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Sentenza 6 luglio 1960, n. 54; Pres. Perassi, Rel. Branca; Dellepiane c. Dellepiane (Avv. Mauceri,...

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Sentenza 6 luglio 1960, n. 54; Pres. Perassi, Rel. Branca; Dellepiane c. Dellepiane (Avv. Mauceri, Santoro Passarelli); interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato Vitucci) Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 7 (1960), pp. 1067/1068-1069/1070 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151810 . Accessed: 28/06/2014 14:01 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.213.220.171 on Sat, 28 Jun 2014 14:01:10 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 6 luglio 1960, n. 54; Pres. Perassi, Rel. Branca; Dellepiane c. Dellepiane (Avv. Mauceri,Santoro Passarelli); interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato Vitucci)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 7 (1960), pp. 1067/1068-1069/1070Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151810 .

Accessed: 28/06/2014 14:01

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1067 PARTE PRIMA 1068

visione) si caratterizza indubbiamente come una attività

predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno

all'oligopolio : oligopolio totale od oligopolio locale, a se conda che i servizi vengano realizzati su scala nazionale o su scala locale. Collocandosi così tra le categorie di «im

prese » che si riferiscono a « situazioni di monopolio », nel senso in cui ne parla l'art. 43 Cost., per ciò solo essa rientra tra quelle che, sempre che non vi ostino altri precetti costi

tuzionali, l'articolo stesso consente di sottrarre alla libera iniziativa.

Nè appare arbitrario che il legislatore ravvisi nella dif fusione radiotelevisiva i caratteri di attività « di preminente interesse generale », richiesti dall'art. 43, perchè ne sia con

sentita la sottrazione alla libera iniziativa. È fuori discus sione infatti l'altissima importanza che, nell'attuale fase della nostra civiltà, gli interessi che la televisione tende a soddisfare (informazione, cultura, svago) assumono, e su vastissima scala, non solo per i singoli componenti del corpo sociale, ma anche per questo nella sua unità.

Siccome poi, a causa della limitatezza dei « canali »

utilizzabili, i servizi radiotelevisivi, se non fossero riser vati allo Stato, o a un ente statale ad hoc, cadrebbero natu ralmente nella disponibilità di uno o di pochi soggetti, prevedibilmente mossi da interessi particolari, non può considerarsi arbitrario neanche il riconoscimento della esi stenza di ragioni « di utilità generale», idonee a giustificare, ai sensi dell'art. 43, l'avocazione, in esclusiva, dei servizi allo Stato, dato che questo, istituzionalmente, è in grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obiettività, di

imparzialità, di completezza e di continuità in tutto il territorio nazionale.

.Ritiene pertanto la Corte che la riserva allo Stato dei servizi di radiotelevisione, o la conseguente possibilità di

affidamento di essi in concessione, non contrastano col sistema degli art. 41 e 43 Cost.

Resta però a vedere se una siffatta riserva contrasti con gli art. 21 e 33 Cost.

A tal riguardo, sia l'ordinanza di rimessione del Con

siglio di Stato, sia le difese delle parti, non mancano di sottolineare opportunamente che, siccome l'illegittimità denunciata consiste nella lesione non tanto della libertà di

concepire e di manifestare le idee e le varie espressioni della scienza e dell'arte, quanto della libertà di avvalersi di ogni possibile mezzo per diffonderle, la norma costituzionale alla quale bisogna essenzialmente por mente è quella del 1° comma dell'art. 21, secondo la quale tutti hanno diritto di avvalersi, per manifestare il proprio pensiero, oltre che della parola e dello scritto, anche di « ogni altro mezzo di diffusione ». È chiaro che quella particolare manifesta zione della libertà di pensiero, che consiste nella possi bilità di diffonderlo, riguardando ogni forma di pensiero, riguarda anche quelle più elevate espressioni di esso, che sono le creazioni artistiche e scientifiche. Della diffusione di queste non si occupa l'art. 33 Cost., il quale proclama e tutela la libertà dell'arte e della scienza e quella del loro

insegnamento. Onde la disciplina della loro diffusione è da considerare ricompresa nel disposto del 1° comma del l'art. 21.

Di questo dunque occorre occuparsi. Anche in relazione a quest'ultimo precetto, ritiene però

la Corte che la riserva allo Stato dei servizi di radiotelevi

sione, e la conseguente possibilità di affidamento di essi in

concessione, non contrasti con la Costituzione. È vero che il 1° comma dell'art. 21 riconosce a tutti la

possibilità di diffondere il pensiero (e naturalmente non il solo pensiero originale di chi lo manifesta) con qualsiasi mezzo. Ma già si è visto che, per ragioni inerenti alla limi tatezza di questo particolare mezzo, è escluso che chiunque lo desideri, e ne abbia la capacità finanziaria, sia senz'altro in grado di esercitare servizi di radiotelevisione : in regime di libertà di iniziativa, questi non potrebbero essere che

privilegio di pochi. Ciò premesso, osserva la Corte che, per risolvere il

quesito della rispondenza dell'attuale disciplina legisla tiva all'art. 21, 1° comma, Cost., non è indispensabile af frontare il problema se, in via generale, sia compatibile

con quest'ultimo l'avocazione allo Stato di qualsiasi mezzo

di diffusione del pensiero. È sufficiente infatti dimostrale che non contrasta col precetto costituzionale in esame l'avocazione allo Stato di quei mezzi di diffusione del pen siero che, in regime di libertà di iniziativa, abbiano dato

luogo, o siano naturalmente destinati a dar luogo, a si tuazioni di monopolio, o, il che è lo stesso, di oligopolio. E la dimostrazione è in re ipsa, quando si consideri che,

rispetto a qualsiasi soggetto monopolista, lo Stato mono

polista si trova istituzionalmente nelle condizioni di obiet tività e imparzialità più favorevoli per conseguire il supera mento delle difficoltà frapposte dalla naturale limitatezza del mezzo alla realizzazione del precetto costituzionale volto

ad assicurare ai singoli la possibilità di diffondere il pensiero con qualsiasi mezzo.

In quanto precede è implicito che allo Stato monopo lista di un servizio destinato alla diffusione del pensiero incombe l'obbligo di assicurare, in condizioni di imparzia lità e obiettività, la possibilità potenziale di goderne, na

turalmente nei limiti che si impongono per questa come per

ogni altra libertà, e nei modi richiesti dalle esigenze tecniche e di funzionalità, a chi sia interessato ad avvalersene per la diffusione del pensiero nei vari modi del suo manife

starsi. D'onde l'esigenza di leggi destinate a disciplinare tale possibilità potenziale e ad assicurare adeguate garan zie di imparzialità nel vaglio delle istanze di ammissione

all'utilizzazione del servizio, non contrastanti con l'ordina

mento, con le esigenze tecniche e con altri interessi degni di tutela (varietà e dignità dei programmi, ecc.).

Della normazione esistente in proposito per le trasmis sioni televisive nel vigente ordinamento, e che deve esser

considerata autonoma rispetto alle disposizioni che riser

vano la radiotelevisione allo Stato, la Corte non può però occuparsi, essendo chiamata a pronunciarsi unicamente sulla legittimità degli art. 1 e 168, n. 5, del codice postale, che riguardano l'anzidetta riserva.

Per questi motivi, riunisce i due giudizi indicati in

epigrafe ; rigetta le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla difesa della R.a.i.-Radiotelevisione italiana S.p.a. e dal l'Avvocatura dello Stato ; dichiara non fondate le que stioni di legittimità costituzionale degli art. 1 e 168, n. 5, del codice postale, approvato col r. decreto 27 febbraio 1936 n. 645, proposte dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con or

dinanza 15 luglio 1959, n. 505, e dal Giudice istruttore

presso il Tribunale di Milano, con ordinanza 13 maggio 1960, in riferimento agli art. 21, 33, 41 e 43 della Costituzione.

CORTE COSTITUZIONALE.

Sentenza 6 luglio 1960, n. 54 ; Pres. Perassi, Eel. Branca ; Dellepiane c. Dellepiane (Aw. Mauceri, Santoro

Passarelli) ; interv. Pres. Cons, ministri (Avv. dello Stato Vitucci).

Successione — Successione legittima — Preminenza dei parenti del (jenitore naturale sui lijjli — Inco stituzionalità della normativa — Questione infon data (Costituzione della Repubblica, art. 30, 3° comma ; cod. civ., art. 467, 468, 577).

È infondata la questione d'incostituzio-nalità degli art. 407, 468 e 577 cod. civ., per il contrasto che si assume sussi stere con Vati. 30, 3° comma, della Costituzione, per il

quale la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio

ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. (1)

La Corte, ecc. — La difesa di Aldo Dellepiane osserva che la Costituzione, quando vuole che sia assicurata ai figli naturali una tutela compatibile coi diritti dei membri della

(1) L'ordinanza 10 luglio 1959 del Tribunale di Genova è massimata in Foro it., 1959, I, 1806, con nota di richiami.

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1069 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1070

famiglia legittima, si riferisce soltanto, nel porre quel limite, alla famiglia che il padre naturale abbia eventualmente formato col suo matrimonio.

Ritiene invece la Corte che a interpretare l'art. 30, 3° comma, in questo senso, non bastino nè le parole, a cui allude anche l'ordinanza di rinvio, di chi nell'Assemblea costituente propose il testo definitivo della norma nè gli analoghi rilievi che altri fecero nella stessa Assemblea, e che

rivelano una preoccupazione limitata ai diritti della sola

famiglia formatasi col matrimonio del genitore naturale. Il fatto è, invece, che queste preoccupazioni, indirizzate in tal modo, non si sono tradotte in una formula costi tuzionale concreta : evidentemente il testo dell'art. 30, 3° comma, poiché accenna genericamente alla famiglia legit tima, non dà a questa espressione la portata ristretta che

essa avrebbe se dovesse riguardare soltanto il gruppo composto dal coniuge e dai discendenti del padre.

È vero che il 1° comma dello stesso art. 30 si riferisce a

rapporti che riguardano il figlio naturale ed il suo genitore, cioè alla posizione di quello in un ambiente che non va oltre la persona di questo, e non tocca la famiglia in senso lato ; ma ciò è dovuto solo al fatto che il 1° comma, a differenza dal 3°, mira a imporre certi obblighi precisi, i quali non

possono incombere se non al genitore naturale, dimodoché non avrebbe avuto senso rifarsi agli ascendenti o ai colla

terali di lui. Altrettanto si dica dell'art. 29, 1° comma, secondo il quale la famiglia legittima è una « società natu rale fondata sul matrimonio » : questo articolo non consente di affermare che la famiglia legittima, a cui si riferisce il

cit. art. 30, 3° comma, sia quella formata col matrimonio

del padre naturale e non anche quella che si sia costituita col matrimonio degli ascendenti di lui.

Quel che si desume, sia dal testo dello stesso art. 30, 3° comma, sia dal travaglio che portò, nell'Assemblea costi

tuente, alla sua formulazione definitiva, è soltanto un inne

gabile favore per la prole naturale. Questo favore tuttavia non si potè concretare in una disciplina precisa da contenere in un articolo, tanto più in quanto un'ampia tutela del figlio naturale poteva e potrebbe anche portare a una profonda revisione di molte norme, e perfino del sistema familiare e successorio del codice. Ad avviso della Corte questa è la ragione per cui il 3° comma dell'art. 30 si apre con un

accenno al legislatore ordinario e contiene, per così dire, una

riserva che solo la legge potrà sciogliere : sarà il legisla tore a stabilire fino a che punto la maggiore tutela del figlio naturale sia, caso per caso, cioè nella eventuale determina zione di uno status e delle conseguenze di esso anche in

campo successorio, compatibile coi diritti dei componenti la famiglia legittima.

Dato ciò, non si può dire che gli art. 467, 468 e 577 cod. civ. contrastino col 3° comma del citato art. 30.

Infatti, per quanto riguarda i primi due, essi attribui

scono il diritto di rappresentazione ai soli discendenti legit timi di chi non può o non vuole accettare l'eredità del

proprio ascendente 6 collaterale : come tale la norma non

contrasta col 3° comma dell'art. 30, che è ben lungi dal

negare questo diritto dei discendenti legittimi ; nè può essere dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto non estende il beneficio della successione indiretta anche al

figlio naturale : infatti, nei casi in cui aspirano alla succes

sione, oltre che il figlio naturale del figlio o del fratello del de cuius, altri parenti legittimi di questo, come i fratelli o

gli zii, prima di ammettere alla successione il figlio naturale

occorrerà vedere qua,nto ciò sia compatibile coi diritti di

quegli altri parenti : problema al quale, come si è detto, solo il legislatore ordinario potrà dare una soluzione precisa.

Analoga conclusione si impone relativamente all'art. 577

cod. civ. : esso ammette a succedere in via diretta il figlio naturale del figlio del de cuius solo quando non ci siano

parenti di quest'ultimo entro il terzo grado ; cioè quando non

ci siano persone che, secondo quel che si è detto essere

il significato da dare al 3° comma dell'art. 30 della Costi

tuzione, fanno parte di quella famiglia legittima del de

cuius, della quale soltanto il legislatore potrà valutare i

diritti, nei cui confronti si dovrà regolare l'ampiezza della

tutela dei figli naturali.

Per questi motivi, dichiara non fondata la questione

proposta eon ordinanza 10 luglio 1959 del Tribunale di

Genova sulla legittimità costituzionale degli art. 467, 468 e 577 cod. civ., in riferimento all'art. 30, 3° comma, della Costituzione.

CORTE COSTITUZIONALE,

Sentenza 6 luglio 1960, n. 51 ; Pres. Azzariti P., Rei.

AMBKOsrNi ; Soc. italiana industria zuccheri (Avv.

Jemolo, Uckmar) c. Comune Bologna (Avv. Gherardi) ; interv. Pres. Cons, ministri (Avv. dello Stato Salerni).

Tasse e imposte continuili — Tassa per la raccolta e il

trasporto dei riliuti solidi urbani — Incostitu

zionalità della normativa — Questione infondata

(Costituzione della Repubblica, art. 23 ; r. d. 14 set

tembre 1931 n. 1175, t. u. per la finanza locale, art. 268,

269, 270 ; 1. 20 marzo 1941 n. 366, raccolta, trasporto e

smaltimento dei rifiuti solidi urbani, art. 27).

È infondata la questione d'incostituzionalità degli art. 268, 269 e 270 t. u. per la finanza locale (modif. dall'art. 27

legge 20 marzo 1941 n. 366), che disciplinano la tassa

per la raccolta e il trasporto dei rifiuti solidi urbani,

per il contrasto che si assume sussistere con l'art. 23

della Costituzione. (1)

La Corte, ecc. —- La Corte ritiene che l'imposizione pre vista dalle norme degli art. 268, 269 e 270 t. u. delle leggi

per la finanza locale, approvato con r. decreto 14 settembre

1931 n. 1175, modificato dall'art. 27 legge 20 marzo 1941

n. 366, non ha natura di corrispettivo di un servizio indi

viduale per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti solidi urbani

interni, bensì riveste il carattere di prelevamento coattivo

che i comuni possono operare in base a tariffa in rapporto al costo complessivo del servizio.

Questo carattere della imposizione rende ancora più evidente che la disciplina di essa rientra nel disposto del

l'art. 23 della Costituzione, per cui non può essere imposta se non in base alla legge.

La Corte si è occupata in varie occasioni del significato e

della portata del suddetto art. 23, ed ha stabilito (sentenze nn. 4, 30 e 47 del 1957, Foro it., 1957, I, 329, 843, 1049 ; e

n. 36 del 1959, id., 1959, I, 1069) che il precetto costitu

zionale deve ritenersi rispettato quando la legge che pre vede l'imposizione, pur non fissandone il massimo, deter

mini criteri, condizioni, limiti e controlli idonei a contenere

la discrezionalità dell'ente impositore nell'esercizio del

potere attribuitogli e ad evitare così che essa possa tras

modare in arbitrio. Onde è che la determinazione dei pre

supposti del rapporto tributario e la delimitazione del suo

contenuto d vono desumersi di volta in volta dalla concreta

regolamentazione fatta dalla legge che prevede l'imposi zione. Per risolvere la questione di legittimità costituzio

nale degli articoli sopracitati si devono quindi esaminare

le singole disposizioni, collegandole nel sistema voluto dal

legislatore. Il servizio pubblico gestito dai comuni è disciplinato dalla

legge nel titolo V, che ha per rubrica « Tassa per la raccolta

ed il trasporto dei rifiuti solidi urbani interni ».

L'art. 268 determina l'oggetto, « fabbricati a qualunque uso adibiti ». L'art. 269 vieppiù precisa l'oggetto ed indica

altresì i soggetti passivi, disponendo nel 1° comma che la

tassa è dovuta da chiunque occupi oppure conduca locali

a qualsiasi uso adibiti, esistenti nel territorio comunale in

cui il servizio di raccolta o trasporto è istituito, secondo le

norme di legge vigenti in materia. L'art. 270, 1° comma, detta inoltre criteri obiettivi per la misura dell'imposizione, stabilendo che « la tassa è commisurata alla superficie dei

locali serviti ed all'uso cui i medesimi vengono destinati ».

(1) L'ordinanza 26 giugno 1959 del Tribunale di Bologna massimata in Foro it., 1959, I, 1806, con nota di richiami.

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