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Sentenza 5 gennaio 1962; Pres. Naso P. P., Est. Martirani; Sabatini (Avv. Ferrero) c. Amori,...

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Sentenza 5 gennaio 1962; Pres. Naso P. P., Est. Martirani; Sabatini (Avv. Ferrero) c. Amori, Battistelli e Galeotti (Avv. Clementi, Coli) Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 1 (1962), pp. 145/146-149/150 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151994 . Accessed: 24/06/2014 20:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.109.66 on Tue, 24 Jun 2014 20:16:03 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 5 gennaio 1962; Pres. Naso P. P., Est. Martirani; Sabatini (Avv. Ferrero) c. Amori,Battistelli e Galeotti (Avv. Clementi, Coli)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 1 (1962), pp. 145/146-149/150Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151994 .

Accessed: 24/06/2014 20:16

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145 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 146

oasi in cui, con registrazioni non veritiere di saldo, si siano volute frodare le ragioni dei creditori.

La decisione del Tribunale ha fatto, perciò, esatta appli cazione della legge, quando, accertato che l'acquirente non ignorava al momento dell'acquisto che il debito verso la

Tipografia non era stato saldato, ha negato validità alla

registrazione di saldo figurante nei libri ed ha, conseguente mente, affermato che anche di tale debito l'acquirente dell'azienda dovesse rispondere.

Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.

Sezione III civile ; sentenza 24 gennaio 1961, n. 102 ; Pres. Fresa P., Est. Pellettieri, P. M. Tavolaro

(conci, conf.) ; Paolillo (Avv. Cosenza) c. Napoli (Avv.

Cipollone).

(Conferma App. Roma 17 settembre 1958)

Obbligazioni e contratti — Contratto a favore di

terzo — Interesse dello stipulante — Estremi

(Cod. civ., art. 1411).

Perchè sussista il contratto a favore del temo, occorre che lo

stipulante, oltre ad obbligare nei suoi confronti il promit tente a favore del terzo, abbia un qualsiasi apprezzabile interesse a veder eseguita la prestazione al terzo. (1)

La Corte, ecc. — Con i primi due mezzi il ricorso ad

debita alla Corte di merito un duplice errore : 1) l'avere cioè

essa Corte « capovolto in tesi tutti i principi, che regolano il contratto a favore di terzo, secondo l'art. 1411 cod. civ. »,

(1) Conf. : App. Firenze 14 luglio 1960, Foro it., Rep. 1960, voce. Obbligazioni e contratti, u. 320; 18 ottobre 1958, n. 3332, id., Rep. 1958, voce cit., n. 306 ; Tiib. Roma 29 agosto 1958, ibid.., n. 274 ; Cass. 28 novembre 1958, n. 3808, ibid., n. 307 ; 30 luglio 1957, n. 3239, id., Rep. 1957, voce cit., n. 367 ; App. Torino 2 novembre 1956, ibid., n. 368 j App. Napoli 12 marzo

1956, id., Rep. 1956, voce cit., n. 410 ; App. Firenze 24 marzo

1956, ibid., n. 417 ; Cass. 24 ottobre 1956, n. 3869, ibid., n. 419 ; 26 maggio 1954, n. 1684, id., Rep. 1954, voce cit., n. 350 ; 18 maggio 1953, n. 1427, id., Rep. 1953, voce cit., nn. 364, 365 ; 5 luglio 1952, n. 2020, id., Rep. 1952, voce cit., n. 385 ; 28 agosto 1951, id., Rep. 1951, voce cit., n. 408 ; Trib. Bene

vento 10 ottobre 1950, ibid., n. 409 ; App. Milano 10 dicembre

1946, id., Rep. 1947, voce cit., nn. 275-277 ; Trib. Napoli 30 ottobre 1945, id., Rep. 1946, voce cit., nn. 113, 114 ; cui adde,

per riferimenti, Cass. 19 giugno 1945, id., 1944-46, I, 23.

Vedi, anche, in ordine alla differente struttura intersogget tiva e al diverso profilo funzionale tra il contratto per persona da nominare ed il contratto a favore di terzo, con riguardo alla

ipotesi in cui la prestazione a favore del terzo sia stata prevista in via alternativa o eventuale, Cass. 13 giugno 1959, n. 1807, id., 1960, I, 1387, con nota di Visalli.

Il contratto a favore di terzo, anche se importa una liberalità

per quest'ultimo, non richiede la forma prescritta per la dona

zione, costituendo la liberalità una conseguenza indiretta della

stipulazione : così App. Torino 6 maggio 1958, id., Rep. 1958, voce cit., n. 273 ; Cass. 21 aprile 1956, n. 1227, id., 1957,1,2040.

In dottrina, cons. Cariota Ferrara, Diritti potestativi, rappresentanza, contratto a favore di terzo, in Riv. dir. civ., 1960, I, 351 ; Gorla, Contratto a favore di terzi e nudo patto, id., 1959, I, 585 ; Legnani, In tema di contratti a favore di terzi, in Mon.

trib., 1959, 289 ; Rescigno, Accollo e contratto a favore di terzo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1955, 195 ; Santini, L'intenzione

delle parti netta stipulazione a favore di terzo, in Giur. it., 1953,

I, 1, 437 ; Frezza, Uno studio sui contratti a favore di terzi, in

Nuova riv. dir. comm., 1950, I, 12 ; Torrente, In tema di con

tratto a favore di terzi, in Giur. Cass. civ., 1945, vol. XVIII, 18 ; Giovene, Il contratto a favore di terzo, sub art. 1411, in Comm.

at cod. civ., diretto da D'Amelio e Finzi, Firenze, 1948, vol. I,

pag. 599 e seg. ; Messineo, Dottrina generale del contratto, Mi

lano, 1946, pag. 332 e seg. Per riferimenti, cons, anche Visaixi, Natura giuridica del contratto per persona da nominare, in Foro

it., 1960, I, 1388.

Il Foro Italiano — Volume LXXXV — Parte I-10.

e 2) l'avere poi fatto una erronea applicazione della norma suddetta al caso di specie.

Entrambe le censure sono destituite di fondamento. Per la configurazione invero, del contratto a favore di

terzo occorrono, com'è noto, un reus stipulcindi (a favore del

terzo) ed un reus promittendi, nel senso clie il primo intenda

obbligare verso di sè il secondo anche a favore del terzo : occorre cioè che, oltre il contratto legalmente concluso tra

stipulante e promittente, sussista il concomitante concorso

dell'interesse dello stipulante alle obbligazioni a favore del

terzo, ed è del pari noto che l'interesse dello stipulante, idoneo a legittimare il contratto a favore del terzo, va

inteso nel senso ampio di un qualsiasi interesse valu

tabile a vedere eseguita la prestazione a favore del terzo.

Ciò premesso, in tesi, va rilevato che, se è vero che nella

sentenza impugnata la Corte di merito non ha fatto un

richiamo esplicito e chiaro ai principi, testé enunciati, che

disciplinano la configurazione giuridica del contratto a

favore di terzo, detti principi non ha però in alcun modo

violato in concreto, posto che essa Corte, interpretando il contenuto della scrittura privata, invocata dall'odierno

ricorrente, ha negato in radice che con essa l'odierno resi

stente avesse assunto un qualsiasi obbligo di pagare « in

proprio » a favore di esso ricorrente i debiti, contratti dal

Machelli nella gestione del bar venduto alla Società « Em

mepio ». Una volta esclusa pertanto, con una indagine di

fatto, insindacabile in questa sede di mera legittimità, la

sussistenza dell'assunzione di un qualsiasi rapporto obbli

gatorio a favore del terzo (ricorrente odierno), esattamente

la Corte di merito ha ritenuto che il richiamo, fatto dal

ricorrente odierno all'art. 1411 cod. civ., fosse del tutto

inconferente.

Nè di certo può trovare accoglimento in questa sede

la doglianza del ricorrente in ordine alla interpretazione, che la Corte di merito ha dato al contenuto della scrittura

privata, posta a fondamento della sua domanda, dappoi ché detta interpretazione integra un apprezzamento di

fatto, che, essendo conforme a logica ed immune da errori

di diritto (errori che peraltro la stessa ricorrente non è

stata in grado di precisare), sfugge al sindacato di questo

supremo Collegio. I primi due mezzi di ricorso vanno pertanto disattesi.

(Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.

CORTE D'APPELLO DI PERUGIA.

Sentenza 5 gennaio 1962 ; Pres. Naso P. P., Est. Mabti

eani ; Sabatini (Avv. Ferrerò) c. Amori, Battistelli

e Galeotti (Avv. Clementi, Coli).

Esecuzione provvisoria — Sospensione disposta dal

l'istruttore di secondo <jrado — Efficacia retroat

tiva — Esclusione — Atti esecutivi anteriori —

Efficacia — Estremi — Fattispecie (Cod. proc. civ.,

art. 283, 352).

Gli atti del processo di esecuzione anteriori al provvedimento di sospensione della clausola di esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado, emanato dal consigliere istruttore della corte d'appello per motivi di opportunità, conservano efficacia sino alla definizione del giudizio di

secondo grado. (1)

(1) Nei precisi termini della massima non ci risultano prece denti. Con sent. 18 giugno 1960, n. 1616, Foro it., 1961, I, 2060, con nota di richiami, la Suprema corte ha ritenuto che il provve dimento di revoca della clausola di provvisoria esecuzione della

sentenza di primo grado, emanato dal presidente della corte d'ap

pello, conserva efficacia fino alla de finizione del giudizio di rinvio.

Per la retroattività (messa in rilievo nella motivazione d?lla

presente sentenza) del provvedimento di revoca della clausola

di provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado, emanato

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147 PARTE PRIMA 14S

La Corte, eco. — La questione sollevata dall'appellante nel giudizio d'opposizione all'esecuzione consiste nello sta bilire se la sospensione della provvisoria esecuzione, con cessa dal Tribunale di Lucerà, della sentenza di condanna in favore degli appellati, determini o meno l'invalidità ex tunc della clausola. E se, di conseguenza debbano con siderarsi nulli, ed eventualmente generatori di danni, gli atti esecutivi (pignoramento immobiliare, ricorso per ven

dita) compiuti prima del provvedimento di sospensione. Giova ricordare cbe l'istituto della provvisoria esecu

zione delle sentenze appellabili e della relativa inibitoria era regolato nell'abrogato codice di procedura dagli art. 363 e 484. Il primo di essi, a differenza delle norme di diritto comune e delle ordinanze francesi di provenienza, consen tiva al giudice di primo grado di concedere la clausola, fra

l'altro, ogniqualvolta nel suo prudente arbitrio trovasse

pericoloso il ritardo dell'esecuzione della sentenza (art. 363, n. 9).

La provvisoria esecuzione, cioè, poteva essere accor

data, oltre che nei casi tassativamente previsti, anche nel

l'ipotesi di pericolo per il creditore di eseguire in ritardo la sentenza. La norma del correlativo art. 484 concedeva

all'appellante il diritto di chiedere inibitoria all'autorità

giudiziaria di appello, quando l'esecuzione provvisoria fosse stata ordinata fuori dei casi ordinati dalla legge. Ma un'au torevole corrente dottrinaria, nonostante l'espressione let terale del testo legislativo, interpretò estensivamente detta

norma, nel senso che il giudice di appello, nell'accogliere l'istanza d'inibitoria, non dovesse limitarsi ad esaminare se il caso deciso rientrava in quelli enumerati dall'art. 363, ma potesse riesaminare l'opportunità della clausola senza limitazioni e con gli stessi poteri del giudice di primo grado.

Il codice di procedura vigente nell'art. 282 dispone che la sentenza appellabile può essere dichiarata provvisoria mente esecutiva tra le parti, oltre che nei casi obbligatori, se la domanda è fondata su atto pubblico, scrittura privata riconosciuta o sentenza passata in giudicato, oppure se v'è

pericolo nel ritardo. Nel successivo art. 283 viene offerta

all'appellante la facoltà di chiedere al giudice di appello l'esecuzione provvisoria non ottenuta dal giudice di primo grado, nonché la facoltà di chiedere la revoca della conces sione della clausola e la sospensione dell'esecuzione iniziata.

dal giudice d'appello, v. Pret. Torino 21 giugno 1957, id., Rep. 1957, voce Esecuzione provvisoria, n. 11.

Nel senso che, in sede di reclamo per provvisoria esecutorietà concessa o negata il giudice d'appello, possa sindacare anche l'op portunità del provvedimento e non soltanto la sua legittimità, v. Trib. Genova 6 giugno 1957, id., Rep. 1958, voce cit., nn. 9, 10 ; App. Torino 18 aprile 1947, id., Rep. 1947, voce cit., n. 17 ; Trib. Firenze 15 luglio 1947, id., 1947,1, 865, con nota di richiami, cui, adde, in senso contrario, App. Venezia 6 febbraio 1946, id., Rep. 1946, voce cit., n. 6 ; Trib. Caltanissetta 28 novembre 1941, id., Rep. 1942, voce cit., n. 17.

Secondo App. Napoli 23 dicembre 1942 (id., 1943, I, 761) il giudice d'appello, investito della istanza di revoca della esecu zione provvisoria concessa ad una sentenza parziale che dispone una provvisionale, deve valutare soltanto se ricorrevano parti colari motivi per rifiutare la esecuzione provvisoria, ma non può sindacare la legittimità della disposta provvisionale.

Per la improponibilità della richiesta di concessione, sospen sione o revoca della clausola di provvisoria esecuzione con atto successivo a quello di appello, anche nel caso in cui non siano decorsi i termini per l'impugnazione, v. Trib. Roma 21 luglio 1950, id., 1951, I, 1126, con nota di Elia; nonché, in senso sostanzialmente conforme, App. Roma 5 maggio 1956, id., 1957, I, 1733, che ha escluso la possibilità di proporre con atto suc cessivo la domanda di revoca dell'esecuzione provvisoria, omessa in appello.

Nel senso che, il compimento del processo esecutivo precluda la revoca o la sospensione in appello della clausola di provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado, v. App. Napoli 12 no vembre 1959, id., Rep. 1960, voce cit., n. 9 (pubblicataci extenso con nota di Franchi, in Giur. it., 1900, I, 2, 219) ; App. Roma 22 giugno 1956, Foro it., 1956, I, 1781, con nota di richiami.

In dottrina sull'esecuzione provvisoria, v., per tutti, An d ri oli, Commento, IIs, pag. 275 e segg. e 472 ; cui, adde, con par ticolare riferimento all'istituto dell'inibitoria, Brfnori, in Riv. dir. proc., 1956, I, 207.

L'art. 351 cod. proc. civ. stabilisce che sull'istanza di

concessione di revoca e di sospensione dell'esecuzione prov visoria provvede l'istruttore o, prima dell'udienza di com

parizione, il pretore o il presidente del tribunale.

Tanto premesso, sembra pacifico che per le vigenti di

sposizioni tanto il giudice di primo grado quanto il giudice di appello abbiano l'identico potere di concedere o negare la provvisoria esecuzione con criteri discrezionali, condi

zionati o meno a determinati requisiti. Come pure sembra

evidente che agli stessi criteri dovrà ispirarsi il giudice di

appello nel revocare o sospendere la clausola concessa dal

primo giudice. Il giudice di appello in questa ipotesi eser

cita un controllo pieno sul provvedimento cautelare di cui

si domanda l'inibitoria : di legittimità e di opportunità. Di legittimità, allo scopo d'accertare se il giudice di primo

grado ha concesso la provvisoria esecuzione in concorso

con i requisiti enumerati dalla legge (atto scritto, sentenza

passata in giudicato, condanna a provvisionale, od ali

menti) quando questi sono richiesti ; di opportunità, valu

tando la proporzione fra il danno che può risentire il vin

citore dalla ritardata esecuzione e il danno che può risen

tire il soccombente da un'esecuzione immediata. Se tale

sindacato porta all'accoglimento dell'istanza d'inibitoria, il

giudice d'appello emette un provvedimento, diretto sostan

zialmente ad impedire che la provvisoria esecuzione svolga i suoi effetti in pregiudizio del debitore. In proposito la

norma dell'abrogato codice (art. 484) si limitava a recitare che l'appellante poteva chiedere inibitorie, mentre le men

zionate norme vigenti stabiliscono che può chiedersi la

revoca e la sospensione della provvisoria esecuzione. In

particolare, nell'art. 351 si legge che la parte può chiedere la revoca dell'esecuzione provvisoria o la sospensione del

l'esecuzione iniziata e nell'art. 283 che si può chiedere la

revoca della concessione dell'esecuzione provvisoria e la

sospensione dell'esecuzione iniziata. Ciò sta a significare che, se l'esecuzione non è stata iniziata, il giudice d'appello applicherà la revoca della clausola, non potendosi sospen dere un'esecuzione ancora inesistente. Se, invece, l'esecu zione è stata iniziata con atti pregiudizievoli al debitore,

potrà ordinarsi la sospensione o la revoca. Con l'effetto nel primo caso, di fermare l'esecuzione iniziata senza dis

truggere quanto è stato eseguito e, nel secondo caso, di porre nel nulla l'esecutorietà derivante dalla clausola, con decorrenza ex tunc, e di fornire un titolo al debitore esecutato per ottenere la restituzione in pristino.

Il provvedimento sarà di sospensione, se fondato su motivi d'opportunità, ove il giudice d'appello non condivida il criterio discrezionale del giudice di primo grado per il danno rispettivo delle parti.

Sarà di revoca, se il giudice d'appello ritenga illegittima la provvisoria esecuzione in quanto concessa senza le pre scritte condizioni di legge (atto scritto, provvisionale, ali

menti, ecc.). Difatti, se il giudice di appello non ravvisa rispondente

a criteri d'opportunità la concessa clausola, non fa che

togliere efficacia ad un provvedimento preso legittima mente, che, pertanto, manterrà validi gli effetti raggiunti senza poterne produrre ulteriormente degli altri.

Se il giudice d'appello accerta, invece, che la provvi soria esecuzione è stata concessa in base a condizioni di

legge inesistenti, allora la revoca ex tunc determina l'an nullamento anche degli atti esecutivi già effettuati, trat tandosi di provvedimento viziato da illegittimità che non

poteva essere dato sin dall'origine o che non poteva espli care effetti validi.

Alla stregua di quello ch'è stato fin qui esposto, l'op posizione in oggetto proposta dal Sabatini appare desti tuita di fondamento, giacché l'inibitoria del Consigliere istruttore della Corte d'appello di Bari è consistita nella

sospensione e non nella revoca della provvisoria esecuzione concessa dal Tribunale di Lucerà.

Non v'è dubbio perciò che gli atti esecutivi, iniziati

dagli appellati (pignoramento immobiliare, ecc.), prima della

sospensione, debbono restare fermi ed efficaci fino all'esito del giudizio di merito pendente innanzi alla Corte compe tente.

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Clie l'inibitoria abbia avuto il contenuto sostanziale di

sospensione e non di revoca, come annullamento ex tunc della clausola impugnata risulta, oltre che dal significato lessicale del termine usato, dal rilievo clie nella specie non

poteva ricorrere l'illegittimità della clausola stessa. Eisulta, invero, che il Giudice di primo grado concesse la provvi soria esecuzione in base ad una specifica condizione di

legge e cioè alla prova scritta della domanda attrice. Prova scritta costituita dalla scrittura privata di subappalto fra

gli istanti e il convenuto e dal riconoscimento del debito, con lettera 6 dicembre 1955, da parte del Sabatini. (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI BARI.

Sentenza 16 marzo 1961 ; Pres. Chieppa P. P., Est. Ma rinaro ; Lasala c. Fallimento Lasala.

Fallimento — Coniuge fallito — Costituzione «li beni in patrimonio familiare — Atto a titolo gratuito — Inefficacia (R. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 64; cod. civ., art. 167, 168).

E priva di effetto rispetto ai creditori del coniuge poi fallito la costituzione di beni in patrimonio familiare, eseguita nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. (1)

La Corte, ecc. — Con l'unico motivo di appello Lasala Rosa censura la sentenza impugnata per avere il Tribunale escluso che la costituzione del patrimonio familiare sia un atto a titolo gratuito, compiuto dal marito in adempi mento di un dovere morale e quindi per avere accolto la domanda di inefficacia, ai sensi dell'art. 64legge fall., pro posta dal curatore del fallimento, domanda che andava, invece, respinta anche perchè la costituzione del patri monio familiare era stata attuata senza alcuna frode in danno dei creditori, in un momento in cui non esisteva ancora neppure uno solo dei debiti commerciali poi insi nuati nel fallimento.

La censura è giuridicamente infondata. A nulla giova, in

fatti, il rilievo dell'appellante che la costituzione del patri monio familiare sarebbe stata operata dal fallito senza alcuna frode in danno dei creditori, dato che, ai fini della propo nibilità della speciale azione consentita dall'art. 64 legge fall., non è affatto richiesta la frode dell'atto. Condizioni, invero, di ammissibilità di detta azione, la quale, è bene

precisare, si distingue dall'azione revocatoria fallimentare

regolata dall'art. 67 legge fall., sono soltanto che l'atto di disponibilità del patrimonio, posto in essere dall'im

prenditore dichiarato fallito, sia un atto a titolo gratuito e che detto atto sia stato compiuto dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. (Qualora, invece, nell'atto a titolo gratuito fosse presente anche la frode alle

ragioni dei creditori, in tale ipotesi, non l'azione prevista dall'art. 64, testé menzionata, sarebbe esperibile dal cura tore del fallimento, ma quella revocatoria ordinaria, si intende bene, purché ricorrano anche le altre condizioni di ammissibilità di questa azione, da proporsi dinanzi al tribunale fallimentare, giusta quanto dispone l'art. 66 legge fall.). E la ragione, per la quale ai fini dell'ammissibilità e proponibilità dell'azione prevista dall'art. 64 legge fall, non è richiesta la frode dell'atto, risulta chiara, quando si

considera la ratio di detta norma, con la quale il legislatore, nell'intento di regolare il conflitto di interessi fra i benefi

(1) Non risultano precedenti in termini. Per riferimenti, Torrente, La donazione, pag. 191, n. 63 ; G.

Tedeschi, Il regime patrim. della famiglia2, pag. 504 (se la costi tuzione di beni in patrimonio familiare è compiuta da uno solo dei coniugi, non implica trasferimento dei beni ; se il costituente intesta il patrimonio all'altro coniuge si ha trasferimento, ed il trasferente non è che un donante).

Per la nozione del dovere morale, come previsto dall'art. 64 della legge fallim., v. B. Biondi, in questa rivista, 1958, I, 1953.

ciari delle elargizioni compiute dal fallito, i quali eviden temente certant de lucro captando, ed i creditori dell'im

prenditore fallito, i quali, a loro volta, certant de damno

vitando, ha ritenuto degne di maggior tutela le ragioni di

questi ultimi ed a tal fine ha voluto colpire di inefficacia

gli atti a titolo gratuito compiili i dall'imprenditore, il quale, oberato di debiti, anziché doverosamente provvedere col suo patrimonio all'estinzione di questi, mercè elargizioni, cui non era affatto tenuto, abbia depauperato il suo patri monio con conseguente, inevitabile pregiudizio per i suoi

creditori.

Tuttavia, affinchè le esigenze della maggior tutela delle

ragioni dei creditori non determinassero, poi, un indiscri

minato sacrificio di situazioni giuridiche ormai consolidate dal tempo e pur esse degne di protezione, lo stesso 'legisla tore ha inteso porre alla sfera di applicabilità della sanzione

di inefficacia, stabilita dalla norma in esame, un limite

temporale di due anni antecedenti la dichiarazione di falli

mento, limite che ha lo scopo di salvare quelle situazioni

giuridiche sopra cerniate, che sarebbe una vera ingiustizia ove venissero travolte dal fallimento del loro autore.

Pertanto, poiché la norma dell'art. 64 legge fall, pre scinde da ogni intento fraudolento ed ha riguardo agli atti

a titolo gratuito oggettivamente considerati, a nulla rile

vano la dedotta assenza di frode e la dedotta mancanza di

obbligazioni all'epoca, in cui il fallito Lasala Giuseppe pose in essere il negozio giuridico, della cui efficacia rispetto al fallimento qui si discute.

Da ciò deriva che il campo dell'indagine va limitato

all'esame della natura della costituzione del patrimonio familiare, compiuta dal fallito, onde si possa stabilire se si tratti di atto a titolo oneroso ovvero di atto a titolo

gratuito ed in questa seconda ipotesi, se l'atto, pur risul tando compiuto dal fallito nei due anni antecedenti la

dichiarazione di fallimento, costituisca, tuttavia, uno di

quegli atti a titolo gratuito, che eccezionalmente dalla

stessa norma dell'art. 64 legge fall, sono esclusi dalla decla

ratoria di inefficacia per essere stati posti in essere dal

fallito in adempimento di un dovere morale, come sostiene anche in questa sede l'appellante. La quale in sostanza non contesta la gratuità della costituzione di patrimonio familiare ritenuta dai primi Giudici, ma si duole soltanto, come si è accennato, che il Tribunale abbia escluso che

detta costituzione di patrimonio familiare sia stata com

piuta dal fallito in adempimento di un dovere morale. E che la costituzione di patrimonio familiare sia atto

a titolo gratuito neppure la Corte dubita, considerando

che nella categoria degli atti di destinazione a titolo gra tuito, mercè i quali il disponente destina, nullo cogente iure e senza corrispettivo, la proprietà o il godimento di

beni propri ad uno scopo di liberalità, deve inquadrarsi anche la costituzione di patrimonio familiare, la quale è

atto a titolo gratuito, non solo quando è fatta da un terzo

allo scopo di avvantaggiare uno o entrambi i coniugi, i

quali acquistano la proprietà dei beni loro attribuiti dal

costituente (art. 168 cod. civ.), ma anche nel caso, in cui è posta in essere da uno o da entrambi i coniugi stessi, perchè, come è stato acutamente osservato, anche in questo caso vi è, da parte del disponente, una privazione, senza

corrispettivo e quindi gratuita, se non della proprietà dei

beni, del godimento esclusivo dei frutti, i quali in tal guisa

vengono destinati a vantaggio della famiglia con un vin

colo molto simile a quello dell'istituto della dote (art. 167, 2° comma, cod. civile).

Tuttavia, quella che la Corte non può approvare è la

tesi dell'atto a titolo gratuito compiuto in adempimento di un dovere morale, che la Lasala torna a sostenere in

questo grado e sulla quale i primi Giudici sorvolarono,

limitandosi ad affermare solo « di passata », come essi stessi

dissero, e addirittura apoditticamente, che la costituzione

di patrimonio familiare posta in essere dal fallito non è

donazione remuneratoria.

All'uopo il Collegio osserva che nel caso in esame non

può ravvisarsi una ipotesi di atto a titolo gratuito com

piuto in adempimento di un dovere morale per l'assorbente

ragione che, nel caso della costituzione di patrimonio fami

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