+ All Categories
Home > Documents > sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: duonganh
View: 213 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
9
sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 3 (MARZO 2002), pp. 201/202-215/216 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23196940 . Accessed: 24/06/2014 21:21 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. PiconeSource: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 3 (MARZO 2002), pp. 201/202-215/216Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196940 .

Accessed: 24/06/2014 21:21

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

GIURISPRUDENZA PENALE

ad una fonte confidenziale non rivelata, ma non si sofferma in

alcun passo della motivazione sulla rilevanza e l'utilizzabilità di

questa fonte.

c) Non si perviene a diverse conclusioni a seguito dell'ema

nazione della 1. 63/01, c.d. sul giusto processo. A questa legge non si può riconoscere generale efficacia re

troattiva, in relazione agli atti processuali già compiuti. Va osservato, in generale, che, da un lato, poiché le situazioni

giuridiche durano nel tempo, si rende indispensabile accertare

se i rapporti pendenti al momento dell'entrata in vigore della

nuova legge siano assoggettati a questa ovvero restino discipli nati dalla vecchia legge; dall'altro, poiché i giudici conoscono

di fatti e rapporti passati, occorre stabilire se tali fatti e rapporti debbano essere valutati in base alle disposizioni di legge abro

gata, sotto la cui vigenza si sono verificati, ovvero secondo il

regime delle disposizioni di legge vigenti al momento del pro cesso.

Tali questioni transitorie sono regolate, in via generale ed

astratta, dal complesso delle norme e dei principi di cui è costi

tuito il diritto intertemporale, che è volto ad individuare quale norma, la vecchia o la nuova, sia applicabile alle situazioni pen denti; specificamente ed in concreto, dalle disposizioni transito

rie emanate dal legislatore, che disciplinano esse stesse le situa

zioni pendenti, con regole distinte sia dalle vecchie, sia dalle

nuove norme.

Le caratteristiche delle disposizioni transitorie, che discipli nano autonomamente un numero circoscritto di fattispecie, non

consentono che di esse si faccia applicazione in via analogica. Ove manchi la disposizione transitoria, vengono in applica

zione i principi e le norme di diritto intertemporale e, attraverso

questi, la vecchia o la nuova norma.

Nel caso in esame, il legislatore ha emanato disposizioni tran

sitorie, ma relative soltanto alle specifiche categorie di atti

enumerate nel 2°, 3° e 4° comma dell'art. 26. Il 1° comma del

l'art. 26, non dettando alcuna disposizione transitoria, nell'ac

cezione specificata, si limita a ribadire l'applicabilità del diritto intertemporale.

Il diritto intertemporale incide sui modi di efficacia delle

norme sopravvenute, così articolati: efficacia retroattiva, effica

cia immediata, efficacia differita. Regola generale è l'efficacia immediata, per cui una norma

disciplina immediatamente con effetti ex mine ogni situazione

giuridica che rientri nella sua previsione. Specifica applicazione di questa regola generale si rinviene nell'art. 11 preleggi, se

condo cui «la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha

effetto retroattivo» nonché, quanto al diritto penale sostanziale, nell'art. 25 Cost.

Eccezioni sono la retroattività, in forza della quale una norma

disciplina con effetti ex tunc situazioni giuridiche pendenti o

future oppure riconnette effetti nuovi o diversi, anche se ex

nunc, a fatti passati e l'ultrattività della norma abrogata, in virtù

della quale a situazioni giuridiche pendenti continua ad appli carsi la vecchia norma. Non ravvisandosi alcun elemento al

quale poter agganciare l'applicazione di una regola di diritto

intertemporale diversa da quella ordinaria, va affermato che le

intercettazioni in esame rimangono soggette al regime vigente al

momento in cui esse sono state autorizzate.

D'altronde, a tutto concedere, e solo ad abundantiam, si rile

va che l'art. 10 1. 63/01, nel richiamare l'applicazione dell'art.

203, si riferisce alla sola valutazione dei gravi indizi di reato. Il

principio di tassatività che presidia la categoria dell'inutilizza

bilità-sanzione, dianzi illustrato, esclude qualsiasi estensione di

tale previsione alla valutazione dei sufficienti indizi di colpe volezza, rilevanti nel caso in considerazione.

d) Sempre per mero scrupolo di completezza, va rilevato che

un altro dei requisiti che connotano la categoria dell'inutilizza

bilità è quello della «fissità», in antitesi alla propagabilità della

nullità agli atti consecutivi dipendenti da quello dichiarato nul

lo. Unico effetto del rilievo d'inutilizzabilità di una prova è la

sua emarginazione dal contesto probatorio e la conseguente formulazione della decisione sul materiale residuo (la propaga bilità dell'inutilizzabilità agli atti consecutivi dipendenti è stata

esclusa da Cass., sez. I, 26 maggio 1994, Scaduto, id., Rep.

1995, voce Prova penale, n. 39, e sez. II 24 gennaio 1996, Ago

stino, id., Rep. 1998, voce cit., n. 51, secondo cui la disciplina in esame è improntata al principio vitiatur sed non vitiat; nello

stesso senso, da ultimo, Cass., sez. II, 14 novembre 1997, Me

II Foro Italiano — 2002.

riani, ibid., n. 43; sez. I 22 dicembre 1997, Nikolic, ibid., n. 42, e 19 settembre 1997, Guzzardi, ibid., n. 49).

La giurisprudenza di legittimità ha fatto applicazione di que sto principio con riguardo alle intercettazioni telefoniche, auto

rizzate in base alla regola generale fissata dall'art. 267 c.p.p.

(previa valutazione, cioè, dei gravi indizi di reato), a seguito d'informazione confidenziale, stabilendo che «... è da escludere

che l'intera fonte di prova resti inficiata dall'anonimato di chi

per primo abbia fornito le notizie; in tal modo si prescinderebbe

irragionevolmente dal valore di tutte le altre acquisizioni pro cessuali che da tali notizie derivano, svalutandone l'intera por tata per un preteso vizio d'origine, che resta superato da tutte le

successive acquisizioni» (Cass., sez. IV, 12 settembre 1996, Artan Sadin, id., Rep. 1997, voce Intercettazione di conversa

zioni, n. 42). Le acquisizioni processuali seguite alla notizia

anonima per mezzo delle intercettazioni, dunque, ben possono

integrare i presupposti di successivi, e quindi legittimi, decreti

di proroga delle operazioni d'intercettazione.

Fermi i principi appena richiamati, è il caso di aggiungere che, nella fattispecie in esame, la prima richiesta del p.m. e il

decreto di autorizzazione non si fondano solo su notizie confi

denziali, ma hanno trovato sostegno nell'operazione condotta

dalla squadra mobile il 6 luglio 1997, riportata nell'annotazione

redatta in pari data; nel corso di quest'operazione, Altamura

Raffaele è stato sorpreso nella propria abitazione insieme con

più persone indicate come appartenenti a organizzazioni camor

ristiche. Queste circostanze senz'altro legittimavano il p.m. a ri

chiedere l'autorizzazione per lo svolgimento delle operazioni d'intercettazione.

In conclusione, il decreto autorizzativo delle intercettazioni

ambientali in atti ed i successivi decreti di proroga si devono

ritenere congruamente motivati e le intercettazioni compiute vanno considerate pienamente legittime ed utilizzabili.

TRIBUNALE DI PALERMO; sentenza 6 giugno 2001; Pres.

Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone.

TRIBUNALE DI PALERMO

Concorso di persone nel reato — Associazione di tipo mafio

so — Concorso esterno nei reato associativo — Esclusione —

Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 416 bis). Ordine pubblico (reati contro 1')

— Associazione di tipo mafioso — Concorso esterno nel reato associativo —

Esclusione — Favoreggiamento aggravato — Configura

bilità — Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 378, 416 bis; d.l. 13

maggio 1991 n. 152, provvedimenti urgenti in tema di lotta

alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento

dell'attività amministrativa, art. 7; 1. 12 luglio 1991 n. 203,

conversione "in legge, con modificazioni, del d.l. 13 maggio 1991 n. 152).

La disponibilità a pianificare gare d'appalto, manifestata dal

sindaco di un connine della provincia di Palermo nei con

fronti di un personaggio investito del ruolo di mediatore

d'alto livello tra politica, imprenditoria e mafia (c.d. «mini

stro dei lavori pubblici di Cosa nostra»), non tradottasi però in atto e neppure in un progetto ben definito a causa del so

pravvenuto arresto de! predetto mediatore, non è sufficiente a

integrare gli estremi di un concorso esterno nell'associazione

di tipo mafioso. ( 1 )

(1-2) 1. - La sentenza su riprodotta si segnala all'attenzione perché affronta la tormentata problematica del concorso esterno nell'associa

This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

PARTE SECONDA 204

La messa a disposizione di un villino in una contrada di campa

gna, destinalo a fungere da luogo di riunione per un soggetto latitante reggente la famiglia mafiosa di un comune, integra — in assenza della prova della consapevolezza da parte del

proprietario di «salvare» così l'organizzazione criminale in

un momento di pericolo per la sua sopravvivenza —

gli estremi (non già di un concorso esterno nell'associazione

mafiosa, bensì) di un favoreggiamento aggravato ex art. 378, 2° comma, c.p. e 7 d.l. 152/91. (2)

zione mafiosa, mettendo in evidenza questa volta le ragioni che indur rebbero nel caso di specie ad escluderne la configurabilità.

II. - Con riferimento al tipo di condotta oggetto della massima sub 1, Trib. Palermo approfondisce in motivazione il possibile significato at tribuibile alla «messa a disposizione» del sindaco nei confronti del me diatore d'affari di Cosa nostra, in vista di una futura pianificazione ma

nipolata di gare d'appalto: ciò allo scopo di verificare se questa mani festazione di disponibilità «abbia effettivamente raggiunto un grado di materialità tale da assumere rilevanza» nell'ottica del concorso esterno

ipotizzato dall'accusa. La conclusione negativa raggiunta in proposito fa leva sul rilievo che

la disponibilità del sindaco è rimasta nel caso di specie ad uno stadio

embrionale, circoscritta cioè nei limiti di un iniziale tentativo di accor do non seguito da intese più definite a causa del sopravvenuto arresto dell'interlocutore. Se ne deduce implicitamente che Trib. Palermo avrebbe invece avallato l'ipotesi accusatoria ove l'intesa iniziale fosse riuscita a tradursi in un patto dal contenuto più preciso, e ciò peraltro nel solco di un orientamento precedentemente espresso: cfr. Trib. Pa lermo 27 gennaio 2001 (fattispecie relativa ad un politico condannato a titolo di concorso esterno per avere, in cambio dell'appoggio elettorale da parte di un esponente mafioso di primo piano, manifestato disponi bilità ad adoperarsi per «aggiustare» processi concernenti «uomini d'o

nore»), Foro it., 2002, 11, 68, con nota di richiami. In effetti, il concetto di messa a disposizione, che è assai diffuso

nella mentalità e nello stesso linguaggio dei mafiosi, è così generico, ambiguo e duttile da prestarsi nella prassi giudiziaria a fungere da nu cleo non solo del concorso esterno, ma — mutatis mutandis — della stessa condotta di partecipazione (interna) nell'associazione: per rifles sioni critiche in proposito e per un approfondimento dello statuto logico del concetto in parola ricondotto nella categoria generale dei concetti

«disposizionali», cfr. Visconti, La sentenza Andreotti: profili d'intera zione tra diritto sostanziale e accertamento probatorio, in Critica del

diritto, 2000, 487 ss. III. - L'esigenza di assegnare una corretta qualificazione penalistica

anche al tipo di condotta oggetto della massima sub 2 ha indotto Trib. Palermo a ripercorrere in motivazione i complessi, e sotto certi aspetti «fluidi» rapporti intercorrenti tra l'istituto del concorso esterno nell'as sociazione mafiosa e la fattispecie di favoreggiamento aggravato dal fi ne di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa (art. 7 d.l. 152/91).

Le premesse di fondo dell'/Ver motivazionale affondano le radici nel

l'impianto argomentativo della sentenza Demitry (Cass., sez. un., 5 ot tobre 1994, Foro it., 1995, IL 422, con nota di Insolera): la quale, nel Pavallare la configurabilità giuridica del concorso esterno nelle orga nizzazioni mafiose, ne ha individuato il quidproprii nell'atteggiarsi a contributo (anche isolato) di un soggetto estraneo all'associazione, ido neo a far superare all'associazione medesima una fase «patologica» o di fibrillazione emergenziale.

Cercando di sviluppare ulteriormente la prospettiva della sentenza

predetta, allo scopo di operare la problematica distinzione tra concorso esterno e favoreggiamento aggravato ex art. 7 cit., Trib. Palermo ritiene di dover differenziare il piano del «rafforzamento della struttura crimi nale» in quanto tale da quello dell'«agevolazione delle (singole) attivi tà» dell'associazione. In questo senso una stessa condotta potrebbe in

tegrare un reato di favoreggiamento (o, aggiungono i giudici esemplifi cativamente, di estorsione) aggravato ovvero un'ipotesi di concorso esterno, a seconda che essa si risolva in un contributo agevolatore di attività singole dell'associazione ovvero in un contributo all'associa zione in quanto tale: più precisamente ancora, il contributo risolventesi in un concorso esterno dovrebbe — secondo Trib. Palermo — essere

accompagnato dalla «consapevolezza di salvare l'associazione stessa in un momento di concreto pericolo ovvero di offrirle un contributo straordinario per il suo mantenimento. Diversamente, ove l'agevolazio ne sia consapevolmente diretta a consentire al latitante l'ordinario

espletamento delle attività del sodalizio (ovvero l'agente non si rappre senti altro valore, della propria condotta), la contestazione dovrà conte nersi nei limiti del favoreggiamento aggravato, oltre che dal capoverso dell'art. 378 c.p., dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152». Sulla base di

questi criteri, ritenuta mancante nel caso di specie la prova della consa

pevolezza da parte dell'imputato della funzionalità della messa a dispo sizione del villino al superamento di uno stato di crisi dell'associazio ne, il fatto oggetto di contestazione viene riqualificato come favoreg giamento aggravato.

li Foro Italiano — 2002.

Motivi della decisione. — Il p.m. contesta al Picone il con

corso esterno in associazione mafiosa (art. 110 e 416 bis c.p.), individuandone concretamente la condotta, da un lato, nelPaver

questi «fornito, in un momento di particolare fibrillazione della

famiglia mafiosa di Misilmeri, nel frangente divisa da cruenti

conflitti, basi logistiche e sicuri luoghi di riunione ad esponenti dell'associazione Cosa nostra, uno dei quali Lo Bianco Pietro,

peraltro latitante e con cui si incontrava»; e dall'altro, nell'es

sersi messo «a disposizione di Cosa nostra per il tramite di

Ocello Pietro all'epoca capo mandamento di Misilmeri, di Siino

Angelo, all'epoca referente primario di Cosa nostra nel settore

degli appalti, al fine di favorire l'illecita turbativa per le gare

per l'aggiudicazione dei lavori pubblici». L'accertamento dell'effettiva responsabilità di Picone Valen

tino si decide dunque sulla valutazione degli elementi di prova raccolti in ordine a due vicende storicamente determinate (due «nuclei distinti di fatto», come li ha definiti il p.m. nella requi sitoria), che l'accusa pone a fondamento dell'unitaria e sintetica

contestazione di concorso, assumendole come espressive di una

molteplice attività di sostegno del sodalizio criminoso.

Il primo profilo da considerare, in ordine cronologico, è l'i

potizzata agevolazione nelle aggiudicazioni dei cottimi fiduciari

o, più genericamente, degli appalti comunali.

Fonte di prova è, anzitutto, la deposizione resa in questo di

battimento l'I 1 gennaio 2001 dal collaboratore di giustizia An

gelo Siino, personaggio di assoluto rilievo negli intrecci affari

stico-mafiosi, «interfaccia», come egli stesso si è definito, «fra

le organizzazioni di Cosa nostra, la polìtica e l'imprenditoria e

io cercavo di mediare un po' tutte queste ... i desiderati di tutti

questi tre gruppi che praticamente cercavo di arrivare a degli accordi che potevano portare, pro bono pacis, alla gestione in

dolore degli appalti». Detta funzione di coordinamento, e la libertà di movimento

che a tal fine occorreva, fecero sì che il collaborante, pur ri

spondendo territorialmente al mandamento di San Giuseppe Ja

to, non fosse però formalmente affiliato e godesse di un'insolita

libertà di movimento («tutti pensavano che tenessero segreta

questa mia qualità, ma così non era e poi io ho specificato che

L'impostazione fin qui riassunta non ha precedenti negli stessi preci si termini. La sua plausibilità, anche in un'ottica generale che trascende il merito specifico del caso in questione, dipende da una verifica sia del reale grado di fondatezza dell'impianto della citata sentenza Demitry (per un tentativo di ridimensionamento critico, v. Cass. 21 settembre

2000, Villecco, id., 2001, II, 405; e in dottrina, per obiezioni critiche al

paradigma del momento «patologico» dell'associazione quale criterio d'individuazione del concorso esterno, in quanto criterio criminologi camente opinabile oltre che incerto e dunque giudiziariamente mani

polabile, cfr., di recente, Fiandaca, La criminalità organizzata e le sue

infiltrazioni nella politica, nell'economia e nella giustizia in Italia, in

AA.VV., Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale a cura di V. Militello, L. Paoli e J. Arnold, Milano-Friburgo, 2000, 249 ss.), sia della giustezza delle ulteriori implicazioni che i giudici palermitani hanno ritenuto di poterne desumere nel proiettare la non facile distin zione tra concorso esterno e favoreggiamento aggravato sul terreno sci voloso e sfuggente dell'elemento soggettivo, in termini di supposta di versità di contenuto dell'elemento intellettivo del dolo (non è del tutto chiaro peraltro, leggendo la motivazione, se l'accento posto sul conte nuto dell'elemento soggettivo presupponga il convincimento dell'im

possibilità di tracciare la distinzione predetta facendo in primo luogo ri ferimento — secondo i principi generali — alle caratteristiche oggettive del fatto da qualificare).

Comunque sia, nella giurisprudenza precedente, a favore dell'appli cabilità dell'aggravante ex art. 7 cit. al reato di favoreggiamento (oltre alle sentenze citate in motivazione), si è pronunciata Cass. 21 maggio 1998, Pecoraro, Foro it., Rep. 1998, voce Favoreggiamento, n. 8, ma in base a una motivazione che sembra divergere dalla linea argomentativa seguita nella sentenza in epigrafe: l'aggravante in questione sarebbe in fatti configurabile quando il favoreggiamento commesso per proteggere la latitanza di un esponente mafioso «abbia la possibilità di influire sul l'esistenza dell'organismo criminale, nel senso di contribuire ad evitar ne l'eventuale crisi funzionale». Per la tesi della compatibilità dell'ag gravante di cui al 2° comma dell'art. 378 c.p. con quella ex art. 7 cit., nel presupposto che per la prima è sufficiente che il favoreggiamento sia compiuto a favore di un singolo associato di mafia, mentre per la seconda occorre che l'azione realizzata sia diretta in modo oggettivo ad

agevolare l'attività del sodalizio, v., in precedenza, Cass. 12 marzo 1998, Palmieri, ibid., n. 7; 3 settembre 1996, Blando, id., Rep. 1997, voce cit., n. 7.

This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

GIURISPRUDENZA PENALE

era interesse dell'organizzazione, non cooptarmi ufficialmente

perché, cooptandomi ufficialmente, sarei stato coinvolto nel

l'organizzazione criminale»; «conoscevo i capi delle province,

per cui evidentemente alle volte bypassavo questo ruolo e rife

rivo direttamente agli interessati»); autonomia riconosciutagli dai vertici di Cosa nostra, come Salvatore Riina e in particolare Bernardo Provenzano, con il quale Siino avrebbe avuto rapporti

più stretti per via dei cospicui interessi che il Provenzano ripo neva in un gruppo imprenditoriale bagherese («Riina Salvatore

mi era stato diciamo precluso l'accesso, benché ci fossero dei

contatti per interposta persona, mi era stato precluso perché i

miei compaesani, principalmente i Brusca, pensavano che era

pericoloso per loro farmi avere un contatto diretto con Salvatore

Riina che pensavano li avrebbe bypassati. Invece con Bernardo

Provenzano ho avuto contatti ... diverse volte mi sono incon

trato e, sempre per interposta persona, ne ricevevo alcuni desi

deri che lui aveva per la gestione di alcuni appalti»). In che cosa consistesse, nei fatti, questo ruolo mediatorio è

chiarito dallo stesso collaborante: «facevo aggiudicare degli ap

palti, intervenivo nel senso che alle volte facevo ritirare degli

imprenditori... ritirare dalle gare di appalto, non intervenire

nelle gare di appalto a imprenditori che loro non conoscevano;

significa che mi adoperavo verso le pubbliche amministrazioni,

significava che intervenivo con i direttori dei lavori ...».

Ora, sulla storicità del ruolo del Siino non sono stati sollevati

dubbi; e, al di là dell'esposizione succinta che il collaborante ha

reso sul proprio ministero, la stabile e istituzionalizzata posizio ne di quest'ultimo all'interno di Cosa nostra, ancorché non for

malizzata con l'assunzione della veste di uomo d'onore, è stata

riconosciuta con la sentenza di condanna pronunciata dal Tribu

nale di Palermo il 2 marzo 1994 per il delitto di cui all'art. 416

bis c.p. (irrevocabile I'll aprile 1997); nonché positivamente rivalutata, ai fini della verifica dell'attendibilità della sua colla

borazione, in molti altri dibattimenti (cfr., per tali riferimenti, la

copia in actis della sentenza emessa da questa stessa sezione il

13 ottobre 1998 nel procedimento n. 270/98 r.g. per 416 bis a

carico di Guccione Leoluca e Gariffo Carmelo e che qui si ri

chiama ai sensi dell'art. 238 bis c.p.p.). La credibilità soggettiva del Siino, specie in considerazione

della condotta oggi contestata (la pianificazione delle gare

d'appalto) appare dunque elevatissima, così com'è contrasse

gnata da un elevato grado di attendibilità la deposizione che ha

reso in questo processo. Siino ha dichiarato di aver conosciuto Picone Valentino nel

corso di una riunione conviviale, una «mangiata» che si tenne

verso la fine della primavera del 1991 nella casa di campagna di

Ocello Pietro («l'ho conosciuto proprio in un'occasione riguar dante una riunione, che si tenne in una campagna di San Giu

seppe Jato, in contrada Perciana esattamente, dove era stata

convocata una riunione per perorare la presunta ... avance fatta

dall'avvocato Aricò di Palermo, che allora era presidente del

l'E.a.s., e che praticamente era ... si doveva candidare alle ele

zioni regionali ...»; «quando io venivo invitato a queste riunio

ni, era perché c'erano delle tematiche precise, le tematiche era

no politiche ed imprenditoriali, allora il discorso si trattava ge neralmente di convivi che dovevano designare ... c'era qualche

problema per... qualche situazione di ordine politico o situa

zioni di ordine territoriale e a questo, alle volte, io partecipavo,

perché l'Ocello era ... voleva che io partecipassi perché mi ri

teneva personaggio molto autorevole»); e in occasione delle

mangiate misilmeresi in casa dell'Ocello, Siino avrebbe cono

sciuto anche Pietro Lo Bianco («io l'ho conosciuto, l'ho visto

sempre in compagnia dell'Ocello e praticamente, anzi addirittu

ra una volta l'avevo scambiato per figlio effettivamente dell'O

cello perché si rassomigliavano moltissimo e per cui io pensavo che fosse il figlio»).

A proposito della figura dell'Ocello («accreditato» presso il

Siino da Brusca Giovanni), il collaborante ha dichiarato di aver

stretto con questi un rapporto di amicizia, dopo averlo aiutato in

qualche «piccola problematica» inerente al suo lavoro di ope ratore ecologico; e che tale rapporto si era evidentemente inten

sificato dopo che l'Ocello era assurto «agli onori degli altari»,

assumendo la reggenza della famiglia-mandamento di Misilme

ri.

Peraltro, l'Ocello fu ucciso di lì a poco in un «duello rustica

no», come Siino avrebbe appreso dal fratello di questi, Ocello

Il Foro Italiano — 2002.

Giuseppe, nel ristorante «La veranda» di Misilmeri («mi rac

contò che [Pietro Ocello] era rimasto vittima di una tragedia, avevano armato la mano di un uomo d'onore mezzo ... ormai

anziano, dicendogli che Pietro Ocello si impadroniva di soldi

dell'organizzazione, lasciando a tutti a bocca asciutta, così non

era, ma praticamente questo personaggio lo uccise ... fu ucciso

dallo stesso Ocello con una coltellata»).

Ora, seguendo il resoconto di Siino, la riunione elettorale nel

corso della quale si incontrò con l'odierno imputato era stata

voluta dallo stesso Brusca, dall'Ocello e da alcuni dipendenti

dell'E.a.s., ovvero dell'ente del quale l'avv. Aricò era allora

presidente («c'era Lo Bianco, c'era Pietro Ocello, c'era Gio

vanni Brusca, c'era Totò Genovese ... insomma decine di per sone e, in questa occasione, c'era anche il signor Velentino Pi

cone, che mi fu presentato come sindaco di Misilmeri»), Il sindaco avrebbe tenuto nei confronti del Siino un atteggia

mento deferente, dichiarandosi «disponibile» per qualunque co

sa il Siino intendesse fare nel comune di Misilmeri («... e mi è

sembrato anche una persona un po' strana, perché cominciò a

fare atti di grande deferenza nei miei confronti mi cominciò a

dire che era a mia disposizione, che qualsiasi cosa io potevo fare

al comune di Misilmeri, il comune era a mia disposizione»). Ma all'epoca, ha aggiunto il collaborante, il sindaco Picone

«aveva ben poco ancora di pronto da potere fare», se non «due

lavoretti che io dovevo fare aggiudicare al figlio dell'Ocello ed

al fratello del collaboratore di giustizia attuale, non mi ricordo

questo come si chiamava, era uno dei primi collaboratori di giu stizia ... ah, Drago».

Al Siino fu perciò raccomandato «questo fratello di Drago, che doveva essere ... doveva aggiudicarsi questi due piccoli la

vori, piccoli, a livello di quattrocento-cinquecento milioni, ri

guardanti opere elettriche all'interno del comune di Misilme

ri ... mi sembrava di sprecare tempo per cose di così poca enti

tà ... ma il Valentino mi disse, Picone, chiamato da tutti Valen

tino, era molto popolare, e mi disse che era a disposizione per cercare eventualmente di organizzare altre cose e di far avere

ulteriori finanziamenti da me perorati». A tale scopo, Siino avrebbe incontrato il Picone una seconda

volta, nella casa di un consigliere comunale «alla circonvalla

zione di Misilmeri» («un personaggio ... che era stato nel par tito repubblicano ... candidato alle senatoriali nel collegio di

Bagheria-Misilmeri»; «era soprattutto per chiarire come si do

veva fare aggiudicare questo lavoro al figlio dell'Ocello, che si

chiamava mi pare anche lui Pietro, Piero ... non mi ricordo, e

che praticamente ... che aveva un negozio di ferramenta e al ...

fratello del collaboratore di giustizia Drago»). Fu così che, in quella casa, Siino avrebbe avuto col Picone un

ulteriore colloquio, ma di «pochi minuti», per via di un impegno dello stesso sindaco («quest'ultimo incontro l'ho avuto in casa

di questo signore, che stava sulla circonvallazione di Misilmeri, che mandò a chiamare il Valentino perché voleva che io conti

nuassi ad avere ... ad allargare il discorso degli appalti, ma fu

un incontro di pochi minuti, perché Valentino aveva un impe

gno e si è dovuto allontanare, da lì a poco io poi sono stato arre

stato e non ho avuto più modo di organizzare cose sul comune

di Misilmeri»). Ora, il collaborante è stato invitato a precisare che cosa do

vesse intendersi per «messa a disposizione»; ed ha così chiarito

che «il Valentino Picone mi fu messo a disposizione, a disposi zione significa che doveva fare, per quel che riguardava la ge stione dei lavori pubblici, tutto quello che volevo io, nel senso

che doveva poi aiutarmi a ... prima di tutto dovevamo identifi

care le opere che ... importanti che c'erano da fare, dovevamo

farle finanziare e poi lui doveva predisporre i bandi insieme a

me, doveva fare le lettere d'invito insieme a me, doveva darmi

l'elenco delle imprese invitate insieme a me e poi io dovevo fa

re l'appalto, cioè dovevo assegnarlo ad un'impresa che sarebbe

stata poi convenuta. Però questo fatto non si è potuto fare per ché io materialmente, da lì a poco, sono stato arrestato e poi Mi

silmeri è stata coinvolta in una guerra spaventosa che pratica mente impedì poi che tutte queste cose andassero a buon fi

ne». (Omissis) Ora, al termine di questa breve premessa sulla qualità della

fonte di prova, deve dirsi che in discussione non è dunque l'at

tendibilità del Siino; bensì se la «messa a disposizione» di cui

questi ha parlato, e nei termini in cui ne ha parlato, abbia effet

This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 5: sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

207 PARTE SECONDA 208

tivamente raggiunto un grado di materialità tale da assumere ri

levanza ai fini della contestazione.

E nell'esaminare detto profilo, non può che muoversi dallo

stesso impianto accusatorio, com'è stato sviluppato e chiarito

nel corso della requisitoria. Osserva infatti il p.m. che al Picone si addebita non già «la

condotta dell'organizzazione, ovvero della partecipazione a fatti

di turbativa», in quanto «il momento che qualifica la contesta

zione di frazione di condotta è quello della scelta delle imprese, invitate a formulare un'offerta per l'affidamento dei singoli la

vori, ovvero l'acquisto di materiali da parte dell'amministrazio

ne comunale», ed anche perché «è del tutto evidente, rispetto a

tali accordi, ovvero a tali azioni di pressione o d'intimidazione,

gli organi dell'amministrazione rimangono del tutto estranei».

Ora, proprio in quest'ottica, il collaborante ha sì confermato

che l'offerta di disponibilità, da parte del Picone, comportava «che doveva fare, per quel che riguardava la gestione dei lavori

pubblici, tutto quello che volevo io, nel senso che doveva aiu

tarmi a ... prima di tutto dovevamo identificare le opere che ...

importanti che c'erano da fare, dovevamo farle finanziare e poi lui doveva predisporre i bandi insieme a me, doveva fare le let

tere di invito insieme a me, doveva darmi l'elenco delle imprese invitate insieme a me e poi io dovevo fare l'appalto, cioè io do

vevo assegnarlo ad un'impresa che sarebbe stata poi convenu

ta», ma ne ha parlato come di un programma futuro, di un'intesa

neppure abbozzata nei suoi elementi essenziali.

Vi furono dei contatti, secondo il collaborante, ma niente di

più, giacché al primo incontro ne seguì un altro, che avrebbe

dovuto chiarire i termini di quell'intesa e che durò pochi minuti

senza approdare a nulla, perché Siino fu poi arrestato.

E invero, l'accusa ha cercato il riscontro concreto della «mes

sa a disposizione» del Picone non tanto o non solo nel periodo successivo all'incontro con Siino, ma in tutto il periodo della

sindacatura; e ciò allo scopo di dimostrare che, al di là della

prova di un nesso causale fra l'incontro col Siino e le docu

mentate aggiudicazioni all'Ocello, buona parte dell'operato del

sindaco in materia di appalti pubblici fu caratterizzato da un so

stanziale asservimento alla famiglia di Misilmeri.

Ed è soprattutto a questo fine che si è data rappresentazione del grado d'infiltrazione mafiosa nel sistema degli appalti pub blici.

Dalla massiccia presenza di imprese in odor di mafia si do

vrebbe infatti desumere la prova dell'ossequio prestato dall'o

dierno imputato all'associazione criminale; ossequio che l'in

contro con Siino — al di là della circostanza che si sia tradotto

in qualche fatto specifico — confermerebbe ex post.

Questa impostazione, anche alla luce delle fondate argomen tazioni contrarie articolate dalla difesa, non è condivisibile.

Occorre in primo luogo richiamare il dato normativo di cui

all'art. 38 1. reg. n. 21 del 1985.

La legge stabilisce che «l'espletamento del cottimo è disposto dal capo dell'amministrazione, ed è di competenza dell'inge

gnere capo dell'ufficio tecnico dell'ente, che provvede all'ag

giudicazione provvisoria, previa richiesta di offerta ad almeno

cinque ditte fiduciarie».

Che ciò rispondesse, com'è naturale, anche alla prassi del

comune di Misilmeri è stato confermato dal teste Vincenzo

Lombardo, segretario generale del comune anche all'epoca dei

fatti, sentito all'udienza del 13 marzo 2001.

Questi ha precisato che «dalla legge è demandato all'ufficio

tecnico l'espletamento del cottimo fiduciario quindi significa l'indizione della gara, l'espletamento e la formazione del ver

bale di aggiudicazione, dopodiché il tutto viene trasmesso alla

segreteria, per portarlo poi all'esame della giunta municipale» e

che il sindaco, al più, interveniva nella «fase politica», indivi

duando le opere da aggiudicare col sistema del cottimo fiducia

rio, ma senz'alcuna ingerenza nella scelta delle ditte; ed ha poi

soggiunto di non aver mai ricevuto pressioni né di essere a co

noscenza di ingerenze da parte del sindaco in tale attività. De

posizioni assolutamente conformi hanno poi reso i testi Lo

Bianco, Sidoti e Di Spezio, anch'essi concordi nell'escludere

ogni competenza (o illecita influenza) del sindaco nella forma

zione degli elenchi e nella scelta delle ditte da invitare.

La procedura è stata definitivamente chiarita all'udienza del 7

Il Foro Italiano — 2002.

maggio 2001 dal teste Merendino Pietro, all'epoca dirigente dell'ufficio tecnico Pietro Merendino.

Questi ha dichiarato di aver personalmente curato la prepara zione degli elenchi delle imprese da invitare, distinti «per spe cializzazione e per categoria di lavori e per importo» sulla base

delle certificazioni della camera di commercio che le ditte in

viavano allo scopo di esservi inserite.

A tali elenchi si attingeva a seconda del tipo di lavoro da

commissionare («io generalmente facevo invitare tutte le impre se. Davo l'elenco e dicevo: invitate tutte queste imprese»): una

volta individuata la ditta aggiudicataria e rimesso il verbale di

aggiudicazione provvisoria alla giunta per l'approvazione e i

controlli amministrativi, il segretario generale — ha spiegato

Merendino — provvedeva alla stipulazione del contratto, previa

acquisizione del certificato antimafia.

Ed a fronte alla domanda del p.m., che chiedeva perché per lo

stesso tipo di gara talora risultasse invitato un numero ora mag

giore, ora minore di imprese, il Merendino ha altresì precisato che questi elenchi erano continuamente soggetti a variazioni,

perché si prendeva atto della disponibilità di volta in volta mo

strata dalle stesse ditte.

Dunque, il sindaco non aveva alcuna competenza nella scelta

delle ditte o nella formazione degli elenchi; e se ciò non può escludere che questi potesse comunque influenzare l'ufficio

tecnico (al di là delle stesse dichiarazioni dei testi, che negano di aver ricevuto pressioni), non è provato che l'imputato le ab

bia esercitate.

Rimarrebbe, perciò, il nudo valore indiziario della consistente

presenza nelle gare comunali, di imprese contigue alla famiglia mafiosa.

La difesa ha però convincentemente dimostrato che le ditte

aggiudicatarie di appalti comunali durante la sindacatura Picone

operavano sia anteriormente che successivamente al mandato

sindacale dell'imputato. A titolo esemplificativo, la cooperativa «Il progresso» di Bo

nanno Giusto risulta aver stipulato contratti con l'amministra

zione comunale già il 25 settembre 1985, il 2 novembre 1987, il

19 settembre 1988, il 20 dicembre 1989, il 24 marzo 1990, il 28

aprile 1990, il 3 dicembre 1991; Aloisio Francesco il 10 dicem

bre 1987; Aloisio Rosario il 18 ottobre 1988, il 4 aprile 1989; il

Virga Vincenzo il 4 gennaio 1988; Borgese Anna già l'8 gen naio 1990; lo stesso Ocello Giuseppe risulta aver stipulato con

tratti anche il 10 ottobre 1995 e il 5 ottobre 1998.

E alcune delibere, concernenti l'aggiudicazione in periodo re

centissimo di contratti d'appalto o di forniture in favore di

Ocello Giuseppe e Borgese Anna (moglie di Ocello Giusi, fra

tello di Ocello Pietro), sono state prodotte all'udienza del 7

maggio (determinazione del sindaco di Misilmeri del 21 ottobre

1997, concernente l'affidamento di una fornitura per trattativa

privata alla ditta Ocello Giuseppe; deliberazione della giunta comunale di Misilmeri n. 237 del 1998, riguardante l'approva zione di un verbale di aggiudicazione provvisoria di una fornitu

ra di materiale allo stesso Ocello Giuseppe; deliberazione della

giunta comunale di Misilmeri n. 273 del 1999, concernente

l'approvazione del verbale di aggiudicazione del servizio di re

fezione scolastica alla ditta Borgese). In mancanza di altri elementi, questi dati documentali spo

gliano la dimostrazione del p.m. di quel significato indiziario

che essa avrebbe certamente avuto, ove l'aggiudicazione di ap

palti ad imprese in odor di mafia si fosse concentrata o preva lentemente verificata durante la sindacatura Picone.

E senz'altro vero, come replica il p.m., che questi dati non

escludono necessariamente la responsabilità del Picone, «ma

tutt'al più, al contrario, potrebbero] qualificare il comporta mento e le scelte degli altri amministratori ... ove tali condotte

fossero accompagnate, come nel caso del Picone, da altre con

dotte, come quella di mettere a disposizione la casa».

Tuttavia, la vicenda legata alla messa a disposizione della ca

sa (che sarà diffusamente esaminata più avanti) appare troppo distante nel tempo (1994) e troppo diversa nell'oggetto per po ter riscontrare un indizio equivoco.

Ed infine, la collusione dei sindaci che precedettero e segui rono il Picone non può avanzarsi in via d'ipotesi, ma avrebbe

dovuto porsi come thema probandum, ancorché molto oneroso, a carico dell'accusa.

This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 6: sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

GIURISPRUDENZA PENALE

In questo senso, agli atti vi è soltanto la deposizione del ca

pitano Daidone del 13 febbraio 2001 sullo scioglimento della

giunta Carlino: «la giunta successiva fu quella poi di Carlino

Pietro che poi venne sciolta per mafia, a seguito dell'arresto di

lui stesso per favoreggiamento e al medesimo gli uccisero il

fratello durante la faida».

Ciò non è però sufficiente, se si considera: 1) che detta giunta

seguì ad una vittoriosa mozione di sfiducia nei confronti di Pi

cone Valentino; 2) che gli Ocello hanno ricevuto commesse e

appalti dello stesso tipo e importo anche in tempi recentissimi, nonostante gli equilibri mafiosi misilmeresi, sui quali ci si sof

fermerà più avanti, debbano ritenersi radicalmente mutati.

Concludendo, per ciò che riguarda questo primo profilo della

contestazione risulta provato esclusivamente che nel 1991 Pico

ne Valentino avvicinò Angelo Siino, e che parlò con questi del

finanziamento di alcune opere misilmeresi da appaltare a bene

ficio del fratello Drago Giovanni e del figlio di Ocello Pietro.

Quei «lavoretti» avrebbero dovuto preludere all'aggiudica zione di un'ulteriore serie di opere da finanziare con la media

zione di Siino; ma dette trattative, che avrebbero dovuto essere

approfondite, non poterono tradursi in atto e neppure in un pro

getto definito a causa dell'arresto del collaborante.

Occorre adesso esaminare l'altra frazione di condotta, l'ipo tizzata offerta di basi logistiche a Lo Bianco Pietro, durante la

latitanza di questi. La contestazione, in parte qua, si fonda su un incontro tenu

tosi in contrada Blaschi, nella casa di Nascente Giuseppe, zio

del collaboratore Lo Forte Cosimo.

Nel corso di tale convegno, Pietro Lo Bianco avrebbe chiesto

a Picone Valentino la disponibilità di una casa che l'odierno

imputato possedeva in quella stessa contrada.

Tale episodio è stato dettagliatamente riferito dal collaborante

Lo Forte, nel corso dell'incidente probatorio celebratosi, dinan

zi al G.i.p. di Palermo fra il 3 e il 5 marzo 1998, anche in con

traddittorio con la difesa del Picone. (Omissis) Esaurita questa premessa generale, va esaminato l'episodio

contestato al Picone.

Il resoconto del collaborante può così sintetizzarsi.

Nel 1994 vi fu un incontro in contrada Blaschi, nella casa di

campagna di Nascente Giuseppe, zio di Lo Forte Cosimo.

L'incontro fu voluto dal Lo Bianco, che aveva intenzione di

richiedere al Picone la disponibilità di una casetta sempre in

contrada Blaschi «per farsi lui... qualche appuntamento per i

fatti suoi, per cambiare posto perché lui era uno che cambiava

sempre posti». Il reggente della famiglia di Misilmeri, in quel periodo, si

contendeva il controllo del territorio con la «vecchia guardia», facente capo a Spera; e temeva perciò che alcuni esponenti della

fazione rivale, al corrente del fatto che il latitante utilizzasse

una villetta di proprietà di tale «Gerardo», potessero tradirlo

(«perché una volta che Sciarabba e questa gente sapevano della

casa di Gerardo, lui doveva cambiare posto perché aveva paura che qualcuno lo tradisse»).

Inizialmente, il capomafia avrebbe voluto incaricare della ri

chiesta Picone Santi, cugino del padre di Valentino («il Lo

Bianco aveva detto a Vitrano di dire così e così. Allora un gior no io sono andato dal Picone a dirgli che ci voleva parlare mio

padre però già sapevo qual era il fatto ... che era quello»; «dice:

'Ci debbo parlare, vediamo un po' che deve parlare con Valen

tino per il fatto della casa'»); ma lo stesso Santi gli avrebbe

suggerito di avanzare la richiesta personalmente («che a me di

sicuro mi dice di no perché siamo parenti e cose varie, magari con te gli sembra brutto e non te lo dice di no»: questo avrebbe

sostanzialmente risposto secondo Lo Forte). Il latitante si sarebbe recato al convegno nascosto nel cofano

di una station wagon di proprietà di Stefano Vicari, guidata da

Correnti Pietro, mentre Picone Valentino sarebbe stato accom

pagnato dal cugino Santi («il Correnti ha portato Lo Bianco

dentro il cofano della macchina di Stefano Vicari la Passat sta

tion wagon, mentre il Picone portò l'altro Picone, son venuti

tutti e due a bordo di un'auto dove sono arrivati prima loro»). All'interno della casa, il latitante avrebbe perciò intrattenuto

dei separati colloqui con i due Picone («prima con un Picone e

poi con l'altro, ad uno ad uno, in due, parlavano sempre in due,

prima con Santi e poi con Valentino. E poi di nuovo ... in prati

li. Foro Italiano — 2002 — Parte II-6.

ca ogni tanto magari usciva ... infatti io sono rimasto con Va

lentino Picone ... fuori a fumare parecchie sigarette»). Lo Forte non assistette dunque al colloquio e non ha potuto

perciò riferirne l'esatto tenore.

Sapeva tuttavia, per averlo appreso dal padre Vitrano, che il

Lo Bianco aveva intenzione di chiedere la casa; ed ha altresì di

chiarato di aver colto una frase di commento che, dopo quei

colloqui, Santi Picone rivolse al Lo Bianco: «Hai visto! Se lo

dicevo io, mi diceva sicuro di no».

Gli è stato altresì chiesto se nella casa del Picone qualche ri

unione effettivamente si svolse; ed ha risposto di aver accompa

gnato in quella zona tanto il Vitrano che Picone Santi («di fronte la Nisida che va allo scorrimento veloce che ... fra lo

scorrimento e questa strada lo lasciavo lì ... anche a Picone

Santi una volta ho lasciato lì, loro scavalcavano un muro, una

recinzione a piedi ... È che c'era Lo Bianco che doveva parlare se c'era di sicuro qualche altra riunione ... sempre tutti loro ed

io ho lasciato Vitrano ed il Picone con la macchina lì che poi non ho più ripreso ... verso le 22,00 li ho lasciati lì una sera»),

precisando tuttavia di non essere in grado di «stabilire se sono

andati dal Gerardo o dal Picone perché, ripeto, le case sono

molto vicine ... cioè a piedi si raggiungono tranquillamente».

( Omissis) Può ritenersi, dunque, che nel 1994 Picone Valentino offrì al

Lo Bianco la casa di contrada Blaschi (di proprietà del padre

ma, evidentemente, nella sua disponibilità) affinché il latitante

se ne servisse «per farci qualche appuntamento per i fatti suoi».

Che tali appuntamenti non fossero altro che riunioni tra affi

liati, benché la difesa ritenga tale aspetto non provato, è indub

bio. E stato infatti lo stesso Cosimo Lo Forte a riferire di aver ac

compagnato il Vitrano e Picone Santi in quella zona per «ri

unioni», pur non potendo del tutto escludere che in quell'occa sione si fossero recati, piuttosto che a casa del Picone, «a casa

del Gerardo» («D. Qualcuno le ha mai detto, invece, che in

quella casa qualche riunione effettivamente si svolse? R. Sì,

perché io una volta ho lasciato mio padre in ... nella strada ...

non so se si chiami passo di Rigano, comunque è sempre la stes

sa strada, di fronte la Nisida che va allo scorrimento veloce

che ... fra lo scorrimento e questa strada lo lasciavo lì... anche

a Picone Santi una volta ho lasciato lì, loro scavalcavano un mu

ro, una recinzione, a piedi. In pratica dal posto dove erano que ste due abitazioni sia quella del Gerardo che quella del Picone

che ripeto posso capire dov'è ma non sono sicuro dove sia (...). È che c'era Lo Bianco che doveva parlare se c'era di sicuro

qualche altra riunione ... sempre tutti loro»). Al di là dell'impossibilità, per il collaborante, di confermare

con certezza assoluta che a casa del Picone si svolsero effetti

vamente delle riunioni (cosa che è peraltro irrilevante ai fini

dell'integrazione del reato), è evidente che egli non dubitasse di

questa destinazione (diversamente, la risposta non avrebbe

avuto alcun senso). E peraltro tanto il Lo Forte che Brusca Giovanni (quest'ulti

mo nel corso della già citata deposizione resa dinanzi alla corte

d'assise), quando parlano di «appuntamenti», si riferiscono sen

z'altro ad incontri organizzati per discutere questioni inerenti

all'attività del sodalizio.

E dunque provato:

1) che il Lo Bianco intese chiedere al Picone la disponibilità di una casa al precipuo scopo di organizzarvi appuntamenti fra

associati;

2) che a tale scopo effettivamente si incontrò con l'odierno

imputato;

3) che alla richiesta l'imputato consentì.

Né è lecito presumere che il Picone potesse non conoscere lo

stato di latitanza del Lo Bianco o lo spessore criminale del favo

rito, perché — al di là del fatto che costituissero fatti notori a

Misilmeri (come ha confermato Lo Forte) — tale conoscenza è

implicita già nell'oggetto della richiesta cui l'imputato aderì, ed

era desumibile dalle stesse modalità del convegno e dei collo

qui. (Omissis) La verifica della rispondenza dei fatti, così come sono stati

accertati, all'imputazione in epigrafe, richiede una premessa in

diritto sulla figura del concorso eventuale nel delitto di associa

zione mafiosa.

This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 7: sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

PARTE SECONDA

Questa figura, dopo alcune oscillazioni, ha ormai acquisito una chiara tipicità giurisprudenziale; devono perciò richiamarsi

sommariamente le linee argomentative della pronuncia che ne

ha sancito la giuridica ammissibilità, componendo il conflitto

(sez. un. 5 ottobre 1994, Demitry, Foro it., 1995, II,

422). (Omissis) Mentre il partecipe è «colui senza il cui apporto quotidiano o,

comunque, assiduo l'associazione non raggiunge i suoi scopi o

non li raggiunge con la dovuta speditezza, il che apre la strada

ad una vasta gamma di possibili partecipi, che vanno da coloro

che si sono assunti o ai quali sono stati affidati compiti di mag

giore responsabilità ... — i promotori, gli organizzatori, i diri

genti — a quelli con responsabilità minori o minime, ma il cui

compito è o è pure necessario per le fortune dell'associazione», il concorrente eventuale è, invece, per definizione, «colui che

non vuole far parte dell'associazione e che l'associazione non

chiama a 'far parte', ma, al quale si rivolge sia, ad esempio, per colmare temporanei vuoti in un determinato ruolo, sia, soprat tutto nel momento in cui la 'fisiologia' dell'associazione entra

in fibrillazione, attraversa una fase patologica, che, per essere

superata, esige il contributo temporaneo, limitato, di un ester

no».

Tale contributo può essere anche «episodico», perché «ciò

che rileva è che quell'unico contributo serva per consentire al

l'associazione di mantenersi in vita, anche solo in un determi

nato settore, onde poter perseguire i propri scopi» (e v., in que sto senso, Cass., sez. I, 4 febbraio 1988, Barbella, id., Rep.

1989, voce Concorso di persone nel reato, n. 18, che aveva rin

venuto la manifestazione più autentica del concorso proprio nell'«occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un sin

golo comportamento, non privo d'idoneità causale per il conse

guimento dello scopo, che costituisca autonoma e individuale

manifestazione di volontà criminosa e si esaurisca nel momento

della sua espressione perché ontologicamente concepita e de

terminata nei correlativi limiti di tempo e di efficacia»).

Ora, non ritiene il collegio di doversi impegnare in una rie

sposizione degli argomenti attraverso i quali le sezioni unite su

perarono le posizioni conservatrici ancora sostenute, ad esem

pio, da Cass., sez. I, 30 giugno 1994, n. 2699.

Per quel che rileva in questa sede, meritano però di essere

considerati quei profili della decisione che più direttamente in

cidono sul discrimen fra la condotta del concorrente ed altre più lievi forme di contiguità, come il favoreggiamento aggravato ex

art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152.

Com'è noto, l'oggettiva interferenza fra le due fattispecie co

stituiva uno degli argomenti sui quali si fondava l'orientamento

sconfessato dalle sezioni unite.

Al di là della disputa sull'interpretazione della clausola di

sussidiarietà di cui all'art. 418 c.p. (se il concorso espressa mente eccettuato rappresentasse, per l'appunto, il riconosci

mento del concorso eventuale), le questioni sulle quali si agitava la discussione concernevano:

1) l'elemento soggettivo (perché, si assumeva, il concorrente

esterno, nel porre in essere la condotta oggettivamente vantag

giosa per l'associazione, potrebbe volerla soltanto in due modi:

o con il dolo specifico proprio di chi voglia consapevolmente contribuire a conseguire i fini per i quali il sodalizio è stato co

stituito ed opera, ed allora non potrebbe che essere partecipe;

oppure senza quel dolo specifico, e a quel punto rimarrebbe

soggettivamente estraneo, in ogni senso, al delitto associativo);

2) l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152

per i delitti commessi al fine di agevolare l'associazione (previ sione questa che, in quanto dettata per colpire ogni forma di

continuità, sarebbe stata priva di ragion d'essere se il legislatore avesse in linea generale ammesso, ai sensi dell'art. 110 c.p., il

concorso eventuale nel delitto associativo; tanto più che, in tal

modo, avrebbe finito col punire meno gravemente le forme di

contiguità realizzate mediante condotte già di per sé illecite). Per risolvere il primo problema, le sezioni unite si richiama

rono a quella dottrina che ammette il concorso con dolo generi co nei reati a dolo specifico, applicabile anche al delitto di cui

all'art. 416 bis c.p. («il concorrente eventuale ..., pur consape vole di agevolare, con quel suo contributo, l'associazione, può disinteressarsi della strategia complessiva di quest'ultima, degli obiettivi che la stessa si propone di conseguire»), nonché alla

Il Foro Italiano — 2002.

pacifica ammissibilità del concorso morale (ad esempio, il padre che istighi il figlio ad entrare nell'associazione), quale dimo strazione della possibilità di un concorso eventuale privo di

quella parte di dolo consistente nel «volere far parte» dell'asso

ciazione («il concorrente morale, quindi, non può avere che

quell'altra parte del dolo, che va ravvisata nella volontà di con

tribuire agli scopi dell'associazione, con la certa — che nessuno

nega, neppure l'indirizzo in questione —

consapevolezza che,

una volta dato quel suo contributo, si disinteresserà dell'asso

ciazione, almeno nel senso che non ne sarà più tra i protagonisti,

neppure ad tempus. Ebbene, non è dato vedere perché, una volta

accertato che qualcuno ha fornito un suo contributo 'materiale'

ad tempus, senza voler far parte dell'associazione, si debba

escludere, a meno che non lo si ritenga partecipe, che possa aver

agito con quella parte del dolo specifico che si ammette, invece, essere proprio o che possa essere proprio del concorrente even

tuale morale»), Merio articolata è la motivazione sul secondo problema. Le sezioni unite individuarono il discrimen fra concorso nel

l'associazione e delitto aggravato ponendo l'attenzione «sul fine

che l'associazione persegue con quel delitto», sicché, «se, per

esempio, il contributo richiesto consiste nell'uccidere per 'im

partire una lezione' a qualcuno che ha osato disobbedire, senza

che la disobbedienza abbia messo minimamente in forse la vita

dell'associazione, si potrà essere nell'ambito di applicazione della norma in questione, mentre se l'omicidio ha di mira l'eli

minazione di un qualche pericoloso concorrente o di altri che

possono minare la vita dell'associazione e l'esterno sa di questo 'valore' del suo contributo e lo presta con questa consapevolez

za, anche se per i suoi fini personali, cioè anche senza dolo spe

cifico, è da escludere che ci si trovi dinanzi ad un semplice ese

cutore di un delitto meritevole soltanto di un aggravamento di

pena, che quel contributo, anche in questo caso, altro non è che

l'azione atipica che consente la realizzazione dell'azione tipica, che contribuisce, in altri termini, alla stabilità del vincolo asso

ciativo e al perseguimento degli scopi dell'associazione».

La distinzione, nella pratica, non è però fra le più agevoli. La questione, per l'ipotesi del favoreggiamento aggravato, è

rimeditata da Cass., sez. IV, 21 gennaio 1997, n. 2100, che l'ha

risolta con relativa semplicità, facendo leva più sull'elemento

quantitativo che non qualitativo della condotta («il delitto di

concorso nel reato di associazione a delinquere di stampo ma

fioso e quello di favoreggiamento aggravato dal fine di agevola re l'attività dell'associazione stessa, ai sensi dell'art. 7 d.l. 13

maggio 1991 n. 152, convertito con 1. 12 luglio 1991 n. 203, so

no ontologicamente incompatibili sia per l'espressa riserva

contenuta nell'art. 378 c.p. ('fuori dei casi di concorso'), che

rende il delitto di favoreggiamento non contestabile a chi è re

sponsabile del (presupposto) reato associativo, sia perché l'atti

vità prevista dall'indicata aggravante coincide con l'attività del

concorrente diretta ad avvantaggiare l'associazione. Di conse

guenza, quando la contestazione concerne l'aiuto prestato al

partecipe all'associazione di stampo mafioso e in capo all'a

gente non sia riscontrabile una qualsiasi altra forma di collega mento con l'associazione, non è consentito ipotizzare (anche) il

concorso nel reato associativo ma dovrà essere contestato il solo

delitto di favoreggiamento»). Detto altrimenti, e sempre seguendo la motivazione della

pronuncia richiamata, dovrebbe tenersi distinta «la disponibilità

operativa alla singola attività», dalla disponibilità «sistematica»

alle attività dell'associazione (che sola potrebbe integrare il

concorso).

Perciò, «se viene contestato un solo episodio di favoreggia mento, non vi è dubbio che debba contestarsi il solo reato di fa

voreggiamento aggravato».

Questa pronuncia (che è soprattutto ispirata dall'esigenza di

escludere la possibilità, sentita come abnorme, di una duplice

contestazione) traduce in criterio distintivo una regola operati va.

E evidente, infatti, che l'isolato contributo ad una singola at

tività è normalmente inespressivo di un effettivo concorso; così

come la disponibilità all'agevolazione di una serie di attività

particolari è normalmente sintomatica di una più stretta relazio

ne col sodalizio, tale da autorizzare l'ipotesi di concorso o addi

rittura di partecipazione c.d. interna.

This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 8: sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

GIURISPRUDENZA PENALE

Ma questo indirizzo va coordinato con la decisione delle se

zioni unite. Invero, non è la quantità del contributo, per la sentenza De

mitry, a denotare l'ipotesi di concorso; né tanto meno l'episodi cità della condotta può ritenersi condizione sufficiente per escluderla.

In realtà, per le sezioni unite anche un singolo atto può ben

soddisfare i requisiti del concorso eventuale, purché «quell'uni co contributo serva per consentire all'associazione di mantener

si in vita, anche solo in un determinato settore, onde poter per

seguire i propri scopi» (ed è questa, come interpreta la stessa

Suprema corte nella recente sentenza sez. VI 21 settembre 2000,

Villecco, id., 2001, II, 405, la vera cifra del concorso esterno:

«lo spazio proprio del concorso eventuale materiale appare esse

re quello dell'emergenza nella vita dell'associazione o, quanto

meno, non lo spazio della normalità, occupabile da uno degli as

sociati. Pare questo, dunque, il vero 'tassello' posto dalla sen

tenza [Demitry] all'indiscriminata operatività del concorso

esterno. La situazione di pericolo per la vita dell'associazione»). Non si può allora accantonare aprioristicamente la possibilità

che una condotta di per sé qualificabile in termini di favoreg

giamento, ancorché concretatasi in un solo atto, finisca con

l'integrare gli estremi del concorso esterno, specie se consape volmente diretta al mantenimento in vita del vincolo associati

vo.

Pare, allora, che la linea di confine possa tracciarsi soltanto

dopo aver operato una distinzione di piani: il piano del raffor

zamento della struttura, da quello dell'agevolazione delle (sin

gole) attività.

Se, infatti, dal rafforzamento della struttura consegue una fa

cilitazione delle attività dell'organizzazione, non è sempre vero

il contrario.

Ad esempio, rimanendo nel solco tracciato dalle sezioni uni

te, Yextraneus che per una sola volta si renda disponibile per la

consumazione di un'estorsione, non per questo necessariamente

accrescerà le potenzialità del sodalizio (e dunque non per questo concorrerà nel reato associativo), a meno che non si dimostrino

congiuntamente avverate le seguenti condizioni: a) che quella

singola attività rivestisse una peculiare importanza strategica, tale da compromettere, se non realizzata, la stessa efficienza

dell'associazione; b) che Yextraneus avesse la consapevolezza e

volontà, con quell'atto, di apportare un contributo significativo

all'organizzazione nel suo complesso. In questo caso ben potrà contestarsi l'aggravante di cui al

l'art. 7, trattandosi di un delitto commesso «al fine di agevolare l'attività» dell'associazione; mentre non potrà ritenersi sussi

stente, stando almeno alla non superata sentenza Demitry, la

condotta di concorso.

Ugualmente deve ritenersi per il favoreggiamento personale. L'aiuto prestato ad un latitante, ancorché questi si trovi in una

posizione di vertice all'interno del sodalizio, di per sé non inte

gra gli estremi del concorso, a meno che non si dimostri che

l'agevolazione fu prestata con la consapevolezza di «salvare»

l'associazione stessa in un momento di concreto pericolo ovve

ro di offrirle un contributo straordinario per il suo manteni

mento.

Diversamente, ove l'agevolazione sia consapevolmente di

retta a consentire al latitante l'ordinario espletamento delle atti

vità del sodalizio (ovvero l'agente non si rappresenti altro valo

re della propria condotta), la contestazione dovrà contenersi nei

limiti del favoreggiamento aggravato, oltre che dal cpv. dell'art.

378 c.p., dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152.

Sulla base di questi criteri, deve finalmente stabilirsi se, dopo l'accertamento sin qui condotto, i fatti addebitabili al Picone

autorizzino ancora la contestazione del concorso in associazione

mafiosa.

Ritiene il collegio che ciò non sia possibile. Si è visto che, per ciò che riguarda la «messa a disposizione»

nei confronti del Siino, il progetto rimase dunque sul piano della

mera ideazione, irrilevante ai fini della configurazione del reato.

Se può dunque condividersi l'affermazione del p.m. (secondo

cui anche il mero accordo può costituire un valido contributo al

rafforzamento dell'associazione, accrescendone per ciò stesso le

capacità operative), in concreto deve dirsi che, al di là della va

ga e indeterminata disponibilità reciproca che il Siino e il Pico

II Foro Italiano — 2002.

ne si scambiarono in contrada Perciana (e che non fu possibile

approfondire neppure nel secondo incontro misilmerese), non si

giunse ad un programma definito.

Rimane, dunque, in punto di fatto, l'altra frazione di condot

ta: la messa a disposizione di basi logistiche. E tuttavia, per quanto è stato possibile accertare, questa con

dotta si esaurì nell'offerta del villino in contrada Blaschi; né vi

sono elementi che consentano di ricollegare l'aiuto specifica mente prestato nel 1994 ad una preesistente disponibilità a soc

correre l'associazione, già manifestata in termini di accordo non

punibile, nella ricerca di contatti col Siino.

E bene mettere in evidenza, infatti, che le due frazioni di con

dotta contestate non possono legarsi insieme o valutarsi con

giuntamente; e ciò per almeno tre ragioni:

1) il tempo trascorso fra le due vicende (tre anni), senza che

vi sia alcuna traccia di altre forme di agevolazione o di sostegno

prestate dal Picone;

2) l'eterogeneità del contributo da prestarsi nel 1991 e pre stato nel 1994 (giacché nel primo caso il Picone intervenne nella

specifica veste di sindaco, nel secondo caso come semplice pro

prietario o utilizzatore di una villetta);

3) la stessa deposizione del Lo Forte, nella quale Picone Va

lentino appare come una persona da convincere (tant'è che il

cugino Santi temeva che la richiesta, se rivolta da lui personal

mente, potesse non essere accolta; ciò che di per sé contrasta

con l'ipotesi che il Picone intrattenesse, in quel momento, rap

porti latenti con l'associazione).

Ora, questa condotta di agevolazione, in sé considerata, è

senz'altro riconducibile al delitto di favoreggiamento, ma non

appare sufficiente ad integrare l'ipotesi di concorso.

Non vi sono elementi per poter affermare che la messa a di

sposizione della villetta magazzino di contrada Blaschi, ancor

ché consapevolmente finalizzata ad agevolare le attività dell'as

sociazione (come meglio si dirà motivando sulle aggravanti

speciali), avesse una tale rilevanza per gli scopi dell'associazio

ne da condizionarne il «mantenimento in vita»; e quand'anche si volesse ravvisare un'eccezionale situazione di concreto peri colo nella rivalità interna fra i due schieramenti misilmeresi,

nulla autorizza a ritenere che il Picone (non altrimenti ricollega

bile, almeno all'epoca, al sodalizio criminale) potesse effetti

vamente percepire la straordinarietà del proprio contributo.

La contestazione deve perciò limitarsi, in fatto, alla sola mes

sa a disposizione della villetta di contrada Blaschi, e va ricon

dotta sotto il profilo giuridico alla fattispecie di cui all'art. 378

c.p., con le aggravanti di cui al cpv. del medesimo articolo non

ché dell'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152.

È appena il caso di rilevare che la riqualificazione è consen

tita dal tenore della contestazione, nella quale si imputa al Pico

ne una condotta protesa all'agevolazione del sodalizio mafioso

e della sua attività; sicché è implicita tanto la contestazione del

l'agevolazione della latitanza dell'Ocello, che l'agevolazione delle attività dell'associazione, secondo il dettato dell'art. 7

(che sanziona più gravemente, con l'aumento di pena da un ter

zo alla metà e con una più sfavorevole disciplina del bilancia

mento fra le circostanze, i «delitti punibili con pena diversa dal

l'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dal

l'art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle as

sociazioni previste dallo stesso articolo»).

Invero, la difesa ha messo in dubbio l'applicabilità, nel caso

concreto, di quest'ultima aggravante, così come la sua compati bilità con il capoverso dell'art. 378 c.p.

Quanto alla prima questione, si è sottolineato che il Picone

ben potrebbe aver voluto agevolare il Lo Bianco, disinteressan

dosi delle sorti dell'associazione.

Giova, in questo senso, richiamare gli orientamenti profilatisi in giurisprudenza sul campo d'applicazione dell'art. 7 in queste

ipotesi. Ve n'è un primo, secondo cui «l'aggravante in questione [sa

rebbe] ravvisabile quando il reato di favoreggiamento, per pro

teggere la latitanza di un esponente di un'associazione per de

linquere di stampo mafioso, abbia proprio in quanto tale la pos sibilità di influire sull'esistenza dell'organismo criminale, nel

senso di contribuire a evitarne l'eventuale crisi funzionale» (cfr.

Cass., sez. I, 6 agosto 1996, n. 4358).

Questo orientamento è stato ripreso in un recente arresto giù

This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 9: sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone

PARTE SECONDA

risprudenziale (Cass., sez. VI, 24 giugno 1998, n. 1795) che ha

ritenuto sussistere l'aggravante in un caso in cui il ricorrente

aveva favorito la latitanza di un associato (quest'ultimo già rag

giunto da due ordinanze di custodia cautelare e da un ordine di

carcerazione per espiazione di pena definitiva), offrendosi di

trasportarne la cognata e la suocera nel tragitto da Palermo a

Roma per farle incontrare con lo stesso latitante e con la moglie di questi.

Un indirizzo più restrittivo, adottato da alcune precedenti

pronunce della stessa sesta sezione, esige invece maggior rigore nella distinzione fra l'«aiuto prestato alla persona» dall'«aiuto

prestato all'associazione», che solo potrebbe integrare gli estremi dell'aggravante (cfr. Cass., sez. VI, 21 marzo 1997, n.

2730; 20 giugno 1997, n. 5991). Come si evince dalla lettura delle motivazioni di questi prov

vedimenti, la Suprema corte ha inteso affermare il principio per cui non [il «non» è saltato per mera omissione nella motivazio

ne depositata] si può presumere sussistente, in base alle qualità

personali del favorito (bastanti invece ai fini dell'art. 378, cpv.), anche l'agevolazione dell'associazione, occorrendo «che l'atti

vità delittuosa venga compiuta al preciso [scopo] di agevolare l'attività dell'associazione ... al dolo richiesto per il reato per

petrato devono quindi accompagnarsi elementi aggiuntivi, di

mostrativi, in modo univoco ovvero altrimenti rivelatori, della

voluta particolare strumentalità del delitto commesso», non es

sendo sufficiente «la semplice consapevolezza della possibilità che dal commesso reato derivi anche un'agevolazione dell'atti

vità della consorteria mafiosa».

In altre parole, il Supremo collegio ha inteso richiamare i

giudici del merito ai loro obblighi di motivazione, imponendo loro di verificare l'effettiva strumentalità della condotta rispetto ai fini contemplati nell'art. 7.

Ciò però non vuol dire che il «fine di agevolare l'associazio

ne» debba consistere in un interesse verso l'organizzazione stessa, o in una tensione ideale verso gli scopi del sodalizio.

Invero, quel che rileva è che l'agente si sia rappresentato ed

abbia voluto il perseguimento del fine, indipendentemente dal

motivo per cui lo abbia perseguito (tornaconto personale, spe ranza di assicurarsi la gratitudine del favorito, familiarità col

medesimo).

Ora, il Lo Forte ha espressamente riferito che la richiesta del

Lo Bianco era effettivamente e concretamente diretta all'otte

nimento di un luogo di riunione (e si rinvia alle considerazioni

già formulate in proposito) e che l'imputato, cui la richiesta fu

personalmente rivolta, vi consentì.

Né si potrebbe svalutare l'evidenza letterale della testimo

nianza del Lo Forte, ipotizzando arbitrariamente che il Lo Bian

co possa aver nascosto o semplicemente taciuto al Picone (del

quale evidentemente si fidava) la destinazione del magazzino. Elementi di convincimento, in questa direzione, avrebbero

potuto essere forniti soltanto dall'imputato, che ha legittima mente scelto di non sottoporsi all'esame chiesto dal suo stesso

difensore e che peraltro ha adottato una linea difensiva radicale.

Ma, a ben vedere, la strumentalità della condotta rispetto al

fine dell'agevolazione traspare dal fatto che il Picone non offrì

al Lo Bianco una qualsiasi copertura della latitanza (o un gene rico contributo a sopportarla, come nel caso esaminato da Cass.

24 giugno 1998, n. 1795, che pure ritenne applicabile l'art. 7), bensì un rifugio nello stesso territorio di Misilmeri, facilitando

al reggente la permanenza nell'ambito operativo della famiglia mafiosa: circostanza, questa, che non poteva sfuggirgli.

Quanto alla compatibilità della suddetta aggravante col capo verso dell'art. 378 c.p., la questione va risolta, con la pacifica

giurisprudenza, nel senso dell'ammissibilità della contestazione

congiunta. Invero, la Suprema corte ha costantemente ribadito che le due

circostanze «richiedono diversità di condotta e sono dirette ad

operare su distinti ambiti di complementarità e non di reciproca esclusione»; la circostanza di cui all'art. 7 ha natura soggettiva e la sua ratio deve ravvisarsi «nella maggiore pericolosità so

ciale che l'agente dimostra con l'intento di perseguire, altresì, il

vantaggio dell'associazione mafiosa»; la seconda è una circo

stanza oggettiva, «siccome attinente alla maggiore entità del

danno subito dall'amministrazione della giustizia per effetto

della lesione dell'interesse alla repressione di un reato valutato

Il Foro Italiano — 2002.

di particolare gravità» (così, in motivazione, la già citata Cass.,

sez. VI, 21 marzo 1997, n. 2730); sicché, obbedendo a finalità

diverse, «possono concorrere tra loro od operare in modo indi

pendente» (Cass., sez. VI, 24 aprile 1998, n. 4823). Può ben accadere, infatti, che si agevoli un associato senza

contribuire all'agevolazione dell'associazione; così come non si

può escludere che, in talune circostanze, il favoreggiamento commesso nei confronti di un non affiliato (ad esempio, di uno

spacciatore) possa tornare utile ad un'associazione criminale,

concretamente agevolandola.

Degno di nota è il fatto che il principio che sorregge detto

orientamento (la piena compatibilità di una «circostanza di po

sizione», in cui la qualità di associato rileva come fatto storico,

ed una circostanza dinamica, in cui rileva l'effettivo impiego di

metodo mafioso o la concreta agevolazione dell'attività asso

ciativa) è stato sancito, con recente pronuncia dalle sezioni uni

te, con riguardo al problema affatto analogo della compatibilità dell'art. 7 con la circostanza aggravante di cui all'art. 628, 3°

comma, n. 3, c.p., prevista per i delitti di rapina ed estorsione

(sez. un. 27 aprile 2001). Conclusivamente, Picone Valentino dev'essere riconosciuto

colpevole del delitto di favoreggiamento personale aggravato,

previsto e punito dagli art. 378, cpv., c.p. e 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, nei confronti di Lo Bianco Pietro e commesso in

Misilmeri sino al 30 agosto 1995 (ovvero sino alla cessazione

della disponibilità della villetta, che deve farsi coincidere, in

mancanza di altri elementi, con la morte del favorito).

L'imputato non appare invero meritevole della concessione

delle circostanze attenuanti generiche. Nonostante l'assenza di precedenti (di cui sì terrà adeguato

conto al momento della determinazione della pena), non si può ritenere irrilevante la condotta che questi tenne durante la sua

sindacatura, e in particolare la generica disponibilità che egli of

frì al Siino, pur senza uno sbocco concretamente riconducibile

ad un qualche delitto.

Se il collaborante non fosse stato arrestato, quelle trattative

preliminari si sarebbero tradotte in un pactum sceleris istituzio

nalizzato fra il vertice dell'amministrazione pubblica misilme

rese e l'associazione mafiosa, che avrebbe avuto per il Picone

conseguenze penali ben più gravi della condanna per favoreg

giamento che si pronuncia oggi; e neppure si può trascurare la

statura del personaggio che questi favorì.

Peraltro, la pena, in equa applicazione degli indici di cui al

l'art. 133 c.p. (e in particolare l'assenza di precedenti penali, la

mancanza di un preciso tornaconto personale), può essere fissata

in anni tre di reclusione: pena base, tenuto conto del cpv. del

l'art. 378 c.p., anni due mesi tre di reclusione, aumentata sino

alla misura predetta in virtù dell'aggravante di cui all'art. 7 d.l.

n. 152 del 1991.

Alla dichiarazione di responsabilità dell'imputato consegue la

condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e di

quelle relative al suo mantenimento in carcere durante il periodo della custodia cautelare.

La misura custodialè, attualmente sofferta dal Picone, viene

revocata come da separata ordinanza.

In considerazione dell'entità della pena inflitta, difettano og

gettivamente i presupposti per la concessione del beneficio di

cui all'art. 163 c.p.

This content downloaded from 194.29.185.251 on Tue, 24 Jun 2014 21:21:04 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended