sentenza 6 giugno 2001; Pres. Ziino, Est. Mazzola; imp. PiconeSource: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 3 (MARZO 2002), pp. 201/202-215/216Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196940 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
ad una fonte confidenziale non rivelata, ma non si sofferma in
alcun passo della motivazione sulla rilevanza e l'utilizzabilità di
questa fonte.
c) Non si perviene a diverse conclusioni a seguito dell'ema
nazione della 1. 63/01, c.d. sul giusto processo. A questa legge non si può riconoscere generale efficacia re
troattiva, in relazione agli atti processuali già compiuti. Va osservato, in generale, che, da un lato, poiché le situazioni
giuridiche durano nel tempo, si rende indispensabile accertare
se i rapporti pendenti al momento dell'entrata in vigore della
nuova legge siano assoggettati a questa ovvero restino discipli nati dalla vecchia legge; dall'altro, poiché i giudici conoscono
di fatti e rapporti passati, occorre stabilire se tali fatti e rapporti debbano essere valutati in base alle disposizioni di legge abro
gata, sotto la cui vigenza si sono verificati, ovvero secondo il
regime delle disposizioni di legge vigenti al momento del pro cesso.
Tali questioni transitorie sono regolate, in via generale ed
astratta, dal complesso delle norme e dei principi di cui è costi
tuito il diritto intertemporale, che è volto ad individuare quale norma, la vecchia o la nuova, sia applicabile alle situazioni pen denti; specificamente ed in concreto, dalle disposizioni transito
rie emanate dal legislatore, che disciplinano esse stesse le situa
zioni pendenti, con regole distinte sia dalle vecchie, sia dalle
nuove norme.
Le caratteristiche delle disposizioni transitorie, che discipli nano autonomamente un numero circoscritto di fattispecie, non
consentono che di esse si faccia applicazione in via analogica. Ove manchi la disposizione transitoria, vengono in applica
zione i principi e le norme di diritto intertemporale e, attraverso
questi, la vecchia o la nuova norma.
Nel caso in esame, il legislatore ha emanato disposizioni tran
sitorie, ma relative soltanto alle specifiche categorie di atti
enumerate nel 2°, 3° e 4° comma dell'art. 26. Il 1° comma del
l'art. 26, non dettando alcuna disposizione transitoria, nell'ac
cezione specificata, si limita a ribadire l'applicabilità del diritto intertemporale.
Il diritto intertemporale incide sui modi di efficacia delle
norme sopravvenute, così articolati: efficacia retroattiva, effica
cia immediata, efficacia differita. Regola generale è l'efficacia immediata, per cui una norma
disciplina immediatamente con effetti ex mine ogni situazione
giuridica che rientri nella sua previsione. Specifica applicazione di questa regola generale si rinviene nell'art. 11 preleggi, se
condo cui «la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha
effetto retroattivo» nonché, quanto al diritto penale sostanziale, nell'art. 25 Cost.
Eccezioni sono la retroattività, in forza della quale una norma
disciplina con effetti ex tunc situazioni giuridiche pendenti o
future oppure riconnette effetti nuovi o diversi, anche se ex
nunc, a fatti passati e l'ultrattività della norma abrogata, in virtù
della quale a situazioni giuridiche pendenti continua ad appli carsi la vecchia norma. Non ravvisandosi alcun elemento al
quale poter agganciare l'applicazione di una regola di diritto
intertemporale diversa da quella ordinaria, va affermato che le
intercettazioni in esame rimangono soggette al regime vigente al
momento in cui esse sono state autorizzate.
D'altronde, a tutto concedere, e solo ad abundantiam, si rile
va che l'art. 10 1. 63/01, nel richiamare l'applicazione dell'art.
203, si riferisce alla sola valutazione dei gravi indizi di reato. Il
principio di tassatività che presidia la categoria dell'inutilizza
bilità-sanzione, dianzi illustrato, esclude qualsiasi estensione di
tale previsione alla valutazione dei sufficienti indizi di colpe volezza, rilevanti nel caso in considerazione.
d) Sempre per mero scrupolo di completezza, va rilevato che
un altro dei requisiti che connotano la categoria dell'inutilizza
bilità è quello della «fissità», in antitesi alla propagabilità della
nullità agli atti consecutivi dipendenti da quello dichiarato nul
lo. Unico effetto del rilievo d'inutilizzabilità di una prova è la
sua emarginazione dal contesto probatorio e la conseguente formulazione della decisione sul materiale residuo (la propaga bilità dell'inutilizzabilità agli atti consecutivi dipendenti è stata
esclusa da Cass., sez. I, 26 maggio 1994, Scaduto, id., Rep.
1995, voce Prova penale, n. 39, e sez. II 24 gennaio 1996, Ago
stino, id., Rep. 1998, voce cit., n. 51, secondo cui la disciplina in esame è improntata al principio vitiatur sed non vitiat; nello
stesso senso, da ultimo, Cass., sez. II, 14 novembre 1997, Me
II Foro Italiano — 2002.
riani, ibid., n. 43; sez. I 22 dicembre 1997, Nikolic, ibid., n. 42, e 19 settembre 1997, Guzzardi, ibid., n. 49).
La giurisprudenza di legittimità ha fatto applicazione di que sto principio con riguardo alle intercettazioni telefoniche, auto
rizzate in base alla regola generale fissata dall'art. 267 c.p.p.
(previa valutazione, cioè, dei gravi indizi di reato), a seguito d'informazione confidenziale, stabilendo che «... è da escludere
che l'intera fonte di prova resti inficiata dall'anonimato di chi
per primo abbia fornito le notizie; in tal modo si prescinderebbe
irragionevolmente dal valore di tutte le altre acquisizioni pro cessuali che da tali notizie derivano, svalutandone l'intera por tata per un preteso vizio d'origine, che resta superato da tutte le
successive acquisizioni» (Cass., sez. IV, 12 settembre 1996, Artan Sadin, id., Rep. 1997, voce Intercettazione di conversa
zioni, n. 42). Le acquisizioni processuali seguite alla notizia
anonima per mezzo delle intercettazioni, dunque, ben possono
integrare i presupposti di successivi, e quindi legittimi, decreti
di proroga delle operazioni d'intercettazione.
Fermi i principi appena richiamati, è il caso di aggiungere che, nella fattispecie in esame, la prima richiesta del p.m. e il
decreto di autorizzazione non si fondano solo su notizie confi
denziali, ma hanno trovato sostegno nell'operazione condotta
dalla squadra mobile il 6 luglio 1997, riportata nell'annotazione
redatta in pari data; nel corso di quest'operazione, Altamura
Raffaele è stato sorpreso nella propria abitazione insieme con
più persone indicate come appartenenti a organizzazioni camor
ristiche. Queste circostanze senz'altro legittimavano il p.m. a ri
chiedere l'autorizzazione per lo svolgimento delle operazioni d'intercettazione.
In conclusione, il decreto autorizzativo delle intercettazioni
ambientali in atti ed i successivi decreti di proroga si devono
ritenere congruamente motivati e le intercettazioni compiute vanno considerate pienamente legittime ed utilizzabili.
TRIBUNALE DI PALERMO; sentenza 6 giugno 2001; Pres.
Ziino, Est. Mazzola; imp. Picone.
TRIBUNALE DI PALERMO
Concorso di persone nel reato — Associazione di tipo mafio
so — Concorso esterno nei reato associativo — Esclusione —
Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 416 bis). Ordine pubblico (reati contro 1')
— Associazione di tipo mafioso — Concorso esterno nel reato associativo —
Esclusione — Favoreggiamento aggravato — Configura
bilità — Fattispecie (Cod. pen., art. 110, 378, 416 bis; d.l. 13
maggio 1991 n. 152, provvedimenti urgenti in tema di lotta
alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento
dell'attività amministrativa, art. 7; 1. 12 luglio 1991 n. 203,
conversione "in legge, con modificazioni, del d.l. 13 maggio 1991 n. 152).
La disponibilità a pianificare gare d'appalto, manifestata dal
sindaco di un connine della provincia di Palermo nei con
fronti di un personaggio investito del ruolo di mediatore
d'alto livello tra politica, imprenditoria e mafia (c.d. «mini
stro dei lavori pubblici di Cosa nostra»), non tradottasi però in atto e neppure in un progetto ben definito a causa del so
pravvenuto arresto de! predetto mediatore, non è sufficiente a
integrare gli estremi di un concorso esterno nell'associazione
di tipo mafioso. ( 1 )
(1-2) 1. - La sentenza su riprodotta si segnala all'attenzione perché affronta la tormentata problematica del concorso esterno nell'associa
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PARTE SECONDA 204
La messa a disposizione di un villino in una contrada di campa
gna, destinalo a fungere da luogo di riunione per un soggetto latitante reggente la famiglia mafiosa di un comune, integra — in assenza della prova della consapevolezza da parte del
proprietario di «salvare» così l'organizzazione criminale in
un momento di pericolo per la sua sopravvivenza —
gli estremi (non già di un concorso esterno nell'associazione
mafiosa, bensì) di un favoreggiamento aggravato ex art. 378, 2° comma, c.p. e 7 d.l. 152/91. (2)
zione mafiosa, mettendo in evidenza questa volta le ragioni che indur rebbero nel caso di specie ad escluderne la configurabilità.
II. - Con riferimento al tipo di condotta oggetto della massima sub 1, Trib. Palermo approfondisce in motivazione il possibile significato at tribuibile alla «messa a disposizione» del sindaco nei confronti del me diatore d'affari di Cosa nostra, in vista di una futura pianificazione ma
nipolata di gare d'appalto: ciò allo scopo di verificare se questa mani festazione di disponibilità «abbia effettivamente raggiunto un grado di materialità tale da assumere rilevanza» nell'ottica del concorso esterno
ipotizzato dall'accusa. La conclusione negativa raggiunta in proposito fa leva sul rilievo che
la disponibilità del sindaco è rimasta nel caso di specie ad uno stadio
embrionale, circoscritta cioè nei limiti di un iniziale tentativo di accor do non seguito da intese più definite a causa del sopravvenuto arresto dell'interlocutore. Se ne deduce implicitamente che Trib. Palermo avrebbe invece avallato l'ipotesi accusatoria ove l'intesa iniziale fosse riuscita a tradursi in un patto dal contenuto più preciso, e ciò peraltro nel solco di un orientamento precedentemente espresso: cfr. Trib. Pa lermo 27 gennaio 2001 (fattispecie relativa ad un politico condannato a titolo di concorso esterno per avere, in cambio dell'appoggio elettorale da parte di un esponente mafioso di primo piano, manifestato disponi bilità ad adoperarsi per «aggiustare» processi concernenti «uomini d'o
nore»), Foro it., 2002, 11, 68, con nota di richiami. In effetti, il concetto di messa a disposizione, che è assai diffuso
nella mentalità e nello stesso linguaggio dei mafiosi, è così generico, ambiguo e duttile da prestarsi nella prassi giudiziaria a fungere da nu cleo non solo del concorso esterno, ma — mutatis mutandis — della stessa condotta di partecipazione (interna) nell'associazione: per rifles sioni critiche in proposito e per un approfondimento dello statuto logico del concetto in parola ricondotto nella categoria generale dei concetti
«disposizionali», cfr. Visconti, La sentenza Andreotti: profili d'intera zione tra diritto sostanziale e accertamento probatorio, in Critica del
diritto, 2000, 487 ss. III. - L'esigenza di assegnare una corretta qualificazione penalistica
anche al tipo di condotta oggetto della massima sub 2 ha indotto Trib. Palermo a ripercorrere in motivazione i complessi, e sotto certi aspetti «fluidi» rapporti intercorrenti tra l'istituto del concorso esterno nell'as sociazione mafiosa e la fattispecie di favoreggiamento aggravato dal fi ne di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa (art. 7 d.l. 152/91).
Le premesse di fondo dell'/Ver motivazionale affondano le radici nel
l'impianto argomentativo della sentenza Demitry (Cass., sez. un., 5 ot tobre 1994, Foro it., 1995, IL 422, con nota di Insolera): la quale, nel Pavallare la configurabilità giuridica del concorso esterno nelle orga nizzazioni mafiose, ne ha individuato il quidproprii nell'atteggiarsi a contributo (anche isolato) di un soggetto estraneo all'associazione, ido neo a far superare all'associazione medesima una fase «patologica» o di fibrillazione emergenziale.
Cercando di sviluppare ulteriormente la prospettiva della sentenza
predetta, allo scopo di operare la problematica distinzione tra concorso esterno e favoreggiamento aggravato ex art. 7 cit., Trib. Palermo ritiene di dover differenziare il piano del «rafforzamento della struttura crimi nale» in quanto tale da quello dell'«agevolazione delle (singole) attivi tà» dell'associazione. In questo senso una stessa condotta potrebbe in
tegrare un reato di favoreggiamento (o, aggiungono i giudici esemplifi cativamente, di estorsione) aggravato ovvero un'ipotesi di concorso esterno, a seconda che essa si risolva in un contributo agevolatore di attività singole dell'associazione ovvero in un contributo all'associa zione in quanto tale: più precisamente ancora, il contributo risolventesi in un concorso esterno dovrebbe — secondo Trib. Palermo — essere
accompagnato dalla «consapevolezza di salvare l'associazione stessa in un momento di concreto pericolo ovvero di offrirle un contributo straordinario per il suo mantenimento. Diversamente, ove l'agevolazio ne sia consapevolmente diretta a consentire al latitante l'ordinario
espletamento delle attività del sodalizio (ovvero l'agente non si rappre senti altro valore, della propria condotta), la contestazione dovrà conte nersi nei limiti del favoreggiamento aggravato, oltre che dal capoverso dell'art. 378 c.p., dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152». Sulla base di
questi criteri, ritenuta mancante nel caso di specie la prova della consa
pevolezza da parte dell'imputato della funzionalità della messa a dispo sizione del villino al superamento di uno stato di crisi dell'associazio ne, il fatto oggetto di contestazione viene riqualificato come favoreg giamento aggravato.
li Foro Italiano — 2002.
Motivi della decisione. — Il p.m. contesta al Picone il con
corso esterno in associazione mafiosa (art. 110 e 416 bis c.p.), individuandone concretamente la condotta, da un lato, nelPaver
questi «fornito, in un momento di particolare fibrillazione della
famiglia mafiosa di Misilmeri, nel frangente divisa da cruenti
conflitti, basi logistiche e sicuri luoghi di riunione ad esponenti dell'associazione Cosa nostra, uno dei quali Lo Bianco Pietro,
peraltro latitante e con cui si incontrava»; e dall'altro, nell'es
sersi messo «a disposizione di Cosa nostra per il tramite di
Ocello Pietro all'epoca capo mandamento di Misilmeri, di Siino
Angelo, all'epoca referente primario di Cosa nostra nel settore
degli appalti, al fine di favorire l'illecita turbativa per le gare
per l'aggiudicazione dei lavori pubblici». L'accertamento dell'effettiva responsabilità di Picone Valen
tino si decide dunque sulla valutazione degli elementi di prova raccolti in ordine a due vicende storicamente determinate (due «nuclei distinti di fatto», come li ha definiti il p.m. nella requi sitoria), che l'accusa pone a fondamento dell'unitaria e sintetica
contestazione di concorso, assumendole come espressive di una
molteplice attività di sostegno del sodalizio criminoso.
Il primo profilo da considerare, in ordine cronologico, è l'i
potizzata agevolazione nelle aggiudicazioni dei cottimi fiduciari
o, più genericamente, degli appalti comunali.
Fonte di prova è, anzitutto, la deposizione resa in questo di
battimento l'I 1 gennaio 2001 dal collaboratore di giustizia An
gelo Siino, personaggio di assoluto rilievo negli intrecci affari
stico-mafiosi, «interfaccia», come egli stesso si è definito, «fra
le organizzazioni di Cosa nostra, la polìtica e l'imprenditoria e
io cercavo di mediare un po' tutte queste ... i desiderati di tutti
questi tre gruppi che praticamente cercavo di arrivare a degli accordi che potevano portare, pro bono pacis, alla gestione in
dolore degli appalti». Detta funzione di coordinamento, e la libertà di movimento
che a tal fine occorreva, fecero sì che il collaborante, pur ri
spondendo territorialmente al mandamento di San Giuseppe Ja
to, non fosse però formalmente affiliato e godesse di un'insolita
libertà di movimento («tutti pensavano che tenessero segreta
questa mia qualità, ma così non era e poi io ho specificato che
L'impostazione fin qui riassunta non ha precedenti negli stessi preci si termini. La sua plausibilità, anche in un'ottica generale che trascende il merito specifico del caso in questione, dipende da una verifica sia del reale grado di fondatezza dell'impianto della citata sentenza Demitry (per un tentativo di ridimensionamento critico, v. Cass. 21 settembre
2000, Villecco, id., 2001, II, 405; e in dottrina, per obiezioni critiche al
paradigma del momento «patologico» dell'associazione quale criterio d'individuazione del concorso esterno, in quanto criterio criminologi camente opinabile oltre che incerto e dunque giudiziariamente mani
polabile, cfr., di recente, Fiandaca, La criminalità organizzata e le sue
infiltrazioni nella politica, nell'economia e nella giustizia in Italia, in
AA.VV., Il crimine organizzato come fenomeno transnazionale a cura di V. Militello, L. Paoli e J. Arnold, Milano-Friburgo, 2000, 249 ss.), sia della giustezza delle ulteriori implicazioni che i giudici palermitani hanno ritenuto di poterne desumere nel proiettare la non facile distin zione tra concorso esterno e favoreggiamento aggravato sul terreno sci voloso e sfuggente dell'elemento soggettivo, in termini di supposta di versità di contenuto dell'elemento intellettivo del dolo (non è del tutto chiaro peraltro, leggendo la motivazione, se l'accento posto sul conte nuto dell'elemento soggettivo presupponga il convincimento dell'im
possibilità di tracciare la distinzione predetta facendo in primo luogo ri ferimento — secondo i principi generali — alle caratteristiche oggettive del fatto da qualificare).
Comunque sia, nella giurisprudenza precedente, a favore dell'appli cabilità dell'aggravante ex art. 7 cit. al reato di favoreggiamento (oltre alle sentenze citate in motivazione), si è pronunciata Cass. 21 maggio 1998, Pecoraro, Foro it., Rep. 1998, voce Favoreggiamento, n. 8, ma in base a una motivazione che sembra divergere dalla linea argomentativa seguita nella sentenza in epigrafe: l'aggravante in questione sarebbe in fatti configurabile quando il favoreggiamento commesso per proteggere la latitanza di un esponente mafioso «abbia la possibilità di influire sul l'esistenza dell'organismo criminale, nel senso di contribuire ad evitar ne l'eventuale crisi funzionale». Per la tesi della compatibilità dell'ag gravante di cui al 2° comma dell'art. 378 c.p. con quella ex art. 7 cit., nel presupposto che per la prima è sufficiente che il favoreggiamento sia compiuto a favore di un singolo associato di mafia, mentre per la seconda occorre che l'azione realizzata sia diretta in modo oggettivo ad
agevolare l'attività del sodalizio, v., in precedenza, Cass. 12 marzo 1998, Palmieri, ibid., n. 7; 3 settembre 1996, Blando, id., Rep. 1997, voce cit., n. 7.
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GIURISPRUDENZA PENALE
era interesse dell'organizzazione, non cooptarmi ufficialmente
perché, cooptandomi ufficialmente, sarei stato coinvolto nel
l'organizzazione criminale»; «conoscevo i capi delle province,
per cui evidentemente alle volte bypassavo questo ruolo e rife
rivo direttamente agli interessati»); autonomia riconosciutagli dai vertici di Cosa nostra, come Salvatore Riina e in particolare Bernardo Provenzano, con il quale Siino avrebbe avuto rapporti
più stretti per via dei cospicui interessi che il Provenzano ripo neva in un gruppo imprenditoriale bagherese («Riina Salvatore
mi era stato diciamo precluso l'accesso, benché ci fossero dei
contatti per interposta persona, mi era stato precluso perché i
miei compaesani, principalmente i Brusca, pensavano che era
pericoloso per loro farmi avere un contatto diretto con Salvatore
Riina che pensavano li avrebbe bypassati. Invece con Bernardo
Provenzano ho avuto contatti ... diverse volte mi sono incon
trato e, sempre per interposta persona, ne ricevevo alcuni desi
deri che lui aveva per la gestione di alcuni appalti»). In che cosa consistesse, nei fatti, questo ruolo mediatorio è
chiarito dallo stesso collaborante: «facevo aggiudicare degli ap
palti, intervenivo nel senso che alle volte facevo ritirare degli
imprenditori... ritirare dalle gare di appalto, non intervenire
nelle gare di appalto a imprenditori che loro non conoscevano;
significa che mi adoperavo verso le pubbliche amministrazioni,
significava che intervenivo con i direttori dei lavori ...».
Ora, sulla storicità del ruolo del Siino non sono stati sollevati
dubbi; e, al di là dell'esposizione succinta che il collaborante ha
reso sul proprio ministero, la stabile e istituzionalizzata posizio ne di quest'ultimo all'interno di Cosa nostra, ancorché non for
malizzata con l'assunzione della veste di uomo d'onore, è stata
riconosciuta con la sentenza di condanna pronunciata dal Tribu
nale di Palermo il 2 marzo 1994 per il delitto di cui all'art. 416
bis c.p. (irrevocabile I'll aprile 1997); nonché positivamente rivalutata, ai fini della verifica dell'attendibilità della sua colla
borazione, in molti altri dibattimenti (cfr., per tali riferimenti, la
copia in actis della sentenza emessa da questa stessa sezione il
13 ottobre 1998 nel procedimento n. 270/98 r.g. per 416 bis a
carico di Guccione Leoluca e Gariffo Carmelo e che qui si ri
chiama ai sensi dell'art. 238 bis c.p.p.). La credibilità soggettiva del Siino, specie in considerazione
della condotta oggi contestata (la pianificazione delle gare
d'appalto) appare dunque elevatissima, così com'è contrasse
gnata da un elevato grado di attendibilità la deposizione che ha
reso in questo processo. Siino ha dichiarato di aver conosciuto Picone Valentino nel
corso di una riunione conviviale, una «mangiata» che si tenne
verso la fine della primavera del 1991 nella casa di campagna di
Ocello Pietro («l'ho conosciuto proprio in un'occasione riguar dante una riunione, che si tenne in una campagna di San Giu
seppe Jato, in contrada Perciana esattamente, dove era stata
convocata una riunione per perorare la presunta ... avance fatta
dall'avvocato Aricò di Palermo, che allora era presidente del
l'E.a.s., e che praticamente era ... si doveva candidare alle ele
zioni regionali ...»; «quando io venivo invitato a queste riunio
ni, era perché c'erano delle tematiche precise, le tematiche era
no politiche ed imprenditoriali, allora il discorso si trattava ge neralmente di convivi che dovevano designare ... c'era qualche
problema per... qualche situazione di ordine politico o situa
zioni di ordine territoriale e a questo, alle volte, io partecipavo,
perché l'Ocello era ... voleva che io partecipassi perché mi ri
teneva personaggio molto autorevole»); e in occasione delle
mangiate misilmeresi in casa dell'Ocello, Siino avrebbe cono
sciuto anche Pietro Lo Bianco («io l'ho conosciuto, l'ho visto
sempre in compagnia dell'Ocello e praticamente, anzi addirittu
ra una volta l'avevo scambiato per figlio effettivamente dell'O
cello perché si rassomigliavano moltissimo e per cui io pensavo che fosse il figlio»).
A proposito della figura dell'Ocello («accreditato» presso il
Siino da Brusca Giovanni), il collaborante ha dichiarato di aver
stretto con questi un rapporto di amicizia, dopo averlo aiutato in
qualche «piccola problematica» inerente al suo lavoro di ope ratore ecologico; e che tale rapporto si era evidentemente inten
sificato dopo che l'Ocello era assurto «agli onori degli altari»,
assumendo la reggenza della famiglia-mandamento di Misilme
ri.
Peraltro, l'Ocello fu ucciso di lì a poco in un «duello rustica
no», come Siino avrebbe appreso dal fratello di questi, Ocello
Il Foro Italiano — 2002.
Giuseppe, nel ristorante «La veranda» di Misilmeri («mi rac
contò che [Pietro Ocello] era rimasto vittima di una tragedia, avevano armato la mano di un uomo d'onore mezzo ... ormai
anziano, dicendogli che Pietro Ocello si impadroniva di soldi
dell'organizzazione, lasciando a tutti a bocca asciutta, così non
era, ma praticamente questo personaggio lo uccise ... fu ucciso
dallo stesso Ocello con una coltellata»).
Ora, seguendo il resoconto di Siino, la riunione elettorale nel
corso della quale si incontrò con l'odierno imputato era stata
voluta dallo stesso Brusca, dall'Ocello e da alcuni dipendenti
dell'E.a.s., ovvero dell'ente del quale l'avv. Aricò era allora
presidente («c'era Lo Bianco, c'era Pietro Ocello, c'era Gio
vanni Brusca, c'era Totò Genovese ... insomma decine di per sone e, in questa occasione, c'era anche il signor Velentino Pi
cone, che mi fu presentato come sindaco di Misilmeri»), Il sindaco avrebbe tenuto nei confronti del Siino un atteggia
mento deferente, dichiarandosi «disponibile» per qualunque co
sa il Siino intendesse fare nel comune di Misilmeri («... e mi è
sembrato anche una persona un po' strana, perché cominciò a
fare atti di grande deferenza nei miei confronti mi cominciò a
dire che era a mia disposizione, che qualsiasi cosa io potevo fare
al comune di Misilmeri, il comune era a mia disposizione»). Ma all'epoca, ha aggiunto il collaborante, il sindaco Picone
«aveva ben poco ancora di pronto da potere fare», se non «due
lavoretti che io dovevo fare aggiudicare al figlio dell'Ocello ed
al fratello del collaboratore di giustizia attuale, non mi ricordo
questo come si chiamava, era uno dei primi collaboratori di giu stizia ... ah, Drago».
Al Siino fu perciò raccomandato «questo fratello di Drago, che doveva essere ... doveva aggiudicarsi questi due piccoli la
vori, piccoli, a livello di quattrocento-cinquecento milioni, ri
guardanti opere elettriche all'interno del comune di Misilme
ri ... mi sembrava di sprecare tempo per cose di così poca enti
tà ... ma il Valentino mi disse, Picone, chiamato da tutti Valen
tino, era molto popolare, e mi disse che era a disposizione per cercare eventualmente di organizzare altre cose e di far avere
ulteriori finanziamenti da me perorati». A tale scopo, Siino avrebbe incontrato il Picone una seconda
volta, nella casa di un consigliere comunale «alla circonvalla
zione di Misilmeri» («un personaggio ... che era stato nel par tito repubblicano ... candidato alle senatoriali nel collegio di
Bagheria-Misilmeri»; «era soprattutto per chiarire come si do
veva fare aggiudicare questo lavoro al figlio dell'Ocello, che si
chiamava mi pare anche lui Pietro, Piero ... non mi ricordo, e
che praticamente ... che aveva un negozio di ferramenta e al ...
fratello del collaboratore di giustizia Drago»). Fu così che, in quella casa, Siino avrebbe avuto col Picone un
ulteriore colloquio, ma di «pochi minuti», per via di un impegno dello stesso sindaco («quest'ultimo incontro l'ho avuto in casa
di questo signore, che stava sulla circonvallazione di Misilmeri, che mandò a chiamare il Valentino perché voleva che io conti
nuassi ad avere ... ad allargare il discorso degli appalti, ma fu
un incontro di pochi minuti, perché Valentino aveva un impe
gno e si è dovuto allontanare, da lì a poco io poi sono stato arre
stato e non ho avuto più modo di organizzare cose sul comune
di Misilmeri»). Ora, il collaborante è stato invitato a precisare che cosa do
vesse intendersi per «messa a disposizione»; ed ha così chiarito
che «il Valentino Picone mi fu messo a disposizione, a disposi zione significa che doveva fare, per quel che riguardava la ge stione dei lavori pubblici, tutto quello che volevo io, nel senso
che doveva poi aiutarmi a ... prima di tutto dovevamo identifi
care le opere che ... importanti che c'erano da fare, dovevamo
farle finanziare e poi lui doveva predisporre i bandi insieme a
me, doveva fare le lettere d'invito insieme a me, doveva darmi
l'elenco delle imprese invitate insieme a me e poi io dovevo fa
re l'appalto, cioè dovevo assegnarlo ad un'impresa che sarebbe
stata poi convenuta. Però questo fatto non si è potuto fare per ché io materialmente, da lì a poco, sono stato arrestato e poi Mi
silmeri è stata coinvolta in una guerra spaventosa che pratica mente impedì poi che tutte queste cose andassero a buon fi
ne». (Omissis) Ora, al termine di questa breve premessa sulla qualità della
fonte di prova, deve dirsi che in discussione non è dunque l'at
tendibilità del Siino; bensì se la «messa a disposizione» di cui
questi ha parlato, e nei termini in cui ne ha parlato, abbia effet
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207 PARTE SECONDA 208
tivamente raggiunto un grado di materialità tale da assumere ri
levanza ai fini della contestazione.
E nell'esaminare detto profilo, non può che muoversi dallo
stesso impianto accusatorio, com'è stato sviluppato e chiarito
nel corso della requisitoria. Osserva infatti il p.m. che al Picone si addebita non già «la
condotta dell'organizzazione, ovvero della partecipazione a fatti
di turbativa», in quanto «il momento che qualifica la contesta
zione di frazione di condotta è quello della scelta delle imprese, invitate a formulare un'offerta per l'affidamento dei singoli la
vori, ovvero l'acquisto di materiali da parte dell'amministrazio
ne comunale», ed anche perché «è del tutto evidente, rispetto a
tali accordi, ovvero a tali azioni di pressione o d'intimidazione,
gli organi dell'amministrazione rimangono del tutto estranei».
Ora, proprio in quest'ottica, il collaborante ha sì confermato
che l'offerta di disponibilità, da parte del Picone, comportava «che doveva fare, per quel che riguardava la gestione dei lavori
pubblici, tutto quello che volevo io, nel senso che doveva aiu
tarmi a ... prima di tutto dovevamo identificare le opere che ...
importanti che c'erano da fare, dovevamo farle finanziare e poi lui doveva predisporre i bandi insieme a me, doveva fare le let
tere di invito insieme a me, doveva darmi l'elenco delle imprese invitate insieme a me e poi io dovevo fare l'appalto, cioè io do
vevo assegnarlo ad un'impresa che sarebbe stata poi convenu
ta», ma ne ha parlato come di un programma futuro, di un'intesa
neppure abbozzata nei suoi elementi essenziali.
Vi furono dei contatti, secondo il collaborante, ma niente di
più, giacché al primo incontro ne seguì un altro, che avrebbe
dovuto chiarire i termini di quell'intesa e che durò pochi minuti
senza approdare a nulla, perché Siino fu poi arrestato.
E invero, l'accusa ha cercato il riscontro concreto della «mes
sa a disposizione» del Picone non tanto o non solo nel periodo successivo all'incontro con Siino, ma in tutto il periodo della
sindacatura; e ciò allo scopo di dimostrare che, al di là della
prova di un nesso causale fra l'incontro col Siino e le docu
mentate aggiudicazioni all'Ocello, buona parte dell'operato del
sindaco in materia di appalti pubblici fu caratterizzato da un so
stanziale asservimento alla famiglia di Misilmeri.
Ed è soprattutto a questo fine che si è data rappresentazione del grado d'infiltrazione mafiosa nel sistema degli appalti pub blici.
Dalla massiccia presenza di imprese in odor di mafia si do
vrebbe infatti desumere la prova dell'ossequio prestato dall'o
dierno imputato all'associazione criminale; ossequio che l'in
contro con Siino — al di là della circostanza che si sia tradotto
in qualche fatto specifico — confermerebbe ex post.
Questa impostazione, anche alla luce delle fondate argomen tazioni contrarie articolate dalla difesa, non è condivisibile.
Occorre in primo luogo richiamare il dato normativo di cui
all'art. 38 1. reg. n. 21 del 1985.
La legge stabilisce che «l'espletamento del cottimo è disposto dal capo dell'amministrazione, ed è di competenza dell'inge
gnere capo dell'ufficio tecnico dell'ente, che provvede all'ag
giudicazione provvisoria, previa richiesta di offerta ad almeno
cinque ditte fiduciarie».
Che ciò rispondesse, com'è naturale, anche alla prassi del
comune di Misilmeri è stato confermato dal teste Vincenzo
Lombardo, segretario generale del comune anche all'epoca dei
fatti, sentito all'udienza del 13 marzo 2001.
Questi ha precisato che «dalla legge è demandato all'ufficio
tecnico l'espletamento del cottimo fiduciario quindi significa l'indizione della gara, l'espletamento e la formazione del ver
bale di aggiudicazione, dopodiché il tutto viene trasmesso alla
segreteria, per portarlo poi all'esame della giunta municipale» e
che il sindaco, al più, interveniva nella «fase politica», indivi
duando le opere da aggiudicare col sistema del cottimo fiducia
rio, ma senz'alcuna ingerenza nella scelta delle ditte; ed ha poi
soggiunto di non aver mai ricevuto pressioni né di essere a co
noscenza di ingerenze da parte del sindaco in tale attività. De
posizioni assolutamente conformi hanno poi reso i testi Lo
Bianco, Sidoti e Di Spezio, anch'essi concordi nell'escludere
ogni competenza (o illecita influenza) del sindaco nella forma
zione degli elenchi e nella scelta delle ditte da invitare.
La procedura è stata definitivamente chiarita all'udienza del 7
Il Foro Italiano — 2002.
maggio 2001 dal teste Merendino Pietro, all'epoca dirigente dell'ufficio tecnico Pietro Merendino.
Questi ha dichiarato di aver personalmente curato la prepara zione degli elenchi delle imprese da invitare, distinti «per spe cializzazione e per categoria di lavori e per importo» sulla base
delle certificazioni della camera di commercio che le ditte in
viavano allo scopo di esservi inserite.
A tali elenchi si attingeva a seconda del tipo di lavoro da
commissionare («io generalmente facevo invitare tutte le impre se. Davo l'elenco e dicevo: invitate tutte queste imprese»): una
volta individuata la ditta aggiudicataria e rimesso il verbale di
aggiudicazione provvisoria alla giunta per l'approvazione e i
controlli amministrativi, il segretario generale — ha spiegato
Merendino — provvedeva alla stipulazione del contratto, previa
acquisizione del certificato antimafia.
Ed a fronte alla domanda del p.m., che chiedeva perché per lo
stesso tipo di gara talora risultasse invitato un numero ora mag
giore, ora minore di imprese, il Merendino ha altresì precisato che questi elenchi erano continuamente soggetti a variazioni,
perché si prendeva atto della disponibilità di volta in volta mo
strata dalle stesse ditte.
Dunque, il sindaco non aveva alcuna competenza nella scelta
delle ditte o nella formazione degli elenchi; e se ciò non può escludere che questi potesse comunque influenzare l'ufficio
tecnico (al di là delle stesse dichiarazioni dei testi, che negano di aver ricevuto pressioni), non è provato che l'imputato le ab
bia esercitate.
Rimarrebbe, perciò, il nudo valore indiziario della consistente
presenza nelle gare comunali, di imprese contigue alla famiglia mafiosa.
La difesa ha però convincentemente dimostrato che le ditte
aggiudicatarie di appalti comunali durante la sindacatura Picone
operavano sia anteriormente che successivamente al mandato
sindacale dell'imputato. A titolo esemplificativo, la cooperativa «Il progresso» di Bo
nanno Giusto risulta aver stipulato contratti con l'amministra
zione comunale già il 25 settembre 1985, il 2 novembre 1987, il
19 settembre 1988, il 20 dicembre 1989, il 24 marzo 1990, il 28
aprile 1990, il 3 dicembre 1991; Aloisio Francesco il 10 dicem
bre 1987; Aloisio Rosario il 18 ottobre 1988, il 4 aprile 1989; il
Virga Vincenzo il 4 gennaio 1988; Borgese Anna già l'8 gen naio 1990; lo stesso Ocello Giuseppe risulta aver stipulato con
tratti anche il 10 ottobre 1995 e il 5 ottobre 1998.
E alcune delibere, concernenti l'aggiudicazione in periodo re
centissimo di contratti d'appalto o di forniture in favore di
Ocello Giuseppe e Borgese Anna (moglie di Ocello Giusi, fra
tello di Ocello Pietro), sono state prodotte all'udienza del 7
maggio (determinazione del sindaco di Misilmeri del 21 ottobre
1997, concernente l'affidamento di una fornitura per trattativa
privata alla ditta Ocello Giuseppe; deliberazione della giunta comunale di Misilmeri n. 237 del 1998, riguardante l'approva zione di un verbale di aggiudicazione provvisoria di una fornitu
ra di materiale allo stesso Ocello Giuseppe; deliberazione della
giunta comunale di Misilmeri n. 273 del 1999, concernente
l'approvazione del verbale di aggiudicazione del servizio di re
fezione scolastica alla ditta Borgese). In mancanza di altri elementi, questi dati documentali spo
gliano la dimostrazione del p.m. di quel significato indiziario
che essa avrebbe certamente avuto, ove l'aggiudicazione di ap
palti ad imprese in odor di mafia si fosse concentrata o preva lentemente verificata durante la sindacatura Picone.
E senz'altro vero, come replica il p.m., che questi dati non
escludono necessariamente la responsabilità del Picone, «ma
tutt'al più, al contrario, potrebbero] qualificare il comporta mento e le scelte degli altri amministratori ... ove tali condotte
fossero accompagnate, come nel caso del Picone, da altre con
dotte, come quella di mettere a disposizione la casa».
Tuttavia, la vicenda legata alla messa a disposizione della ca
sa (che sarà diffusamente esaminata più avanti) appare troppo distante nel tempo (1994) e troppo diversa nell'oggetto per po ter riscontrare un indizio equivoco.
Ed infine, la collusione dei sindaci che precedettero e segui rono il Picone non può avanzarsi in via d'ipotesi, ma avrebbe
dovuto porsi come thema probandum, ancorché molto oneroso, a carico dell'accusa.
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GIURISPRUDENZA PENALE
In questo senso, agli atti vi è soltanto la deposizione del ca
pitano Daidone del 13 febbraio 2001 sullo scioglimento della
giunta Carlino: «la giunta successiva fu quella poi di Carlino
Pietro che poi venne sciolta per mafia, a seguito dell'arresto di
lui stesso per favoreggiamento e al medesimo gli uccisero il
fratello durante la faida».
Ciò non è però sufficiente, se si considera: 1) che detta giunta
seguì ad una vittoriosa mozione di sfiducia nei confronti di Pi
cone Valentino; 2) che gli Ocello hanno ricevuto commesse e
appalti dello stesso tipo e importo anche in tempi recentissimi, nonostante gli equilibri mafiosi misilmeresi, sui quali ci si sof
fermerà più avanti, debbano ritenersi radicalmente mutati.
Concludendo, per ciò che riguarda questo primo profilo della
contestazione risulta provato esclusivamente che nel 1991 Pico
ne Valentino avvicinò Angelo Siino, e che parlò con questi del
finanziamento di alcune opere misilmeresi da appaltare a bene
ficio del fratello Drago Giovanni e del figlio di Ocello Pietro.
Quei «lavoretti» avrebbero dovuto preludere all'aggiudica zione di un'ulteriore serie di opere da finanziare con la media
zione di Siino; ma dette trattative, che avrebbero dovuto essere
approfondite, non poterono tradursi in atto e neppure in un pro
getto definito a causa dell'arresto del collaborante.
Occorre adesso esaminare l'altra frazione di condotta, l'ipo tizzata offerta di basi logistiche a Lo Bianco Pietro, durante la
latitanza di questi. La contestazione, in parte qua, si fonda su un incontro tenu
tosi in contrada Blaschi, nella casa di Nascente Giuseppe, zio
del collaboratore Lo Forte Cosimo.
Nel corso di tale convegno, Pietro Lo Bianco avrebbe chiesto
a Picone Valentino la disponibilità di una casa che l'odierno
imputato possedeva in quella stessa contrada.
Tale episodio è stato dettagliatamente riferito dal collaborante
Lo Forte, nel corso dell'incidente probatorio celebratosi, dinan
zi al G.i.p. di Palermo fra il 3 e il 5 marzo 1998, anche in con
traddittorio con la difesa del Picone. (Omissis) Esaurita questa premessa generale, va esaminato l'episodio
contestato al Picone.
Il resoconto del collaborante può così sintetizzarsi.
Nel 1994 vi fu un incontro in contrada Blaschi, nella casa di
campagna di Nascente Giuseppe, zio di Lo Forte Cosimo.
L'incontro fu voluto dal Lo Bianco, che aveva intenzione di
richiedere al Picone la disponibilità di una casetta sempre in
contrada Blaschi «per farsi lui... qualche appuntamento per i
fatti suoi, per cambiare posto perché lui era uno che cambiava
sempre posti». Il reggente della famiglia di Misilmeri, in quel periodo, si
contendeva il controllo del territorio con la «vecchia guardia», facente capo a Spera; e temeva perciò che alcuni esponenti della
fazione rivale, al corrente del fatto che il latitante utilizzasse
una villetta di proprietà di tale «Gerardo», potessero tradirlo
(«perché una volta che Sciarabba e questa gente sapevano della
casa di Gerardo, lui doveva cambiare posto perché aveva paura che qualcuno lo tradisse»).
Inizialmente, il capomafia avrebbe voluto incaricare della ri
chiesta Picone Santi, cugino del padre di Valentino («il Lo
Bianco aveva detto a Vitrano di dire così e così. Allora un gior no io sono andato dal Picone a dirgli che ci voleva parlare mio
padre però già sapevo qual era il fatto ... che era quello»; «dice:
'Ci debbo parlare, vediamo un po' che deve parlare con Valen
tino per il fatto della casa'»); ma lo stesso Santi gli avrebbe
suggerito di avanzare la richiesta personalmente («che a me di
sicuro mi dice di no perché siamo parenti e cose varie, magari con te gli sembra brutto e non te lo dice di no»: questo avrebbe
sostanzialmente risposto secondo Lo Forte). Il latitante si sarebbe recato al convegno nascosto nel cofano
di una station wagon di proprietà di Stefano Vicari, guidata da
Correnti Pietro, mentre Picone Valentino sarebbe stato accom
pagnato dal cugino Santi («il Correnti ha portato Lo Bianco
dentro il cofano della macchina di Stefano Vicari la Passat sta
tion wagon, mentre il Picone portò l'altro Picone, son venuti
tutti e due a bordo di un'auto dove sono arrivati prima loro»). All'interno della casa, il latitante avrebbe perciò intrattenuto
dei separati colloqui con i due Picone («prima con un Picone e
poi con l'altro, ad uno ad uno, in due, parlavano sempre in due,
prima con Santi e poi con Valentino. E poi di nuovo ... in prati
li. Foro Italiano — 2002 — Parte II-6.
ca ogni tanto magari usciva ... infatti io sono rimasto con Va
lentino Picone ... fuori a fumare parecchie sigarette»). Lo Forte non assistette dunque al colloquio e non ha potuto
perciò riferirne l'esatto tenore.
Sapeva tuttavia, per averlo appreso dal padre Vitrano, che il
Lo Bianco aveva intenzione di chiedere la casa; ed ha altresì di
chiarato di aver colto una frase di commento che, dopo quei
colloqui, Santi Picone rivolse al Lo Bianco: «Hai visto! Se lo
dicevo io, mi diceva sicuro di no».
Gli è stato altresì chiesto se nella casa del Picone qualche ri
unione effettivamente si svolse; ed ha risposto di aver accompa
gnato in quella zona tanto il Vitrano che Picone Santi («di fronte la Nisida che va allo scorrimento veloce che ... fra lo
scorrimento e questa strada lo lasciavo lì ... anche a Picone
Santi una volta ho lasciato lì, loro scavalcavano un muro, una
recinzione a piedi ... È che c'era Lo Bianco che doveva parlare se c'era di sicuro qualche altra riunione ... sempre tutti loro ed
io ho lasciato Vitrano ed il Picone con la macchina lì che poi non ho più ripreso ... verso le 22,00 li ho lasciati lì una sera»),
precisando tuttavia di non essere in grado di «stabilire se sono
andati dal Gerardo o dal Picone perché, ripeto, le case sono
molto vicine ... cioè a piedi si raggiungono tranquillamente».
( Omissis) Può ritenersi, dunque, che nel 1994 Picone Valentino offrì al
Lo Bianco la casa di contrada Blaschi (di proprietà del padre
ma, evidentemente, nella sua disponibilità) affinché il latitante
se ne servisse «per farci qualche appuntamento per i fatti suoi».
Che tali appuntamenti non fossero altro che riunioni tra affi
liati, benché la difesa ritenga tale aspetto non provato, è indub
bio. E stato infatti lo stesso Cosimo Lo Forte a riferire di aver ac
compagnato il Vitrano e Picone Santi in quella zona per «ri
unioni», pur non potendo del tutto escludere che in quell'occa sione si fossero recati, piuttosto che a casa del Picone, «a casa
del Gerardo» («D. Qualcuno le ha mai detto, invece, che in
quella casa qualche riunione effettivamente si svolse? R. Sì,
perché io una volta ho lasciato mio padre in ... nella strada ...
non so se si chiami passo di Rigano, comunque è sempre la stes
sa strada, di fronte la Nisida che va allo scorrimento veloce
che ... fra lo scorrimento e questa strada lo lasciavo lì... anche
a Picone Santi una volta ho lasciato lì, loro scavalcavano un mu
ro, una recinzione, a piedi. In pratica dal posto dove erano que ste due abitazioni sia quella del Gerardo che quella del Picone
che ripeto posso capire dov'è ma non sono sicuro dove sia (...). È che c'era Lo Bianco che doveva parlare se c'era di sicuro
qualche altra riunione ... sempre tutti loro»). Al di là dell'impossibilità, per il collaborante, di confermare
con certezza assoluta che a casa del Picone si svolsero effetti
vamente delle riunioni (cosa che è peraltro irrilevante ai fini
dell'integrazione del reato), è evidente che egli non dubitasse di
questa destinazione (diversamente, la risposta non avrebbe
avuto alcun senso). E peraltro tanto il Lo Forte che Brusca Giovanni (quest'ulti
mo nel corso della già citata deposizione resa dinanzi alla corte
d'assise), quando parlano di «appuntamenti», si riferiscono sen
z'altro ad incontri organizzati per discutere questioni inerenti
all'attività del sodalizio.
E dunque provato:
1) che il Lo Bianco intese chiedere al Picone la disponibilità di una casa al precipuo scopo di organizzarvi appuntamenti fra
associati;
2) che a tale scopo effettivamente si incontrò con l'odierno
imputato;
3) che alla richiesta l'imputato consentì.
Né è lecito presumere che il Picone potesse non conoscere lo
stato di latitanza del Lo Bianco o lo spessore criminale del favo
rito, perché — al di là del fatto che costituissero fatti notori a
Misilmeri (come ha confermato Lo Forte) — tale conoscenza è
implicita già nell'oggetto della richiesta cui l'imputato aderì, ed
era desumibile dalle stesse modalità del convegno e dei collo
qui. (Omissis) La verifica della rispondenza dei fatti, così come sono stati
accertati, all'imputazione in epigrafe, richiede una premessa in
diritto sulla figura del concorso eventuale nel delitto di associa
zione mafiosa.
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PARTE SECONDA
Questa figura, dopo alcune oscillazioni, ha ormai acquisito una chiara tipicità giurisprudenziale; devono perciò richiamarsi
sommariamente le linee argomentative della pronuncia che ne
ha sancito la giuridica ammissibilità, componendo il conflitto
(sez. un. 5 ottobre 1994, Demitry, Foro it., 1995, II,
422). (Omissis) Mentre il partecipe è «colui senza il cui apporto quotidiano o,
comunque, assiduo l'associazione non raggiunge i suoi scopi o
non li raggiunge con la dovuta speditezza, il che apre la strada
ad una vasta gamma di possibili partecipi, che vanno da coloro
che si sono assunti o ai quali sono stati affidati compiti di mag
giore responsabilità ... — i promotori, gli organizzatori, i diri
genti — a quelli con responsabilità minori o minime, ma il cui
compito è o è pure necessario per le fortune dell'associazione», il concorrente eventuale è, invece, per definizione, «colui che
non vuole far parte dell'associazione e che l'associazione non
chiama a 'far parte', ma, al quale si rivolge sia, ad esempio, per colmare temporanei vuoti in un determinato ruolo, sia, soprat tutto nel momento in cui la 'fisiologia' dell'associazione entra
in fibrillazione, attraversa una fase patologica, che, per essere
superata, esige il contributo temporaneo, limitato, di un ester
no».
Tale contributo può essere anche «episodico», perché «ciò
che rileva è che quell'unico contributo serva per consentire al
l'associazione di mantenersi in vita, anche solo in un determi
nato settore, onde poter perseguire i propri scopi» (e v., in que sto senso, Cass., sez. I, 4 febbraio 1988, Barbella, id., Rep.
1989, voce Concorso di persone nel reato, n. 18, che aveva rin
venuto la manifestazione più autentica del concorso proprio nell'«occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un sin
golo comportamento, non privo d'idoneità causale per il conse
guimento dello scopo, che costituisca autonoma e individuale
manifestazione di volontà criminosa e si esaurisca nel momento
della sua espressione perché ontologicamente concepita e de
terminata nei correlativi limiti di tempo e di efficacia»).
Ora, non ritiene il collegio di doversi impegnare in una rie
sposizione degli argomenti attraverso i quali le sezioni unite su
perarono le posizioni conservatrici ancora sostenute, ad esem
pio, da Cass., sez. I, 30 giugno 1994, n. 2699.
Per quel che rileva in questa sede, meritano però di essere
considerati quei profili della decisione che più direttamente in
cidono sul discrimen fra la condotta del concorrente ed altre più lievi forme di contiguità, come il favoreggiamento aggravato ex
art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152.
Com'è noto, l'oggettiva interferenza fra le due fattispecie co
stituiva uno degli argomenti sui quali si fondava l'orientamento
sconfessato dalle sezioni unite.
Al di là della disputa sull'interpretazione della clausola di
sussidiarietà di cui all'art. 418 c.p. (se il concorso espressa mente eccettuato rappresentasse, per l'appunto, il riconosci
mento del concorso eventuale), le questioni sulle quali si agitava la discussione concernevano:
1) l'elemento soggettivo (perché, si assumeva, il concorrente
esterno, nel porre in essere la condotta oggettivamente vantag
giosa per l'associazione, potrebbe volerla soltanto in due modi:
o con il dolo specifico proprio di chi voglia consapevolmente contribuire a conseguire i fini per i quali il sodalizio è stato co
stituito ed opera, ed allora non potrebbe che essere partecipe;
oppure senza quel dolo specifico, e a quel punto rimarrebbe
soggettivamente estraneo, in ogni senso, al delitto associativo);
2) l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152
per i delitti commessi al fine di agevolare l'associazione (previ sione questa che, in quanto dettata per colpire ogni forma di
continuità, sarebbe stata priva di ragion d'essere se il legislatore avesse in linea generale ammesso, ai sensi dell'art. 110 c.p., il
concorso eventuale nel delitto associativo; tanto più che, in tal
modo, avrebbe finito col punire meno gravemente le forme di
contiguità realizzate mediante condotte già di per sé illecite). Per risolvere il primo problema, le sezioni unite si richiama
rono a quella dottrina che ammette il concorso con dolo generi co nei reati a dolo specifico, applicabile anche al delitto di cui
all'art. 416 bis c.p. («il concorrente eventuale ..., pur consape vole di agevolare, con quel suo contributo, l'associazione, può disinteressarsi della strategia complessiva di quest'ultima, degli obiettivi che la stessa si propone di conseguire»), nonché alla
Il Foro Italiano — 2002.
pacifica ammissibilità del concorso morale (ad esempio, il padre che istighi il figlio ad entrare nell'associazione), quale dimo strazione della possibilità di un concorso eventuale privo di
quella parte di dolo consistente nel «volere far parte» dell'asso
ciazione («il concorrente morale, quindi, non può avere che
quell'altra parte del dolo, che va ravvisata nella volontà di con
tribuire agli scopi dell'associazione, con la certa — che nessuno
nega, neppure l'indirizzo in questione —
consapevolezza che,
una volta dato quel suo contributo, si disinteresserà dell'asso
ciazione, almeno nel senso che non ne sarà più tra i protagonisti,
neppure ad tempus. Ebbene, non è dato vedere perché, una volta
accertato che qualcuno ha fornito un suo contributo 'materiale'
ad tempus, senza voler far parte dell'associazione, si debba
escludere, a meno che non lo si ritenga partecipe, che possa aver
agito con quella parte del dolo specifico che si ammette, invece, essere proprio o che possa essere proprio del concorrente even
tuale morale»), Merio articolata è la motivazione sul secondo problema. Le sezioni unite individuarono il discrimen fra concorso nel
l'associazione e delitto aggravato ponendo l'attenzione «sul fine
che l'associazione persegue con quel delitto», sicché, «se, per
esempio, il contributo richiesto consiste nell'uccidere per 'im
partire una lezione' a qualcuno che ha osato disobbedire, senza
che la disobbedienza abbia messo minimamente in forse la vita
dell'associazione, si potrà essere nell'ambito di applicazione della norma in questione, mentre se l'omicidio ha di mira l'eli
minazione di un qualche pericoloso concorrente o di altri che
possono minare la vita dell'associazione e l'esterno sa di questo 'valore' del suo contributo e lo presta con questa consapevolez
za, anche se per i suoi fini personali, cioè anche senza dolo spe
cifico, è da escludere che ci si trovi dinanzi ad un semplice ese
cutore di un delitto meritevole soltanto di un aggravamento di
pena, che quel contributo, anche in questo caso, altro non è che
l'azione atipica che consente la realizzazione dell'azione tipica, che contribuisce, in altri termini, alla stabilità del vincolo asso
ciativo e al perseguimento degli scopi dell'associazione».
La distinzione, nella pratica, non è però fra le più agevoli. La questione, per l'ipotesi del favoreggiamento aggravato, è
rimeditata da Cass., sez. IV, 21 gennaio 1997, n. 2100, che l'ha
risolta con relativa semplicità, facendo leva più sull'elemento
quantitativo che non qualitativo della condotta («il delitto di
concorso nel reato di associazione a delinquere di stampo ma
fioso e quello di favoreggiamento aggravato dal fine di agevola re l'attività dell'associazione stessa, ai sensi dell'art. 7 d.l. 13
maggio 1991 n. 152, convertito con 1. 12 luglio 1991 n. 203, so
no ontologicamente incompatibili sia per l'espressa riserva
contenuta nell'art. 378 c.p. ('fuori dei casi di concorso'), che
rende il delitto di favoreggiamento non contestabile a chi è re
sponsabile del (presupposto) reato associativo, sia perché l'atti
vità prevista dall'indicata aggravante coincide con l'attività del
concorrente diretta ad avvantaggiare l'associazione. Di conse
guenza, quando la contestazione concerne l'aiuto prestato al
partecipe all'associazione di stampo mafioso e in capo all'a
gente non sia riscontrabile una qualsiasi altra forma di collega mento con l'associazione, non è consentito ipotizzare (anche) il
concorso nel reato associativo ma dovrà essere contestato il solo
delitto di favoreggiamento»). Detto altrimenti, e sempre seguendo la motivazione della
pronuncia richiamata, dovrebbe tenersi distinta «la disponibilità
operativa alla singola attività», dalla disponibilità «sistematica»
alle attività dell'associazione (che sola potrebbe integrare il
concorso).
Perciò, «se viene contestato un solo episodio di favoreggia mento, non vi è dubbio che debba contestarsi il solo reato di fa
voreggiamento aggravato».
Questa pronuncia (che è soprattutto ispirata dall'esigenza di
escludere la possibilità, sentita come abnorme, di una duplice
contestazione) traduce in criterio distintivo una regola operati va.
E evidente, infatti, che l'isolato contributo ad una singola at
tività è normalmente inespressivo di un effettivo concorso; così
come la disponibilità all'agevolazione di una serie di attività
particolari è normalmente sintomatica di una più stretta relazio
ne col sodalizio, tale da autorizzare l'ipotesi di concorso o addi
rittura di partecipazione c.d. interna.
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GIURISPRUDENZA PENALE
Ma questo indirizzo va coordinato con la decisione delle se
zioni unite. Invero, non è la quantità del contributo, per la sentenza De
mitry, a denotare l'ipotesi di concorso; né tanto meno l'episodi cità della condotta può ritenersi condizione sufficiente per escluderla.
In realtà, per le sezioni unite anche un singolo atto può ben
soddisfare i requisiti del concorso eventuale, purché «quell'uni co contributo serva per consentire all'associazione di mantener
si in vita, anche solo in un determinato settore, onde poter per
seguire i propri scopi» (ed è questa, come interpreta la stessa
Suprema corte nella recente sentenza sez. VI 21 settembre 2000,
Villecco, id., 2001, II, 405, la vera cifra del concorso esterno:
«lo spazio proprio del concorso eventuale materiale appare esse
re quello dell'emergenza nella vita dell'associazione o, quanto
meno, non lo spazio della normalità, occupabile da uno degli as
sociati. Pare questo, dunque, il vero 'tassello' posto dalla sen
tenza [Demitry] all'indiscriminata operatività del concorso
esterno. La situazione di pericolo per la vita dell'associazione»). Non si può allora accantonare aprioristicamente la possibilità
che una condotta di per sé qualificabile in termini di favoreg
giamento, ancorché concretatasi in un solo atto, finisca con
l'integrare gli estremi del concorso esterno, specie se consape volmente diretta al mantenimento in vita del vincolo associati
vo.
Pare, allora, che la linea di confine possa tracciarsi soltanto
dopo aver operato una distinzione di piani: il piano del raffor
zamento della struttura, da quello dell'agevolazione delle (sin
gole) attività.
Se, infatti, dal rafforzamento della struttura consegue una fa
cilitazione delle attività dell'organizzazione, non è sempre vero
il contrario.
Ad esempio, rimanendo nel solco tracciato dalle sezioni uni
te, Yextraneus che per una sola volta si renda disponibile per la
consumazione di un'estorsione, non per questo necessariamente
accrescerà le potenzialità del sodalizio (e dunque non per questo concorrerà nel reato associativo), a meno che non si dimostrino
congiuntamente avverate le seguenti condizioni: a) che quella
singola attività rivestisse una peculiare importanza strategica, tale da compromettere, se non realizzata, la stessa efficienza
dell'associazione; b) che Yextraneus avesse la consapevolezza e
volontà, con quell'atto, di apportare un contributo significativo
all'organizzazione nel suo complesso. In questo caso ben potrà contestarsi l'aggravante di cui al
l'art. 7, trattandosi di un delitto commesso «al fine di agevolare l'attività» dell'associazione; mentre non potrà ritenersi sussi
stente, stando almeno alla non superata sentenza Demitry, la
condotta di concorso.
Ugualmente deve ritenersi per il favoreggiamento personale. L'aiuto prestato ad un latitante, ancorché questi si trovi in una
posizione di vertice all'interno del sodalizio, di per sé non inte
gra gli estremi del concorso, a meno che non si dimostri che
l'agevolazione fu prestata con la consapevolezza di «salvare»
l'associazione stessa in un momento di concreto pericolo ovve
ro di offrirle un contributo straordinario per il suo manteni
mento.
Diversamente, ove l'agevolazione sia consapevolmente di
retta a consentire al latitante l'ordinario espletamento delle atti
vità del sodalizio (ovvero l'agente non si rappresenti altro valo
re della propria condotta), la contestazione dovrà contenersi nei
limiti del favoreggiamento aggravato, oltre che dal cpv. dell'art.
378 c.p., dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152.
Sulla base di questi criteri, deve finalmente stabilirsi se, dopo l'accertamento sin qui condotto, i fatti addebitabili al Picone
autorizzino ancora la contestazione del concorso in associazione
mafiosa.
Ritiene il collegio che ciò non sia possibile. Si è visto che, per ciò che riguarda la «messa a disposizione»
nei confronti del Siino, il progetto rimase dunque sul piano della
mera ideazione, irrilevante ai fini della configurazione del reato.
Se può dunque condividersi l'affermazione del p.m. (secondo
cui anche il mero accordo può costituire un valido contributo al
rafforzamento dell'associazione, accrescendone per ciò stesso le
capacità operative), in concreto deve dirsi che, al di là della va
ga e indeterminata disponibilità reciproca che il Siino e il Pico
II Foro Italiano — 2002.
ne si scambiarono in contrada Perciana (e che non fu possibile
approfondire neppure nel secondo incontro misilmerese), non si
giunse ad un programma definito.
Rimane, dunque, in punto di fatto, l'altra frazione di condot
ta: la messa a disposizione di basi logistiche. E tuttavia, per quanto è stato possibile accertare, questa con
dotta si esaurì nell'offerta del villino in contrada Blaschi; né vi
sono elementi che consentano di ricollegare l'aiuto specifica mente prestato nel 1994 ad una preesistente disponibilità a soc
correre l'associazione, già manifestata in termini di accordo non
punibile, nella ricerca di contatti col Siino.
E bene mettere in evidenza, infatti, che le due frazioni di con
dotta contestate non possono legarsi insieme o valutarsi con
giuntamente; e ciò per almeno tre ragioni:
1) il tempo trascorso fra le due vicende (tre anni), senza che
vi sia alcuna traccia di altre forme di agevolazione o di sostegno
prestate dal Picone;
2) l'eterogeneità del contributo da prestarsi nel 1991 e pre stato nel 1994 (giacché nel primo caso il Picone intervenne nella
specifica veste di sindaco, nel secondo caso come semplice pro
prietario o utilizzatore di una villetta);
3) la stessa deposizione del Lo Forte, nella quale Picone Va
lentino appare come una persona da convincere (tant'è che il
cugino Santi temeva che la richiesta, se rivolta da lui personal
mente, potesse non essere accolta; ciò che di per sé contrasta
con l'ipotesi che il Picone intrattenesse, in quel momento, rap
porti latenti con l'associazione).
Ora, questa condotta di agevolazione, in sé considerata, è
senz'altro riconducibile al delitto di favoreggiamento, ma non
appare sufficiente ad integrare l'ipotesi di concorso.
Non vi sono elementi per poter affermare che la messa a di
sposizione della villetta magazzino di contrada Blaschi, ancor
ché consapevolmente finalizzata ad agevolare le attività dell'as
sociazione (come meglio si dirà motivando sulle aggravanti
speciali), avesse una tale rilevanza per gli scopi dell'associazio
ne da condizionarne il «mantenimento in vita»; e quand'anche si volesse ravvisare un'eccezionale situazione di concreto peri colo nella rivalità interna fra i due schieramenti misilmeresi,
nulla autorizza a ritenere che il Picone (non altrimenti ricollega
bile, almeno all'epoca, al sodalizio criminale) potesse effetti
vamente percepire la straordinarietà del proprio contributo.
La contestazione deve perciò limitarsi, in fatto, alla sola mes
sa a disposizione della villetta di contrada Blaschi, e va ricon
dotta sotto il profilo giuridico alla fattispecie di cui all'art. 378
c.p., con le aggravanti di cui al cpv. del medesimo articolo non
ché dell'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152.
È appena il caso di rilevare che la riqualificazione è consen
tita dal tenore della contestazione, nella quale si imputa al Pico
ne una condotta protesa all'agevolazione del sodalizio mafioso
e della sua attività; sicché è implicita tanto la contestazione del
l'agevolazione della latitanza dell'Ocello, che l'agevolazione delle attività dell'associazione, secondo il dettato dell'art. 7
(che sanziona più gravemente, con l'aumento di pena da un ter
zo alla metà e con una più sfavorevole disciplina del bilancia
mento fra le circostanze, i «delitti punibili con pena diversa dal
l'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dal
l'art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle as
sociazioni previste dallo stesso articolo»).
Invero, la difesa ha messo in dubbio l'applicabilità, nel caso
concreto, di quest'ultima aggravante, così come la sua compati bilità con il capoverso dell'art. 378 c.p.
Quanto alla prima questione, si è sottolineato che il Picone
ben potrebbe aver voluto agevolare il Lo Bianco, disinteressan
dosi delle sorti dell'associazione.
Giova, in questo senso, richiamare gli orientamenti profilatisi in giurisprudenza sul campo d'applicazione dell'art. 7 in queste
ipotesi. Ve n'è un primo, secondo cui «l'aggravante in questione [sa
rebbe] ravvisabile quando il reato di favoreggiamento, per pro
teggere la latitanza di un esponente di un'associazione per de
linquere di stampo mafioso, abbia proprio in quanto tale la pos sibilità di influire sull'esistenza dell'organismo criminale, nel
senso di contribuire a evitarne l'eventuale crisi funzionale» (cfr.
Cass., sez. I, 6 agosto 1996, n. 4358).
Questo orientamento è stato ripreso in un recente arresto giù
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PARTE SECONDA
risprudenziale (Cass., sez. VI, 24 giugno 1998, n. 1795) che ha
ritenuto sussistere l'aggravante in un caso in cui il ricorrente
aveva favorito la latitanza di un associato (quest'ultimo già rag
giunto da due ordinanze di custodia cautelare e da un ordine di
carcerazione per espiazione di pena definitiva), offrendosi di
trasportarne la cognata e la suocera nel tragitto da Palermo a
Roma per farle incontrare con lo stesso latitante e con la moglie di questi.
Un indirizzo più restrittivo, adottato da alcune precedenti
pronunce della stessa sesta sezione, esige invece maggior rigore nella distinzione fra l'«aiuto prestato alla persona» dall'«aiuto
prestato all'associazione», che solo potrebbe integrare gli estremi dell'aggravante (cfr. Cass., sez. VI, 21 marzo 1997, n.
2730; 20 giugno 1997, n. 5991). Come si evince dalla lettura delle motivazioni di questi prov
vedimenti, la Suprema corte ha inteso affermare il principio per cui non [il «non» è saltato per mera omissione nella motivazio
ne depositata] si può presumere sussistente, in base alle qualità
personali del favorito (bastanti invece ai fini dell'art. 378, cpv.), anche l'agevolazione dell'associazione, occorrendo «che l'atti
vità delittuosa venga compiuta al preciso [scopo] di agevolare l'attività dell'associazione ... al dolo richiesto per il reato per
petrato devono quindi accompagnarsi elementi aggiuntivi, di
mostrativi, in modo univoco ovvero altrimenti rivelatori, della
voluta particolare strumentalità del delitto commesso», non es
sendo sufficiente «la semplice consapevolezza della possibilità che dal commesso reato derivi anche un'agevolazione dell'atti
vità della consorteria mafiosa».
In altre parole, il Supremo collegio ha inteso richiamare i
giudici del merito ai loro obblighi di motivazione, imponendo loro di verificare l'effettiva strumentalità della condotta rispetto ai fini contemplati nell'art. 7.
Ciò però non vuol dire che il «fine di agevolare l'associazio
ne» debba consistere in un interesse verso l'organizzazione stessa, o in una tensione ideale verso gli scopi del sodalizio.
Invero, quel che rileva è che l'agente si sia rappresentato ed
abbia voluto il perseguimento del fine, indipendentemente dal
motivo per cui lo abbia perseguito (tornaconto personale, spe ranza di assicurarsi la gratitudine del favorito, familiarità col
medesimo).
Ora, il Lo Forte ha espressamente riferito che la richiesta del
Lo Bianco era effettivamente e concretamente diretta all'otte
nimento di un luogo di riunione (e si rinvia alle considerazioni
già formulate in proposito) e che l'imputato, cui la richiesta fu
personalmente rivolta, vi consentì.
Né si potrebbe svalutare l'evidenza letterale della testimo
nianza del Lo Forte, ipotizzando arbitrariamente che il Lo Bian
co possa aver nascosto o semplicemente taciuto al Picone (del
quale evidentemente si fidava) la destinazione del magazzino. Elementi di convincimento, in questa direzione, avrebbero
potuto essere forniti soltanto dall'imputato, che ha legittima mente scelto di non sottoporsi all'esame chiesto dal suo stesso
difensore e che peraltro ha adottato una linea difensiva radicale.
Ma, a ben vedere, la strumentalità della condotta rispetto al
fine dell'agevolazione traspare dal fatto che il Picone non offrì
al Lo Bianco una qualsiasi copertura della latitanza (o un gene rico contributo a sopportarla, come nel caso esaminato da Cass.
24 giugno 1998, n. 1795, che pure ritenne applicabile l'art. 7), bensì un rifugio nello stesso territorio di Misilmeri, facilitando
al reggente la permanenza nell'ambito operativo della famiglia mafiosa: circostanza, questa, che non poteva sfuggirgli.
Quanto alla compatibilità della suddetta aggravante col capo verso dell'art. 378 c.p., la questione va risolta, con la pacifica
giurisprudenza, nel senso dell'ammissibilità della contestazione
congiunta. Invero, la Suprema corte ha costantemente ribadito che le due
circostanze «richiedono diversità di condotta e sono dirette ad
operare su distinti ambiti di complementarità e non di reciproca esclusione»; la circostanza di cui all'art. 7 ha natura soggettiva e la sua ratio deve ravvisarsi «nella maggiore pericolosità so
ciale che l'agente dimostra con l'intento di perseguire, altresì, il
vantaggio dell'associazione mafiosa»; la seconda è una circo
stanza oggettiva, «siccome attinente alla maggiore entità del
danno subito dall'amministrazione della giustizia per effetto
della lesione dell'interesse alla repressione di un reato valutato
Il Foro Italiano — 2002.
di particolare gravità» (così, in motivazione, la già citata Cass.,
sez. VI, 21 marzo 1997, n. 2730); sicché, obbedendo a finalità
diverse, «possono concorrere tra loro od operare in modo indi
pendente» (Cass., sez. VI, 24 aprile 1998, n. 4823). Può ben accadere, infatti, che si agevoli un associato senza
contribuire all'agevolazione dell'associazione; così come non si
può escludere che, in talune circostanze, il favoreggiamento commesso nei confronti di un non affiliato (ad esempio, di uno
spacciatore) possa tornare utile ad un'associazione criminale,
concretamente agevolandola.
Degno di nota è il fatto che il principio che sorregge detto
orientamento (la piena compatibilità di una «circostanza di po
sizione», in cui la qualità di associato rileva come fatto storico,
ed una circostanza dinamica, in cui rileva l'effettivo impiego di
metodo mafioso o la concreta agevolazione dell'attività asso
ciativa) è stato sancito, con recente pronuncia dalle sezioni uni
te, con riguardo al problema affatto analogo della compatibilità dell'art. 7 con la circostanza aggravante di cui all'art. 628, 3°
comma, n. 3, c.p., prevista per i delitti di rapina ed estorsione
(sez. un. 27 aprile 2001). Conclusivamente, Picone Valentino dev'essere riconosciuto
colpevole del delitto di favoreggiamento personale aggravato,
previsto e punito dagli art. 378, cpv., c.p. e 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, nei confronti di Lo Bianco Pietro e commesso in
Misilmeri sino al 30 agosto 1995 (ovvero sino alla cessazione
della disponibilità della villetta, che deve farsi coincidere, in
mancanza di altri elementi, con la morte del favorito).
L'imputato non appare invero meritevole della concessione
delle circostanze attenuanti generiche. Nonostante l'assenza di precedenti (di cui sì terrà adeguato
conto al momento della determinazione della pena), non si può ritenere irrilevante la condotta che questi tenne durante la sua
sindacatura, e in particolare la generica disponibilità che egli of
frì al Siino, pur senza uno sbocco concretamente riconducibile
ad un qualche delitto.
Se il collaborante non fosse stato arrestato, quelle trattative
preliminari si sarebbero tradotte in un pactum sceleris istituzio
nalizzato fra il vertice dell'amministrazione pubblica misilme
rese e l'associazione mafiosa, che avrebbe avuto per il Picone
conseguenze penali ben più gravi della condanna per favoreg
giamento che si pronuncia oggi; e neppure si può trascurare la
statura del personaggio che questi favorì.
Peraltro, la pena, in equa applicazione degli indici di cui al
l'art. 133 c.p. (e in particolare l'assenza di precedenti penali, la
mancanza di un preciso tornaconto personale), può essere fissata
in anni tre di reclusione: pena base, tenuto conto del cpv. del
l'art. 378 c.p., anni due mesi tre di reclusione, aumentata sino
alla misura predetta in virtù dell'aggravante di cui all'art. 7 d.l.
n. 152 del 1991.
Alla dichiarazione di responsabilità dell'imputato consegue la
condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e di
quelle relative al suo mantenimento in carcere durante il periodo della custodia cautelare.
La misura custodialè, attualmente sofferta dal Picone, viene
revocata come da separata ordinanza.
In considerazione dell'entità della pena inflitta, difettano og
gettivamente i presupposti per la concessione del beneficio di
cui all'art. 163 c.p.
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