sentenza 6 giugno 1996, causa C-101/94; Pres. Rodriguez Iglesias, Avv. gen. Lenz (concl. conf.);Commissione delle Comunità europee c. Repubblica italianaSource: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1996), pp. 353/354-357/358Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190132 .
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sen tenza 6 giugno 1996, causa C-101/94; Pres. Rodriguez Igle
sias, Aw. gen. Lenz (conci, conf.); Commissione delle Co
munità europee c. Repubblica italiana.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE;
Unione europea — Ce — Libertà di stabilimento e di prestazio ne di servizi — Attività di intermediazione mobiliare — Re
quisito della sede legale in Italia — Normativa nazionale con
figgente — Inadempimento (Trattato Ce, art. 52, 59; 1. 2
gennaio 1991 n. 1, disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e diposizioni sull'organizzazione dei mercati mobi liari, art. 3).
Riservando lo svolgimento delle attività di intermediazione mo
biliare, oltre che alle banche, alle società con sede legale in
Italia, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad
essa incombenti in forza degli art. 52 e 59 del trattato in tema
di libertà di stabilimento e di prestazione di servizi. (1)
1. - Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 22 mar
zo 1994, la commissione delle Comunità europee ha proposto a questa corte, ai sensi dell'art. 169 del trattato Ce, un ricorso
diretto a far dichiarare che, riservando le attività di intermedia
zione mobiliare, oltre che alle banche, alle società con sede le
gale in Italia, la Repubblica italiana è venuta meno agli obbli
(1) Depurata degli echi riservati alla vicenda dalla stampa economico - finanziaria (cfr., da ultimo, A. Cerretelli, Condanna Ue per i ritardi
della legge sulle Sim, ne II Sole 24 Ore del 7 giugno 1996, 23), la deci
sione si iscrive nel consolidato orientamento interpretativo della corte
teso ad assicurare effettività ai principi di libertà di stabilimento e di
prestazione dei servizi sanciti dagli art. 52 e 59 del trattato. Essendo
invero fuori di dubbio l'appartenenza dell'attività di intermediazione
mobiliare (rectius, nel nuovo lessico introdotto dall'art. 21 1. 52/96,
legge comunitaria per il 1994, di prestazione di servizi di investimento) svolta in via professionale alla fattispecie «prestazione di servizi» data
dall'art. 60 del trattato (v. Corte giust. 4 dicembre 1986, causa 205/84, Foro it., 1988, IV, 18, con note di Frignani e Scordamaglia), la su
bordinazione ex art. 3, 1° comma, lett. a), 1. 2 gennaio 1991 n. 1 (c.d.
legge sulle Sim) dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività al requisito della sede legale nel territorio nazionale si configura in evidente contra
sto con il diritto comunitario. Non vale infatti ad escludere le censure, rileva la corte, né il richiamo alla diversità di metodo per la valutazione
delle garanzie in materia di fondi propri tra Italia ed altri Stati membri, né la impossibilità di vigilare sugli intermediari ed assoggettarli a san
zioni quando non sono stabiliti in via principale in Italia. E ciò per l'elementare rilievo che, da un lato, esiste pur sempre la possibilità di
procedere ad una valutazione comparativa circa l'equivalenza degli ef
fetti tra parametri in essere nell'ambito degli Stati ed eventualmente
subordinare l'esercizio dell'attività alla costituzione di garanzie sul ter
ritorio italiano e, dall'altro, che il collegamento tra vigilanza e sede
legale risulta affatto indimostrato, non costituendo tale obbligo «il solo
mezzo che consenta ... di garantire che gli operatori rispettino le nor
me di esercizio dell'attività di intermediazione mobiliare emanate dal
legislatore italiano e ... di assoggettare efficacemente a sanzioni gli
operatori che trasgrediscano tali norme». Sul punto, v. Corte giust. 7 febbraio 1983, causa 29/82, id., 1984, IV, 342. Circa invece la com
patibilità del diritto al libero stabilimento con gli obiettivi di ordine
pubblico sottesi alla 1. 1/91, cfr. Corte giust. 5 dicembre 1989, causa
3/88, id., 1990, IV, 113, citata in motivazione. L'intrinseca debolezza
dei descritti argomenti definitivi era peraltro nota, atteso che anche la
dottrina tendenzialmente più favorevole alla 1. 1/91 (M. C. Maiaguti, La l. 2 gennaio 1991 n. 1 (Sim) è veramente incompatibile con il diritto
comunitario sulla libera prestazione di servizi?, in Contratto e impresa, 1993, 650) non mancava di sottolineare l'irrimediabile contrasto del re
quisito della sede legale con il diritto comunitario (p. 667). È appena il caso di soggiungere che la problematica in rassegna è virtualmente
superata dalla bozza di decreto delegato reso in attuazione del cennato
art. 21 1. 52/96 di recepimento delle direttive c.d. Eurosim (n. 93/6
e n. 92/22 Cee), approvato il decorso 15 maggio dal consiglio dei mini
stri ed attualmente all'esame delle competenti commissioni parlamenta ri (vedine il testo ne II Sole-24 Ore del 19 maggio 1996, 7), e che —
medio tempore — «sulla base degli orientamenti forniti dal ministero
del tesoro in merito alla diretta applicabilità, almeno in parte, delle
disposizioni» della direttiva n. 93/22, la Consob avrebbe individuato
«con una apposita comunicazione in corso di trasmissione alle imprese di investimento comunitarie interessate, le principali disposizioni, ivi
comprese le regole di condotta, rientranti nelle competenze Consob,
cui le imprese di investimento stesse devono attenersi nella prestazione di servizi di investimento in Italia» (così Consob informa, notiziario
settimanale della Consob, n. 20 del 20 maggio 1996). Pare, tuttavia, che la condanna sia arrivata prima della «comunicazione» (e v. il cen
nato articolo del Sole-24 Ore del 7 giugno 1996).
Il Foro Italiano — 1996 — Parte IV-15.
ghi ad essa incombenti in forza degli art. 52 e 59 del trattato Ce.
2. - La 1. 2 gennaio 1991 n. 1, recante disciplina dell'attività
di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari (G.U.R.I. n. 3 del 4 gennaio 1991, pag. 2; in prosieguo: la «legge»), si applica, ai sensi del suo art.
1, 1° comma, alle seguenti attività, da essa qualificate come
«attività di intermediazione mobiliare»: «a) negoziazione per conto proprio o per conto terzi, ovvero
sia per conto proprio che per conto terzi di valori mobiliari;
b) collocamento e distribuzione di valori mobiliari con o sen
za preventiva sottoscrizione o acquisto a fermo, ovvero assun
zione di garanzia nei confronti dell'emittente;
c) gestione di patrimoni, mediante operazioni aventi ad og
getto valori mobiliari;
d) raccolta di ordini di acquisto o vendita di valori mobiliari; e) consulenza in materia di valori mobiliari;
f) sollecitazione del pubblico risparmio effettuata mediante
attività anche di carattere promozionale svolta in luogo diverso
da quello adibito a sede legale o amministrativa principale del
l'emittente, del proponente l'investimento o del soggetto che pro cede al collocamento (. . .)».
3. - Ai sensi dell'art. 2, 1° comma, della legge, l'attività pro fessionale di intermediazione mobiliare può essere svolta in Ita
lia, nei confronti del pubblico, oltre che dalle banche, solamen
te dalle «società di intermediazione mobiliare» (in prosieguo: le «Sim») che vi siano state autorizzate dalla «Commissione na
zionale per le società e la borsa» (in prosieguo: la «Consob»). 4. - Per essere autorizzate all'esercizio dell'attività di interme
diazione mobiliare, le Sim devono soddisfare taluni requisiti re
lativi, in particolare, alla loro forma giuridica, all'ammontare
del loro capitale iniziale, all'onorabilità dei loro dirigenti e
azionisti. 5. - Ai sensi dell'art. 3, 2° comma, lett. a), della legge: «La società (di intermediazione mobiliare) deve essere costi
tuita nella forma della società per azioni o di una società in
accomandita per azioni, deve ricomprendere nella denominazio
ne sociale le parole "società di intermediazione mobiliare" e
avere sede legale nel territorio dello Stato (. . .)». 6. - Con lettera di diffida del 20 dicembre 1991, la commis
sione ha informato le autorità italiane che talune disposizioni della legge e, in particolare, quelle dell'art. 3, 2° comma, lett.
a), erano incompatibili con gli art. 52 e 59 del trattato. Nella
loro risposta del 6 febbraio 1992 le autorità italiane hanno con
testato tale punto di vista. Il 19 ottobre 1992 la commissione
ha quindi emanato un parere motivato in cui contestava alla
repubblica italiana il fatto di essere venuta meno all'obbligo ad essa incombente in forza degli art. 52 e 59 del trattato limi
tando l'esercizio delle attività di intermediazione mobiliare alle
sole società con sede legale in Italia e rispondenti a condizioni
che non potevano essere soddisfatte dagli intermediari degli al
tri Stati membri. In risposta a tale parere motivato, le autorità
italiane, con lettera in data 8 gennaio 1993, hanno ribadito che
la loro legislazione era conforme alle disposizioni del trattato.
7. - Di conseguenza, la commissione ha proposto il presente ricorso. Come risulta sia dalla fase precontenziosa sia dalle me
morie presentate alla corte, tale ricorso riguarda essenzialmen
te, se non esclusivamente, le disposizioni di cui all'art. 3, 2°
comma, lett. a), della legge.
Sulla censura relativa alla violazione dell'art. 52 del trattato
8. - La comissione sostiene che l'obbligo di esercitare l'attivi
tà di intermediario mobiliare nella forma di una società con
sede legale in Italia è incompatibile con l'art. 52 del trattato.
Essa fa valere che una disposizione di questo genere impedisce
agli intermediari degli altri Stati membri di utilizzare talune for
me di stabilimento, quale l'agenzia o la succursale, e crea una
discriminazione a loro danno obbligandoli a sopportare il costo
di costituzione di una nuova società. A suo parere, un siffatto
obbligo non è necessario per conseguire gli obiettivi legittima
mente perseguiti dalla legge italiana. Sarebbe infatti possibile
prevedere una procedura, come una procedura di autorizzazio
ne o di approvazione, destinata a verificare se gli intermediari
degli altri Stati membri siano soggetti, nel relativo Stato mem
bro d'origine, a norme equivalenti a quelle previste dalla legge
italiana.
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PARTE QUARTA
9. - In forza dell'art. 52, 2° comma, del trattato, la libertà .
di stabilimento si esercita alle condizioni definite dalla legisla zione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini.
10. - L'accesso ad alcune attività autonome e il loro esercizio
possono così essere subordinati al rispetto di determinate dispo sizioni legislative, regolamentari e amministrative, giustificate dall'interesse generale, come norme in tema di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabili tà (sentenze 28 aprile 1977, causa 71/76, Thieffry, Racc. pag.
765, punto 12; Foro it., 1977, IV, 209, e 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. 1-4165, punto 35,; Foro
it., 1996, IV, 265). Tali disposizioni possono prevedere, in par
ticolare, che l'esercizio di un'attività specifica.sia riservato alle
persone che presentino talune garanzie e siano sottoposte ad
una determinata disciplina o a un determinato controllo.
11. - Allorché l'accesso a un'attività specifica, o l'esercizio
di questa, è subordinato, nello Stato membro ospitante, a tali
condizioni, il cittadino di un altro Stato membro che intenda
esercitare tale attività deve, di regola, soddisfarle (sentenza Geb
hard, citata, punto 36). 12. - Tuttavia, come la corte ha già rilevato, l'art. 52 del
trattato, che costituisce una delle norme fondamentali della Co
munità, è diretto in particolare a garantire, in materia di stabili
mento, il beneficio del trattamento nazionale a qualunque citta
dino di uno Stato membro che intenda stabilirsi, anche solo
in via secondaria, in un altro Stato membro per esercitarvi un'at
tività autonoma.
13. - Tale articolo vieta qualsiasi discriminazione nei confronti
dei cittadini di altri Stati membri che derivi dalle leggi, dai re golamenti o dalle prassi nazionali (v., in questo senso, sentenze
28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia, Racc.
pag. 273, punti 13 e 14, e 30 marzo 1993, causa C-168/91, Kon
stantinidis, Racc. pag. 1-1191, punto 12). Esso vieta, in partico
lare, qualsiasi norma nazionale che sia tale da porre i cittadini
degli altri Stati membri in una situazione di diritto o di fatto
svantaggiata riguardo a quella riservata, nelle stesse circostan
ze, ad un cittadino dello Stato membro di stabilimento (senten za Konstantinidis, citata, punto 13).
14. - Il governo italiano non contesta che la sua legislazione
impedisca agli intermediari degli altri Stati membri di utilizzare
talune forme di stabilimento secondario e che esso imponga lo
ro costi supplementari a cui non sono soggetti gli intermediari
italiani. Esso sostiene semplicemente che tale disparità di tràtta
mento è oggettivamente giustificata. 15. - Il governo italiano considera così che non è possibile
comparare le condizioni poste dalla legge italiana e quelle poste
dagli altri Stati membri, come propone la commissione. Esso
fa valere che ciò è vero in particolare per le garanzie in materia
di fondi propri che sono determinate secondo un metodo che
differisce da quello impiegato negli altri Stati membri.
16. - Tuttavia, come rileva la commissione, la stessa legisla zione italiana ammette la possibilità di procedere ad una com
parazione tra normativa nazionale e normative straniere. In par
ticolare, ai sensi dell'art. 20, 8° comma, della legge, la Consob
è autorizzata a stipulare con le autorità di controllo degli altri
paesi accordi per il riconoscimento reciproco dei mercati mobi
liari regolamentati e ad essa spetta accertare che un certo nume
ro di parametri, tra i quali le norme di vigilanza sui mercati
e sugli intermediari, siano «di effetto equivalente a quello della
normativa vigente in Italia».
17. - Inoltre, secondo la commissione, che non è stata smen
tita al riguardo, i diversi metodi utilizzati dagli Stati membri per determinare i requisiti in materia di fondi propri garantisco no globalmente una sicurezza equivalente anche se, caso per
caso, un metodo può rivelarsi più protezionista di un altro.
18. - Occorre pertanto respingere l'argomento secondo Cui
le norme di accesso alla professione di intermediario nei diversi
Stati membri, specie in ordine ai fondi propri della società, non
sono comparabili. 19. - Il governo italiano considera altresì che non è possibile
vigilare sugli intermediari e assoggettarli a sanzioni se non sono
Stabiliti in via principale in Italia. Esso ritiene infatti che solo la presenza dello stabilimento principale, e in particolare della
sede sociale, sul territorio nazionale permetta di disporre di tut
te le informazioni necessarie al controllo di tutti gli elementi
che garantiscono l'efficacia delle sanzioni.
20. - Neppure un siffatto argomento può essere accolto. Il
Il Foro Italiano — 1996.
governo italiano non ha dimostrato infatti che la presenza dello
stabilimento principale dell'intermediario sul territorio italiano
sia il solo mezzo per vigilare sull'intermediario stesso e per as
soggettarlo efficacemente a sanzioni se desidera operare in Italia.
21. - Anche se è vero che l'obbligo di avere la propria sede
sociale in Italia facilita la vigilanza nei confronti degli operatori sul mercato e il loro controllo, tuttavia un siffatto obbligo non
è il solo mezzo che consenta, da un lato, di garantire che gli
operatori rispettino le norme di esercizio dell'attività di inter
mediazione mobiliare emanate dal legislatore italiano e, dall'al
tro, di assoggettare efficacemente a sanzioni gli operatori che
trasgrediscano tali norme.
22. - Come precisa la commissione, è possibile richiedere alle
società di intermediazione che intendono operare in Italia di
accettare di sottoporsi ai controlli o di fornire i documenti e
le informazioni necessari alle autorità italiane per accertarsi che
tali società soddisfino i requisiti imposti dalla legge italiana. È, in particolare, concepibile richiedere a tali società di fornire
informazioni e documenti riguardanti specificamente l'attività
dei loro stabilimenti secondari insediati in Italia.
23. - In ordine alla solvibilità degli operatori, è possibile su
bordinare l'attività in Italia alla costituzione di garanzie finan
ziarie sul territorio italiano in maniera da rendere sicure le ope razioni effettuate su tale territorio.
24. - Inoltre, si può anche concepire che le autorità italiane
concludano accordi di cooperazione in materia di vigilanza sui
mercati e sugli intermediari, così come avviene con i paesi terzi.
D'altro canto, come si è detto in precedenza^ una tale eventuali
tà è espressamente prevista dall'art. 20, 8° comma, della legge, 25. - Il governo italiano non può neppure utilmente basarsi
sull'art. 56 del trattato Ce per sostenere che la sua legislazione è conforme al diritto comunitario. .
26. - Anche supponendo che gli obiettivi perseguiti dalla leg
ge italiana possano essere considerati come obiettivi «d'ordine
pubblico», ai sensi di tale norma, risulta a fortiori da quanto
precede che gli obblighi controversi non sono indispensabili per
conseguire tali obiettivi e che essi non possono quindi conside
rarsi giustificati alla luce della norma stessa (v. sentenza 5 di
cembre 1989, causa C-3/88, Commissione/Italia, Racc. pag.
4035, punto 15; Foro it., 1990, IV, 113). 27. - Infine, il governo italiano non può far valere il mancato
rispetto del principio di reciprocità o fondarsi su un'eventuale
violazione del trattato da parte di un altro Stato membro per
giustificare il proprio inadempimento (v. sentenze 25 settembre
1979, causa 232/78, Commissione/Francia, Racc. pag. 2729, pun to 9; Foro it., 1981, IV, 253, e 14 febbraio 1984, causa 325/82,
Commissione/Germania, Racc. pag. 777, punto 11; Foro it.,
Rep. 1986, voce Comunità europee, n. 205). 28. - Di conseguenza, va accolta la censura relativa alla viola
zione dell'art. 52 del trattato.
Sulla censura relativa alla violazione dell'art. 59 del trattato
29. - La commissione sostiene che l'obbligo di esercitare le
attività di intermediazione mobiliare nella forma di società avente
sede in Italia è in contrasto con l'art. 59 del trattato poiché osta, in maniera assoluta, alla prestazione di servizi in Italia
da parte degli intermediari degli altri Stati membri. A suo pare re, un obbligo del genere non è indispensabile e neppure neces
sario, in tutti i casi, per raggiungere gli obiettivi di tutela degli investitori e di stabilità dei mercati che la legislazione italiana
legittimamente persegue. 30. - Il governo italiano sostiene, per i motivi indicati ai punti
15 e 19 della presente sentenza, che un siffatto obbligo è non
soltanto necessario ma ugualmente indispensabile per raggiun
gere tali obiettivi.
31. - L'obbligo imposto agli operatori economici degli altri Stati membri di stabilirsi, in via principale, in Italia è la nega zione stessa della libera prestazione dei servizi e, come risulta
dai punti 20-24 della presente sentenza, non costituisce una con dizione indispensabile per raggiungere lo scopo perseguito. Esso
viola quindi l'art. 59 del trattato (v. sentenza 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania, Racc. pag. 3755, punto 52; Foro it., 1988, IV, 18). .
32. - Allo stesso modo il governo italiano non può fondarsi
sull'art. 66 del trattato Ce, per motivi identici a quelli indicati
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GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E STRANIERA
al punto 26 della presente sentenza. Esso non può neppure far
valere gli inadempimenti commessi da altri Stati membri per
giustificare il proprio inadempimento. 33. - Di conseguenza, la censura fondata sulla violazione del
l'art. 59 del trattato deve anch'essa essere accolta.
34. - Alla luce di quanto sopra si deve constatare che, riser
vando le attività di intermediazióne mobiliare, oltre che alle ban
che, alle società con sedè legale in Italia, la Repubblica italiana
è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli art. 52 e 59 del trattato. (Omissis)
Per questi motivi, la corte dichiara e statuisce:
1) Riservando le attività di intermediazione mobiliare, oltre
che alle banche, alle società con sede legale in Italia, la Repub blica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli art. 52 e 59 del trattato Ce.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITÀ EUROPEE; sen tenza 7 marzo 1996, causa C-192/94; Pres. Kakouris, Avv.
gen. Lenz (conci, conf.); Soc. E1 Corte Inglés c. Blazquez Rivero.
Unione europèa — Ce r- Direttive Mancata trasposizione — Efficacia diretta — Invocabilità nei confronti dei singoli — Esclusione — Fattispecie in tema di credito al consumo
(Trattato Ce, art, 189; direttiva 22 dicembre 1986 n. 87/102
Cee del consiglio, relativa al ravvicinamento delle disposizio ni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati mem
bri in materia di credito al consumo).
In assenza di provvedimenti di attuazione della direttiva del con
siglio 22 dicembre 1986 n. 87/102 Cee, relativa al ravvicina
mento delle disposizioni legislative, regolamentari ed ammini
strative degli Stati membri in materia di credito al consumo, adottati entro i termini prescritti, il consumatore non può, anche tenuto conto dell'art. 129 A del trattato, fondare sulla
direttiva stessa un diritto di agire nei confronti del finanziato
re, soggetto privato, per l'inadempimento del fornitore, o del
prestatore di servizi con il quale il medesimo finanziatore ha
concluso un accordo che gli attribuisce l'esclusiva per la con
cessione del credito ai clienti del fornitore, e far valere tale
diritto dinanzi a un giudice nazionale. (1)
(1) In termini, per l'affermazione dell'inefficacia orizzontale delle di rettive non attuate, Corte giust. 14 luglio 1994, causa C-91/92, Foro
it., 1995, IV, 38, con nota di L. Daniele, ed ivi per riferimenti. Adele,
per ulteriori indicazioni, anche sugli orientamenti della giurisprudenza nostrana, la nota di Calò, Contrasti giurisprudenziali sulla portata del la nozione di efficacia diretta delle direttive comunitarie, in Nuova giur. «v„ 1995, 1, 843.
La direttiva 87/102 Cee (sulla quale, riassuntivamente, AA.VV., La
disciplina comunitaria del credito al consumo a cura di Capriglione, Banca d'Italia, Quaderni di ricerca giuridica, Roma, 1987) è stata at tuata dal nostro legislatore con gli art. 18-24 1. 19 febbraio 1992 n.
142, poi trasfusi con qualche modificazione nel d.leg. 1° settembre 1993 n. 385, testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, agli art. 121-126.
Sul tema, ex multis, Gorgoni, Il credito al consumo, Giuffrè, Mila
no, 1994; Norme di attuazione delle direttive comunitarie in tema di
credito al consumo (art. 121-126 d.leg. 1" settembre 1993 n. 385, t.u. delle leggi in materia bancaria e creditiziaj a cura di Canale, Macario,
Masucòi, coordinati da Lipari, in Nuove leggi civ.;. 1994, 745; Alpa, L'attuazione della direttiva sul credito al consumo, in Contratto e im
presa, 1994, 6; Carriero, Trasparenza bancaria, credito al consumo
e tutela del contraente debole, in Foro it., 1992, V, 354; Tidu, Il recepi mento della normativa bancaria sul credito al consumo (l. 19 febbraio 1992 n. 142, art. 18-24), in Banca, borsa, ecc., 1992, I,. 403; adde, i richiami di E. Scoditti e il commento di F. Macario, in nota a Cass.
20 gennaio 1994, n. 474, Foro it., 1994, I, 3094.
Per un esauriente quadro d'assieme degli interventi normativi comu nitari in materia di tutela del consumatore (e delle loro implicazioni sul piano interno); cfr. i richiami di M. Crisostomo, in nota a Pret.
Bologna 28 febbraio 1995, id., 1995, I, 2304 ed anche B. Capponi,
Il Foro Italiano — 1996.
1. - Par ordonnance du 30 juin 1994, parvenue à la Cour
le 4 juillet suivant, le Juzgado de Primiera Instancia n. 10 de . Sevilla a posé, en application de Particle 177 du traité Ce, una
question préjudicielle relative à 1'interpretation des articles 129
À du traité Ce et 11 de la directive 87/102/Cee du Consèil, du 22 décembre 1986, relative au rapprochement des disposi tions législatives, réglementaires et administratives des États mem
bres en matière de crédit à la consommation (JO L 42, p. 48,
ci-après la «directive»). 2. - Cette question a été posée dans le cadre d'un litige oppo
sant une société de financement, E1 Corte Inglés (ci-après la.
Diritto comunitario e azioni di interesse collettivo dei consumatori, id., 1994, IV, 439 (con riferimento al credito al consumo).
# # #
L'efficacia diretta delle direttive fra certezze (comunitarie) e frainten dimenti (nazionali).
I. - Il caso, in breve: la società Corte Inglés conveniva in giudizio la signora Blàzquez Rivero per ottenere il rimborso delle rate residue del finanziamento concessole per il pagamento del corrispettivo di un contratto di viaggio turistico, rimborso dalla cliente interrotto a causa
dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali da parte dell'agente di viaggio: Il giudice adito, rilevato che l'art. 11, par. 2, della direttiva
87/102, (ritenuto) applicabile al caso sottoposto al suo esame, non era stato attuato dal legislatore spagnolo; e considerata, d'altra parte, pre clusa la possibilità, per giustificare il. comportamento della convenuta, di ricorrere all'interpretazione conforme del diritto interno, poneva ai
giudici di Lussemburgo un quesito pregiudiziale diretto a stabilire se fosse possibile applicare il ridetto art. l'I nei rapporti fra privati. Con la pronunzia in rassegna la corte ribadisce il proprio orientamento con trario al riconoscimento dell'effetto diretto orizzontale delle direttive inattuate (cioè la loro invocabilità nei rapporti interindividuali) che, pur aspramente criticato da più parti, sembra insuscettibile allo stato di mo difiche e/o ripensamenti. E prova di ciò si rinviene sia nell'iter proces suale del giudizio, sia nell'apparato argomentativo della decisione.
Per quanto riguarda il primo aspetto appéna evocato, è sufficiente rilevare che la corte si è premurata di inviare al giudice spagnolo la
pronunzia Faccini Dori (pubblicata pochi giorni dopo la trasmissione a Lussemburgo dell'ordinanza di rinvio), certa in tal modo di chiudere
ogni discussione. Così non è stato perché il giudice a quo, pur di sot trarsi alla (altrimenti) inevitabile adozione di una decisione sfavorevole alla convenuta, non ha esitato a percorrere una strada ictu oculi senza
sbocchi, rappresentata dall'utilizzazione dell'art. 129A del trattato in chiave genericamente «integrativo-rafforzativa» dei mezzi di tutela del
consumatore, così da far breccia nel muro eretto dalla corte. Peraltro, è appena il caso di osservare che lo stesso giudice spagnolo era parso consapevole della improponibilità della propria tesi, prospettata, infat
ti, senza troppa convinzione. Sotto il secondo dei profili in precedenza indicati, la pronunzia in
epigrafe sembra scandire una soluzione di continuità, anche semantica,
rispetto alla sentenza Faccini Dori, riproducendone pressoché pedisse
quamente la parte motiva (della quale non sono peraltro ripresi i riferi menti giurisprudenziali che avevano indotto Daniele, cit., 40, ad ipo tizzare che la corte si stesse orientando a riconoscere efficacia diretta
solo alle direttive in materia pubblicistica), articolata sulle seguenti pro
posizioni: a) una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valére in quanto tale nei suoi confronti; b) la giurisprudenza che ammette l'efficacia verticale, fondata sulla natura cogente attribuita alle direttive dall'art. 189 (natu ra cogente che esiste) esclusivamente nei confronti dello Stato, tende ad evitare che «uno Stato possa trarre vantaggio dalla sua trasgressione del diritto comunitario»; c) estendere tale giurisprudenza all'ambito dei
rapporti tra ì singoli significherebbe riconoscere alla Comunità il potere di emanare norme che facciano sorgere con effetto immediato obblighi a carico.di questi ultimi, mentre tale competenza le Spetta solo laddove
le sia attribuito il potére di adottare regolamenti, o decisioni; d) ove ' il risultato prescritto dalla direttiva —■ costituito nella specie dall'attri buzióne al consumatore del diritto di agire contro il finanziatore nell'i
potesi di inadempienze dèi fornitore o del prestatore di servizi — non
possa essere conseguito in via ermeneutica (ricorrendo al canone del
l'interpretazione conforme di cui alla sentenza Marleasing) (1)), il sin-;
golo potrà rifarsi agendo nei confronti dello Stato per ottenere il risar
cimento dei danni derivatigli dàlia mancata attuazione della direttiva.
(1) Corte giust. 13 novembre 1990, causa 106/89, Foro it., 1992, IV,
173, con nota di L. Damele, che ha affermato l'obbligo per i giudici nazionali di interpretare le norme vigenti, siano esse precedenti o suc cessive alla direttiva in considerazione, in maniera (quanto più è possi
bile) conforme alla direttiva medesima.
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