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sentenza 6 aprile 1995, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 12 aprile 1995, n. 15); Pres....

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sentenza 6 aprile 1995, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 12 aprile 1995, n. 15); Pres. Baldassarre, Est. Granata; Fall. soc. Codelfa (Avv. Catarisano) c. Soc. Gavardo Officine; Soc. Sogefan c. Fall. soc. Codelfa; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. Milano 21 aprile e 19 maggio 1994 (G.U., 1 a s.s., nn. 42 e 47 del 1994) Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 5 (MAGGIO 1995), pp. 1405/1406-1407/1408 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23189958 . Accessed: 24/06/2014 22:34 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.229.210 on Tue, 24 Jun 2014 22:34:09 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Page 1: sentenza 6 aprile 1995, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 12 aprile 1995, n. 15); Pres. Baldassarre, Est. Granata; Fall. soc. Codelfa (Avv. Catarisano) c. Soc. Gavardo

sentenza 6 aprile 1995, n. 110 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 12 aprile 1995, n. 15); Pres.Baldassarre, Est. Granata; Fall. soc. Codelfa (Avv. Catarisano) c. Soc. Gavardo Officine; Soc.Sogefan c. Fall. soc. Codelfa; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. Milano 21 aprile e 19maggio 1994 (G.U., 1 a s.s., nn. 42 e 47 del 1994)Source: Il Foro Italiano, Vol. 118, No. 5 (MAGGIO 1995), pp. 1405/1406-1407/1408Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189958 .

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

disciplina della campagna referendaria — a ledere la sfera di

attribuzioni dei ricorrenti.

Per questi motivi, la Corte costituzionale riservato ogni defi

nitivo giudizio, dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 1. 11 marzo 1953

n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto nei con

fronti del governo della repubblica, in persona del presidente del consiglio dei ministri, dai promotori e presentatori dei refe

rendum in materia di commercio, di elezioni comunali e di con

tributi sindacali, ammessi con le sentenze di questa corte nn.

3, 4, 10 e 13 del 1995; dispone che la cancelleria della corte dia immediata comuni

cazione della presente ordinanza ai ricorrenti, quali promotori e presentatori dei referendum in questione, e che, a cura degli stessi ricorrenti, il ricorso e la presente ordinanza siano notifi

cati al governo della repubblica, in persona del presidente del

consiglio dei ministri, entro il termine di dieci giorni dalla co municazione.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 6 aprile 1995, n. 110 0Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 aprile 1995, n. 15); Pres. Baldassarre, Est. Granata; Fall. soc. Codelfa (Aw.

Catarisano) c. Soc. Gavardo Officine; Soc. Sogefan c. Fall,

soc. Codelfa; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Milano

21 aprile e 19 maggio 1994 (G.U., la s.s., nn. 42 e 47 del 1994).

Fallimento — Azione revocatoria — Precedente amministrazio

ne controllata — Periodo sospetto — Decorrenza — Questio

ne infondata di costituzionalità (Cost., art. 3, 24, 41; r.d.

16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 67).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 67 l. fall., interpretato nel senso che nell'ipotesi di consecu

zione di procedura fra amministrazione controllata e fallimento

i termini a ritroso per l'esperimento delle azioni revocatone

decorrono dalla prima procedura, in riferimento agli art. 3,

24 e 41 Cost. (1)

(1) Con mirabile prontezza il giudice delle leggi interviene sulla que stione sollevata dal Tribunale di Milano (con due ordinanze pubblicate per esteso anche in Fallimento, 1995, 210, con le date del 29 luglio 1994 e 23 settembre 1994, con nota contraria di Panzani, Legittimità costituzionale della retrodatazione del periodo sospetto), dichiarando

infondati tutti e tre i profili di legittimità costituzionale denunciati. La

corte dà cosi il proprio avallo all'orientamento monolitico della Cassa

zione che fa retroagire al decreto di ammissione alla amministrazione

controllata gli effetti del fallimento ai fini del promovimento delle azio

ni revocatone, confermando che l'indirizzo dei giudici di legittimità è

cosi costante da poter essere considerato vero diritto vivente (su tale

aspetto, vedi, da ultimo, Pugiotto, La problematica del «diritto viven

te» nella giurisprudenza costituzionale del 1994: uso e matrici, in Foro

it., 1995, I, 474). Vi è peraltro un passo nella motivazione che merita

di essere valutato con particolare attenzione, laddove la corte per miti

gare gli effetti meno apprezzabili della consolidata giurisprudenza del

Supremo collegio richiama il fatto che la scientia decoctionis del conve

nuto va intesa come conoscenza della «situazione di irreversibile disse

sto del debitore poi fallito» e deve essere provata con riferimento a

ciascuna singola posizione senza che il decreto di ammissione possa as

sumere alcun valore presuntivo. Non è però chiaro se ciò debba essere

inteso nel senso che quando c'è una successione-consecuzione di proce dure l'attore debba provare che il convenuto era a conoscenza dell'esito

verosimilmente infausto della procedura di amministrazione controlla

ta, ovvero se con quella affermazione si voglia limitare il campo di

intervento della prova presuntiva che in subiecta materia è certamente

la prova regina. Poiché nella motivazione si riconosce ancora la valenza

li Foro Italiano — 1995.

Diritto. — 1. - Nel fissare il limite temporale (biennale-annuale) per l'esercizio dell'azione revocatoria in relazione a determinati

atti compiuti dal fallito nel c.d. periodo sospetto e suscettibili,

per ciò, di ledere la par condicio creditorum, l'art. 67 r.d. 16

marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato

preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazio ne coatta amministrativa), come sopra impugnato, individua nella

«dichiarazione di fallimento» il momento iniziale per il compu to, a ritroso, del periodo suddetto.

La norma — riferita all'ipotesi, in sé, del fallimento — non

contempla anche la più articolata (ma fattualmente non infre

quente) variante procedimentale del fallimento consecutivo a pre cedente amministrazione controllata dell'impresa e quindi non

specifica se, in tale evenienza, il dies a quo dei termini in que stione sia identicamente rappresentato dalla dichiarazione di fal

limento ovvero vada a coincidere con la data stessa di ammis

sione alla procedura minore.

1.1. - Le due soluzioni interpretative sono state come è noto, con varietà di argomentazioni, prospettate entrambe in dottrina

e giurisprudenza. La Corte di cassazione ha da tempo, peraltro, fermamente,

e senza oscillazione alcuna, aderito alla tesi della retrodatazione

del termine di esercizio della revocatoria in caso di consecuzio

ne di procedure.

E, ai fini di tale opzione interpretativa, ha dato preminente rilievo alla ritenuta sostanziale affinità, sia strutturale che fun

zionale, ed alla conseguente complementarità, delle due men

zionate procedure: tra l'altro anche osservando che la tutela

degli interessi dei creditori verrebbe irrimediabilmente elusa se

si negasse il principio della consecuzione, in quanto non sareb

be mai possibile esperire azioni revocatone nel successivo falli

mento, attesa la durata biennale della amministrazione con

trollata.

A questo indirizzo non si è invece uniformata una parte, mi

noritaria, dei giudici di merito (oltre che della dottrina) i quali, alle argomentazioni del giudice della nomofilachia, hanno op

posto la mancanza di base testuale del principio della consecu

zione delle procedure, la non identità di ratio e degli obiettivi

rispettivi, e soprattutto la asserita concettuale diversità della «tem

poranea difficoltà», che giustifica l'amministrazione controlla

ta, rispetto alla «insolvenza», che conduce al fallimento, conte

stando l'assimilabilità della prima alla seconda situazione agli effetti della pretesa esegesi estensiva della norma in esame.

Peraltro, nel rimeditare anche recentissimamente il proprio orientamento alla luce di queste critiche, la Corte di cassazione

ha continuato a ribadirlo, a sua volta replicando che proprio

le rilevate carenze normative in tema di consecuzione di proce

dure postulano la necessità di far capo ai principi generali della

legge fallimentare per una ricostruzione sistematica della mate

ria; e ancora argomentando che «insolvenza» e «temporanea difficoltà» sono nozioni che divergono solo per l'aspetto quan

titativo, posto che anche la «temporanea difficoltà» è qualitati

vamente «insolvenza» (in quanto coincidente con la incapacità

dell'impresa di far fronte regolarmente alle proprie obbligazio

ni) e da essa si discosta solo perché inerente ad una crisi pro

gnosticata come reversibile; e, comunque, che, una volta suben

trato il fallimento, ne risulterebbe con ciò dimostrata, ora per

allora, la non reversibilità della crisi.

2. - Da questa consolidata e ferma esegesi dell'art. 67 1. fall,

da parte della corte regolatrice, prende ora le mosse il tribunale

rimettente, prospettandone il contrasto con gli art. 3, 24 e 41

Cost., per quanto la norma, cosi interpretata, rispettivamente:

a) «tratta in modo eguale situazioni diseguali»;

b) «non consente di fatto al convenuto in revocatoria di ec

cepire la propria inscientia decoctionis»;

c) «implica una limitazione della libertà di azione economica». 2.1.- Preliminarmente riuniti, per l'identità della norma cen

delle ordinarie prove presuntive sul piano della dimostrazione della scientia

decoctionis, sembrerebbe allora che la soluzione adottata dalla corte

rappresenti quasi una via mediana fra l'interpretazione prevalente a quella dei giudici milanesi; interpretazione mediana che si può leggere in fili

grana già in Trib. Milano 16 marzo 1993, id., 1994, I, 1808.

Per una panoramica sulla questione si rinvia a Fabiani, Consecuzio

ne di procedure concorsuali e revocatoria fallimentare: perché non chie

dere l'intervento della Corte costituzionale?, ibid. [M. Fabiani]

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1407 PARTE PRIMA 1408

surata, i giudizi relativi alle due ordinanze di rinvio, va respinta in limine l'eccezione di inammissibilità di entrambe le impugna tive, formulata dall'avvocatura, poiché ciò che — come più volte

puntualizzato — non può richiedersi, attraverso il giudizio inci

dentale di legittimità costituzionale, è una sorta di «revisione

in grado ulteriore dell'interpretazione offerta dalla Cassazione»

(sentenze nn. 271 del 1991, Foro it., 1991,1, 2659; 456 del 1989,

id., 1990, I, 18; ord. n. 410 del 1994, id., 1995, I, 473), «attri buendo a questa corte un ruolo di giudice della impugnazione che non le compete» (ord. n. 44 del 1994); mentre quando —

come nella specie — il giudice a quo assuma tale interpretazio ne in termini di «diritto vivente», allora è «consentito richiede

re l'intervento di questa corte affinché controlli la compatibilità dell'indirizzo consolidato con i principi costituzionali» (senten za n. 456 del 1989, cit.).

Il che è quanto appunto ora sollecita il giudice a quo. 3. - Nel merito la questione è sotto ogni profilo infondata.

3.1. - Non sussiste, in primo luogo, l'ipotizzata violazione

del precetto dell'eguaglianza.

L'equiparazione delle due vicende procedurali (del fallimento

e dell'amministrazione controllata sfociata nel fallimento), sot

tesa all'interpretazione estensiva dell'art. 67 1. fall, che qui si

censura, è, come si è detto, alternativamente argomentata —

nella giurisprudenza dominante che cosi individua la «norma

applicata» dedotta come oggetto del richiesto scrutinio di costi

tuzionalità — in ragione ora della ritenuta definitività anche

della insolvenza che è alla base della procedura minore, come

comprovata, ex post, dalla sopravvenienza del fallimento (im

plicante l'erroneità della più favorevole prognosi formulata ex

ante), ora, invece, sulla base della sostanziale identità dei due

fenomeni, da un lato, della «temporanea difficoltà» di cui al

l'art. 187 1. fall, e, dall'altro, della «insolvenza» di cui all'art.

5 stessa legge, tra loro varianti solo per un connotato di gravità. Ai fini dello scrutinio di costituzionalità non occorre peraltro

esprimere una opzione tra tali due linee interpretative, essendo

sufficiente rilevare che — anche alla stregua della seconda im

postazione — le situazioni comparate presentano comunque un

innegabile nucleo fondamentale comune.

Su una tale identità di fondo dei due fenomeni — che trova, tra l'altro, testuali riscontri nelle norme (art. 188, 173, 192, 1.

fall.) che disciplinano lo sbocco automatico dell'amministrazio

ne controllata nel fallimento — finisce, del resto, con il conve

nire lo stesso tribunale a quo nel punto in cui risolve la pretesa diversità «ontologica» del presupposto delle due procedure nel

la «dicotomia insolvenza sanabile/insanabile», dove ciò che va

ria è la prognosi, mentre identica nella sua essenza è la patolo

gia dell'impresa che ne è alla base.

È proprio l'esistenza di tale decisivo denominatore comune

delle situazioni in comparazione ne rende non irragionevole l'e

quiparazione agli effetti indicati; dal che l'inconsistenza del dub

bio di violazione dell'art. 3 Cost.

3.2. - Del pari va esclusa la violazione dell'art. 24 Cost.

Al riguardo il tribunale, anche se in modo non compiutamen te esplicito ma del tutto univoco, ricollega la paventata limita zione del diritto di difesa ad una asserita presunzione assoluta

di (iniziale) insolvenza conseguente alla (successiva) declaratoria

di fallimento, presunzione che impedirebbe al percipiente di pro vare la propria inscientia decoctionis a fronte di elementi che

il tribunale e gli organi della procedura avevano (in precedenza, al momento della ammissione alla amministrazione controllata) valutato come prova della sussistenza di una semplice tempora nea difficoltà di adempiere.

Ma di tale prospettazione va corretta, perché erronea, la pre messa in quanto la riferita presunzione riguarda soltanto il pro filo oggettivo del presupposto della revocatoria, cioè la sussi

stenza dello stato di insolvenza durante il c.d. «periodo sospet to». Invece, quanto al profilo soggettivo, la norma, della cui

legittimità si dubita, è dalla Corte di cassazione stessa applicata

(cfr. Cass. 2579/72, id., 1973, I, 73; 1938/72, ibid.-, 10353/93, id., 1994,1, 1807) nel senso di ritenere necessario che sia forni

ta al giudice di merito la certezza della consapevolezza o della

non consapevolezza — secondo la diversa collocazione del rela

tivo onere probatorio ex art. 67, 1° e 2° comma — in cui il

creditore versava circa «lo stato di insolvenza», inteso come

«la situazione di irreversibile dissesto» del debitore poi fallito

al momento dell'atto oggetto di revocatoria, senza che alcun

elemento presuntivo, in una o in altra direzione, possa legitti

II Foro Italiano — 1995.

mamente ricollegarsi alla prognosi espressa dal tribunale nel de

creto di ammissione alla procedura concorsuale minore, doven

dosi invece fare capo agli elementi di valutazione, conosciuti

o conoscibili, a disposizione personalmente del creditore benefi

ciario dell'atto revocando nel momento in cui — si ripete —

questo è stato posto in essere.

Con il che rimane superato ogni dubbio sul compiuto dispie

garsi, in materia, del diritto di difesa del convenuto in revo

catoria.

3.3. - Infondato è, infine, anche il profilo di adombrata vio

lazione dell'art. 41 Cost.

Invero — escluso, per le ragioni prima esposte, che sia irra

gionevole fare retroagire alla data di apertura dell'amministra

zione controllata, ai fini del computo dei termini revocatori,

gli effetti della dichiarazione di fallimento — la lamentata inci denza negativa sull'efficienza del mercato, che per la ipotizzata

compressione della libertà di scelta dei consociati deriverebbe

dalla presenza nell'ordinamento della regola giuridica denuncia

ta, rientra comunque nel bilanciamento — non irragionevolmente

operato dal legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità —

con la utilità sociale correlata alla esigenza di un sano e corretto

funzionamento del mercato e con la parità di trattamento tra

tutti i creditori in presenza della crisi dell'impresa debitrice.

Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale

dell'art. 67 r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e

della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento

agli art. 3, 24 e 41 Cost., dal Tribunale di Milano, con le ordi

nanze in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 30 marzo 1995, n. 95

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 5 aprile 1995, n. 14); Pres. Baldassarre, Est. Cheli; Rigoni, Unione italiana asso

ciazioni venatorie, Federazione italiana della caccia; interv.

Pres. cons, ministri. Ord. G.i.p. Pret. Bassano del Grappa 18 marzo 1994 (G.U., la s.s., n. 22 del 1994).

Caccia e protezione della fauna — Uso dei cani — Divieto —

Sanzione penale — Questione manifestamente infondata di

costituzionalità (Cost., art. 3, 25; 1. 11 febbraio 1992 n. 157, norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e

per il prelievo venatorio, art. 13, 30; 1. reg. Veneto 9 dicem

bre 1993 n. 50, norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio, art. 14).

È manifestamente infondata, in quanto ictu oculi priva di qual siasi fondamento, la questione di legittimità costituzionale degli art. 13 e 30, 1" comma, lett. h, l. 11 febbraio 1992 n. 157, nella parte in cui vieterebbero e sanzionerebbero penalmente l'uso dei cani nell'esercizio della caccia, in riferimento agli art. 3 e 25, 2° comma, Cost. (1)

(1) La corte ricava la palese infondatezza del presupposto sul quale si fonda la eccezione di costituzionalità dalla stessa 1. 157/92, che al l'art. 10, 8° comma, parla di addestramento ed allevamento dei cani

per la caccia, all'art. 21, lett. /, vieta l'uso dei segugi, ma solo per la caccia al camoscio, all'art. 28, 2° comma, esclude, in caso di condot ta penalmente rilevante, il sequestro del cane, nonché dall'art. 14, 2°

comma, 1. reg. Veneto 9 dicembre 1993 n. 50, il quale prevede che il cacciatore può servirsi come ausili dei cani.

Per la infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale di leg gi regionali le quali prevedono sanzioni amministrative per l'allevamen to o l'addestramento di cani da caccia al di fuori dai tempi del calenda rio venatorio oppure in ambiti protetti, v. Corte cost. 23 luglio 1991,

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