sentenza 6 febbraio 1980; Giud. Amendola; imp. RivaSource: Il Foro Italiano, Vol. 104, No. 2 (FEBBRAIO 1981), pp. 137/138-141/142Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23171395 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
il delitto è ugualmente materiato perché i mezzi con cui il
turbamento si attua sono indifferenti purché idonei per loro
natura a produrre quell'effetto. Ora, delle urla assordanti, un
trambusto chiassoso non si riscattano per il solo fatto che con
queste modalità si sia voluto clamorosamente richiamare una
pubblica autorità esprimendo l'urgenza della soluzione di un
importante problema sociale. Il fine, infatti, anche se rispettabile,
non giustifica i mezzi; e ciò è particolarmente vero in un
ordinamento democratico che consente la legittima espressione di
ogni istanza attraverso i canali della legalità. Tra questi non jjuò certo includersi la prepotenza, anche soltanto verbale. Quanto al
secondo argomento difensivo, è bene dire che ciò che viene
particolarmente censurato da parte del pretore è il clamore di
grida e schiamazzi e il suo effetto negativo sul funzionamento
dell'organo. L'improprietà lessicale del capo di imputazione — nel
quale si legge « per avere interrotto » mentre sarebbe stato più
proprio dire « per avere turbato » — non produce incertezze né
immutazioni del fatto giacché dalla proposizione nel suo comples
so si ricava il significato autentico di « turbamento ». Anche da
un punto di vista materiale è infatti evidente che un'interruzione
è difficilmente attuabile con semplici schiamazzi, e ciò a differen
za dal turbamento. È bene concludere sul punto precisando,
comunque, che tutta l'istruttoria dibattimentale e in particolare
gli interrogatori sono stati imperniati nelle indagini degli effetti
perturbativi prodotti dagli schiamazzi. La difesa ha dunque potu to ampiamente articolarsi in questa prospettiva (più circoscritta e
quindi più favorevole alle imputate). Da ciò che si è detto deriva
la superfluità di un'indagine sui motivi non confessati per i quali il sindaco avrebbe ordinato la sospensione della seduta. Ciò detto,
Maggio Virginia, Boscolo Maria Rosa, Boscolo Renata Chio
vanno assolte per insufficienza di prove giacché le tre donne
furono denunciate in un secondo momento e non si può escludere
che il maresciallo, nel rievocare mentalmente i fatti, abbia sovrap
posto fallacemente e confuso i sembianti di alcune donne da lui
conosciute e quelli degli individui osservati nella burrascosa
assemblea. Può, cioè, essere accaduta una contaminazione di dati
innestici comunque presenti alla memoria del teste.
Da ultimo resta da dire dell'argomento secondo il quale le
donne avrebbero gridato per ribattere alle insolenze di alcuni
democristiani. L'argomento non si accorda con la linea difensiva
precedentemente illustrata secondo la quale le grida erano solo
« consultorio, consultorio », et de hoc satis.
Quanto alla Neri Carla e Bacchini Clara, i due soggetti non
hanno escluso la loro partecipazione alla protesta corale. Super flua pertanto la rinnovazione del dibattimento.
Per questi motivi, ecc.
PRETURA DI ROMA; sentenza 6 febbraio 1980; Giud. Amendo
la; imp. Riva.
PRETURA DI ROMA;
Acque pubbliche e private — Inquinamento — Prelievo di cam
pioni di scarichi industriali — Obbligo del campionamento
medio — Limiti temporali — Campionamento istantaneo —
Legittimità (Legge 10 maggio 1976 n. 319, norme per la tu
tela delle acque dall'inquinamento).
Acque pubbliche e private — Inquinamento — Procedimento
penale per violazione dei limiti tabellari — Causa di non
procedibilità — Applicabilità — Limiti (Legge 10 maggio
1976 n. 319; legge 24 dicembre 1979 n. 650, integrazioni e
modificazioni delle leggi 16 aprile 1973 n. 171 e 10 maggio
1976 n. 319, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento,
art. 29).
Acque pubbliche e private Inquinamento — Scarichi da in
sediamento produttivo nei limiti di accettabilità — Autoriz
zazione allo scarico — Obbligo di osservanza immediata dei
limiti di cui alla tabella A legge 319/1976 — Legittimità (Leg
ge 10 maggio 1976 n. 319, art. 22, 25).
Fino all'entrata in vigore delle tabelle allegate alla legge
319/1976 non sussiste l'obbligo del campionamento medio
mentre è legittimo il ricorso al campionamento istantaneo per
Il Foro Italiano — 1981 — Parte li-10.
accertare il reato di amessa adozione delle misure necessarie ad
evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento. (1) La causa di improcedibilità prevista dall'art. 29 legge 650/1979 si
applica solo ai procedimenti penali per violazione dei limiti di cui alla tabella C legge « Merli » iniziati dopo il 13 giugno 1979, originaria data di entrata in vigore di detta tabella. (2)
È legittima l'autorizzazione allo scarico che imponga al titolare di un insediamento produttivo, che già nel 1976 effettuava scarichi
con livelli di inquinamento inferiori ai limiti di accettabilità di cui alla tabella A legge 319/1976, l'immediata osservanza di tali limiti. (3)
(1) Sull'ammissibilità del campionamento « istantaneo » in alternati va a quello « medio » previsto da una nota in calce alle tabelle
allegate alla legge 319/1976, non constano precedenti editi. Peraltro, come esattamente si rileva in motivazione, il problema appare oggi in
gran parte superato con l'entrata in vigore della legge 24 dicembre 1979 n. 650 che, all'art. 22, prevede espressamente la possibilità di ricorrere, in via generale, al campionamento istantaneo.
In dottrina, v. ampiamente, Amendola, Inquinamento idrico e legge penale, 1980, 126 ss. e la giurisprudenza ivi citata, che rileva come il campionamento istantaneo sia l'unico possibile per il reato di omessa adozione di misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento, posto che l'inciso « anche temporaneo » richiama con chiarezza il solo campionamento istantaneo.
Sull'applicabilità delle garanzie di difesa al prelevamento di campioni delle acque di scarico cfr. Cass. 22 ottobre 1977, Mauri, Foro it., 1978, II, 107, con nota di richiami, commentata da Lupo, in Mass. pen., 1978, 310, secondo cui, una volta tratteggiata la notizia di reato e inviata la comunicazione giudiziaria, il prelievo di campioni disposto dal giudice costituisce tipica attività istruttoria in relazione alla quale, applicandosi le garanzie difensive, sussiste anche l'obbligo del preavviso al difensore. Viceversa rispetto ai prelievi effettuati dalla
polizia giudiziaria e sottoposti a prima analisi in fase di accertamento preliminare antecedente la notitia criminis non possono trovare appli cazione le norme dettate a garanzia del diritto di difesa di cui all'art. 24, 2° comma, Cost., non essendo tale diritto operativo prima dell'indi viduazione dell'imputato o dell'indiziato a norma dell'art. 78 cod. proc. pen. Nello stesso senso Cass. 28 giugno 1977, Piccardo, Foro it., Rep. 1979, voce Acque pubbliche, n. 125; 27 aprile 1976, Zumaglini, id..
Rep. 1978, voce Istruzione penale, n. 28, commentata da Della Casa, Analisi del laboratorio provinciale di igiene e profilassi e garanzia di difesa, in Giur. it., 1978, II, 18.
(2) Non si rinvengono precedenti in termini.
Sulla problematica relativa all'art. 29 legge 24 dicembre 1979 n. 650 in dottrina, v., ampiamente, Amendola, op. cit., Ili ss. che, analizzatala ratio di tale disposizione in riferimento al decreto legge 24 settembre 1979 n. 467, dalla stessa richiamato, conclude ritenendo che l'art. 29 sia una norma che regola in modo espresso i rapporti giuridici sorti sulla base di tale decreto e come tale può riguardare, sotto il profilo penale, i reati connessi all'unico rapporto giuridico rilevante penalmen te nel decreto 467/1979 e cioè la proroga del termine del 13 giugno 1979 per l'entrata in vigore della tabella C legge 319/1976. La norma, quindi, può riguardare solo i reati connessi alla violazione della tabella C e commessi tra il 13 giugno 1979 ed il 30 dicembre 1979, data di entrata in vigore della legge 650/1979, stabilendo, per tali reati, una deroga alla totale ed immediata abolitio criminis operata dall'art. 1, 3° comma, legge 650/1979 che riapre e proroga al 1° marzo 1980 il termine del 13 giugno 1979 per l'entrata in vigore della tabella C.
In generale sulla legge 650/1979, Amendola, Inquinati e inquinatori, 1980; F. e P. Giampietro, La nuova legge sull'inquinamento delle acque, 1980; F. Giampietro, Diritto alla salubrità dell'ambiente, 1980, 35 ss.
(3) In termini, T.A.R. Lazio, Sez. I, 7 marzo 1979, n. 227, Foro it., Rep. 1979, voce Acque pubbliche, n. 103.
Ammette che il titolare di uno scarico da insediamento produttivo esistente possa essere obbligato a rispettare la tabella A prima del termine previsto per la sua entrata in vigore qualora fin dal 1976 tale scarico sia stato in regola con i limiti di accettabilità previsti da tale tabella Amendola, Inquinamento idrico, cit., 92 ss., che non sembra
escludere, in caso di violazione di tali limiti, il concorso tra il reato di cui all'art. 22 legge 319/1976 (in osservanza delle prescrizioni dell'au
torizzazione) e quello di cui all'art. 25, 1° comma, e 21, 2° comma
(mancata adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche
temporaneo dell'inquinamento). Sul reato di cui agli art. 25, 1° comma, e 21, 2° comma, legge
319/1976, da ultimo, Pret. San. Miniato 6 luglio 1979, Foro it., Rep. 1979, voce cit., n. 118, commentata da Lotito, in Nuovo diritto, 1979, 597; Pret. Forlì 21 giugno 1978, Giur. merito, 1980, 149, con nota di Agnoli, Sull'obbligo di non aumentare la situazione di inquinamento.
Sul reato di cui all'art. 22 della legge « Merli », P. Giampietro, L'inosservanza delle prescrizioni di autorizzazione allo scarico ai sensi
dell'art. 22 della legge Merli, in Giust. pen., 1977, II, 383.
Per un'ampia rassegna dei maggiori problemi sollevati dall'applica zione della legge « Merli », v. l'esauriente nota di richiami giurispru denziali e dottrinali di A. M. Marini a Pret. Bologna 9 dicembre 1978, Foro it., 1979, II, 391.
In generale, sulla sindacabilità dell'atto amministrativo da parte del
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PARTE SECONDA
Il Pretore, ecc. — A seguito di due prelievi (e relative analisi)
eseguiti il 21 febbraio 1979 ed il 6 giugno 1979 dal L.p.i.p. di Roma
sullo scarico della società « Italchimici » di Pomezia, Riva An
drea titolare della predetta società veniva t'inviato al giudizio di
questa pretura per rispondere dei reati ascrittigli in rubrica. Nel
corso del dibattimento si procedeva all'interrogatorio dell'imputa to, si assumeva la testimonianza del dott. Sanna Mauro, chimico
del L.p.i.p. di Roma, si dava lettura degli atti consentiti, indi p.m. e difesa concludevano come in atti.
Nel merito, si osserva che le imputazioni si basano sui risultati
delle analisi eseguite dal L.p.i.p. per i campionamenti del 21
febbraio 1979 e 6 giugno 1979. Converrà, quindi, esaminare distinta
mente i due episodi. Tuttavia la difesa ha svolto alcune considerazioni giuridiche di
carattere generale che assumono un valore pregiudiziale rispetto al merito degli episodi stessi e, pertanto, devono essere prelimi narmente, anche se succintamente, affrontate e risolte.
a) Si è in primo luogo contestata, nel caso di specie, la validità
del campionamento istantaneo effettuata dal L.p.i.p. di Roma, sostenendo invece l'obbligo di eseguire un campione medio nel
l'arco delle tre ore così come previsto dalla legge.
Tale argomentazione va respinta per considerazioni letterali e
logiche. L'obbligo del campionamento medio, infatti, è previsto dalla legge solo in calce alle tabelle allegate alla legge stessa e
pertanto appare evidente che, sotto il profilo formale, tale obbligo
può ipotizzarsi solo quando entreranno in vigore tali tabelle (e sarà quindi ipotizzabile il reato apposito di scarico superiore ai
limiti tabellari). Non prima del 1" marzo 1980, quindi, per gli insediamenti produttivi esistenti (come nel caso di specie) ai sensi
dell'art. 1 della recente legge 650 del 24 dicembre 1979. Ma, anzi,
la stessa legge 650 fornisce elementi nuovi per sostenere la
legittimità e la validità del campionamento istantaneo anche in
relazione al reato di scarico superiore ai limiti tabellari (non contestato peraltro, come già si è detto, all'imputato). L'art. 22
della predetta legge, infatti, nell'ultima parte, stabilisce una mo
difica delle legge 319 proprio in relazione al campionamento medio prescrivendo che « le determinazioni analitiche sono effet
tuate o su campione istantaneo o su campione medio prelevato in
intervalli di tempo variabili in rapporto al tipo di ciclo produtti vo, ai tempi e modi di versamento, alla portata e alla durata degli scarichi » con l'obbligo per l'autorità che effettua il prelievo di « indicare i motivi per cui ricorre alle varie modalità di prelie vo». Trattasi, come è evidente, di norma procedurale che, come
giustamente ammette anche la difesa del prevenuto, pur essendo inserita nella legge 650 tra le modifiche da apportare alla tabella
A, vale come criterio generale anche per la tabella C non
potendovi essere due pesi e due misure per ipotesi sostanzialmen
te identiche (del resto, come risulta dai lavori preparatori della
legge 650, solo per un disguido tale modifica non è stata inserita letteralmente anche nella tabella C). Pur senza approfondire l'argomento che, si ripete, non attiene direttamente al caso in esame (si contestano reati diversi da quello di scarico superiore ai
limiti tabellari) ciò che preme mettere in rilievo è, in ogni caso, la
espressa possibilità di ricorrere al campionamento istantaneo,
prevista dalla legge 650, in relazione alle tabelle allegate alla legge e, quindi, in via generale ed a maggior ragione anche in relazione
alle altre ipotesi di reato (diverse dal superamento dei limiti
tabellari) ove peraltro l'obbligo di campionamento medio non è stato in alcun modo previsto né dalla legge 319 né dalla legge 650. Del resto, il sostenere la obbligatorietà di un campionamento medio anche per le ipotesi di reato previste dalla legge 319, diverse da quelle del superamento dei limiti tabellari, oltre agli ostacoli letterali già posti in evidenza, troverebbe un insuperabile scoglio proprio nella formulazione normativa di tali ipotesi di
reato. Se, infatti, l'art. 25 della legge 319 prevede il reato di chi non adotta le misure necessarie ad evitare un aumento anche
temporaneo dell'inquinamento (reato contestato nel caso di spe cie), proprio l'inciso « anche temporaneo » dimostra con evidenza la volontà del legislatore di evitare ogni aumento dell'inquinamen to, in qualsiasi momento esso si verifichi, e non solo quello riscontrabile nell'arco minimo di tre ore. Sostenere il contrario
significherebbe solo vanificare totalmente la lettera e la ratio della norma (ove l'inciso « anche temporaneo » diverrebbe superfluo,
amministrativi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, 39; Stortoni, L'abuso di potere nel diritto penale, 1976, 225 ss.; nonché, con specifico ri guardo al provvedimento di autorizzazione allo scarico, Amendola, La nuova legge sull'inquinamento delle acque. Proposte di applicazione, 1977, 137 ss.
senza alcuna giustificazione) ed offrire una ulteriore scappatoia a
chi vuole violare la legge, approfittando della possibilità di mo
dificare le caratteristiche dello scarico (ed è molto semplice) una
volta passato il momento della sorpresa iniziale, quando inizia il
campionamento. Infine, per concludere su questo punto, appare
opportuno ricordare che la possibilità del prelievo istantaneo è
prevista espressamente anche dalle metodiche dell'I.r.s.a. del C.n.r.
cui la legge rinvia in modo espresso.
b) La seconda argomentazione difensiva di carattere generale si
basa sul rilievo che l'art. 29 della legge 650 statuirebbe una causa di non punibilità condizionata, per le violazioni della legge 319
accertate prima dell'entrata in vigore della legge 650. Tale rilievo
appare del tutto infondato. Se, infatti, si considera l'art. 29 nel
suo complesso (e non solo in relazione al secondo comma come
fa la difesa) e se si conoscono, anche in modo superficiale, i
precedenti della legge 650, appare di tutta evidenza che l'art. 29
ha la sola funzione di armonizzare la disciplina di proroga
prevista dalla legge 650 per l'osservanza della tabella C da parte
degli insediamenti produttivi esistenti con i due decreti legge di
proroga emessi dal governo in precedenza, ed in particolare con il
d. 1. 24 settembre 1979 n. 467, richiamato sia dal 1° che dal
2° comma dell'art. 29, decaduti per mancata conversione entro
sessanta giorni. Quindi la improcedibilità penale di cui all'art. 29
si riferisce solo a quei procedimenti penali iniziati dopo il 13
giugno 1979 (data in cui doveva entrare in vigore la tabella C)
per violazione dei limiti della tabella C onde evitare, in presenza della nuova disciplina (di proroga) stabilita dalla legge 650, soluzioni di continuità rispetto al termine del 13 giugno 1979
previsto dalla legge 319.
Trattasi, in conclusione, di causa di improcedibilità limitata nel
tempo, nei soggetti beneficiari e nel contenuto (superamento della
tabella C). Nessun rilievo può, quindi, avere rispetto al caso di
specie ove non è contestato il reato di superamento della tabella
C e ove la data di accertamento dei reati è precedente al 13
giugno 1979.
c) La terza argomentazione difensiva di carattere generale attiene ad alcuni aspetti particolari del caso di specie.
Si sostiene, in essa, infatti la illegittimità di una autorizzazione
allo scarico ove si richiamino (come nel caso di specie) come
limiti massimi ammissibili subito quelli della tabella A, dato che
tale tabella, secondo la legge, sarà applicabile agli scarichi da
insediamenti produttivi esistenti solo nel 1985.
Anche tale argomentazione non può essere accolta. Nel rilascio
delle autorizzazioni allo scarico, infatti, gli enti locali devono
osservare la disciplina legislativa nel suo complesso e non limitar
si ad una sola norma, come vorrebbe la difesa. In questo quadro,
appare evidente che i limiti temporali per il raggiungimento della
tabella A devono essere armonizzati con la norma transitoria, già ricordata dall'art. 25 della legge 319 secondo cui i titolari di
scarichi esistenti « sono obbligati, fino al momento nel quale debbono osservare i limiti di accettabilità stabiliti dalla presente
legge, ad adottare le misure necessarie ad evitare un aumento
anche temporaneo dell'inquinamento ». Ed è allora chiaro che se
un insediamento produttivo nel 1976 aveva già uno scarico
compreso nella tabella A, sarebbe illegittima una autorizzazione
che gli consentisse di sottrarsi fino al 1985 all'osservanza di tale
tabella perché in tale modo sarebbe autorizzato a violare la legge, non adottando le misure necessarie ad evitare un aumento anche
temporaneo dell'inquinamento. In sostanza, appare chiarissima la
ratio della normativa: consentire da un lato a tutti gli insedia
menti produttivi non forniti di impianti di depurazione nel 1976
di adeguarsi gradualmente alle tabelle, ma dall'altro evitare che
chi già effettuava nel 1976 una depurazione ritorni indietro
provocando un peggioramento complessivo della situazione. E, del
resto, la legge 319 prevede benefici non indifferenti (basti pensare alla disciplina delle tasse e delle tariffe a carico degli inquinatori)
per chi, precorrendo le tappe temporali delle tabelle, si adoperi
per anticipare il rispetto dei limiti tabellari.
In conclusione, l'autorizzazione allo scarico rilasciata al preve nuto appare del tutto legittima in quanto, il riferimento in essa
contenuto ai limiti della tabella A si basa sulle caratteristiche
degli scarichi denunciate dallo stesso imputato nel 1976 (inferiori alla tabella A) e gli impedisce giustamente di provocare un
aumento anche temporaneo dell'inquinamento, cosi' come previsto dalla legge 319.
Respinte, quindi, le considerazioni difensive di carattere genera le, si deve scendere nel merito delle contestazioni fatte all'imputa to in relazione ai due prelievi eseguiti nello scarico della società.
1) Il prelievo del 21 febbraio 1979 (e relative analisi) ha
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GIURISPRUDENZA PENALE
evidenziato un valore di BOD superiore sia a quello riscontrato
nel richiedere l'autorizzazione allo scarico sia al limite massimo con
sentito nell'autorizzazione stessa. E in base a questi dati, essendovi
stato un aumento del valore inquinante, si è contestato il reato di
scarico senza avere adottato le misure necessarie ad evitare un
aumento anche temporaneo dell'inquinamento e, essendo stato
riscontrato un valore del BOD superiore a quello massimo pre scritto dall'autorizzazione, si è contestato il reato di cui all'art. 22
della legge 319/76.
La difesa dell'imputato, oltre a svolgere le considerazioni giuri
diche di carattere generale di cui si è già trattato, ha contestato
nel merito la validità dei risultati delle analisi ponendo in
evidenza, anche attraverso qualificati pareri di esperti (allegati
agli atti), la mancata corrispondenza tra i valori del BOD e i
valori di altri indici di inquinamento, come il COD, ad esso
correlati.
In proposito, lo stesso dott. Sanna del L.p.i.p. ha ammesso la
stranezza di questa « discrepanza di valori » ipotizzando la pos
sibilità che si sia esaminata una aliquota di campione non
rappresentativa del campione stesso rispetto al BOD o al COD e,
quindi, la possibilità di un errore di valutazione.
In questa situazione probatoria, non potendosi avere la certezza
circa l'attendibilità delle conclusioni relative al BOD rispetto al
prelievo del 21 febbraio 1979 appare equo pervenire ad una assolu
zione con formula dubitativa del Riva rispetto ai reati contestati
in connessione con tale prelievo.
2) Tali dubbi non sussistono, invece, per le contestazioni
connesse con il prelievo (e l'analisi) del 6 giugno 1979.
Tale analisi, infatti, ha evidenziato valori di solidi sedimentabili
nettamente superiori a quelli riscontrati nelle analisi precedenti del 21 dicembre e del 21 febbraio 1979 nonché a quelli dichiarati
dallo stesso imputato nella richiesta di autorizzazione allo scarico
e recepiti nell'autorizzazione. Né, in questo caso, dato che la
contestazione si basa sui solidi sedimentabili (e non sul BOD)
possono valere le considerazioni prima richiamate in relazione al
prelievo del 21 febbraio 1979, tanto più che, in relazione ai solidi
sedimentabili, i valori riscontrati il 21 febbraio 1979 sono conferma
ti dall'analisi del 21 dicembre 1977 e che, il vero, rilevante aumento
di tali valori (più del doppio) è dato dal confronto tra i dati del
1977 e del 21 febbraio 1979 da una parte e quelli del 6 giugno 1979
dall'altra.
Appare, quindi, accertato che il 6 giugno 1979 nello scarico della
società del prevenuto il valore dei solidi sedimentabili era in larga
misura superiore sia rispetto ai dati precedenti (per cui appare
evidente che non furono adottate le misure necessarie ad evitare
un aumento anche temporaneo dell'inquinamento) sia ai limiti
massimi stabiliti dall'autorizzazione allo scarico.
Ne può accogliersi in alcun modo il dubbio avanzato dalla
difesa circa il metodo di analisi usato. Sia la legge sia le
metodiche I.r.s.a. del C.n.r., infatti, stabiliscono che l'unico meto
do da usare è il cono IM.OFF, cui si è attenuto il L.p.i.p. di
Roma. E di fronte a questa non equivoca dizione normativa non
è consentito al giudice entrare nel merito delle scelte tecniche che
hanno ispirato direttamente o indirettamente il legislatore.
Devesi, pertanto, dichiarare la penale responsabilità del preve
nuto in ordine a entrambi i reati ascrittigli in relazione al
prelievo del 6 giugno 1979.
Per quanto concerne la pena, ritenuto il concorso formale dei
reati e concesse le attenuanti generiche ed i benefici di legge, data
l'assenza di precedenti penali, sembra equo fissare la pena com
plessiva in lire 1.000.000 di ammenda (p. b. lire 900.000—1/3
att. ge = 600.000 + 400.000 per 81 cod. pen.). Alla condanna
consegue l'onere al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi, ecc.
Rivista di giurisprudenza penale Esecuzione penale — Ordinanza di restituzione delle cose se
questrate — Incidente di esecuzione — Inconfìgurabilità —
Inoppugnabilità del provvedimento (Cod. proc. pen., art. 622,
624).
È inammissibile l'impugnazione avverso l'ordinanza che dispon
ga la restituzione delle cose sequestrate, se quest'ultima non risolva
un incidente di esecuzione. (1)
Corte di cassazione; Sezione III penale; ordinanza 9 maggio
1980; Pres. Beretta Anguissola, Rei. Corbelli, P. M. (conci, conf.); ric. Proc. Repubblica di Roma. Conferma Pret. Roma, ord. 5
dicembre 1979.
(1) L'ordinanza del Pretore di Roma, con annesso il relativo ricorso
per cassazione proposto dalla procura della Repubblica di Roma, è
riportata in Foro it., 1980, II, 354, con nota di richiami, tra cui, soprattutto, in senso conforme alla ordinanza qui riportata, Cass. 7
aprile 1979, Casale, Mass. pen., 1979, 440. Per una migliore informazione, si riportano le conformi conclusioni
del p.m.: Il procuratore della Repubblica di Roma ricorre contro l'ordinanza 5
dicembre 1979 del Pretore di Roma, con cui — nel contesto di un
procedimento penale di competenza pretorile — veniva ordinata la restituzione agli aventi diritto delle copie del periodico n. 4 « 7
Aprile » in precedente sequestrate dallo stesso procuratore ricorrente con decreto 22 novembre 1979.
Con i motivi di ricorso si deduce, previamente, l'ammissibilità dell'impugnazione avverso l'ordinanza pretorile, da considerarsi emessa nel corso del procedimento incidentale ex art. 628 cod. proc. pen., di poi, l'illegittimità della restituzione per essere obbligatoria, nella specie, la confisca delle cose sequestrate.
Il ricorso, da decidersi in rito, è inammissibile. La giurisprudenza di codesta corte è ormai pacifica sul punto che
l'ordinanza che dispone la restituzione delle cose sequestrate ai sensi degli art. 622 seg. cod. proc. pen. è inoppugnabile: e l'assunto trova il suo fondamento positivo nel fatto che la legge processuale non prevede alcun specifico mezzo di gravame avverso il provvedimento nel quadro di un assetto normativo improntato al principio di tassatività delle impugnazióni.
Non ignora il requirente l'indirizzo giurisprudenziale, ormai consoli dato, dopo iniziali, se pur remote, incertezze, secondo cui contro il
provvedimento emesso de plano nella fase della esecuzione, senza l'osservanza delle forme degli incidenti di esecuzione, è proponibile ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 631, 2° comma, cod. proc. penale. E, del resto, lo stesso ricorrente segnala le decisioni più significative in tal senso emesse da codesta corte (Sez. I 24 marzo 1958, Lucatello, Foro it., Rep. 1958, voce Impugnazioni pen., n. 32; 29 maggio 1958, De Angelis, ibid., voce Esecuzione pen., n. 74; Sez. II 16 giugno 1971, Buglione, id., Rep. 1971, voce cit., n. 59), fondando sui principi in esse contenuti l'affermazione, con fermezza sostenuta, dell'impugnabilità con ricorso per cassazione del provvedimento pretorile.
Ma è facile rilevare che da quelle decisioni — riferibili a ben diverse
fattispecie — non può trarsi lo spunto per la disciplina normativa del caso di specie.
Invero esse hanno riferimento a provvedimenti emessi dal giudice nella fase dell'esecuzione, sulla base della proposizione di un vero e
proprio incidente di esecuzione ad opera della parte interessata. E la Corte di cassazione statuì recisamente, nelle due prime sentenze citate,
l'obbligo del giudice, investito dell'incidente di esecuzione, di adottare, ai fini della decisione, le forme di cui agli art. 630 seg. cod. proc. pen., nonché la riconducibilità del provvedimento emesso senza il
rispetto della procedura indicata nell'articolo da ultimo citato. Nella sentenza della Sez. II 16 giugno 1971, Buglione, poi, sempre codesta corte ribadì, con riferimento all'ordinanza pretorile emessa ex art. 631
cod. proc. pen., la ricorribilità della stessa da parte del p.m. presso il tribunale del circondario.
All'incontro, nella specie, il pretore ha emesso in fase istruttoria un decreto di sequestro in relazione al quale non aveva alcun potere —
dovere di rispettare le forme — in tale sede inconferenti — proprie dell'art. 630 cod. proc. pen., onde il reclamo avverso il suddetto
decreto non poteva — a parte la questione della sua ammissibilità —
essere proposto che nelle forme proprie di una istanza di incidente di esecuzione.
Ma certo non può, in base al principio della conversione o della
conservazione, che dir si voglia, degli atti processuali, considerarsi in
questa sede tale subordinata, dal momento che precisa e inequivoca è
la volontà del p. m. ricorrente di valersi proprio del mezzo della
legge per motivi su esposti, non consentito.
Per questi motivi, chiede che la Corte di cassazione dichiari inam
missibile il ricorso.
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L'ordinanza è cosi motivata: Osserva la corte che la giurisprudenza
è costante nel ritenere che i provvedimenti sulla restituzione delle
cose sequestrate emessi con ordinanza ai sensi dell'art. 622 cod. proc.
pen. hanno natura prettamente amministrativa e possono dar luogo
quindi soltanto ad opposizione dinanzi allo stesso giudice che ha
emesso il provvedimento e che dovrà, di conseguenza, procedere col
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