che le conseguenze, an
che in ordine all'esercizio delle funzioni fino all'elezione dei
nuovi organi, siano disciplinate dalla legge statale, cui si deve
ritenere che l'art. 126, 1° comma, Cost, implicitamente rinvìi,
nonostante l'avvenuta soppressione del vecchio art. 126, 5°
comma: non potendosi supporre che resti nella disponibilità della regione disporre la proroga dei poteri di organi sciolti o
dimessi a seguito di gravi illeciti, o la cui permanenza in carica
rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale.
A parte deve essere considerata l'ipotesi — che la legge della
regione Abruzzo fa oggetto di specifica disciplina — dell'an
nullamento giurisdizionale della elezione: in questo caso si veri
fica non la scadenza o lo scioglimento o la rimozione di un con
siglio o di un presidente legittimamente eletti ed in carica, ma il
venir meno ex tunc, secondo i principi, dello stesso titolo di in
vestitura dell'organo elettivo.
Anche in questa ipotesi la disciplina dell'esercizio delle fun
zioni regionali fino alla nuova elezione rientra in linea di prin
cipio nella competenza statutaria della regione, salvi i limiti che
la regione stessa incontra in forza della competenza statale
esclusiva in materia giurisdizionale, stabilita dall'art. 117, 2°
comma, lett. /), Cost. In ogni caso, è escluso che possa provve dere in materia una legge regionale non statutaria.
In conclusione, dunque, in tema di disciplina dell'esercizio
dei poteri degli organi regionali dopo la loro scadenza o scio
glimento o rimozione, o dopo l'annullamento della elezione, la
legge regionale è priva di competenza, almeno fino a quando lo
statuto, o rispettivamente la legge statale, abbiano fissato i prin
cipi e le regole fondamentali.
14. - Discende dalle premesse poste che devono ritenersi co
stituzionalmente illegittime tutte le disposizioni delle leggi re
gionali impugnate che disciplinano la prorogano degli organi elettivi regionali (art. 1 1. reg. Calabria; art. 3 1. reg. Abruzzo, nella parte in cui sostituisce l'art. 3, 2° comma, prima parte, della legge statale n. 108 del 1968 con le disposizioni dell'art. 3, 2° comma, terzo periodo, e 3°, 4° e 5° comma, del nuovo testo
legislativo): vuoi per violazione della «riserva di statuto» di cui
all'art. 123 Cost., vuoi, per quelle di esse che disciplinano l'i
potesi dello scioglimento o della rimozione «sanzionatori» (art. I 1. reg. Calabria nella parte in cui, non distinguendo, si riferisce
anche a questa ipotesi; art. 3, 3° comma, del testo sostituito
della legge della regione Abruzzo), per violazione della compe tenza statale a disciplinare la materia.
Quanto a quest'ultima disposizione della legge della regione Abruzzo, non può valere in contrario il fatto che essa riprenda testualmente la previsione del vecchio art. 126, 5° comma,
Cost., abrogato dalla 1. cost. n. 3 del 2001: in ogni caso, la re
gione non può reintrodurre una norma costituzionale ormai
scomparsa. Rimane assorbito ogni altro profilo di censura, in particolare
per quanto riguarda la disciplina, nell'art. 3, 5° comma, del testo
sostituito della legge regionale dell'Abruzzo, dell'esercizio
delle funzioni regionali nel caso di annullamento giurisdizionale delle elezioni.
15. - In definitiva, mentre la legge regionale della Calabria
deve essere dichiarata in toto costituzionalmente illegittima, della legge regionale dell'Abruzzo restano indenni l'art. 1 (non
specificamente censurato dal governo, e comunque da intendersi
nel senso sopra precisato al n. 5), l'art. 2, nonché, dell'art. 3, solo le parti che, «sostituendo» l'art. 3 della legge statale, detta
no le disposizioni del 2° comma (limitatamente al primo perio do), 6°, 8° e 9° comma. Tutte le altre disposizioni della stessa
legge devono essere dichiarate costituzionalmente illegittime. Per questi motivi, la Corte costituzionale riuniti i giudizi:
a) dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della re
gione Calabria 15 marzo 2002 n. 14 (disposizioni sulla proro
gano degli organi regionali); b) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 1. reg.
II Foro Italiano — 2004.
Abruzzo 19 marzo 2002 n. 1 (disposizioni sulla durata degli or
gani e sull'indizione delle elezioni regionali), nella parte in cui
introduce, sostituendo il testo dell'art. 3 della legge statale 17
febbraio 1968 n. 108 (norme per la elezione dei consigli regio nali delle regioni a statuto normale), le disposizioni del 1°, 2° — limitatamente al secondo e al terzo periodo —, 3°, 4°, 5°, 7°
comma;
c) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 predetta 1.
reg. Abruzzo n. 1 del 2002;
d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzio
nale delle rimanenti disposizioni — diverse da quelle di cui ai
capi b) e c) — della predetta 1. reg. Abruzzo n. 1 del 2002, sol
levata, in riferimento agli art. 117, 2° e 4° comma, e 122 Cost.,
dal presidente del consiglio dei ministri con il ricorso in epigra fe (reg. ric. n. 38 del 2002).
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 dicembre 2003, n.
350 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 10 dicembre 2003,
n. 49); Pres. Chieppa, Est. Contri; Scirocco; interv. Pres.
cons, ministri. Ord. Trib. sorv. Bari 23 dicembre 2002 (G.U.,
las.s„ n. 12 del 2003).
Ordinamento penitenziario — Genitore di figlio totalmente
invalido — Detenzione domiciliare — Esclusione — Inco
stituzionalità (Cost., art. 3; 1. 26 luglio 1975 n. 354, norme
sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà, art. 47 ter).
È incostituzionale l'art. 47 ter, 1° comma, lett. a), l. 26 luglio 1975 n. 354, nella parte in cui non prevede la concessione
della detenzione domiciliare anche nei confronti della madre
condannata e, nei casi previsti dalla lett. b) della stessa di
sposizione, del padre condannato, conviventi con un figlio
portatore di handicap totalmente invalidante. (1)
( 1) La Corte costituzionale, dopo aver ricostruito l'evoluzione dell'i stituto della detenzione domiciliare ed il significato che esso assume
attualmente, ritiene contraria all'impegno della repubblica di rimuovere
gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della
personalità (art. 3, 2° comma, Cost.) la mancata previsione della possi bilità da parte del giudice di concedere la detenzione domiciliare al ge nitore condannato, convivente con figlio totalmente handicappato, li mitandosi la disposizione impugnata a riconoscere tale possibilità al
genitore del minore di età inferiore ad anni dieci. Per la dichiarazione d'incostituzionalità dell'art. 47 ter, 1° comma,
n. 1,1. 354/75, aggiunto dall'art. 13 1. 10 ottobre 1986 n. 663, nella
parte in cui non prevedeva che la detenzione domiciliare, concedibile alla madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, potesse essere concessa, nelle stesse condizioni, anche al padre detenuto, qualo ra la madre fosse deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, v. Corte cost. 13 aprile 1990, n. 215, Foro it., 1992,1, 606, con nota di richiami.
Con riguardo alla possibilità dì fruire della detenzione domiciliare sulla base della necessità di provvedere alla prole, v. Cass. 8 aprile 2002, Gallo, id., Rep. 2002, voce Ordinamento penitenziario, n. 70, commentata da Folla, in Famiglia e dir., 2002, 483, secondo cui l'as soluta impossibilità della madre a provvedere in tal senso, quale condi zione di fruibilità della detenzione domiciliare da parte del padre con
dannato, non può essere ritenuta o esclusa basandosi sul mero fatto che la donna svolga attività lavorativa, ma deve essere sempre valutata in concreto e quindi considerata sussistente anche in presenza di difficoltà estrema della madre a dare assistenza ai figli; 22 dicembre 1999, Ca
stelletto, Foro it.. Rep. 2000. voce cit., n. 123, secondo cui, al fine della concessione della detenzione domiciliare, per il padre esercente la pote stà su prole di età inferiore ai dieci anni, convivente e bisognevole di
assistenza, non sussiste l'obbligo di richiedere necessariamente il sup porto di strutture pubbliche competenti per far fronte alla cura del mi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Il Tribunale di sorveglianza di Bari dubita
della legittimità costituzionale dell'art. 47 ter, 1° comma, lett.
a), 1. 26 luglio 1975 n. 354 (norme sull'ordinamento penitenzia rio e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della li
bertà), nella parte in cui non prevede la possibilità della conces
sione del beneficio della detenzione domiciliare nei confronti
della condannata madre di figlio, con lei convivente, portatore di handicap invalidante al cento per cento, pur consentendo tale
misura nel caso di madre di prole di età inferiore ad anni dieci, con lei convivente.
Ad avviso del rimettente la disposizione impugnata si porreb be in contrasto con l'art. 3 Cost., violando quindi il principio di
eguaglianza e di ragionevolezza, con la previsione di un tratta
mento difforme per situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra loro, quali sono quella della madre di un figlio incapace per ché minore degli anni dieci, ma con un certo margine di auto
nomia, almeno sul piano fisico, e quella della madre di un figlio disabile e totalmente incapace di provvedere da solo anche alle
sue più elementari esigenze, il quale, pur se maggiorenne, ha
più necessità di essere assistito dalla madre rispetto ad un bam
bino di età inferiore agli anni dieci. 2. - La questione è fondata.
2.1. - La detenzione domiciliare, contraddistinta all'origine da
finalità prevalentemente umanitarie ed assistenziali, ha visto, attraverso i successivi interventi del legislatore, ampliare note
nore, cui non possa provvedere la madre impegnata in attività lavorati va (fattispecie relativa alla necessità del condannato di sopperire con continuità al bisogno del figlio piccolo, affetto da patologia congenita alle mani e necessitato, pertanto, a ricevere stimolazioni frequenti e ri
petute); 15 aprile 1994, Borzachelli, id., Rep. 1995, voce cit., n. 207, secondo cui l'assoluta impossibilità della madre ad accudire la prole non può essere intesa in modo talmente rigido da escludere la stessa
applicazione del beneficio, nel senso di richiedere una difficoltà estre
ma, tale da superare le normali capacità reattive della persona, autono mamente considerata e nel contesto familiare.
In ordine alle condizioni per la concessione della detenzione domici
liare, ai sensi dell'art. 47 ter 1. 354/75, v. Cass. 15 aprile 2003, Mora
bito, Ced Cass., rv. 224601, con riguardo ai c.d. collaboratori di giusti zia; Trib. sorv. Firenze 5 febbraio 2002, Foro it., 2002, II, 309, con nota di richiami, secondo cui, accertato che il condannato a pena de tentiva è affetto da una grave infermità atta a giustificare il differimento
dell'esecuzione, il tribunale di sorveglianza può applicare la detenzione
domiciliare per la durata ritenuta congrua, dato che detta misura non
contrasta con il senso di umanità e risponde all'esigenza di effettività
della pena; 18 settembre 2001, ibid.. 137, con nota di richiami, secondo cui il condannato a pena detentiva per delitto preclusivo dei benefici
penitenziari può essere ammesso alla detenzione domiciliare, in deroga ai limiti di pena previsti dall'art. 47 ter 1. 354/75, quando risulta accer
tata l'importanza della sua collaborazione, non esistono elementi da cui
si possa desumere la persistenza di collegamenti con la criminalità or
ganizzata e si deve ritenere accertato il richiesto ravvedimento; Trib.
sorv. Roma 18 aprile 2001, id., 2001, II, 310, con nota di richiami, se condo cui il tribunale di sorveglianza ha facoltà di ammettere alla de
tenzione domiciliare, misura ritenuta la più appropriata al caso in esa
me, il condannato che avrebbe titolo alla sospensione dell'esecuzione
per essere in una condizione di incompatibilità con lo stato di detenzio
ne, derivante da una grave infermità fisica consistente in una patologia cancerosa con manifestazioni recidivanti e delicate implicazioni psico logiche, richiedente particolari terapie; Cass. 31 gennaio 2001, Ga
brielli, id., Rep. 2002, voce cit., n. 69. Per altre questioni di costituzionalità aventi ad oggetto l'art. 47 ter 1.
354/75, v. Corte cost., ord. 22 marzo 2000, n. 77, id., Rep. 2000, voce
cit., n. 106, che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questio ne di costituzionalità di tale disposizione, nella parte in cui non con
sente di concedere la nuova forma di detenzione domiciliare ivi previ sta ai soggetti condannati per i reati di cui all'art. 4 bis ord. penit.; 13
giugno 1997, n. 173, id., 1998, I, 982, con nota di richiami e osserva
zioni di La Greca, commentata da Forti e da Marazzita, in Giur. co
stit., 1997, 1750 e 2743, da Pighi, in Dir. pen. e proc., 1998, 448, e da
Cesaris, in Cass. pen., 1998, 1295, che ha dichiarato incostituzionale
l'art. 47 ter, ultimo comma, 1. 354/75, nella parte in cui faceva derivare
automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla pre sentazione di una denuncia per il reato previsto dall'8° comma dello
stesso articolo; 24 maggio 1996, n. 165, Foro it., 1997, I, 3083, con
nota di richiami, commentata da Iannuzzi, in Giur. costit., 1996, 1519,
che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 47 ter, 1° comma, n. 3, e 7° comma, 1. 354/75, nella parte in
cui non consente la concessione della detenzione domiciliare alla per sona di età superiore a sessanta anni inabile, quando la pena da espiare sia superiore a tre anni di reclusione.
Il Foro Italiano — 2004.
volmente il proprio ambito di applicazione e costituisce ora una
modalità di esecuzione prevista per una pluralità di ipotesi, fra
loro eterogenee e, in parte, sganciate dalle condizioni soggettive del condannato.
L'art. 47 ter è stato inserito nell'ordinamento penitenziario dalla 1. 10 ottobre 1986 n. 663 (modifiche alla legge sull'ordi
namento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e
limitative della libertà). Nel testo originario la disposizione pre vedeva, per alcune categorie di detenuti in regime di espiazione ordinaria della pena in carcere, tra le quali quella della madre di
prole convivente di età inferiore a tre anni, la possibilità di ese
guire nella forma della detenzione presso il loro domicilio le
pene della reclusione non superiore a due anni — anche se co
stituenti parte residua di una maggior pena — e dell'arresto.
Il legislatore ha, a più riprese, modificato i presupposti, og
gettivi e soggettivi, che consentono di essere ammessi al benefi
cio, aumentando, tra l'altro, il limite di età della prole della ma
dre detenuta prima a cinque anni (d.l. 14 giugno 1993 n. 187, «nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonché
sull'espulsione dei cittadini stranieri»), e quindi a dieci anni (1. 27 maggio 1998 n. 165, «modifiche all'art. 656 c.p.p. ed alla 1.
26 luglio 1975 n. 354, e successive modificazioni») e preveden do la possibilità di concedere la detenzione domiciliare anche al
padre detenuto qualora la madre sia deceduta o assolutamente
impossibilitata a dare assistenza ai figli (art. 47 ter, 1° comma, lett. b, ord. penit.), in attuazione della sentenza di questa corte n.
215 del 1990 (Foro it., 1992,1, 606). 2.2. - La detenzione domiciliare, inserita tra le misure alter
native alla detenzione di cui al titolo I, capo VI, ord. penit., rea
lizza ormai, come affermato da questa corte sin dalla sentenza n.
165 del 1996 (id., 1997, I, 3083), una modalità meno afflittiva
di esecuzione della pena. L'istituto — come questa corte ha ri
tenuto nella sentenza n. 422 del 1999 (id., Rep. 2000, voce Ese
cuzione penale, n. 100), successiva all'ampia riforma realizzata
con la 1. n. 165 del 1998 — ha assunto quindi aspetti più vicini e
congrui all'ordinaria finalità rieducativa e di reinserimento so
ciale della pena, non essendo più limitato alla protezione dei
«soggetti deboli» prima previsti come destinatari esclusivi della
misura, ed essendo applicabile in tutti i casi di condanna a pena non superiore a due anni (anche se residuo di maggior pena),
purché idoneo ad evitare il pericolo di recidiva. Conseguente mente la corte, nella sentenza da ultimo citata, ha ritenuto che la
stessa detenzione domiciliare concessa «d'ufficio» al condan
nato che ne abbia titolo non soltanto non è in contrasto, ma
piuttosto realizza lo scopo rieducativo di cui all'art. 27 Cost.
Nello stesso senso, la successiva ordinanza n. 532 del 2002 ha
nuovamente affermato che la detenzione domiciliare è una «mi
sura alternativa che presuppone l'esecuzione della pena» e che
essa assume connotazioni del tutto peculiari, «avuto riguardo ai
profili polifunzionali che la caratterizzano».
Per quanto riguarda, in particolare, la condizione della dete
nuta madre di prole di minore età, un ulteriore rilevante am
pliamento delle possibilità di accesso alla misura è stato previ sto dalla recente 1. 8 marzo 2001 n. 40 (misure alternative alla
detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori). 2.3. - L'evoluzione normativa dell'istituto della detenzione
domiciliare concedibile alla madre di prole minore è dunque connotata dalla tendenza verso una sempre maggiore estensione
delle condizioni che consentono tale misura, essendo chiaro
l'intento del legislatore di tutelare il rapporto tra la madre (e, nei casi previsti, il padre) ed i figli, pur nella situazione di ese
cuzione della pena detentiva. In particolare, come questa corte
ha affermato con la sentenza n. 422 del 1999, la detenzione do
miciliare risulta «volta ad assecondare il passaggio graduale allo
stato di libertà pieno mediante un istituto che sviluppa la ripresa dei rapporti familiari ed intersoggettivi», rapporti che appaiono tanto più meritevoli di tutela quando riguardino le relazioni tra i
genitori e la prole. Anche per la madre di figli minori, come per tutti i soggetti
che possono essere ammessi alla detenzione domiciliare, è pe raltro escluso dalla legge un rigido automatismo nella conces
sione della misura, dovendo sussistere le condizioni rappresen tate dal non essere intervenuta condanna per alcuno dei delitti
indicati dall'art. 4 bis ord. penit., ed essendo previste ipotesi di
revoca del beneficio per il venir meno delle condizioni stabilite
dalla legge (art. 47 ter, 7° comma), o per il sopravvenire di fatti
ostativi quali comportamenti incompatibili (art. 47 ter, 6° com
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2019 PARTE PRIMA 2020
ma) e la condanna per il delitto di evasione (art. 47 ter, 8°
comma), oltre a specifici divieti che ostano alla sua concessione
(art. 58 quater). 3. - Allo stato, dunque, il presupposto soggettivo per accedere
alla misura della detenzione domiciliare è che si tratti di madre
(o, nei casi previsti, di padre) di prole di età inferiore ai dieci
anni, mentre quello oggettivo è dato dalla circostanza che la pe na, o il residuo di pena, da scontare sia di quattro anni.
Nella evoluzione normativa, ad un allargamento del presup
posto oggettivo, reso gradualmente più ampio sino al suo rad
doppio (il limite di pena, o di residuo di pena, inizialmente fis
sato in due anni è stato innalzato dapprima a tre e poi a quattro
anni), ha corrisposto anche un'estensione di quello relativo al
l'età della prole, che originariamente fissato in tre anni è stato
elevato dapprima a cinque e poi a dieci anni, secondo una ten
denza alimentata da spirito di favore verso le esigenze di svi
luppo e formazione del bambino il cui soddisfacimento potrebbe essere gravemente pregiudicato dall'assenza della figura genito riale.
3.1. - Proprio al fine di favorire il pieno sviluppo della perso
nalità del figlio, la norma censurata prevede perciò la possibilità di una esecuzione della pena che avvenga nella forma della de
tenzione domiciliare, limitandola però all'ipotesi del genitore del minore di età inferiore ad anni dieci.
Non è stata presa in considerazione la condizione del figlio
gravemente invalido, rispetto alla quale il riferimento all'età
non può assumere un rilievo dirimente, in considerazione delle
particolari esigenze di tutela psico-fisica il cui soddisfacimento
si rivela strumentale nel processo rivolto a favorire lo sviluppo della personalità del soggetto. La salute psico-fisica di questo
può essere infatti, e notevolmente, pregiudicata dall'assenza
della madre, detenuta in carcere, e dalla mancanza di cure da
parte di questa, non essendo indifferente per il disabile grave, a
qualsiasi età, che le cure e l'assistenza siano prestate da persone diverse dal genitore.
In questa prospettiva, la possibilità di concedere la detenzione
domiciliare al genitore condannato, convivente con un figlio totalmente handicappato, appare funzionale all'impegno della
repubblica, sancito nel 2° comma dell'art. 3 Cost., di rimuovere
gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità.
3.2. - Sul punto viene quindi in rilievo l'esigenza di favorire
la socializzazione del soggetto disabile, presa in particolare con
siderazione dal legislatore sin dalla 1. 5 febbraio 1992 n. 104
(legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate), che ha predisposto strumenti rivolti
ad agevolare il suo pieno inserimento nella famiglia, nella
scuola e nel lavoro, in attuazione del principio, espresso anche
da questa corte nella sentenza n. 215 del 1987 {id., 1987, I,
2935), secondo il quale la socializzazione in tutte le sue moda
lità esplicative è un fondamentale fattore di sviluppo della per sonalità ed un idoneo strumento di tutela della salute del porta tore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute
psico-fisica (v. anche sentenze n. 167 del 1999, id., 1999, I, 2164; n. 226 del 2001, id., 2001, I, 3041, e n. 467 del 2002, id.,
2003,1, 367). Il particolare ruolo della famiglia nella socializzazione del
soggetto debole — che nel caso in esame viene in rilievo sotto il
profilo della tutela del disabile — è del resto già stato conside
rato dal legislatore in relazione alle stesse modalità di esecuzio
ne delle pene detentive che, dalle originarie misure di rinvio
dell'esecuzione di cui agli art. 146 e 147 c.p., aventi prevalenti finalità umanitarie, è passato all'attuale disciplina degli art. 47
ter e 47 quinquies ord. penit., seguendo l'evoluzione normativa
sopra indicata.
Alla luce delle considerazioni che precedono la norma censu
rata 'è in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto
prevede un sistema rigido che preclude al giudice, ai fini della
concessione della detenzione domiciliare, di valutare l'esistenza
delle condizioni necessarie per un'effettiva assistenza psico fisica da parte della madre condannata nei confronti del figlio
portatore di handicap accertato come totalmente invalidante.
Ciò determina un trattamento difforme rispetto a situazioni fa
miliari analoghe ed equiparabili fra loro, quali sono quella della
madre di un figlio incapace perché minore degli anni dieci, ma
con un certo margine di autonomia, almeno sul piano fisico, e
quella della madre di un figlio disabile e incapace di provvedere
Il Foro Italiano — 2004.
da solo anche alle sue più elementari esigenze, il quale, a qual siasi età, ha maggiore e continua necessità di essere assistito
dalla madre rispetto ad un bambino di età inferiore agli anni
dieci. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
mità costituzionale dell'art. 47 ter, 1° comma, lett. a), 1. 26 lu
glio 1975 n. 354 (norme sull'ordinamento penitenziario e sul
l'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione
domiciliare anche nei confronti della madre condannata, e, nei
casi previsti dal 10 comma, lett. b), del padre condannato, con
viventi con un figlio portatore di handicap totalmente invali
dante.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 18 luglio 2003, n. 253 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 23 luglio 2003, n.
29); Pres. Chieppa, Est. Onida. Ord. G.u.p. Trib. Genova 10
luglio 2002 (G.U., la s.s., n. 47 del 2002).
Misure di sicurezza — Imputato incapace di intendere e di
volere — Pericolosità sociale — Ricovero in ospedale psi chiatrico giudiziario
— Obbligatorietà — Incostituzionali
tà (Cost., art. 3, 32; cod. pen., art. 222). Misure di sicurezza — Imputato incapace di intendere e di
volere — Pericolosità sociale — Ricovero in ospedale psi chiatrico giudiziario — Obbligatorietà — Questione in fondata di costituzionalità (Cost., art. 3; cod. pen., art. 219).
È incostituzionale l'art. 222 c.p., nella parte in cui non con
sente al giudice, nei riguardi del soggetto prosciolto per in
fermità psichica e giudicato socialmente pericoloso, di adot
tare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudizia rio, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell' infermo di mente e a
far fronte alla sua pericolosità sociale. (1) E infondata, in quanto costituente nella eccezione di costituzio
nalità un tertium comparationis, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 219, 1° e 3° comma, c.p., nella parte in cui, nel prevedere che il condannato per delitto non colpo so ad una pena diminuita per vizio parziale di mente sia rico
verato in una casa di cura e di custodia, con possibilità di so
stituire a detta misura, a certe condizioni, quella della libertà
vigilata, non prevede le stesse possibilità nei riguardi del
soggetto prosciolto per totale incapacità di intendere e di
volere a causa di infermità psichica, la cui pericolosità so
ciale non sia tale da richiedere la misura del ricovero in
ospedale psichiatrico giudiziario, in riferimento all'art. 3
Cost. (2)
(1-2) Come ricorda la stessa Corte costituzionale, l'art. 222 c.p. è stato oggetto di ben diciotto pronunce del giudice costituzionale, spesso incentrate totalmente o almeno parzialmente proprio sul mancato rico noscimento al giudice del potere di graduare le misure limitative da
pronunciare sul caso concreto. La corte giunge in questa occasione ad una pronuncia di accoglimento, individuando — a dire il vero con un
po' di fantasia — nella questione sottoposta al suo esame «connotati diversi da quelli di altre del passato» e richiamando la propria giuris prudenza più recente attraverso la quale è stata richiesta in maniera
sempre più crescente l'opera collaborativa del giudice, fondata sull'ap prezzamento della situazione concreta. La corte giunge quindi all'eli minazione del denunciato automatismo del giudice, consentendo allo stesso di adottare, tra le misure che l'ordinamento prevede, quella che in concreto appaia idonea a soddisfare le esigenze di cura e tutela della
persona, da un lato, di controllo e contenimento della sua pericolosità sociale dall'altro.
Da sottolineare infine l'affermazione, contenuta nella decisione in
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