sentenza 6 dicembre 2000, n. 549 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 13 dicembre 2000, n.51); Pres. Santosuosso, Est. Marini; Foi, Segato. Ord. Trib. Udine 6 aprile 2000 (due) (G.U., 1 as.s., n. 28 del 2000)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 5 (MAGGIO 2001), pp. 1459/1460-1461/1462Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196158 .
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1459 PARTE PRIMA 1460
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 6 dicembre 2000, n. 549 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 13 dicembre 2000, n. 51); Pres. Santosuosso, Est. Marini; Foi, Segato. Ord.
Trib. Udine 6 aprile 2000 (due) (G.U., la s.s., n. 28 del 2000).
Fallimento — Riabilitazione civile — Termine quinquennale di buona condotta — Decorrenza — Questione infondata
di costituzionalità (Cost., art. 3, 4, 41; r.d. 16 marzo 1942 n.
267, disciplina del fallimento, art. 143).
E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
143, n. 3, l. fall., nella parte in cui prevede che il termine
quinquennale di buona condotta per la riabilitazione civile
del fallito decorre dalla data di chiusura piuttosto che dalla
data di dichiarazione di fallimento, in riferimento agli art. 3, 4 e 41 Cost. (1)
(1) Il giudice rimettente ha dubitato della costituzionalità dell'art. 143 1. fall, sotto il profilo della irragionevole durata dell'attesa cui il fallito è tenuto per ottenere la riabilitazione civile nell'ipotesi di cui al n. 3 di tale disposizione. L'ordinanza, pur non richiamandola, si ispira a Commiss, europea diritti dell'uomo 26 giugno 1996, Foro it., Rep. 1997, voce Diritti politici e civili, n. 53 {per extenso, Fallimento, 1997,
1162, con nota di Genovese) per la quale la mancata concessione della riabilitazione civile, protraendo lo stato di incapacità personale del fal
lito, costituisce un'ingerenza dello Stato nel diritto al rispetto della vita
privata e della corrispondenza garantito dall'art. 8, par. 1, della con venzione europea dei diritti dell'uomo, salvo che tale ingerenza a) sia
prevista da una legge; b) la legge sia ispirata a un fine legittimo; c) sia necessaria in una società democratica per raggiungere tale fine. Il giu dice delle leggi ha chiaramente affermato che la norma non è affetta da
irrazionalità, né è intrisa di effetti vessatori sia perché la chiusura del fallimento rileva come circostanza premiale sia perché anche durante il fallimento il debitore può svolgere attività lavorativa e persino attività
d'impresa. Per questa seconda parte la decisione appare convincente, anche se
scarna nella motivazione, in quanto evoca il diritto vivente per il quale la dichiarazione di fallimento non determina l'incapacità civile del fal
lito, né esclude che il debitore possa intraprendere una nuova attività
d'impresa (Cass. 16 maggio 1997, n. 4345, Foro it., Rep. 1998, voce
Fallimento, n. 360; 9 luglio 1994, n. 6517, id., Rep. 1995, voce cit., n.
350; 10 dicembre 1993, n. 12159, id., Rep. 1994, voce cit., n. 326; Trib.
Napoli 22 maggio 1997, id., Rep. 1998, voce cit., n. 364; Trib. Bologna 6 ottobre 1992, id., Rep. 1995, voce cit., n. 694; Tar Sicilia, sez. II, 10
luglio 1991, n. 412, id., Rep. 1992, voce Pubblica sicurezza, n. 12). In
dottrina, sulla capacità negoziale del fallito con particolare riguardo al tema dell'efficacia dei pagamenti eseguiti a favore della banca nel contesto di una nuova attività imprenditoriale, Barbiani, Riflessioni sulla c.d. capacità commerciale del fallito, in Dir. fallim., Ì994, II, 1178; Bontempi, Nuova attività d'impresa del fallito ed appropriabilità da parte della procedura dei risultati versati su un conto corrente, in Nuova giur. civ., 1994, I, 643; Giacalone, Nuova attività di impresa e sorte delle poste del c/c aperto dal fallito, in Fallimento, 1994, 398; Lo
Cascio, Ancora sul conto corrente bancario intrattenuto dal fallito per l'esercizio di una nuova attività d'impresa, in Giust. civ., 1994, I, 668; Russo, Il conto corrente del fallito nel quadro della sua capacità giuri dica, in Fallimento, 1988, 783. Sulla capacità del fallito di esercitare una nuova attività d'impresa, de Ferra, Manuale di diritto fallimenta re, Milano, 1998, 97; Costa, Gli effetti del fallimento sul fallito, in Le
procedure concorsuali. Il fallimento, trattato a cura di G. Ragusa Mag giore e C. Costa, Torino, 1997, II, 7; Lo Cascio, Il fallimento e le altre
procedure concorsuali, Milano, 1995; Vassalli, Diritto fallimentare, Torino, 1994, I, 253; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, 142; Ferrara, Il fallimento, Milano, 1989 (il quale peraltro esclude che il fallito possa profittare dei proventi della nuova attività); Bonsignori, Il
fallimento, in Trattato dir. comm. e dir. pubbl. econ. diretto da Galga
no, Padova, 1986, IX, 332; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1986, 278; Piras, Fallimento in pendenza di fallimento?, in Giur. comm., 1975, I, 76; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, II, 777; De Semo, Diritto fallimentare, Padova, 1968, 218; Andrioli, Fallimento (dir. priv. e proc.), voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1967, XVI, 406; Guglielmucci, Nuova dichiarazio ne di sopravvenuto fallimento in pendenza dì fallimento precedente, in Riv. dir. comm., 1961,1, 193; contra, invece, Scalfì, Impresa esercitata dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, in Dir. fallim., 1967, I, 223; Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 1961, 552; Candian, Impossibilità di nuova impresa in costanza di fal limento, in Dir. fallim., 1958, II, 119.
Come corollario si può ricordare che secondo Cass. 27 novembre
1998, Leo, Foro it., Rep. 1999, voce Amnistia, n. 13, la norma della
legge fallimentare che spossessa il fallito dell'amministrazione e della
disponibilità dei suoi beni, per trasferirla agli organi della procedura fallimentare, non è affatto irragionevole, ma configura una naturale
Il Foro Italiano — 2001.
Diritto. — 1. - Con le due ordinanze in epigrafe il Tribunale
di Udine ha sollevato, in riferimento agli art. 3, 4 e 41 Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell'art. 143, n. 3, r.d. 16
marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato
preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazio ne coatta amministrativa), nella parte in cui prevede che il ter
mine quinquennale di buona condotta per la riabilitazione civile
del fallito decorra dalla data di chiusura piuttosto che dalla data
della dichiarazione di fallimento.
Ad avviso del rimettente, la norma sarebbe irrazionalmente
lesiva del diritto del fallito di svolgere attività lavorativa, ed in
particolare attività di impresa, ed inoltre determinerebbe una in
giustificata disparità di trattamento tra falliti in conseguenza del
dato accidentale rappresentato dalla durata della procedura. 2. - I due giudizi, avendo ad oggetto la medesima questione,
vanno preliminarmente riuniti per essere decisi con unica sen
tenza.
3. - Nel merito, la questione non è fondata.
3.1. - Quanto al primo dei profili di illegittimità co stituzionale denunciati, rappresentato dall'asserita lesione del
diritto al lavoro e della libertà di iniziativa economica, è innan
zitutto erroneo l'assunto del rimettente secondo cui la condizio
ne di fallito precluderebbe lo svolgimento di attività di impresa. Stante la mancanza di una norma di carattere generale che
privi il fallito della capacità di agire, la possibilità, per quest'ul timo, di esercitare una nuova impresa, anche nel corso della
stessa procedura concorsuale, con beni non aggredibili o co
munque non aggrediti dal fallimento, è infatti pacificamente ri
conosciuta dalla giurisprudenza. In ogni caso, e sotto altro aspetto, la censura riferita ai para
metri di cui agli art. 4 e 41 Cost, si appalesa del tutto inconfe
rente, ove si consideri che la denunciata illegittimità costituzio
nale deriverebbe semmai — secondo la prospettazione dello
stesso rimettente — dalle singole norme che prevedono, quali effetti personali della dichiarazione di fallimento, limitazioni di
carattere permanente alla possibilità di svolgimento di talune
particolari attività lavorative, e non certo dalla norma impugna ta, che al contrario disciplina le condizioni per la rimozione di
tali effetti.
3.2. - Nemmeno sussiste la violazione dell'art. 3 Cost., evo
cato dal rimettente tanto sotto il profilo della disparità di tratta
mento tra falliti, derivante dalla diversità di durata delle proce dure fallimentari, quanto con riguardo al generale criterio di ra
gionevolezza. Per quanto concerne il primo aspetto, questa corte ha ripetu
tamente affermato che le disparità di mero fatto, ossia quelle differenze di trattamento che derivano da circostanze contin
genti e accidentali, non danno luogo a problemi di costituziona
lità con riferimento all'art. 3 Cost, (sentenze n. 175 del 1997, Foro it., 1997, I, 3469; n. 417 del 1996, id., Rep. 1997, voce
Previdenza sociale, n. 905; n. 295 del 1995, id., 1996,1, 458, e
n. 188 del 1995, ibid., 464). La circostanza che il tempo inter
corrente tra la dichiarazione di fallimento ed il compimento del
termine di buona condotta per ottenere la riabilitazione civile
possa in concreto variare in conseguenza del dato accidentale
rappresentato dalla diversa durata delle procedure fallimentari
non comporta pertanto violazione del principio di eguaglianza.
sanzione di tipo civilistico a carico dell'imprenditore commerciale che versi in stato di insolvenza, al fine di soddisfare secondo il criterio della par condicio le ragioni dei creditori ingiustamente messe a re
pentaglio da questa insolvenza; la disparità di trattamento è giustificata dallo status di fallito, che per insindacabile scelta discrezionale del le
gislatore comporta varie incapacità di natura pubblicistica, professio nale o civilistica. Qualche perplessità desta semmai il fatto che il fallito che aspira alla riabilitazione sia in balìa di situazioni sulle quali non è in grado di incidere efficacemente se è vero che lo sviluppo e la durata del procedimento fallimentare sono affidati alla diligenza del curatore, salva la mera facoltà del fallito di sollecitare gli organi della procedura. In questo senso bisognerebbe verificare la tenuta costituzionale della norma alla luce del nuovo art. Ill Cost., con particolare riferimento al
parametro della ragionevole durata del processo e della nuova legge «previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragio nevole del processo e modifica dell'art. 375 c.p.c.» (c.d. legge Pinto) definitivamente approvata dal parlamento, anche se il riflesso sul pro cedimento di riabilitazione rischia di essere solo indiretto e quindi forse non rilevante secondo le linee guida di uno screening selettivo cui si attiene la Consulta. [M. Fabiani]
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
3.3. - È altresì infondata la diversa censura di irragione volezza mossa dal rimettente in base all'assunto che, essendo
possibile apprezzare anche durante la pendenza della procedura fallimentare la buona condotta tenuta dal fallito, non si giustifi cherebbe la decorrenza del termine quinquennale di valutazione
della buona condotta dalla data di chiusura piuttosto che da
quella di apertura del fallimento.
In proposito va considerato che la soluzione adottata, tradu
cendosi nel porre la chiusura della procedura fallimentare quale condizione della misura premiale, aggiuntiva alla buona con
dotta del fallito, costituisce in effetti esercizio non irragionevole
dell'ampio potere discrezionale di cui gode il legislatore nella
determinazione dei presupposti della misura stessa.
Sicché, del tutto privo di qualsiasi base giustificativa risulta
l'asserito contrasto della norma impugnata con l'art. 3 Cost.
4. - Il rimettente, infine, censura in modo del tutto generico,
auspicandone una riforma, l'intera normativa relativa agli effetti
personali del fallimento ed alle condizioni della riabilitazione.
Ma è evidente come in tal modo venga impropriamente intro
dotta nel giudizio di costituzionalità materia di esclusiva com
petenza del legislatore. Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, di
chiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del
l'art. 143, n. 3, r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del falli mento, del concordato preventivo, dell'amministrazione con
trollata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in
riferimento agli art. 3, 4 e 41 Cost., dal Tribunale di Udine con
le ordinanze in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; ordinanza 4 dicembre 2000, n. 542 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 13 dicembre 2000, n. 51); Pres. Santosuosso, Est. Capotosti; A.A.; interv. Pres.
cons, ministri. Ord. g.i.p. Trib. mil. Torino 23 novembre 1999
(G.U., la s.s., n. 6 del 2000).
Tribunale militare — Composizione — Responsabilità di sciplinare
— Dipendenza dal ministro della difesa — Que
stione manifestamente infondata di costituzionalità (Cost., art. 101, 103, 104, 107, 108; r.d. 19 ottobre 1923 n. 2316, modificazioni all'ordinamento della giustizia militare, art. 7; 1. 7 maggio 1981 n. 180, modifiche all'ordinamento giudizia rio militare di pace, art. 2; 1. 30 dicembre 1988 n. 561, istitu
zione del Consiglio della magistratura militare, art. 1).
E manifestamente infondata la questione di legittimità costitu
zionale degli art. 7, 2° comma, r.d. 19 ottobre 1923 n. 2316, 2
l. 7 maggio 1981 n. 180, 1, 3° e 7° comma, l. 30 dicembre
1988 n. 561, nella parte in cui stabiliscono che i tribunali mi
litari sono formati da magistrati militari, inquadrati nel per sonale civile della difesa, ed assegnano al Consiglio della ma
gistratura militare le medesime attribuzioni spettanti al Con
siglio superiore della magistratura nei confronti dei magi strati ordinari, disponendo che l'azione disciplinare è eser
citata dal ministro della difesa, in riferimento agli art. 101, 2°
comma, 103, 3° comma, 104, 1° comma, 107 e 108, 2° com
ma, Cost. (1)
(1) In ordine alla composizione ed al giudizio disciplinare esercitato dal Consiglio della magistratura militare, v. Corte cost., ord. 2 aprile 1999, n. 116, Foro it., 1999,1, 1701, con nota di richiami e osservazio
ni di Romboli, che ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di costituzionalità dell'art. 1, 1°, 3° e 4° comma, 1. 561/88, nelle parti in cui consente al consiglio in sede disciplinare di giudicare a composi zione variabile e non prevede il collocamento fuori ruolo dei magistrati
Il Foro Italiano — 2001.
Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari del Tribu
nale militare di Torino, con ordinanza emessa il 23 novembre
1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del
l'art. 1, 3° e 7° comma, 1. 30 dicembre 1988 n. 561 (istituzione del Consiglio della magistratura militare), dell'art. 7, 2° comma, r.d. 19 ottobre 1923 n. 2316 (modificazioni all'ordinamento
della giustizia militare), e dell'art. 2 1. 7 maggio 1981 n. 180
(modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace), in rife rimento agli art. 101, 2° comma, 103, 3° comma, 104, 1° com
ma, 107 e 108, 2° comma, Cost.; che il giudice rimettente, premesso di dover decidere in ordi
ne ad una richiesta di decreto penale di condanna, dichiara di
dubitare «della propria legittimazione giurisdizionale cioè, della
propria potestà di decidere con provvedimento di esercizio di
giurisdizione», in ragione delle norme impugnate, da cui derive
rebbe la sua illegittima costituzione e la carenza di adeguate ga ranzie in ordine all'esercizio della potestà giurisdizionale;
che, a suo avviso, le norme impugnate, prevedendo una magi stratura militare separata da quella ordinaria, contrasterebbero
con l'art. 103, 3° comma, Cost., dal quale non si evincerebbe
alcun elemento idoneo a radicare il convincimento che i tribu
nali militari debbano essere composti da magistrati militari, an
ziché ordinari, ma soltanto la volontà di consentire la sopravvi venza dei tribunali militari in tempo di pace, quale giurisdizione «eccezionalissima», limitata sia oggettivamente che soggetti vamente;
che l'art. 7, 2° comma, r.d. n. 2316 del 1923 e l'art. 1 1. n.
561 del 1988, ponendo la magistratura militare alle dipendenze del ministro della difesa, anche sotto il profilo disciplinare, de
terminerebbero una effettiva caduta di indipendenza della stessa
e un'elisione delle garanzie che dovrebbero tutelarla ai fini del
l'imparziale esercizio della giurisdizione, in violazione degli art.
101, 2° comma, 104, 1° comma, e 107 Cost., non essendo tolle
rabile che dell'azione disciplinare sia titolare il responsabile del
dicastero su cui si esercita la giurisdizione, anche perché, ad av
componenti elettivi del consiglio stesso; ord. 9 luglio 1998, n. 251, id.,
Rep. 1999, voce Tribunale militare, n. 3; 12 marzo 1998, n. 52, id., 1998,1, 1761, con nota di richiami.
Per l'applicazione del sistema tabellare, e della collegata garanzia costituzionale della precostituzione del giudice, all'ipotesi di supplenza o sostituzione dei magistrati nei tribunali militari, v. Corte cost. 28 lu
glio 2000, n. 392, id., 2000,1, 3406, con nota di richiami e osservazioni di Romboli.
In tema di composizione dei collegi giudicanti nell'ambito della giu risdizione militare, per l'affermazione secondo cui il criterio al quale si è ispirato il legislatore è quello di impedire che l'imputato abbia un
grado superiore a quello del giudice, prescrivendo che, nei tribunali, il
giudice abbia il medesimo grado dell'imputato, quando questi è un uf ficiale e, nelle corti d'appello, il giudice abbia il medesimo grado del
l'imputato, quando questi è un ufficiale di grado pari o superiore a te nente colonnello, v. Cass. 29 marzo 1996, Volpi, id., Rep. 1996, voce
cit., n. 10; per la manifesta infondatezza della questione di costituzio nalità dell'art. 2, 2° comma, n. 3, 1. 180/81, sotto il profilo che sono ammessi a svolgere funzioni di giudice non togato nei tribunali militari solo gli ufficiali di grado non inferiore a quello dell'imputato, non es sendo irragionevole che la scelta dei giudici sia limitata a coloro che siano dotati di buon livello culturale e che abbiano quelle cognizioni più ampie e più complete che derivano dall'esercizio di funzioni di
maggiore responsabilità, v. Corte cost., ord. 1° aprile 1992, n. 151, id.,
Rep. 1992, voce cit., n. 4; la stessa ordinanza, ibid., n. 5, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del l'art. 2, 2° comma, n. 3,1. 180/81, nella parte in cui consente che, in ca so di concorso nel reato di un ufficiale e di un sottufficiale, solo il pri mo possa essere giudicato da un pari grado; Corte cost. 16 febbraio
1989, n. 49, id., 1989, I, 603, con nota di richiami e osservazioni di
Messina, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzio nale dell'art. 2, 2° comma, n. 3, 1. 180/81, nella parte in cui prevede l'intervento con funzioni di giudice, nei collegi dei tribunali militari, di un militare di grado non inferiore a quello di ufficiale; ord. 22 dicembre
1988, n. 1140, id., Rep. 1990, voce cit., n. 18, ha dichiarato manifesta mente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1 r.d. 9 settembre 1941 n. 1022 e dell'art. 2 1. 180/81, nella parte in cui non
prevedono meccanismi che, per l'esercizio delle funzioni giudiziarie, svincolino l'ufficiale-giudice, componente il collegio, dal potere gerar chico-disciplinare, al quale è sottoposto per lo svolgimento della sua ordinaria attività extragiudiziaria, in violazione delle condizioni d'indi
pendenza dello stesso ufficiale-giudice; infine, cfr. Cass. 21 novembre
1983, Raimondi, id., Rep. 1985, voce cit., n. 14, e 21 maggio 1983, Andreis, id., 1984, II, 162, con nota di richiami, commentata da Ri
chiello, in Cass. pen., 1984, 31.
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