sentenza 6 luglio 2001, n. 230 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 11 luglio 2001, n. 27); Pres.Ruperto, Est. Zagrebelsky; Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Fiumara) c. Regione SardegnaSource: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 11 (NOVEMBRE 2001), pp. 3031/3032-3039/3040Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197610 .
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PARTE PRIMA 3032
va decisione, anche in punto di ammissibilità, nel giudizio che si
svolge nel contraddittorio delle parti; le relative questioni vanno ora esaminate anche in base alle eccezioni svolte dalla camera
dei deputati. Secondo l'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale il ricorso per conflitto di attribuzione
tra i poteri dello Stato deve contenere «l'esposizione sommaria
delle ragioni di conflitto e l'indicazione delle norme costituzio
nali che regolano la materia»; l'atto introduttivo deve quindi in
dicare gli elementi sufficienti a definire la materia del conflitto
che con esso viene sollevato ed in particolare, trattandosi nella
specie di conflitto tra l'eiutorità giudiziaria e la camera dei de
putati, deve riferirsi ai fatti per i quali pende il processo penale, indicando poi le ragioni per le quali il ricorrente ritiene che le
sue prerogative costituzionali siano state violate.
L'ordinanza del Tribunale di Roma, al contrario, oltre a non
contenere neppure l'indicazione del giudice che l'ha pronun ciata, ma la sola generica intestazione «il tribunale» — non con
sentendo in tal modo un autonoma individuazione dell'autorità
ricorrente (ordinanza n. 264 del 2000, id., 2000,1, 3085) — non
descrive, neppur sommariamente, il reato per cui si procede a
carico del deputato Tiziana Parenti, limitandosi al generico rife
rimento ad una «intervista ad un organo di stampa», peraltro non precisato; essa poi non indica né la data dell'intervista, né
chi sia la parte offesa, non prospettando quindi in modo chiaro
le ragioni di conflitto e limitandosi ad un generico riferimento
ad alcune norme della Costituzione.
In tal modo l'atto che ha sollevato il conflitto non consente a
questa corte un esame delle ragioni poste a base dello stesso, non essendo espressa in modo compiuto «la censura che si in
tende muovere nei confronti della delibera che ha dato origine al
conflitto» (ordinanza n. 318 del 1999, ibid., 1353) e non poten do ritenersi a questo fine sufficiente il richiamo contenuto nel
ricorso all'art. 68, 1° comma, Cost, ed alla limitazione dell'in
sindacabilità alla sola attività parlamentare in senso stretto, con
esclusione di quella in senso lato politica. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi
bile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
di cui in epigrafe, proposto dal Tribunale di Roma nei confronti
della camera dei deputati.
I
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 6 luglio 2001, n. 230
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 11 luglio 2001, n. 27); Pres. Ruperto, Est. Zagrebelsky; Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Fiumara) c. Regione Sardegna.
Sardegna — Ordinamento degli enti locali — Nuove provin ce — Istituzione con legge regionale — Questione infonda
ta di costituzionalità (Cost., art. 133; statuto speciale regione
Sardegna, art. 3; 1. reg. Sardegna 2 gennaio 1997 n. 4, rias
setto generale delle province e procedure ordinarie per l'isti
tuzione di nuove province e la modificazione delle circoscri
zioni provinciali).
E infondata la questione di legittimità costituzionale della deli
bera legislativa della regione Sardegna del 14 aprile 2000,
riapprovata il 6 giugno 2000, nella parte in cui prevede l'i
stituzione delle province di Carbonia-Iglesias, del Medio
Campidano, dell'Ogliastra e di Olbia-Tempio, in riferimento all'art. 3, lett. b), dello statuto speciale regione Sardegna (in motivazione, la corte ha affermato che rientra nelle compe tenze della regione Sardegna l'istituzione di nuove province nel suo territorio, nei limiti derivanti dallo statuto speciale,
Il Foro Italiano — 2001.
dall'armonia con le norme della Costituzione anche estranee
al titolo V della seconda parte e dai principi dell'ordina
mento giuridico della repubblica). (1)
II
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 6 luglio 2001, n. 229 0Gazzetta ufficiale, 1J serie speciale, 11 luglio 2001, n. 27); Pres. Ruperto, Est. Zagrebelsky; Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Favara) c. Regione Friuli-Venezia Giulia (Avv.
Falcon).
Friuli-Venezia Giulia — Ordinamento degli enti locali — Comunità montane —
Soppressione con legge regionale —
Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 5, 128; statuto speciale regione Friuli-Venezia Giulia, art. 4, 5, 6, 59; 1. 8 giugno 1990 n. 142, ordinamento delle autonomie locali, art. 28, 29; 1. cost. 23 settembre 1993 n. 2, modifiche ed inte
grazioni agli statuti speciali per la Valle d'Aosta, per la Sar
degna, per il Friuli-Venezia Giulia e per il Trentino-Alto Adi
ge, art. 5; d.leg. 2 gennaio 1997 n. 9, norme di attuazione del
lo statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in ma
teria di ordinamento degli enti locali e delle relative circo
scrizioni, art. 2; 1. 3 agosto 1999 n. 265, disposizioni in mate
ria di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché mo
difiche alla 1. 8 giugno 1990 n. 142, art. 7).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2
della delibera legislativa della regione Friuli-Venezia Giulia
approvata il 29 luglio 1999 e riapprovata il 1° febbraio 2000, nella parte in cui stabilisce la soppressione delle comunità
montane della regione con trasferimento delle relative fun zioni ad enti individuati con successiva legge regionale che
provvederà anche con riguardo ai rapporti patrimoniali ed
economico-finanziari e prevede la nomina di un commissario
liquidatore per ciascuna comunità montana, in riferimento
agli art. 5 e 128 Cost., 4, 5, 6 e 59 dello statuto speciale re
gione Friuli-Venezia Giulia (si precisa in motivazione che le
determinazioni regionali relative alla creazione o alla sop
pressione delle comunità montane, per le conseguenze con
crete che ne derivano sul modo di organizzarsi e sul modo di
esercitarsi dell'autonomia comunale, debbono necessaria
mente coinvolgere gli stessi comuni interessati, con modalità
che la legge regionale deve prevedere per assicurare la ne
cessaria efficacia della partecipazione comunale). (2)
(1-2) I. - Entrambe le questioni affrontate e risolte con le decisioni in epigrafe avevano ad oggetto l'interpretazione della modifica costitu zionale degli statuti speciali (tranne quello siciliano), attraverso la
quale è stata riconosciuta alle regioni ad autonomia differenziata la
competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni». In entrambi i casi la corte ha ac colto un'interpretazione ampia.
Con la sent. 230/01 la Corte costituzionale ha proceduto ad un'inter
pretazione dell'art. 3, lett. b), dello statuto regionale sardo, come modi ficato dalla 1. cost. 23 settembre 1993 n. 2, tratta anche dai lavori prepa ratori e da successivi provvedimenti normativi, nel senso di attribuire ad esso efficacia derogatoria rispetto alla previsione dell'art. 133, 1°
comma, Cost., il quale, con riguardo alle regioni ordinarie, stabilisce la
competenza legislativa statale in materia d'istituzione di nuove provin ce.
Con la sent. 229/01 ha invece fornito l'interpretazione dell'art. 4, n. 1 bis, dello statuto speciale Friuli-Venezia Giulia, nel senso che non
può essere negato alla regione Friuli-Venezia Giulia il potere di valuta re le esigenze di coordinamento e di esercizio integrato delle funzioni
degli enti locali e di prevedere, se del caso, gli strumenti congruenti allo scopo, compresa tra questi l'istituzione di altri enti locali non ne
cessari, quali sono appunto le comunità montane o la soppressione delle
stesse, una volta ritenuta l'inutilità della loro sopravvivenza. La corte, sia nella sentenza 229/01 che nella 230/01, si richiama alla
propria precedente pronuncia 7 dicembre 1994, n. 415, Foro it., Rep. 1995, voce Sardegna, n. 15, commentata da E. Rossi, in Regioni, 1995, 949, e da Murgia, in Riv. giur. sarda, 1995, 514, secondo cui la 1. cost. 2/93 «disegna il quadro delle competenze delle regioni ad autonomia
speciale (eccezion fatta per la Sicilia) in materia di enti locali, privile giando il criterio di maggiore ampiezza e di sostanziale uniformità lad dove era in precedenza vigente una disciplina piuttosto riduttiva ed ete
rogenea», e da tale legge «la competenza delle regioni a statuto speciale in materia di ordinamento di enti locali acquista il carattere di esclusi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
I
Diritto. — 1. - Il presidente del consiglio dei ministri ha solle
vato questione di legittimità costituzionale della delibera legisla tiva della regione Sardegna del 14 aprile 2000, riapprovata il 6
giugno 2000, concernente l'«istituzione delle province di Carbo
nia-Iglesias, del Medio Campidano, dell'Ogliastra e di Olbia
Tempio», ritenendo che essa comporti la violazione dell'art. 3,
lett. b), dello statuto regionale (1. cost. 26 febbraio 1948 n. 3).
Secondo il ricorrente, l'istituzione di nuove province non è
compresa nella competenza relativa all'«ordinamento degli enti
locali e delle relative circoscrizioni», spettante alla regione Sar
vità e viene ad essere definita con formula identica in tutti gli statuti
speciali». II. - In ordine ai limiti costituzionali ed al procedimento per l'istitu
zione di nuove province, v. Corte cost. 25 luglio 1994, n. 347, Foro it.,
1995, I, 484, con nota di richiami, la quale ha dichiarato infondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 63, 2° comma, 1. 8 giu
gno 1992 n. 142, nella parte in cui delega al governo l'istituzione, me
diante decreti legislativi, delle nuove province ivi previste. Sulle conseguenze per il personale dipendente (nella specie, perso
nale docente) dell'istituzione di nuove province, v. Tar Calabria 29
aprile 1999, n. 566, id., Rep. 1999, voce Istruzione pubblica, n. 215.
Sulla procedura di variazione territoriale dei comuni, di cui all'art.
133, 2° comma, Cost., v. Corte cost. 7 aprile 2000, n. 94, id., 2000, I,
2128, con nota di richiami, commentata da Zanchin, in Dir. regione, 1999, 941, da Agnoletto, id., 2000, 69, da Calegari, in Regioni, 2000,
741, e da Di Stefano, in Dir. e giustizia, 2000, fase. 14, 75, che ha di
chiarato incostituzionale l'art. 6, 1° e 2° comma, 1. reg. Veneto 24 di
cembre 1992 n. 25, come modificata dalla 1. reg. Veneto 30 settembre
1994 n. 61, nella parte in cui, per la procedura relativa alla variazione
del territorio dei comuni, escludeva a priori dalla consultazione, ai sen
si dell'art. 133, 2° comma, Cost., le popolazioni residenti nei comuni
coinvolti, diverse da quelle direttamente interessate, quando la varia
zione concernesse aree che non raggiungano la soglia minima, rigida mente fissata, del dieci per cento della superficie totale del comune o
del trenta per cento della popolazione totale del comune medesimo; 30
dicembre 1994, n. 468, Foro it., 1995, I, 1073, con nota di richiami, commentata da Bientinesi, in Giur. costit., 1994, 4016, che ha ritenuto
inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità co
stituzionale dell'art. 1, 2° comma, lett. a), 1. reg. Lazio 8 aprile 1980 n.
19, come modificato dalla 1. reg. Lazio 20 agosto 1987 n. 49, nella
parte in cui non diversifica il procedimento referendario per l'istituzio
ne di nuovi comuni a seconda che si tratti di distacco di una o più fra
zioni ovvero di vero e proprio smembramento della originaria comuni
tà; 6 luglio 1994, n. 279, Foro it., 1995, I, 487, con nota di richiami,
per l'incostituzionalità delle 1. reg. Calabria (tre) riapprovate dal consi
glio regionale il 28 dicembre 1993, nella parte in cui prevedevano la
modifica delle circoscrizioni territoriali dei comuni di Caccurri, Castel
silano, Pazzano, Bivongi, S. Pietro Apostolo e Gimigliano, senza stabi
lire l'obbligo di sentire le popolazioni attraverso l'indizione di referen
dum consultivi. La recente legge costituzionale, approvata a maggioranza assoluta
dalle due camere e positivamente sottoposta a referendum confermativo
il 7 ottobre scorso, non ha modificato l'art. 133 Cost. Su tale legge co
stituzionale, v. Romboli-Pinelli-Cavaleri-Ruggeri-D'Auria, Le modi
fiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, id., 2001, V, 185 ss.
III. - Sulla natura giuridica delle comunità montane, v. Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 1999, n. 1017, id., Rep. 1999, voce Montagna, n. 5, il quale ha ritenuto che, dopo la 1. 142/90, alla comunità montana va ri
conosciuta la natura di ente autonomo e non solo di ente associativo;
Cass. 28 novembre 1994, n. 10127, id., Rep. 1994, voce Impiegato dello Stato, n. 211; 28 maggio 1994, n. 5244, ibid., voce Concessioni
amministrative, n. 19; 11 ottobre 1993. n. 10045, id.. Rep. 1993, voce
Impiegato dello Stato, n. 229, secondo cui alle comunità montane va ri
conosciuta natura di enti pubblici non economici; Tar Veneto, sez. II,
23 ottobre 1992, n. 709, ibid., voce Montagna, n. 7, secondo cui essa va
riconosciuta come ente strumentale per l'esercizio associato di funzioni
comunali, ed è inoltre ente locale, posta sullo stesso livello istituzionale
del comune; Corte conti, sez. I, 9 ottobre 1989, n. 370, id., Rep. 1990,
voce Responsabilità contabile, n. 117, e Cass. 27 ottobre 1988, n. 5820,
id., Rep. 1988, voce Previdenza sociale, n. 244, secondo cui le comu
nità montane, come associazioni di comuni costituite dalle regioni in
forza di delega (ex art. 117, 2° comma, Cost.) conferita dallo Stato (art.
4 1. 3 dicembre 1971 n. 1102), hanno natura di enti locali autonomi;
Trib. Rieti 8 novembre 1980, id.. Rep. 1981, voce Elezioni, n. 158, se
condo cui la comunità montana è ente con propria personalità giuridica,
per cui ad essa, e non al comune che ne fa parte, spettano i poteri di vi
gilanza contabile sull'Usi. Da ultimo, sempre in materia di elezioni, cfr.
Cass. 25 gennaio 2001, n. 1073, id., 2001,1, 2894, con nota di richiami.
Il Foro Italiano — 2001.
degna in forza del citato art. 3, lett. b), dello statuto, quale ri
sulta dalla modifica apportata con l'art. 4 1. cost. 23 settembre
1993 n. 2 (modifiche ed integrazioni agli statuti speciali per la Valle d'Aosta, per la Sardegna, per il Friuli-Venezia Giulia e
per il Trentino-Alto Adige). Tale competenza comprenderebbe la «mera organizzazione» degli enti territoriali ma non la loro
istituzione — istituzione disciplinata in generale dall'art. 133,
1° comma, Cost, che, per le province, richiede la legge statale,
da approvarsi, su iniziative dei comuni, sentita la regione. Oltre a ciò, è denunciato il silenzio che la delibera legislativa
impugnata tiene circa l'inesistenza di oneri per lo Stato, oneri
che — a detta del ricorrente — sarebbero configurabili indipen dentemente da quanto disponefva] l'art. 16, 2° comma, lett./), 1.
8 giugno 1990 n. 142 (ordinamento delle autonomie locali)
[norma ora contenuta nell'art. 21, 3° comma, lett./), d.leg. 18
agosto 2000 n. 267 (t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali)]. 2. - Sebbene il testo approvato nella seconda deliberazione
non coincida letteralmente con quello approvato nella prima, il
ricorso è ammissibile. Il consiglio regionale, infatti, si è limitato ad aggiungere, nel 1° e 3° comma dell'articolo unico di cui con
sta la delibera, un richiamo alla 1. reg. 2 gennaio 1997 n. 4 (rias
setto generale delle province e procedure ordinarie per l'istitu
zione di nuove province e la modificazione delle circoscrizioni
provinciali). Poiché il testo legislativo approvato già in sede di
prima deliberazione si deve intendere adottato in attuazione
(non in deroga) rispetto a tale legge generale, il richiamo espli cito che a essa è fatto nella seconda deliberazione assume ca
rattere esclusivamente dichiarativo, non innovativo.
Pertanto, conformemente alla costante giurisprudenza di que sta corte (a partire dalla sentenza n. 158 del 1988, Foro it.,
1988, I, 2524, più volte successivamente confermata), il testo
sul quale il consiglio regionale si è pronunciato con la seconda
deliberazione non può ritenersi nuovo. Di conseguenza, il go
verno, contro di esso, era abilitato a promuovere il ricorso di co
stituzionalità, e non il rinvio della legge al consiglio regionale. 3. - Nel merito, il ricorso è infondato.
3.1. - La questione da decidere è se nella competenza legisla tiva della regione Sardegna in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» (art. 3, lett. b, dello
statuto speciale) rientri o sia esclusa l'istituzione di nuovi enti
provinciali. L'art. 133, 1° comma, Cost, stabilisce che «[...] l'istituzione
di nuove province nell'ambito d'una regione» è stabilita «con
leggi della repubblica, su iniziativa dei comuni, sentita la stessa
regione». Ma l'art. 116 Cost, prevede anche che «alla Sardegna
[...] sono attribuite forme e condizioni particolari di autono
mia», secondo lo statuto speciale, adottato con legge costituzio
nale. Avendo dunque lo statuto forza derogatoria rispetto alla
disciplina dell'autonomia regionale stabilita nel titolo V della
parte seconda della Costituzione, si tratta di stabilire la portata del citato art. 3, lett. b), dello statuto stesso.
Nella sua versione vigente, esso sostituisce la previsione della
competenza nella limitata materia delle «circoscrizioni comu
nali», originariamente contenuta nella stessa disposizione sta
tutaria approvata con la 1. cost. n. 3 del 1948. Con la 1. cost. n. 2
del 1993 (modifiche ed integrazioni agli statuti speciali per la
Valle d'Aosta, per la Sardegna, per il Friuli-Venezia Giulia e
per il Trentino-Alto Adige), alla regione Sardegna e alle altre
regioni ad autonomia speciale indicate nel titolo, è stata ricono
sciuta uguale competenza in materia di «ordinamento degli enti
locali e delle relative circoscrizioni», al fine dichiarato non solo
di «rimuovere l'originaria diversità di regime giuridico delle re
gioni ad autonomia speciale in materia di enti locali» (v. sen
tenza n. 415 del 1994, id., Rep. 1995, voce Sardegna, n. 15) ma
anche di equiparare, sul punto in questione, la loro autonomia a
quella già riconosciuta alla regione siciliana (camera dei depu
tati. XI legislatura — discussioni — resoconto seduta del 6 ago
sto 1992, pag. 2838). Quest'ultima regione, infatti, secondo
l'art. 15, 3° comma, del suo statuto, è titolare della potestà le
gislativa esclusiva «in materia di circoscrizioni, ordinamento [e
controllo] degli enti locali» e in tale potestà è pacificamente
compresa quella di istituire, con proprie leggi (v. art. 6 1. reg. 6
marzo 1986 n. 9, e art. 1 1. reg. 12 agosto 1989 n. 17), i «liberi consorzi comunali» che, nella regione siciliana, sotto la deno
minazione di «province regionali» (art. 3 medesima 1. reg. n. 9
del 1986), hanno preso il posto delle province (art. 15, 1° e 2°
comma, dello statuto siciliano).
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3035 PARTE PRIMA 3036
Dall'identità di formulazioni normative e dall'intento di
omologazione che esplicitamente ha mosso il legislatore costi
tuzionale, deriva la conseguenza che l'ampiezza della potestà
legislativa delle regioni ad autonomia speciale diverse dalla Si
cilia in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative
circoscrizioni» debba essere ricostruita in conformità a quella che caratterizza la potestà legislativa di quest'ultima regione, scontando la diversa configurazione che l'«ente intermedio» tra
comuni e regione (provincia o libero consorzio comunale) rice
ve nelle diverse situazioni.
Quanto specificamente alla regione Sardegna, inoltre, l'art.
43 dello statuto, fin dalla sua originaria formulazione, prevede va la competenza legislativa della regione circa la modifica
delle circoscrizioni e delle funzioni delle province allora esi
stenti (Cagliari, Nuoro e Sassari), onde un'interpretazione re
strittiva dell'innovazione apportata dalla 1. cost. n. 2 del 1993
all'art. 3, lett. b), dello statuto, quale sostenuta dal ricorrente,
finirebbe per privare in gran parte di significato, per la regione
Sardegna, la riforma statutaria in tal modo operata. 3.2. - È da considerare che, dopo l'entrata in vigore della 1.
cost. n. 2 del 1993, in ambedue le regioni ad autonomia diffe
renziata in cui concretamente era prospettabile un problema di
rideterminazione numerica delle articolazioni provinciali —
vale a dire il Friuli-Venezia Giulia e, per l'appunto, la Sardegna
(escluse restando, per diverse ed evidenti ragioni, la Valle
d'Aosta e il Trentino-Alto Adige) — è stata affrontata la que
stione sul piano normativo, dando per scontata la portata più
pregnante dell'innovazione statutaria derivante dalla previsione della legge costituzionale.
Il d.leg. 2 gennaio 1997 n. 9, contenente «norme di attuazione
dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in
materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circo
scrizioni», all'art. 8, 1° comma, stabilisce che «nella materia di
cui all'art. 4, n. 1 bis, dello statuto speciale [cioè, per l'appunto, in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative cir
coscrizioni»] è ricompresa [...] l'istituzione di nuove province
[...], su iniziativa dei comuni, sentite le popolazioni interessa
te».
A sua volta, la regione Sardegna, con la 1. reg. n. 4 del 1997,
ha dettato una disciplina volta a ridefinire l'ordinamento pro vinciale nel suo territorio, in attuazione dell'art. 3, lett. £), dello
statuto, nella formulazione risultante dalla 1. cost. n. 2 del 1993.
Questa legge della regione, all'art. 1, 2° comma, prevede che
«l'istituzione di nuove province e la modifica delle circoscri
zioni provinciali sono stabilite con legge regionale, su iniziativa
dei comuni», secondo vari procedimenti, aperti alla necessaria
partecipazione delle comunità locali interessate, previsti dagli articoli successivi della legge.
Gli sviluppi normativi anzidetti, non contraddetti fino al pre sente giudizio di legittimità costituzionale da atti di segno con
trario, risultano così coerenti con l'interpretazione più ampia che all'innovazione contenuta nella 1. reg. n. 2 del 1993 e al
l'art. 3. lett. b), dello statuto della regione Sardegna deve essere
data, cioè col riconoscimento che la competenza a essa attribuita
in materia di ordinamento degli enti locali e delle loro circoscri
zioni comprende anche l'istituzione di nuove province: istitu
zione che — contrariamente a quanto adombrato col secondo
motivo di ricorso — non comporta alcuna conseguenza sull'or
ganizzazione amministrativa dello Stato.
Nella legislazione concernente le province (oltre che i comu
ni) quali circoscrizioni di decentramento statale, alla stregua dell'art. 129, 1° comma, Cost., non è infatti stabilito alcun nesso
necessario tra l'istituzione di una provincia e la creazione di uf
fici statali decentrati su scala corrispondente. Rientra pur sem
pre nella discrezionalità del legislatore statale la determinazione
dell'ambito territoriale di competenza dei propri uffici decen
trati, tanto più in quanto la provincia ha ormai perso la sua ori
ginaria prevalente matrice di circoscrizione dell'amministrazio
ne decentrata del ministero dell'interno per assumere la natura
essenziale di ente espressivo di una delle dimensioni del sistema
dell'autonomia locale tracciato dalla Costituzione. Della discre
zionalità delle scelte organizzative statali che da tale non neces
saria coincidenza deriva è manifestazione — oltre che l'art. 11
d.leg. 30 luglio 1999 n. 300 (riforma dell'organizzazione del
governo, a norma dell'art. 11 1. 15 marzo 1997 n. 59), il quale,
riorganizzando le prefetture attraverso la loro trasformazione in
uffici territoriali del governo, non fa riferimento alcuno alla loro
Il Foro Italiano — 2001.
dimensione provinciale — l'art. 16, 2° comma, lett. f), 1. n. 142
del 1990, norma ora trasfusa nell'art. 21, 3° comma, lett./), t.u.
sull'ordinamento degli enti locali, approvato con il d.leg. n. 267
del 2000, che — con riferimento alle regioni ad autonomia ordi
naria — prevede che l'iniziativa dei comuni per la revisione
delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province
tenga conto del fatto che «l'istituzione di nuove province non
comporta necessariamente l'istituzione di uffici provinciali delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici».
Analogamente, in riferimento alla regione Friuli-Venezia Giu
lia, il citato d.leg. n. 9 del 1997 fa salva «la facoltà dello Stato
di non istituire propri uffici decentrati nelle nuove province». E,
sulla stessa premessa dell'inesistenza di una corrispondenza ne
cessaria tra provincia-ente autonomo e provincia-circoscrizione di decentramento statale, l'art. 12, 2° comma, citata 1. reg. sarda
n. 4 del 1997 stabilisce che «la regione provvede [...] a pro muovere tutte le opportune iniziative nei confronti dello Stato,
affinché il decentramento statale tenda a corrispondere agli am
biti territoriali provinciali nel territorio della regione». 4. - Le ragioni esposte
— col riconoscimento all'art. 3, lett.
b), dello statuto sardo, quale risulta dalla modifica apportata con
l'art. 4 1. cost. n. 2 del 1993, della capacità derogatoria rispetto alla generale disciplina in tema di istituzione di nuove province contenuta nell'art. 133, 1° comma, Cost. — portano a ritenere
quindi che rientra nelle competenze della regione Sardegna l'i
stituzione di nuove province nel suo territorio, nei limiti indicati
nell'incipit dell'art. 3 dello statuto stesso e, segnatamente, nei
limiti derivanti dall'armonia con le norme della Costituzione,
anche estranee al titolo V della sua seconda parte, e con i prin
cipi dell'ordinamento giuridico della repubblica. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale della delibera legislati va della regione Sardegna del 14 aprile 2000, riapprovata il 6
giugno 2000 (istituzione delle province di Carbonia-Iglesias, del
Medio Campidano, dell'Ogliastra e di Olbia-Tempio), sollevata,
in riferimento all'art. 3, lett. b), dello statuto speciale per la
Sardegna (1. cost. 26 febbraio 1948 n. 3), dal presidente del con
siglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
II
Diritto. — 1. - Il presidente del consiglio dei ministri ricorre
contro l'art. 2 della delibera legislativa della regione Friuli
Venezia Giulia, approvata il 29 luglio 1999 e riapprovata dal
consiglio regionale sul rinvio del governo il 1° febbraio 2000
(indennizzo forfetario spettante ai coordinatori dei servizi so
ciali, soppressione delle comunità montane e modalità istruttorie
delle domande di agevolazione per le iniziative finanziate dal
fondo regionale per lo sviluppo della montagna).
L'impugnato art. 2 dispone, al 1° comma, che «le comunità
montane della regione previste dalle attuali leggi regionali sono
soppresse, con decorrenza dal 1° luglio 2000. Le relative fun
zioni saranno trasferite agli enti individuati con successiva leg
ge regionale da approvarsi entro il 29 febbraio 2000, la quale
provvederà anche a disciplinare i rapporti patrimoniali ed eco
nomico-finanziari tra le comunità montane e gli enti interessati,
nonché l'assegnazione del personale». Nei successivi 2° e 3°
comma dello stesso articolo si prevede la nomina di un commis
sario liquidatore per ciascuna comunità montana e si disciplina no le procedure relative.
Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata contrasterebbe
con gli art. 4, 5, 6 e 59 dello statuto speciale della regione (1.
cost. 31 gennaio 1963 n. 1, modificata dall'art. 5 1. cost. 23 set
tembre 1993 n. 2); con gli art. 5 e 128 Cost.; con l'art. 2 d.leg. di attuazione 2 gennaio 1997 n. 9, e con i principi di riforma
economico-sociale e con le norme fondamentali contenuti negli art. 28 (come sostituito dall'art. 7 I. 3 agosto 1999 n. 265) e 29
1. 8 giugno 1990 n. 142 (ora art. 27 e 28 d.leg. 18 agosto 2000 n.
267, t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali). 2. - La questione non è fondata.
2.1. - L'art. 4, n. 1 bis, dello statuto speciale prevede la com
petenza legislativa della regione in materia di «ordinamento de
gli enti locali e delle relative circoscrizioni», da esercitarsi, se
condo Vincipit del medesimo articolo, «in armonia con la Co
stituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, con le norme fondamentali delle riforme economi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
co-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché
nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre regio ni».
Il n. 1 bis dell'art. 4 è stato introdotto dall'art. 5 1. cost. n. 2
del 1993 (modifiche ed integrazioni degli statuti speciali per la
Valle d'Aosta, per la Sardegna, per il Friuli-Venezia Giulia e
per il Trentino-Alto Adige), una legge che «disegna il quadro delle competenze delle regioni ad autonomia speciale (eccezio ne fatta per la Sicilia) in materia di enti locali, privilegiando il criterio di maggiore ampiezza e di sostanziale uniformità laddo
ve era in precedenza vigente una disciplina piuttosto riduttiva ed
eterogenea» (sentenza n. 415 del 1994, Foro it., Rep. 1995, voce
Sardegna, n. 15). Da tale legge, «la competenza delle regioni a
statuto speciale in materia di ordinamento di enti locali acquista il carattere di esclusività e viene ad essere definita con formula
identica in tutti gli statuti speciali», con ciò rimuovendo, secon
do una delle finalità dell'intervento del legislatore costituzio
nale, «l'originaria diversità di regime giuridico delle regioni ad
autonomia speciale in materia di enti locali» (citata sentenza n.
415 del 1994): affermazione che abbraccia tutte le regioni ad
autonomia speciale e che si comprende considerando che la re
gione siciliana già era dotata di una «competenza esclusiva»
nella stessa materia, a norma dell'art. 15, 3° comma, dello sta
tuto, pur con le particolarità derivanti dalla disciplina delle
«province siciliane», configurate come liberi consorzi comunali.
In attuazione della nuova previsione statutaria dopo e in con
seguenza dell'innovazione introdotta con la 1. cost. n. 2 del
1993, è stato emanato il d.leg. 2 gennaio 1997 n. 9 (norme di
attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia
Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative
circoscrizioni). L'art. 2 di tale decreto stabilisce che «la regio ne, nel rispetto degli art. 5 e 128 Cost., nonché dell'art. 4 dello
statuto di autonomia, fissa i principi dell'ordinamento locale e
ne determina le funzioni, per favorire la piena realizzazione del
l'autonomia degli enti locali».
Secondo la più recente disciplina in materia (art. 28 d.leg. 18
agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali), le comunità montane sono «unioni di comuni, enti locali
costituiti fra comuni montani». Esse rappresentano un caso spe ciale di «unioni di comuni» (art. 32 d.leg. n. 267 del 2000), create in vista della valorizzazione delle zone montane, allo
scopo di esercitare, in modo più adeguato di quanto non con
sentirebbe la frammentazione dei comuni montani, «funzioni
proprie», «funzioni conferite» e funzioni comunali. Nella suc
cessione della disciplina legislativa in materia, è rimasta ferma
l'originaria configurazione delle comunità montane quali enti
locali, proiezioni dei comuni che a esse fanno capo, già risul
tante, nell'essenziale, dall'art. 4 1. 3 dicembre 1971 n. 1102
(nuove norme per lo sviluppo della montagna), confermata e
precisata dalla legislazione successiva, in particolare dall'art. 28
1. n. 142 del 1990, nella sua versione originaria e in quella mo
dificata dalla 1. n. 265 del 1999 (disposizioni in materia di auto
nomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla 1.
8 giugno 1990 n. 142). Da questa loro configurazione deriva un duplice corollario. In
primo luogo, le comunità montane entrano nel novero degli «enti locali» precisamente quali «altri enti locali» a norma degli art. 118, 1° e 3° comma, e 130, 1° comma, Cost. Esse, secondo
la legislazione statale, insieme ai comuni e alle province sono
destinatarie della generalità dei compiti e delle funzioni ammi
nistrative che non ne richiedono l'esercizio a livello regionale (art. 3, 2° comma, d.leg. 31 marzo 1998 n. 112) e contribuisco
no a comporre il sistema delle autonomie subregionali, pur sen
za assurgere a enti costituzionalmente o statutariamente neces
sari. quali sono — secondo gli art. 114 e 128 Cost, e 59, 1°
comma, dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giu
lia — soltanto le province e i comuni. In secondo luogo, «enti
locali» di tale natura, costituiti a partire dalle autonomie comu
nali per l'esercizio di funzioni comuni, costituiscono essi stessi
strumenti organizzativi del sistema delle autonomie locali. On
de, in breve, si può dire trattarsi di «ordinamento» di enti locali
tramite enti locali.
Data dunque questa qualificazione delle comunità montane, la
potestà legislativa della regione Friuli-Venezia Giulia in materia
non deve ritenersi fondata né sull'art. 27 d.leg. n. 267 del 2000 —
disposizione che prevede la disciplina legislativa regionale su diversi aspetti particolari di organizzazione delle comunità
Il Foro Italiano — 2001.
stesse ma che, anche per l'espressa previsione dell'art. 1, 2°
comma, medesimo d.leg., non si applica alle regioni a statuto
speciale, se incompatibile con le attribuzioni previste dagli sta
tuti e dalle relative norme di attuazione — né sull'art. 6, n. 3,
dello statuto — norma che attribuisce alla regione la facoltà di
adeguare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della repubblica, tramite norme di integrazione e di attuazione
nelle materie indicate da queste ultime leggi — bensì diretta
mente sull'art. 4, n. 1 bis, dello statuto speciale il quale per
l'appunto indica, tra le competenze legislative «esclusive» della
regione, F«ordinamento degli enti locali».
2.2. - Priva di pregio è l'argomentazione del ricorrente che,
dal citato art. 59 dello statuto («Le province ed i comuni della
regione sono enti autonomi»), vorrebbe inferire una ricostruzio
ne restrittiva della competenza legislativa regionale indicata
nell'art. 4, n. 1 bis, dello statuto stesso, tale da escludere dagli «enti locali» ivi menzionati tutti gli enti diversi dalle province e
dai comuni, cioè, per quanto riguarda la presente questione di
costituzionalità, le comunità montane. Con questa affermazione
viene ignorata non solo la natura di tali comunità ma anche l'e
sistenza, tanto nelle regioni ad autonomia comune quanto in
quelle a statuto speciale, accanto agli enti locali costituzional
mente necessari, di enti costituzionalmente non necessari, ma
non per questo da escludersi dalla categoria degli enti locali. Al
che si potrebbe aggiungere la stranezza di un ente — la comu
nità montana — che, se istituito fuori della regione Friuli
Venezia Giulia, è «ente locale» (art. 27, 1° comma, d.leg. n. 267
del 2000, già citato) ma non lo sarebbe se istituito entro la re
gione medesima. Una tanto arbitraria distribuzione di qualifica zioni farebbe torto alla ragionevolezza di qualunque sistema
giuridico. È poi da escludere ogni valore probante, nel senso dell'inesi
stenza di una competenza legislativa primaria relativamente alle
comunità montane, all'accenno che il ricorrente fa alla compe tenza legislativa di cui all'art. 5, n. 8, dello statuto: competenza non esclusiva ma ripartita, tale da incontrare perciò, oltre ai li
miti generali previsti dall'art. 4, anche quello dei principi fon
damentali stabiliti dalle leggi dello Stato nelle singole materie.
La stessa dizione statutaria («enti aventi carattere locale o re
gionale per i finanziamenti delle attività economiche nella re
gione», e non — secondo la formula, erronea per incompletez
za, riportata nel ricorso del presidente del consiglio dei ministri:
«ordinamento degli enti aventi carattere locale o regionale»)
dimostra, senza necessità di spiegazione alcuna, la non perti nenza della disposizione alla materia degli enti locali attribuita
alla competenza legislativa esclusiva della regione dall'art. 4, n.
1 bis, del suo statuto.
3. - Così chiarita la riconducibilità della materia in esame
all'«ordinamento degli enti locali» di cui all'art. 4, n. 1 bis,
dello statuto speciale, si tratta di valutare ora la disposizione
oggetto del ricorso del presidente del consiglio dei ministri dal
punto di vista dei limiti che l'esercizio della competenza legis lativa della regione incontra in tale materia: limiti consistenti in
quelli che l'art. 4 dello statuto di autonomia prevede per l'eser
cizio della potestà legislativa regionale «primaria» e che il già ricordato d.leg. n. 9 del 1997, emanato in conseguenza e attua
zione dell'anzidetto n. 1 bis dell'art. 4, richiama in generale, in
dicando altresì specificamente il rispetto degli art. 5 e 128 Cost.
Circa la posizione della regione nel sistema delle autonomie
territoriali, si deve innanzitutto riaffermare, anche in riferimento
alle regioni ad autonomia speciale, tanto più dopo la riforma
operata dalla 1. cost. n. 2 del 1993, ciò che questa corte ebbe a
riconoscere, in sintesi generale, quanto alle regioni a statuto or
dinario: avere l'ordinamento vigente provveduto, attraverso una
serie di interventi legislativi in attuazione dell'art. 5 e della IX
disposizione transitoria e finale della Costituzione, ad assicurare
gli strumenti di un organico raccordo funzionale tra gli enti lo
cali e tra questi e la regione, necessari in presenza dell'espan sione dei poteri di autonomia riconosciuti agli enti locali infra
regionali, e avere configurato la regione stessa come «centro
propulsore e di coordinamento dell'intero sistema delle auto
nomie locali» (sentenza n. 343 del 1991, id., 1992, I, 316). Tale ruolo, relativamente alle regioni ad autonomia ordinaria, risul
tava, in particolare, dall'art. 3 1. n. 142 del 1990 e risulta oggi dall'art. 4 d.leg. n. 267 del 2000; relativamente alle regioni ad
autonomìa speciale, esso è implicito nella loro attuale compe tenza in materia di ordinamento degli enti locali.
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3039 PARTE PRIMA 3040
In questa prospettiva, non può essere negato alla regione Fri
uli-Venezia Giulia, nell'esercizio della sua potestà legislativa esclusiva di «ordinamento degli enti locali», il potere di valutare
le esigenze di coordinamento e di esercizio integrato delle fun
zioni degli enti locali e di prevedere, se del caso, gli strumenti
congruenti allo scopo, compresa tra questi l'istituzione di altri
enti locali non necessari, quali sono per l'appunto le comunità
montane, proiezioni organizzative e funzionali degli enti locali
necessari. E, naturalmente, tale valutazione comporta, come
aspetto complementare del medesimo potere di apprezzamento, il potere di sopprimere quegli stessi enti, una volta ritenuta
l'inutilità della loro sopravvivenza, ai fini per i quali siano stati
istituiti. Tale potere, peraltro, non è assoluto, l'esercizio della potestà
legislativa regionale esclusiva dovendo essere, tra l'altro, «in
armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordi
namento giuridico della repubblica, con le norme fondamentali
delle riforme economico-sociali».
Tanto la concreta istituzione quanto la soppressione delle
comunità montane comportano un'intromissione nell'originaria autonomia organizzativa e funzionale dei comuni interessati,
autonomia che è garantita dagli art. 5 e 128 Cost, non solo nei
confronti dello Stato e delle regioni ad autonomia ordinaria, ma
altresì nei confronti delle regioni ad autonomia speciale (e in
fatti, a tali articoli della Costituzione fa ovvio riferimento anche
il citato d.leg. n. 9 del 1997). Il coordinamento tra la competen za regionale esclusiva in materia di ordinamento degli enti lo
cali e l'originaria posizione costituzionale di autonomia di que sti ultimi comporta
— analogamente a quanto questa corte già
ebbe a statuire nella sentenza n. 83 del 1997 (id., 1998,1, 2739), in riferimento a competenze comunali aventi diretto fondamento
nell'art. 128 Cost. — che le determinazioni regionali relative
alla creazione o alla soppressione delle comunità montane, per le conseguenze concrete che ne derivano sul modo di organiz zarsi e sul modo di esercitarsi dell'autonomia comunale, debba
no necessariamente coinvolgere gli stessi comuni interessati,
con modalità che la legge regionale deve prevedere per assicura
re la necessaria efficacia della partecipazione comunale.
Dell'anzidetto principio di coinvolgimento degli enti locali
infraregionali nelle determinazioni regionali «di ordinamento»
sono espressione tanto l'art. 3 d.leg. n. 112 del 1998, quanto l'art. 4 d.leg. n. 267 del 2000. Nel prevedere che le regioni ad
autonomia ordinaria adottino la legge di allocazione delle fun
zioni tra i diversi livelli del governo locale e regionale, anche di
natura associativa, il legislatore nazionale ha stabilito che le re
gioni stesse istituiscano strumenti e procedure di raccordo e
concertazione, anche permanenti, con gli enti locali (2° e 5°
comma dell'art. 3 d.leg. n. 112). Sia questo un principio gene rale dell'ordinamento o una diretta conseguenza dei principi ri
sultanti dagli art. 5 e 128 Cost., ovvero l'una e l'altra cosa, la
conseguenza comunque è che tale principio vale anche nei con
fronti delle determinazioni in materia di soppressione delle co
munità montane assunte dalle regioni ad autonomia speciale, nell'esercizio della loro competenza in materia di ordinamento
degli enti locali.
In sintesi: alla regione Friuli-Venezia Giulia il potere di
(istituire o) sopprimere le comunità montane; ai comuni interes
sati, l'effettiva partecipazione all'esercizio di tale potere. 4. - Il presidente del consiglio dei ministri ritiene invece che
la soppressione delle comunità montane sia, come tale, vietata
dagli art. 28 (come sostituito dall'art. 7 1. n. 265 del 1999) e 29
1. n. 142 del 1990 (ora, art. 27 e 28 d.leg. n. 267 del 2000), dai
quali si dovrebbe trarre un principio generale dell'ordinamento,
o una norma fondamentale di riforma economico-sociale, che
fisserebbe le comunità montane come elementi costitutivi ne
cessari dell'«ordinamento degli enti locali». Tanto più — si ag
giunge — in quanto le comunità montane sono chiamate a per
seguire gli obiettivi e ad attuare gli interventi speciali per la
montagna stabiliti dall'Unione europea e dalle leggi statali (art. 28 d.leg. n. 267 del 2000). L'art. 7 1. n. 265 del 1999 (ora con
fluito nell'art. 27 d.leg. n. 267 del 2000), prevedendo poi l'esi
stenza di funzioni proprie delle comunità montane, accanto a
quelle loro «conferite», e attribuendo alla legge regionale solo
compiti limitati di disciplina organizzativa, confermerebbe, con
la natura necessaria di tali enti, l'inesistenza di un potere regio nale rivolto alla loro soppressione.
Ma entrambe queste prospettazioni non possono essere ac
colte.
Il Foro Italiano — 2001
Innanzitutto — richiamata la natura di ente non costituzio
nalmente necessario della comunità montana e la riserva di
competenza esistente a favore della potestà legislativa delle re
gioni ad autonomia speciale, anche in forza dell'espressa dispo sizione dell'art. 1, 2° comma, d.leg. n. 267 del 2000, in tema di
ordinamento degli enti locali — la proposizione del ricorrente
circa la natura di «norma fondamentale di riforma economico
sociale» o «principio generale dell'ordinamento giuridico dello
Stato» (a norma dell'art. 4 dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) dell'introduzione delle comunità monta
ne nell'ordinamento dei poteri locali, è puramente assertiva.
Tale introduzione, più semplicemente, costituisce una misura di
razionalizzazione della rete delle autonomie comunali, per l'esercizio in comune di funzioni che malamente sarebbero ge stite da enti troppo frammentati sul territorio montano (esercizio
in comune che nella stessa legislazione dello Stato trova anche
altre forme di possibile realizzazione): una misura organizzativa idonea a essere sostituita da altra, una volta ritenuta insussi
stente la ragione della sua previsione. Del resto, il 6° comma dello stesso art. 27 d.leg. n. 267 del
2000 — a riprova del carattere strumentale e non essenziale
della comunità montana nell'ordinamento delle autonomie lo
cali in generale —
prevede lo scioglimento della comunità stes
sa da parte della legge regionale, una volta operata la «fusione»
dei comuni che ne facevano parte — fusione alla quale si po
trebbe in ipotesi addivenire anche senza il tramite della previa costituzione della comunità montana. A ciò, per quanto vale,
può aggiungersi l'osservazione che le comunità montane nella
regione siciliana, create con la 1. reg. 30 novembre 1974 n. 38
(ordinamento e funzionamento delle comunità montane), sono
state soppresse nell'esercizio di competenza legislativa analoga a quella riconosciuta alla regione Friuli-Venezia Giulia, con
l'art. 45 1. reg. 6 marzo 1986 n. 9 (istituzione della provincia re
gionale).
Quanto alla pretesa di far derivare il divieto di soppressione delle comunità montane dall'indefettibilità delle funzioni neces
sarie all'attuazione dei programmi e al perseguimento degli o
biettivi di sviluppo delle zone montane stabiliti da atti dell'U
nione europea e da leggi dello Stato (art. 28 d.leg. n. 267 del
2000), conformemente alla norma di programma contenuta nel
l'art. 44, 2° comma, Cost., basta rilevare in contrario che le co
munità montane sono soltanto uno dei possibili strumenti orga
nizzativi, previsti nell'ambito del sistema dei poteri locali. Tali
funzioni, di per sé, bene possono essere allocate altrimenti, in
base alle particolarità delle situazioni locali, apprezzate dal le
gislatore regionale nell'esercizio discrezionale del suo potere
legislativo in tema di «ordinamento degli enti locali», senza che
da ciò l'esercizio di tali funzioni possa dirsi compromesso. 5. - Non può infine trovare ingresso nel presente giudizio, in
quanto non dedotta nel ricorso ma introdotta successivamente a
esso, la censura mossa allo stesso art. 2 della delibera legislati va, nella parte in cui prevede una successione temporale tra la
soppressione delle comunità montane (prevista con decorrenza
1° luglio 2000) e il trasferimento ad altri enti delle loro funzioni
(a opera di una legge regionale da approvarsi entro il 29 feb
braio 2000), successione nella quale, per la possibile inottempe ranza a tale ultimo termine, può inserirsi uno iato, foriero di in
certezze normative, se non anche di paralisi amministrativa.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della delibe
ra legislativa della regione Friuli-Venezia Giulia approvata il 29
luglio 1999 e riapprovata il 1° febbraio 2000 (indennizzo forfe
tario spettante ai coordinatori dei servizi sociali, soppressione delle comunità montane e modalità istruttorie delle domande di
agevolazione per le iniziative finanziate dal fondo regionale per lo sviluppo della montagna), sollevata, in riferimento agli art. 5
e 128 Cost, e agli art. 4, 5, 6 e 59 1. cost. 31 gennaio 1963 n. 1
(statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia), dal presi dente del consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigra fe.
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