sentenza 5 febbraio 2001; Pres. Savoca, Est. Iannello; ric. Scimone, Lo Monaco (Avv. Rao)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 5 (MAGGIO 2001), pp. 1761/1762-1765/1766Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196198 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Ora, se avuto riguardo all'attivo fallimentare, indipendente mente dal valore effettivamente realizzabile in fase di liquida zione dello stesso, dovrà aversi riguardo a quanto richiamato —
in citazione e memoria di replica — dalla curatela e non conte
stato dalle altre parti del presente giudizio, per quanto inerisce la determinazione del passivo fallimentare occorre fare riferi
mento ai verbali di udienza di verifica dello stato passivo pro dotti in atti dalla curatela, attraverso i quali si evidenzia una
complessiva massa passiva pari a circa 2.600.000.000 di lire, sì
che esclusivamente a tale dato numerico oggettivo certo e accla
rato dovrà farsi riferimento ai fini della determinazione del
quantum risarcibile.
Tale danno — si ripete, eziologicamente ricollegabile al
comportamento posto in essere dal convenuto in violazione dei
doveri su di esso incombenti, non potendo onerarsi la curatela di
ulteriori oneri probatori in presenza delle omissioni e delle gra vissime violazioni poste in essere dall'amministratore — va
pertanto determinato equitativamente nella complessiva somma
di 1.710.000.000 di lire, corrispondente alla differenza tra il pas sivo fallimentare (con esclusione dei crediti esclusi anche se
oggetto d'opposizione in quanto non accertati) e l'attivo falli
mentare.
Su tale somma spettano gli interessi legali dalla domanda al
soddisfo, mentre non vi è domanda in ordine all'eventuale mag
gior danno. (Omissis)
TRIBUNALE DI MESSINA; sentenza 5 febbraio 2001; Pres. Savoca, Est. Iannello; ric. Scimone, Lo Monaco (Avv.
Rao).
Matrimonio — Divorzio — Ricorso congiunto — Mancata
comparizione di uno dei coniugi — Irrilevanza (L. 1° di cembre 1970 n. 898, disciplina dei casi di scioglimento del
matrimonio, art. 4; 1. 6 marzo 1987 n. 74, nuove norme sulla
disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio, art. 8).
Nel procedimento camerale di divorzio congiunto, la mancata
comparizione di uno dei coniugi in camera di consiglio non
impedisce al tribunale di provvedere sulla domanda. (1)
Svolgimento del processo. — Con ricorso depositato in data
30 settembre 1997 i coniugi Scimone Luigi e Lo Monaco Gio
vanna Sebastiana, premesso di aver contratto, in data 26 gen naio 1980, matrimonio concordatario, dal quale non erano nati
figli; che, in accoglimento di ricorso ex art. 158 c.c. da entrambi
proposto, questo tribunale con decreto del 10 maggio 1993 ave
(1) Il tribunale messinese ha accolto la tesi di Cipriani, Sull'audizio ne dei coniugi nel procedimento camerale di divorzio, in Foro it., 1988, I, 2391. Nello stesso senso, in giurisprudenza, v. Trib. Potenza 28 feb braio 1996, id., Rep. 1996, voce Matrimonio, n. 129, e, per esteso, Giust. civ., 1996, I, 2709; Trib. Trani 8 ottobre 1996, Foro it., 1997, I, 3000, in motivazione. In dottrina, Saletti, Procedimento e sentenza di
divorzio, in Bonilini-Cattaneo, Il diritto di famiglia. I. Famiglia e
matrimonio, Torino, 1998, 608, in nota; A. Finocchiaro, Necessità della comparizione delle parti ed ammissibilità della rappresentanza volontaria nella domanda congiunta di divorzio, in Giust. civ., 1988, I, 1835. In senso contrario, ma limitatamente all'ipotesi di mancata com
parizione di uno dei coniugi senza giustificato motivo, Trib. Busto Ar
sizio 18 ottobre 1996, Foro it., 1997, I, 3000. Nel senso che nel proce dimento camerale di divorzio il coniuge impossibilitato a comparire
può farsi rappresentare da un procuratore speciale. Trib. Imperia 4 mar zo 1995, id., Rep. 1995, voce cit., n. 166, e, per esteso, Famiglia e dir., 1995, 473; nel senso che può chiedere al tribunale di essere autorizzato a farsi rappresentare, Trib. Verona 2 aprile 1988, Foro it., 1988, I, 2390, con la citata nota di Cipriani.
Il Foro Italiano — 2001.
va pronunziato la loro separazione personale; che non v'erano
beni da dividere né altri rapporti da regolare, ed era venuta defi
nitivamente meno ogni comunione di vita; ciò premesso, ai sen
si dell'art. 4, 13° comma, 1. 1° dicembre 1970 n. 898, congiun tamente adivano questo tribunale chiedendo dichiararsi la cessa
zione degli effetti civili del matrimonio, con ogni conseguen ziale pronuncia.
La causa veniva erroneamente iscritta nel ruolo generale co
me contenziosa, ed in analogo errore incorreva il presidente del
tribunale che fissava l'udienza per la comparizione dei coniugi innanzi a sé. A tale incombente, però, sebbene l'udienza fosse
reiteratamente rinviata onde ottenere la presenza di entrambi i
coniugi, si presentava il solo Scimone Luigi. Quindi il presi dente designava il g.i. davanti al quale rimetteva la causa per il
suo prosieguo (nell'implicito — ma erroneo — assunto che la
stessa dovesse svolgersi secondo le forme di un ordinario giudi zio contenzioso).
Alla prima udienza del 6 giugno 2000 l'istruttore designato, rilevato trattarsi di ricorso congiunto, rimetteva gli atti avanti il
collegio per una successiva udienza camerale, per la compari zione dei coniugi e per la trattazione del procedimento nelle
previste forme camerali.
A tale udienza, tuttavia, benché più volte differita proprio per consentire il pieno esperimento dell'incombente, compariva il
solo Scimone Luigi, peraltro egli stesso rappresentando di es
sersi, nelle more, stabilito in altro paese europeo e i notevoli
conseguenti disagi, anche economici, da affrontare per compari re avanti questo ufficio. Non compariva invece la moglie dello
stesso, residente in Como, ed il difensore dei ricorrenti rappre sentava l'inanità dei suoi tentativi di farla venire a Messina per l'incombente predetto. Lo stesso peraltro insisteva in domanda.
La causa veniva quindi posta in decisione.
Motivi della decisione. — L'unica questione che si pone nella
fattispecie in esame — ma preliminare e potenzialmente assor
bente — è se e quali effetti, sul piano processuale, debbano ri
connettersi alla mancata comparizione dei coniugi avanti il col
legio all'udienza fissata per la trattazione con rito camerale
della domanda congiunta di divorzio. Per quanto si riveli indif
ferente rispetto alle osservazioni che seguono, pare opportuno
precisare che, nel caso in esame, tale omissione investe sostan
zialmente la posizione di uno soltanto dei ricorrenti, la moglie, mai comparsa personalmente né davanti al presidente né davanti
al collegio. Ciò detto, deve subito avvertirsi che sulla questione del rilie
vo attribuibile alla mancata comparizione dei coniugi davanti al
collegio si registrano contrastanti indicazioni nella giurispru denza di merito, che appare in prevalenza orientata a farne con
seguire F improcedibilità della domanda (v. Trib. Busto Arsizio
18 ottobre 1996, Foro it., 1997, I, 3000; Trib. Imperia 4 marzo
1995, id., Rep. 1995, voce Matrimonio, n. 166; Trib. Verona 2
aprile 1988, id., 1988,1, 2390; contra, Trib. Potenza 28 febbraio
1996, id., Rep. 1996, voce cit., n. 129; Trib. Trani 8 ottobre
1996, id., 1997,1, 3000). Tale orientamento è stato però sottoposto ad attenta critica da
parte della dottrina, che propende al contrario verso la tesi —
che a questo collegio appare preferibile — secondo cui l'adem
pimento predetto costituisca un diritto dei coniugi, ma non an
che un onere idoneo a pregiudicare, ove non assolto, l'accogli mento della domanda nel caso in cui altrimenti, quest'ultima, ri
sulti comunque fondata.
Giova anzitutto premettere che non può revocarsi in dubbio
che abbia a configurarsi come ricorso congiunto quello che —
come nella specie —
venga redatto, sottoscritto e presentato, nell'interesse dei coniugi, dall'unico difensore degli stessi, in
quanto munito di valida procura contestualmente conferitagli a
margine del ricorso. Se infatti, come è stato acutamente osser
vato, nei processi civili di competenza dei tribunali (ivi compre si quelli camerali, se relativi a diritti soggettivi o status), le parti stanno in giudizio attraverso l'intermediazione obbligatoria di
un procuratore (art. 82, 3° comma, c.p.c.), allora anche nel pro cedimento camerale di divorzio il giudice, se vi è una regolare
procura, «non può neppure porsi il problema della rispondenza
degli atti del procuratore (qual è ... il ricorso congiunto) all'ef
fettiva volontà della parte o delle parti rappresentate»: il che
vale anche ad escludere che all'adempimento di cui si discute
(ossia, alla comparizione personale dei coniugi avanti il collegio
per essere «sentiti» ai sensi dell'art. 4, 13° comma, 1. div.) possa
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PARTE PRIMA 1764
assegnarsi la funzione «essenziale» (secondo Trib. Verona, cit.) di accertare «se la volontà trasfusa nel ricorso congiunto corri
sponda fedelmente alla volontà reale della parte». Ma nemmeno appaiono pertinenti o convincenti gli altri ar
gomenti posti a sostegno dell'opposta ricostruzione che vede
nella comparizione (effettiva) di entrambi i coniugi davanti al
collegio un adempimento indefettibile: si fa leva al riguardo sulle norme di cui agli art. 1 e 2 1. 898/70, nella parte in cui tut
tora subordinano la pronuncia del divorzio (anche) all'infruttuo
so esperimento del tentativo di conciliazione, nonché sulla pre visione di cui all'art. 4, 7° comma, che impone ai coniugi di
comparire personalmente davanti al presidente del tribunale, per la prima fase del giudizio ordinario di divorzio, «salvo gravi e
comprovati motivi». Sebbene si riconosca il diverso ambito di
disciplina delle norme suddette e la conseguente impossibilità di
una loro applicazione diretta al c.d. divorzio congiunto che di
spone di una propria e autosufficiente disciplina processuale
(che non contempla, letteralmente, un obbligo di comparizione, ma propone solo il laconico inciso «sentiti i coniugi»), si sostie
ne tuttavia che da esse sia traibile un «principio guida» valido a
orientare l'interpretazione dell'intero sistema normativo e in
particolare ad escludere che il procedimento camerale consenta
un «accertamento minore» (Trib. Busto Arsizio. cit.). È stato però condivisibilmente obiettato a tale ricostruzione
che in realtà il richiamo a dette norme è tutt'altro che decisivo,
proprio perché, per pacifica interpretazione, da esse non si trae
affatto che, ove la comparizione di entrambi i coniugi non abbia
luogo, il processo contenzioso di divorzio debba arrestarsi e non
possa giungere alla pronuncia richiesta, ciò potendo affermarsi
solo se non compare neppure il richiedente: in altre parole si
trae da quelle norme che è indefettibile non la comparizione di
entrambi i coniugi per il tentativo di conciliazione, ma «che sia
tenuta un'udienza in limine litis e che da questa non si passi a
quella davanti al g.i. se non quando (almeno) uno dei coniugi,
personalmente (o, in caso di gravi e comprovati motivi, a mezzo
del procuratore) l'abbia chiesto al presidente, rifiutando di ac
cedere all'invito a desistere». Se ne deve dedurre che «gli art. 1
e 2 1. 898/70, laddove subordinano la pronuncia del divorzio al
fallimento del tentativo di conciliazione, dicono sicuramente
troppo: e, se dicono troppo già a proposito del procedimento contenzioso (e cioè già quando, essendo il divorzio chiesto da
un solo coniuge, può aver senso sperare che l'altro non solo non
voglia il divorzio, ma voglia pure conciliarsi), a fortiori si deve
ritenere che il legislatore ... non fosse per coerenza tenuto a
prevederlo nei procedimento camerale, nel quale il divorzio è
chiesto da entrambi i coniugi, con conseguente ulteriore assotti
gliamento delle già solitamente inesistenti speranze di riconci
liazione».
Da tale rilievo e da quello altrettanto evidente della diversità
e autosufficienza delle discipline processuali specificamente de
dicate al procedimento speciale contenzioso di divorzio, discen
de anche che il richiamo analogico alla previsione di cui al 7°
comma, si rivela ingiustificato non solo su di un piano tecnico
giuridico (le «lacune» del procedimento di cui all'art. 4, 13°
comma, dovendo essere colmate anzitutto con la disciplina ge nerale dei procedimenti camerali — art. 737 ss. c.p.c.
— e quin di con le disposizioni generali del codice, mai invece con le
norme dettate per un altro procedimento speciale) ma anche su
di un piano pratico effettuale, atteso che, non essendo diversa
mente imposto, «i coniugi, se non vogliono comparire, possono ben farlo e non hanno bisogno di giustificare la loro assenza,
apparendo evidente che l'essenziale (al fine di evitare l'archi
viazione del ricorso e di indurre il tribunale a giudicare sulla
domanda) è che in camera di consiglio compaia il loro procura tore o almeno uno dei loro procuratori e che questi insista nella
domanda».
La forza persuasiva di tali considerazioni dottrinali, per ampi stralci riportate dalla loro fonte testuale, non sembra possa ri
sultare sminuita o contraddetta dall'osservazione che, così opi nando, si finisce con il configurare il divorzio come mero isti
tuto negoziale e privatistico, «espressione del consenso pura mente e semplicemente, senza rilievo alcuno per valori oggettivi e interessi indisponibili, sottesi all'istituto matrimoniale» (Trib. Busto Arsizio 18 ottobre 1996, cit.). L'obiezione è suggestiva ma è monca: essa infatti coglierebbe nel segno se il sistema
consentisse — sia detto per absurdum — un ruolo attivo del tri
bunale nella verifica degli intimi e reali intendimenti dei coniugi
Il Foro Italiano — 2001.
o quanto meno se il tentativo di conciliazione fosse previsto e
fornito di sanzione (cosa che, come s'è detto, non accade nem
meno per il procedimento contenzioso e a fortiori non può ac
cadere per quello camerale nascente dalla domanda congiunta, nel quale nemmeno esso è previsto: «'sentiti i coniugi' non si
gnifica 'dopo avere inutilmente tentato di conciliare i coniugi'»: concorda sul punto anche Trib. Imperia, cit.). Vero si è che la
natura costitutiva della pronuncia di divorzio sottende certa
mente una verifica del tribunale sulla sussistenza dei presuppo sti di proponibilità della domanda e del venir meno della comu
nione spirituale e materiale dei coniugi, ma nulla autorizza a ri
tenere che, nel caso di divorzio congiunto, il legislatore abbia
inteso tipizzare quale strumento indefettibile di tale verifica
l'esame personale dei coniugi. Soprattutto, una volta che in tal
senso si sia univocamente espressa la volontà di entrambi i co
niugi con il conferimento ad uno o più difensori (nella specie, ad un medesimo procuratore) dell'incarico di presentare ricorso
consensuale per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, nulla autorizza a interpretare il ruolo del collegio come finaliz
zato ad invitare al ripensamento o a mettere alla prova la serietà
e attendibilità di quella manifestazione. In tal senso tutt'altro
che casuale o suscettibile di integrazioni analogiche si rivela la
diversa disciplina del procedimento di divorzio su domanda
congiunta, laddove viene omessa la previsione del tentativo di
conciliazione: evidentemente, e del tutto comprensibilmente,
questo è reputato inutile in presenza di una domanda congiunta che già di per sé postula
— nella gran maggioranza dei casi —
una separazione protratta per almeno tre anni, ovvero altre cause
già di per sé ostative al costituirsi o permanere di una comunio
ne di vita. L'obiezione surriferita si rivela pertanto frutto d'illu
sione ottica, laddove intende valorizzare la comparizione perso nale delle parti come momento qualificante della pronuncia di
divorzio come sentenza costitutiva non conseguente alla mera
volontà delle parti: vero è infatti che il nostro ordinamento non
conosce un modello di «divorzio consensuale», fondato cioè sul
mero «mutuo consenso» dei coniugi, ma ciò dipende da norme
di carattere sostanziale e non da una poco plausibile enfatizza
zione dei poteri d'indagine o, per così dire, d'interdizione dia
lettica del collegio in sede di comparizione delle parti. In altre
parole, è ben vero che la legge non ritiene sufficiente la mera
volontà dei coniugi, ma richiede comunque — sia che tale vo
lontà provenga da uno soltanto o da entrambi i coniugi — la
sussistenza degli altri presupposti indicati negli art. 1, 2 e 3 1.
898/70, e ciò spiega perché, anche nel procedimento camerale, il tribunale non si limita ad «omologare» con decreto la concor
de volontà delle parti, ma è chiamato a decidere con sentenza,
vagliando presupposti processuali che non sono nella disponibi lità delle parti. Ma tutto ciò non significa che tale verifica non
possa avvenire anche prescindendo dalla personale comparizio ne dei coniugi davanti al collegio.
Può ben darsi che l'audizione delle parti si renda opportuna
perché il collegio evidenzi ai coniugi aspetti del regolamento da loro concordato, specie quanto all'affidamento di figli minori ed
al loro mantenimento, incompatibili con le prescrizioni di legge o potenzialmente contrastanti con il sopraordinato interesse dei
figli. Non potendosi pertanto ottenere, in ipotesi, per la mancata
comparizione dei coniugi, alcun concorde aggiustamento o mo
difica, è ovvio che il tribunale, venendo in rilievo aspetti del re
golamento sottratti al potere dispositivo delle parti, dovrà di
sporre per la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose, ai sensi dell'ultimo inciso del 13° comma dell'art. 4 1. cit. Ma
in tal caso, anzitutto, sul piano interpretativo non è affatto detto
che tale seguito debba riguardare anche la domanda principale di divorzio (ben potendo concepirsi una pronuncia non definiti
va sul punto, la determinazione, con separata ordinanza, di un
regolamento interinale riguardo ai figli e la fissazione di altra
udienza innanzi l'istruttore per la prosecuzione del giudizio, nelle forme contenziose, su tale residuo capo di domanda); co
munque sia, è però del tutto evidente che tale conseguenza non
deriverebbe dalla mancata comparizione dei coniugi in sé e per sé, ma dal fatto che non si è potuti giungere ad una correzione o
integrazione della domanda congiunta. Una siffatta complica zione nel caso in esame è comunque esclusa non avendo i co
niugi generato prole.
Analogamente è anche possibile che l'audizione dei coniugi risulti necessaria onde dirimere le lacune o i dubbi cui dia adito, con riferimento alla sussistenza dei presupposti dell'invocata
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
pronuncia, la prospettazione contenuta nel ricorso congiunto. Anche in siffatta ipotesi la mancata personale comparizione dei
coniugi può bensì determinare il rigetto della domanda ma ciò
non per mera automatica conseguenza di tale assenza, bensì
proprio in quanto la domanda iniziale di per sé non illustra o,
peggio ancora, lascia nel dubbio la sussistenza dei presupposti di legge e, come tale, in mancanza di successiva integrazione, non può essere accolta (è dunque in tal senso che va inteso
quanto statuito da Cass. 14 ottobre 1995, n. 10763, id., Rep. 1996, voce cit., n. 128, secondo cui la verifica richiesta nel
l'ambito del procedimento camerale ex art. 4, 13° comma, 1.
div. «non può esaurirsi in una mera presa d'atto di situazioni
evidenti o comunque inconfutabili e deve includere, in difetto di
disposizioni derogative, quei compiti d'indagine e di successivo
esame critico dei corrispondenti risultati che competono al giu dice anche nel rito in camera di consiglio, dopo l'esercizio, se
del caso, della facoltà di assumere informazioni (art. 738
c.p.c.)»; ciò in quanto «il diritto» dei coniugi di optare per il
procedimento camerale «non può essere sacrificato in base a
mere perplessità sulle loro dichiarazioni, senza il riconosci
mento del potere processuale di rappresentare e dimostrare al
giudice la realtà dei fatti allegati, perché ciò implicherebbe me
nomazione della difesa»: ciò non significa affatto che l'emer
genza, dal ricorso introduttivo e dagli atti allegati, di «situazioni
evidenti o comunque inconfutabili», non possa di per sé bastare
a consentire quella verifica che è richiesta al collegio e condurre
alla pronuncia pur in mancanza della successiva comparizione
personale — una volta che comunque l'udienza apposita sia
stata fissata e sia comparso anche solo il procuratore di uno o
entrambi i coniugi per insistere nella domanda — ma, ben di
versamente, significa solo che, ove tale situazione evidente e in
confutabile non emerga dalla domanda e dagli atti allegati, il
collegio non può giungere immediatamente al rigetto della do
manda — come aveva fatto il tribunale, e poi la corte d'appello, nella pronuncia in quella occasione cassata dalla Suprema corte — ma deve comunque fissare l'udienza camerale per la compa rizione dei coniugi e verificare la possibilità «di superare i dub
bi medesimi attraverso l'ascoltazione diretta dei richiedenti, ov
vero l'acquisizione di informazioni»). Potrebbe ancora obiettarsi che l'esame personale dei coniugi,
da parte del collegio, sia necessario per poter verificare la sussi
stenza del requisito di proponibilità della domanda dato dal
protrarsi della separazione per almeno tre anni. Anche sul punto
però l'obiezione si rivela affatto priva di forza logica se si con
sidera che a norma dell'art. 3, n. 2, lett. b) (cpv., ultimo inciso), l'eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta: con il che resta escluso che se la circo
stanza della continuazione ininterrotta della separazione è af
fermata da entrambi i coniugi nel ricorso da essi congiunta mente proposto e non è smentita in sede di comparizione perso nale (ma tale valenza processuale a fortiori può attribuirsi alla
mancata comparizione), il collegio possa non prenderne atto e
compiere verifiche istruttorie d'ufficio: l'unica verifica rima
nendo quella (cui però è necessaria e sufficiente la mera com
pulsazione degli atti) dell'esser maturati almeno tre anni dalla
data di comparizione delle parti avanti il presidente del tribunale
nella prima fase del pregresso procedimento di separazione. Del tutto condivisibile appare pertanto la conclusione che la
fissazione di un'udienza avanti il collegio perché i coniugi siano
«sentiti», ha lo scopo di conoscere se i coniugi intendano insi
stere nella domanda di divorzio (oltre che — ed è questo
l'aspetto che nell'esperienza si rivela di maggiore importanza
pratica — di proporre eventuali aggiustamenti o integrazioni del
regolamento accessorio, specie dei rapporti nei confronti dei fi
gli, che possano apparire non conformi alle previsioni di legge o
all'interesse sopraordinato di questi ultimi), nonché, ovviamen
te, di consentire agli stessi — se lo vogliono — di poter illustra
re o modificare o integrare le loro domande. Se così è non v'è
ragione perché tale conferma, ove uno o entrambi i coniugi non
possano o non vogliano intervenire personalmente, non possa
provenire anche dai rispettivi procuratori o dal procuratore co
mune, nulla invece autorizzando a richiedere imprescindibil mente una manifestazione diretta da parte dei coniugi, né tanto
meno a intendere la loro presenza come strumentale ad un'inda
gine, si direbbe, psicologica, da parte del collegio, circa le pro fonde motivazioni personali di quella manifestazione. Del resto,
vien fatto d'osservare che se scopo di tale esame deve essere la
Il Foro Italiano — 2001.
verifica della serietà della volontà dei coniugi di non voler più essere legati reciprocamente dal vincolo del matrimonio, quale altra conferma più manifesta potrebbe aversi di quella data da
una condotta talmente inerte e indifferente da disinteressarsi
persino della convocazione davanti al tribunale?
Sulla scorta di tali premesse deve dunque ritenersi che, nono
stante la mancata comparizione personale di uno dei coniugi da
vanti al collegio, la domanda congiunta inizialmente proposta, e
coltivata alle udienze susseguenti dal comune procuratore dei
ricorrenti, resti come tale soggetta al rito camerale e vada esa
minata nel merito.
E nel merito essa si appalesa supportata dai presupposti di
legge e deve essere accolta.
In mancanza di contraria indicazione, deve infatti ritenersi
che la separazione dei coniugi odierni istanti abbia continuato a
protrarsi ininterrottamente dopo la comparizione delle parti da
vanti al presidente per la prima fase del pregresso procedimento di separazione.
Il ricorso congiunto in esame è stato depositato più di tre anni
dopo quella udienza, tenutasi, secondo quanto attestato nel cen
nato decreto di omologazione della separazione consensuale, in
data 23 aprile 1993.
Il contegno anteatto dei ricorrenti, così come già accertato in
sede di separazione, e la proposizione di domanda congiunta ex
art. 4, 13° comma, 1. div. evidenziano l'impossibilità di una ri
costituzione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi. Sussistono pertanto i presupposti di cui agli art. 1 e 3, n. 2,
lett. b), 1. div., per l'emissione della chiesta pronuncia. In difetto di domanda o contestazione alcuna, ed anzi nella
dichiarata assenza di alcuna esigenza o rapporto da regolare, nessun provvedimento è da prendere, di carattere economico, in
favore dell'uno o dell'altro coniuge.
TRIBUNALE DI CAMPOBASSO; decreto 31 gennaio 2001; Pres. e rei. Russo; Soc. F.lli Branca distillerie e altra c. Soc.
Co.Mac.
TRIBUNALE DI CAMPOBASSO; i
Fallimento — Piccola società commerciale — Assoggettabili tà — Esclusione (Cod. civ., art. 2083, 2751 bis-, r.d. 16 marzo
1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 93; 1. 8 agosto 1985
n. 443, legge quadro per l'artigianato, art. 13).
Dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 1,
ultimo comma, l. fall., nella parte in cui escludeva dal falli mento il piccolo imprenditore soltanto qualora nell'impresa
fosse stato investito un capitale non superiore a lire nove
centomila, deve ritenersi che l'art. 1, ultimo comma, ultima
parte, sia stato interamente abrogato per la caducazione del
meccanismo delle presunzioni, sì che anche la piccola società
commerciale è esonerata dal fallimento. (1)
(1) La scelta di una corte di merito di esonerare dal fallimento una
piccola società commerciale — in quanto piccolo imprenditore — non
è un fatto nuovo. Nella motivazione del decreto si trovano ampie tracce
delle precedenti pronunce a partire da Trib. Milano 2 dicembre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 232; Trib. Trieste 25 novembre
1993, ibid., n. 233; Trib. Siena 16 ottobre 1993, id., 1993,1, 3389; Trib.
Barcellona Pozzo di Gotto 7 giugno 1994, id., Rep. 1995, voce cit., n.
236; Trib. Ravenna 18 settembre 1995, id.. Rep. 1996, voce cit., n. 216, sino a Trib. Verbania 3 luglio 1998, id., Rep. 1999, voce cit., n. 277.
La novità sta, invece, nel diverso approccio argomentativo. Infatti, mentre nelle pregresse decisioni i giudici avevano marcato la necessità
di adeguare lo status della piccola impresa commerciale societaria a
quello della piccola società artigiana, nel decreto in rassegna, preso atto
che il giudice delle leggi ha ritenuto attuale mantenere una distinzione fra società artigiane e società commerciali (cfr. Corte cost. 30 giugno 1994, n. 266, id., 1994,1, 2001, con nota di richiami) e che il giudice di
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