sentenza 6 febbraio 2001; Pres. Belsito, Est. Ascatigno; De Martino (Avv. De Martino) c. Soc.Suissekraft International (Avv. Paolisso Carleo) e altriSource: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 5 (MAGGIO 2002), pp. 1521/1522-1523/1524Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198370 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
tuzionale dell'art. 18 1. reg. Sicilia 1° settembre 1993 n. 25, in
relazione all'art. 37 Cost., proprio nella parte in cui non preve deva l'applicabilità alle lavoratrici madri, impegnate nei lavori
socialmente utili e di utilità collettiva ivi previsti, dell'art. 15 1.
30 dicembre 1971 n. 1204. Ha sostenuto il giudice delle leggi che non possono essere ritenute legittime quelle norme che
comportino, a motivo della maternità, una sostanziale menoma
zione economica della lavoratrice.
Ma il fatto che, come evidenziato, per i lavori socialmente
utili sia in atto una vis espansiva che tende a riconoscere loro
garanzie del rapporto di lavoro subordinato non significa che
possano essere per dette tipologie di «lavori» invocate tout
court discipline di siffatto rapporto; e che questo possa per
giunta avvenire, trascurando addirittura di aver presenti i requi siti-base che le garanzie in questione presuppongono.
Tra essi — quam minime —
quella dell'effettivo' sorgere del
rapporto. Nella specie, la Pansardi, onde pervenire alla formulazione
delle domande di reintegra nel «posto di lavoro» e di risarci
mento dei danni, ha dato invece per scontate — in uno all'esi
stenza di una situazione lavorativa propriamente detta — situa
zioni di fatto, ad essa essenziali, che non si sono per nulla in
concreto verificate, ossia: — l'inizio dell'attività con la presa di possesso, espressione
tangibile della volontà d'aderire alla chiamata e partecipare al
l'attività formativa, prodromica al «lavoro» (tale non potendo considerarsi la del tutto «neutra» trasmissione, priva di motiva
zione, del certificato attestante soltanto il ricovero ospedaliero, e null'altro);
— il verificarsi d'un «licenziamento illegittimo» da tale po sto di lavoro.
In altre parole, anche ove l'appellante avesse potuto per ab
surdum (e contro il chiaro disposto di legge) esser qualificata lavoratrice dipendente, e come tale esser «trattata», ella non
avrebbe potuto comunque pretendere la reintegra ed il conse
guente risarcimento del danno da illegittimo licenziamento:
tanto, per la banale constatazione che per lei — contrariamente
a quanto riportato nei motivi d'appello — nessuna «assunzione»
v'è stata, né è sorto «... un pieno diritto alla conservazione del
posto di lavoro ...».
Invero, come è pacifico in atti, la donna non si è presentata
(anche se per giustificati motivi) alla chiamata della società at
tuatrice del progetto, chiamata da lei regolarmente ricevuta:
tanto meno, quindi, un rapporto lavorativo, mai instaurato, può dirsi cessato per via d'un illegittimo recesso datoriale.
Pertanto, in aggiunta e parziale rettifica di quanto evidenziato
dal primo giudice in ordine all'insussistenza nella specie d'un
lavoro subordinato (ed a tempo indeterminato), può affermarsi
che, cosi come formulata, la duplice domanda della Pansardi (di
reintegra e connesso risarcimento danni da illegittimo licenzia
mento) fosse ab origine carente addirittura d'un requisito fon
damentale occorrente per la sua ipotetica accoglibilità, nei con
fronti d'entrambi i convenuti: la stessa «possibilità giuridica»,
collegata all'affermazione di un diritto in astratto contemplato da una norma esistente. Si tratta di quella che viene concorde
mente individuata, nella teoria del processo civile, quale la pri ma delle tre condizioni dell'azione.
L'appellante, in sostanza, ha preteso quanto l'ordinamento
non le riconosceva, nemmeno in virtù della prefata vis espansiva della disciplina di tutela dei lavoratori socialmente utili.
Diversamente, ove il giudizio instaurato dalla Pansardi avesse
avuto mire diverse, si sarebbe anche potuto, in virtù dei principi
espressi dalla ripetuta sentenza del giudice delle leggi, pervenir si all'affermazione secondo cui, quando l'avviamento al pro
getto di utilità collettiva della donna lavoratrice intervenga du
rante il periodo di divieto di adibizione al lavoro, la (tutela del la) maternità comporta il (mero) ritardo nell'inizio dell'attività, e non la definitiva decadenza dall'iniziativa (per analoga con
clusione, con riferimento al soggetto chiamato alle armi prima dell'inizio del progetto di lavori socialmente utili, v. Tar Sicilia 14 novembre 1995, n. 938, id., Rep. 1996, voce Lavoro (collo
camento), n. 28). Ma tanto non è stato, ed è per questo che la domanda, nella
sua duplice accezione, di cui all'appello non può trovare acco
glimento.
Il Foro Italiano — 2002 — Parte 1-29.
CORTE D'APPELLO DI BARI; sentenza 6 febbraio 2001; Pres. Belsito, Est. Ascatigno; De Martino (Avv. De Marti
no) c. Soc. Suissekraft International (Avv. Paolisso Carleo) e altri.
CORTE D'APPELLO DI BARI;
Privilegio — Credito del professionista
— Avvocato —
Transazione — Obbligo solidale — Esclusione (Cod. civ., art. 2751 bis; r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ordinamento
delle professioni di avvocato e procuratore, art. 68).
Il privilegio di cui all'art. 2751 bis, n. 2, c.c. deve ritenersi in
vocabile dall 'avvocato solo nei confronti del proprio cliente e
non già nei confronti dì altri o della parte soccombente, né
può farsi riferimento ali 'art. 68 della legge professionale, per sostenere il carattere privilegiato del credito fatto valere ver
so le altre parti che hanno partecipato alla transazione. (1)
Svolgimento del processo. — Nel corso della procedura ese
cutiva di espropriazione mobiliare, promossa dinanzi al giudice dell'esecuzione della Pretura di Foggia nei confronti del comu
ne di Foggia dalla società Suissekraft International s.r.l., credi
trice della somma di lire 43.443.678 per fornitura di oggetti di cancelleria, venivano sottoposte a pignoramento sette autovettu
re di proprietà del comune. Nella stessa procedura intervenivano
tempestivamente altri creditori, tra cui l'avv. De Martino Gio
vanni, in proprio quale creditore della somma di lire
11.372.630, oltre interessi, per attività professionale prestata in
favore del suo cliente Caccavo Nunzio in una causa di locazione
avente come controparte il comune di Foggia. Messe all'incanto
le auto, dalla loro vendita veniva ricavata la somma di lire
18.990.000, ridotta, al netto delle trattenute dell'istituto vendite
giudiziarie, a lire 14.706.155. All'udienza dell'8 giugno 1993 la società presentava un piano di riparto dell'attivo ricavato tra i
crediti privilegiati, tra cui inseriva il suo e i crediti chirografari, indicando l'incapienza per i crediti chirografari, tra cui quello dell'avv. De Martino. Senonché costui chiedeva l'assegnazione del ricavato al proprio credito, in quanto privilegiato ex art.
2751 bis, n. 2, c.c. A tanto si opponevano la società Suissekraft
e gli altri creditori, per cui il giudice dell'esecuzione disponeva la sospensione della procedura, rimettendo la controversia di
nanzi al Tribunale di Foggia, competente per valore.
Con atto notificato l'8 luglio 1993 la società Suissekraft In
ternational s.r.l. riassumeva la causa, citando dinanzi al Tribu
nale di Foggia i creditori, Falasieri Gaetano, la cooperativa La
Fiaccola s.r.l., Quatraro Raffaele titolare della ditta Saema, la
società Fedecostante s.p.a., la società Leone sud mobili, l'avv.
De Martino Giovanni, per sentire dichiarare non assistito da pri
vilegio il credito vantato dall'avv. De Martino Giovanni, in
quanto non rientrante in quelli previsti dall'art. 2751 bis, n. 2,
c.c., riguardando detta norma solo le somme dovute per diritti di
procuratori ed onorari vantati nei confronti del proprio cliente e
per gli ultimi due anni di prestazione, e non potendosi applicare l'art. 68 della legge professionale che prevedeva solo nel caso
di transazione un'azione diretta nei confronti di tutte le parti che
avessero transatto.
Con comparsa di risposta del 18 ottobre 1993 si costituiva
l'avv. De Martino, contestando la domanda e chiedendo che il
credito da lui azionato contro il comune fosse riconosciuto pri
vilegiato. Gli altri convenuti, pur ritualmente citati, rimanevano contu
maci.
(1) La sentenza in epigrafe affronta questione su cui non è rinveni bile giurisprudenza edita, ritenendo l'ininvocabilità dell'art. 2751 bis, n. 2, c.c. da parte dell'avvocato, per il pagamento di diritti ed onorari dovuti dal proprio cliente, come richiesto nei confronti della contro
parte, né pertinente il richiamo alla solidarietà ex art. 68 della legge
professionale, che non attribuisce né riconosce anche al credito verso le
controparti carattere privilegiato. Sull'art. 2751 bis, n. 2, c.c., le questioni più dibattute riguardano l'e
stensione temporale biennale, e v., a riguardo, Cass. 22 gennaio 1999, n. 569, Foro it., Rep. 1999, voce Privilegio, n. 19; Fallimento, 1999,
1124, con nota di Rinaldi, Nuovi dubbi sul computo del biennio per le
prestazioni del professionista, e Corriere giur. , 1999, 1409, con nota di
Danovi, Gli onorari dell'avvocato e il privilegio del credito', sull'art.
68 della legge professionale, conforme sulla stretta interpretazione della norma, trattandosi di deroga introdotta con norma di diritto sin
golare, e sulla nozione di transazione della lite, Cass. 5 febbraio 2000, n. 1287, Foro it., Rep. 2000, voce Avvocato, n. 184, e Giur. it.. 2001,
1403, con nota di Danovi, Giudizio definito con transazione e diritto
degli avvocati al compenso.
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PARTE PRIMA 1524
Disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti del
comune di Foggia esecutato, l'ente si costituiva, rimettendosi
alla decisione del tribunale.
Passata la causa in decisione, il Tribunale di Foggia, con
sentenza n. 1130 del 28 giugno - 23 settembre 1996, pur ricono
scendo la natura di credito privilegiato, riteneva di non poter far
rientrare il credito nella disciplina dell'art. 2751 bis, n. 2, c.c., in quanto nessun elemento aveva fornito il De Martino per di
mostrare che il credito vantato si riferisse a prestazioni profes sionali espletate nei confronti del medesimo cliente negli ultimi
due anni. Perciò dichiarava non assistito da privilegio il credito vantato dal De Martino e lo condannava al pagamento delle spe se processuali; compensava interamente le spese tra l'attrice so
cietà Suissekraft e il comune di Foggia. Avverso tale sentenza proponeva appello l'avv. De Martino
con atti notificati il 10 e 13 gennaio 1997, citando dinanzi a questa corte la società Suissekraft International, il comune di
Foggia e tutti gli altri creditori e invocando la riforma della
sentenza, per aver il primo giudice escluso la natura di credito
privilegiato sul rilievo che mancava la prova della riferibilità delle sue prestazioni agli ultimi due anni, senza tener conto
della documentazione prodotta in giudizio. Si costituiva solo la società Suissekraft International, mentre
tutti gli altri rimanevano contumaci, e resisteva all'appello, ri
proponendo ex art. 346 c.p.c. tutte le eccezioni e richieste non
accolte in primo grado e cioè la non applicabilità della normati va di cui all'art. 2751 bis, n. 2, c.c., la non pertinenza del ri
chiamo all'art. 64 della legge professionale accordante il diritto di credito nei confronti della controparte e la collocabilità del credito al di fuori dell'arco temporale dei due anni previsto dal l'art. 2751 bis, n. 2, c.c. Concludeva perché venisse negata la natura privilegiata del credito vantato dall'avv. De Martino e, in
linea gradata, che si escludesse il carattere privilegiato a quanto richiesto per spese borsuali e per contributi alla cassa previden ziale, nonché per le competenze professionali del giudizio di
cognizione promosso nei confronti del comune.
Rigettata l'istanza di sospensione della provvisoria esecuzio ne della sentenza, le parti precisavano le conclusioni, così come
riportate in epigrafe, e la causa era rimessa al collegio per la de cisione.
Motivi della decisione. — L'appello non merita accoglimento,
dovendosi ritenere fondate le deduzioni ed eccezioni riproposte ex art. 346 c.p.c. dalla società appellata in ordine alla non appli cabilità dell'art. 2751 bis, n. 2, c.c. e alla non pertinenza del richia mo fatto all'art. 68 della legge professionale accordante il diritto di credito nei confronti delle controparti. Ed invero deve repu tarsi che il privilegio di cui all'art. 2751 bis, n. 2, c.c. possa es sere invocato dal professionista solo nei confronti del proprio cliente e non già quando il professionista faccia valere il suo credito nei confronti di altri o della parte soccombente, dato che in tanto può spiegarsi la valutazione dell'importanza del credito e l'opportunità che esso venga preferito ad altri crediti, in
quanto siano rivolti a proteggere il professionista nei confronti di coloro che della sua opera si sono avvalsi e che potrebbero aver contratto altri debiti verso terzi. Il concetto di «retribuzio ne» sta proprio ad indicare, in maniera rafforzativa e significati va, il compenso dovuto in conseguenza di una prestazione pro fessionale svolta a seguito di un contratto, in forza del quale il
professionista si è assunto l'obbligo di compiere uno o più atti
giuridici per conto dell'altra parte. La finalità perseguita dalla norma in esame è quella della tutela del lavoratore nel senso di
impedire che il credito riveniente dal lavoro venga confuso con
quelli di diversa natura vantati da terzi nei confronti di coloro che si servono dell'opera del lavoratore, onde il privilegio ac cordato non può non essere riconosciuto in funzione del rap porto di lavoro direttamente instaurato tra le parti. Orbene, nella
specie, il credito per prestazioni professionali è stato fatto valere dall'avv. De Martino non nei confronti del suo cliente Caccavo Nunzio che aveva assistito e difeso nella causa di locazione, ma nei confronti del comune di Foggia verso il quale non aveva
espletato alcun mandato e non aveva, quindi, diritto ad alcuna retribuzione. Né per sostenere la natura privilegiata del credito si può far riferimento all'art. 68 della legge professionale sul
presupposto che, a seguito dell'azione promossa nell'interesse del Caccavo contro il comune di Foggia per ottenere il rilascio di immobili da questo detenuti, era intervenuto, nella fase ese
cutiva, tra le parti un accordo transattivo, in virtù del quale il comune si accollava le spese della procedura sostenute dal Cac cavo. Intanto non è assolutamente vero che il comune si sia ac collato le spese di procedura, non risultando da alcun atto né la
Il Foro Italiano — 2002.
transazione né l'accollo, in quanto proprio il verbale di sfratto
dell'8 giugno 1990, che, a detta del De Martino, attesterebbero
l'esistenza di tali atti, riporta invece solo la semplice dichiara
zione dell'impiegato del comune: «siamo in trattative per via di
un nuovo contratto di locazione, abbiamo già risolto la morosi
tà, chiediamo tempo» e la testuale risposta di smentita e di con
testazione dell'avv. De Martino che «si oppone a tale richiesta».
Né va tralasciata la circostanza che proprio in quanto il comune
non intendeva riconoscere alcun accollo di spesa, l'avv. De
Martino fu costretto ad avanzare istanza di decreto ingiuntivo contro il comune per ottenere il pagamento delle spese. In se
condo luogo, vi è da dire che la norma dell'art. 64 della legge
professionale persegue finalità completamente diverse, consen
tendo sì all'avvocato, che abbia concluso una transazione, di
agire per il recupero di quanto dovutogli, oltre che nei confronti
del proprio cliente, anche nei confronti di tutte le altre parti che
abbiano partecipato a tale transazione, ma non attribuisce né ri
conosce, anche al credito verso le controparti, il carattere privi
legiato, e non vi è dubbio che, trattandosi di un beneficio, del
tutto eccezionalmente prescritto per il credito dovuto dal man
dante, doveva essere espressamente previsto dalla legge anche
per il credito dovuto da estranei al rapporto di mandato. Ad ogni modo, pur a voler ritenere applicabile il beneficio anche al cre
dito chiesto nei confronti delle controparti della transazione, vi
è da rilevare che nessunissima prova vi è in atti di un contratto
di transazione intervenuto tra il suo cliente e il comune, che, come è noto, deve essere provato per iscritto, né tanto meno di un giudizio sia stato definito (e non evitato) con una transazio
ne, come richiesto dalla norma in esame. Anzi l'avv. De Marti
no si è limitato ad esibire un'ordinanza in data 28 marzo 1990
di convalida di sfratto per morosità divenuta esecutiva, e verbali
di accesso di sfratto dell'8 giugno 1990 e del 30 giugno 1990, dimostrativi del contrario, e una nota specifica per prestazioni riferentesi al giudizio di cognizione già conclusosi e definito con l'ordinanza di convalida di sfratto e non con la asserita transazione. Né, d'altro canto, l'avv. De Martino ha fornito pro va che le somme rivendicate si collochino all'interno del pro cesso esecutivo cessato mediante accordo transattivo, poiché la
documentazione prodotta potrebbe avvalorare anche la tesi che
ci si trovi di fronte a prestazioni stragiudiziali o ad un accordo
per evitare un instaurando giudizio per risarcimento danni che il
Caccavo ben poteva intraprendere ai danni del comune di Fog gia, moroso nel pagamento dei canoni. La Suprema corte di cas sazione ha avuto modo di chiarire che l'art. 68 della legge pro fessionale, costituendo deroga alla regola generale secondo cui il difensore può rivolgersi esclusivamente al cliente per il pa
gamento dei compensi, ha natura di norma singolare da inter
pretarsi restrittivamente, onde l'obbligo solidale per il paga mento sussiste solo se la transazione sia stipulata dal cliente e
comporti la definizione del giudizio in cui sia coinvolto, ag giungendo che mediante l'accordo transattivo le parti devono
far cessare, senza necessità di pronunzia del giudice, una lite già cominciata (Cass. 20 settembre 1997, n. 9325, Foro it., Rep. 1997, voce Avvocato, n. 149; 6 novembre 1987, n. 8224, id.,
Rep. 1987, voce cit., n. 78; 10 novembre 1990, n. 10834, id.,
Rep. 1990, voce cit., n. 117). Resta così superato il motivo dell'appello che è stato propo
sto dal De Martino alla sentenza, nella parte in cui ha ritenuto non applicabile la previsione dell'art. 2751 bis, n. 2, c.c., per non aver egli dato prova della riferibilità delle sue prestazioni agli ultimi due anni, onde deve rigettarsi.
L'impugnata sentenza va, dunque, confermata, nel senso che non può riconoscersi il carattere privilegiato al credito vantato nei confronti del comune, ma ciò per le ragioni testé spiegate e diverse da quelle addotte dal primo giudice.
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