sentenza 6 maggio 1985, n. 134 (Gazzetta ufficiale 15 maggio 1985, n. 113 bis); Pres. Elia, Rel.Reale; Condoleo c. Savinelli; Norrito (Avv. Morganti) c. Cacioppo; Cabua c. Cabua; Pirozzi c.Franco; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. Torino 23 maggio 1980 (G.U. n. 352 del 1980);Trib. Torino 25 febbraio 1983 (G.U. n. 102 del 1984); Trib. Genova 8 novembre 1983 (G.U. n.162 del 1984); Trib. Genova 17 gennaio 1984 (G. ...Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 1985), pp. 1905/1906-1909/1910Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177774 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 6 maggio 1985, n. 134
(Gazzetta ufficiale 15 maggio 1985, n. 113 bis); Pres. Elia,
Rei. Reale; Condoleo c. Sa vinelli; Norrito (Avv. Morganti)
c. Cacioppo; Cabua c. Cabua; Pirozzi c. Franco; interv. Pres.
cons, ministri. Ord. Trib. Torino 23 maggio 1980 (G.U. n. 352
del 1980); Trib. Torino 25 febbraio 1983 (G.U. n. 102 del
1984); Trib. Genova 8 novembre 1983 (G.U. n. 162 del
1984); Trib. Genova 17 gennaio 1984 (G.U. n. 190 del 1984).
Filiazione — Disconoscimento di paternità — Adulterio del
coniuge — Termine per la proposizione dell'azione — Incosti
tuzionalità (Cost., art. 24; cod. civ., art. 244). Filiazione — Riconoscimento del figlio naturale — Impugnazione
per difetto di veridicità — Imprescrittibilità dell'azione —
Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 30; cod.
civ., art. 263).
È illegittimo, per violazione dell'art. 24, 1" comma, Cost., l'art.
244, 2" comma, c.c., nella parte in cui non dispone, per il caso
previsto dal n. 3 dell'art. 235 c.c., che il termine per proporre
l'azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito
sia venuto a conoscenza dell'adulterio della moglie. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione Trib. Torino 25 febbraio 1983 è
riportata in Giur. costit., 1984, II, 787. V., inoltre, le rimessioni
operate, più di recente e sempre per contrasto con gli art. 3 e 24
Cost., da Trib. Napoli 9 gennaio 1984, commentata da A. Finocchiaro, « Dies a quo » per la proposizione dell'azione di disconoscimento di
paternità e pretesa costituzionalità della disciplina, in Giust. civ., 1984,
I, 945 (tale a. metteva in luce come i maggiori beneficiari delle
modifiche apportate dall'art. 81 1. 4 maggio 1983 n. 184, all'ultimo
comma dell'art. 244, che consente ora il promovimento dell'azione di
disconoscimento da parte del curatore speciale nominato dal giudice,
su istanza del p.m., al minore infrasedicenne, sarebbero certamente
stati i soggetti già decaduti dal diritto di proporre essi stessi l'azione),
nonché da Trib. Savona 25 febbraio 1985, inedita.
Il problema della decorrenza del termine per la proposizione del
l'azione di disconoscimento da parte del marito a causa del presunto
adulterio della moglie non è nuova per i giudici della Consulta, che
già due volte negli ultimi tre anni si erano dovuti pronunciare sul
punto. A dire il vero, la questione si riallaccia a quella già decisa, nel
senso della conformità ai precetti costituzionali, ma in riferimento alla
normativa pre-riforma, da Corte cost. 23 luglio 1974, n. 247, Foro it.,
1974, I, 2941. In tale circostanza, il vecchio testo dell'art. 244 era
stato sospettato di violazione dell'art. 24 Cost., perché faceva decorrere
il termine trimestrale per la proposizione dell'azione dal momento della
nascita, o della sua conoscenza, anche nell'ipotesi di impotenza a
generare del marito della quale questi fosse venuto a sapere successi
vamente alla scadenza del predetto termine. La corte ritenne che la
disposizione fosse giustificata dall'esigenza di salvaguardare i rapporti
familiari, in funzione della certezza giuridica dei quali assumeva
particolare rilievo il principio del favor legitimitatis. Mutata la norma
tiva, con l'emersione dell'opposto principio del favor veritatis, i giudici
delle leggi sono stati chiamati a pronunciarsi a ripetizione sul nuovo
testo dell'art. 244. Una prima decisione (Corte cost. 1° aprile 1982, n.
64, id., 1982, I, 2177, con nota di Jannarelli; la sentenza è annotata
anche da Ebene Cobelli, Azione di disconoscimento della paternità, in
Nuove leggi civ., 1982, 1257 ss.) essenzialmente giocata sulla presunta
violazione dell'art. 3 Cost., in riferimento alla diversa disciplina
vigente per l'azione proposta dal figlio, concluse nel senso che l'emer
gente principio del favor veritatis non poteva indurre a qualificare
come ingiustificata la diversità di trattamento tra i soggetti, in quanto
proprio l'art. 244 dava ad intendere che il legislatore aveva voluto
porre al favor veritatis un limite giustificato dai pericoli e dagli inconvenienti di uno sconvolgimento dei rapporti familiari protrattisi
per lungo tempo. Va notato che con questa sentenza la corte aveva
rigettato anche una censura per violazione dell'art. 24 Cost., ritenendo
la strettamente legata a quella, non accolta, per contrasto con l'art. 3
Cost, (la medesima sentenza aveva peraltro dichiarato incostituzionale
la disposizione transitoria contenuta nell'art. 229 1. 19 maggio 1975 n.
151, nella parte in cui non concedeva anche al marito, intenzionato ad
agire per il disconoscimento di paternità per adulterio della moglie, un
termine semestrale decorrente dall'entrata in vigore della legge). Di
poco successiva è Corte cost., ord. 29 dicembre 1982, n. 247, Foro it.,
Rep. 1983, voce Filiazione, n. 29, che, non reputando di dover andare
di contrario avviso rispetto a quanto deciso dalla sent. 64/82, rigettò
per manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 244, in riferimento agli art. 3 e 24 Cost.
In dottrina, per l'incostituzionalità del disposto dell'art. 244 si era
espresso Pane, « Favor veritatis » ed azione di disconoscimento di pater
nità, in Rass. dir. civ., 1982, 62 ss., a cui dire, inoltre, la presunzione di
paternità potrebbe essere indifferentemente combattuta con l'azione di
disconoscimento o con quella di contestazione ex art. 248.
Per una « ipotesi » di commento a Corte cost. 64/82 (si tratta di
una chiosa a scatola chiusa, stesa senza leggere la motivazione della
sentenza e sulla base della mera notizia pubblicata dai giornali), v.
Il Foro Italiano — 1985.
£ inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c., nella parte in cui sancisce l'imprescrittibilità dell'azio ne con la quale si impugna il riconoscimento del figlio naturale
per difetto di veridicità, invece di prevedere termini brevi di
decadenza per il suo esercizio, in riferimento all'art. 30 Cost. (2)
Diritto. — 1. - Con le quattro ordinanze di cui iti epigrafe, il Tribunale di Torino e quello di Genova rispettivamente investono l'art. 244 c.c. e l'art. 263 c.c. in rapporto all'art. 244.
Stante la connessione dolile questioni, appare dunque opportuna la riunione dei gJiudM1 e la loro decisione con unica sentenza.
2. - Le due ordinanze del Tribunale di Torino (n. 765 del reg. ord. 1980 e n. 1044 del reg. ord. 1983) chiamano la corte a deoidere se sia costituzionalmente legittimo l'art. 244 c.c., testo novellato dalla 1. n. 151/75, inella parte in cui1 (2° comma) fa decorrere per ad padre il termine di un anno per proporre l'azione di disconoscimento dalla nascita, o dalla conoscenza della nascita del figlio, e non dal giorno in cui il padre venga, anche
successivamente, a conoscenza dell'adulterio della moglie nel pe riodo del concepimento.
La prima delle dette ordinanze, essendo stata pronunciata anteriormente alla sentenza n. 64 del 1982 (Foro it., 1982, I, 2177) della Corte costituzionale, propone la questione negli stessi termini nei quali era stata sottoposta alla corte con riferimento
agli art. 3 e 24 Cost., sul rilievo che « mentre il detto termine decorre per il padre dalla nascita del figlio oppure, in determinati
casi, dal giorno della conoscenza di tale nascita, per il figlio, invece, decorre dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento », differenza che al giudice rimettente « non pare del tutto giustificata (anche se è vero « che normalmente il figlio ha maggiore difficoltà di conoscere tali fatti rispetto al padre »); sicché « non si comprende come tali eventualità », oioè la cono scenza tardiva dèi fatti, « siano state pretermesse dal legislatore, nella disciplina della decorrenza del termine dell'azione, per quanto riguarda il padre e ciò quando le stesse eventualità sono state tenute ben! presentì per il figlio ».
Cora la seconda ordinanza (n. 1044 del reg. ord. 1983), il Tribunale di Torino (lett. c del dispositivo) propone la questione di legittimità costituzionale « dell'art. 244, 2° comma, c.c. ... ri
spetto al successivo 3° comma dello stesso articolo, nella parte in
cui, non determinando anche per il marito, così come per di figlio, la decorrenza dei termini per proporre l'azione di disconoscimen
to, stabilisce una irrazionale discriminazione tra gli eguali diritti del padre e del figlio all'accertamento biologico di paternità-filia zione », cioè sostanzialmente in termini di violazione del principio di eguaglianza. Ma la propone altresì (lett. a del dispositivo), « per violazione del congiunto disposto degli art. 24, 1° comma, e
3, 1° comma, Cost. » per la parte in culi l'art. 244, 2° comma, c.c. « irragionevolmente non predispone per il marito il diritto di
provare l'adulterio della moglie, anche successivamente al decorso dell'anno dalla nascita del figlio legittimo, e di proporre, quindi, l'azione entro un anno dal momento in cui viene a conoscenza dell'adulterio stesso, al fine di disconoscere la paternità del figlio medesimo »; e ancora la propone (lett. b del dispositivo) con riferimento agli art. 2 e 3, 1° comma, in relazione agli art. 24, 1°
comma, 29, 1° comma, 30, 1°, 3° e 4° comma, Cost., per la
parte in cui l'art. 244, 2° comma, c.c., « impedendo al marito, in forme irragionevoli, di far valere l'adulterio della moglie, contra sta con il diritto inviolabile del padre a fare accertare giudizial mente il rapporto biologico di paternità nei confronti del figlio legittimo ».
3. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 244 c.c. non è nuova per la corte. Essa fu una prima volta affrontata nella sentenza n. 349 del 1974 (id., 1974, I, 2941), ma con
riguardo al testo dell'articolo precedente alla riforma del diritto di
famiglia e per un motivo, posto a fondamento della domanda di
disconoscimento proposta dal padre, diverso dall'adulterio della
moglie (che allora, vigente il vecchio testo dell'art. 235 c.c., non
sarebbe stato rilevante se non accompagnato dall'occultamento al marito della gravidanza della moglie e della nascita del figlio), e cioè per l'impotenza generandi del marito, ma sempre, tuttavia, in relazione alla decorrenza dei termini per proporre l'azione, allora
di tre mesi, dalla nascita o dalla successiva notizia di essa. In
Adami, Parità dei coniugi - I termini per esperire l'azione di disconoscimento della paternità, in Stato civile it., 1982, 448.
(2) L'ordinanza di rimessione Trib. Genova 8 novembre 1983 è massimata in Foro it., 1985, I, 325, con nota di richiami; Trib. Genova 17 gennaio 1984 è invece riportata in Giur. costit., 1984, II, 1163.
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1907 PARTE PRIMA 1908
quel caso la corte, sottolineando la « ovvia preminenza dei
rapporti familiari », in funzione della quale assume « particolare rilievo » il favor legitimitatis, ritenendo « difficilmente controllabi le » l'« impotenza a generare », dichiarò non fondata la questione.
La questione, sollevata in relazione al testo novellato dell'art. 244 (e dell'art. 235) c.c., a seguito di domanda di disconoscimento fondata sull'adulterio ideila moglie conosciuto dal marito successi vamente alla scadenza del termine di un «anno decorrente dalla nascita o dalla notizia di essa, fu affrontata nuovamente nella sen tenza n. 64/82 (id., 1982, I, 2177). La corte riconobbe che « nel mo dificare (con la riforma del diritto di famiglia) le disposizioni degli art. 235 e 244 c.c., il legislatore del 1975 ha spostato, per cosi dire, l'accento dal favor legitimitatis al favor veritatis, e di ciò si trova conferma in altre disposiizioni del diritto di famiglia »; ma non iterine che il legislatore avesse voluto accordare ai secondo il valore di « un principio assoluto » tale da rendere costituzional mente illegittimo il diverso trattamento del padre rispetto al figlio (per il quale il termine decorre dall'apprendimento dell'adulterio della madre, anche dopo il compimento della maggiore età da
parte dii lui), denunciato dal giudice a quo come violatore del
principio di eguaglianza. Pertanto la corte dichiarò « insussisten te » la violazione dell'art. 3 Cost, e conseguentemente del diritto di difesa proclamato dall'art. 24 Cost., il cui richiamo era strettamene collegato anche nella prospettazione dei giudici a
quibus all'art. 3 Cost.
4. - L'ulteriore evoluzione della coscienza collettiva con la più marcata accentuazione della rilevanza del rapporto effettivo di pro creazione, dimostrata anche dal legislatore con l'attribuzione al p.m. della facoltà di promuovere l'azione di disconoscimento da parte del minore infrasedicenne (art. 81 1. 4 maggio 1983 n. 184), evoluzione che la corte, del resto, può cogliere anche indipendentemente dai
segnali del legislatore (sentenze nn. 49 del 1971, id., 1971, I, 831 e 126 del 1979, id., 1979, I, 2807); la diversità non solo dei parametri formalmente indicati (dell'art. 24 Cost., è invocato il 1° comma, non il 2°), ma dei profili' in parte diversi sotto i quali la
questione posta dal Tribunale di Torino nella ordinanza n. 1044 del reg. ord. 1983, persuadono la corte che la questione merita di essere riesaminata.
5. - A tale riesame la corte ritiene di premettere due considera
zioni che reputa utili per il più esatto dimensionamento della
questione che deve essere decisa:
a) l'art. 244 c.c. correlato all'art. 235, nel regolare i termini
dell'azione di disconoscimento, non attribuisce al marito il diritto a conseguire il disconoscimento del figlio come conseguenza dell'accertato adulterio, ma solo quello (art. 235 c.c.) di essere « ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità ». Ora è diventata comune nozione, anche giurisprudenziale, col progresso scientifico, che la prova negativa della paternità, raggiunta con gli esami genetici e del gruppo sanguigno, è sicura (anzi la più recente giurisprudenza della Cassazione ha ammesso anche la
prova positiva); b) la questione della decorrenza del termine per proporre
l'azione di disconoscimento è diversa da quella di congruità del
termine, la cui determinazione va lasciata al legislatore col solo limite della razionalità; sicché impropriamente a proposito della
decorrenza, si parla di decadenza, che è concetto inerente alla consumazione del termine stabilito per l'esercizio dell'azione.
6. - Passando all'esame dei vari profili della questione sottopo stale nelle due ordinanze del Tribunale di Torino, la corte non crede possibile, né necessario, per risolvere la questione, prendere in considerazione la doglianza relativa al trattamento differenziale tra padre e figlio, che sii' riscontra nell'art. 244 a proposito della decorrenza del termine per la proposizione dell'azione di disco
noscimento, doglianza sulla quale insistono, in modo esclusivo, la ordinanza n. 765 del reg. ord. 1980, e, in concorrenza con le altre
doglianze, la ordinanza n. 1044 del reg. ord. 1983 nella lett. C del suo dispositivo sopra ricordato. Questa censura, infatti (ancor ché nella citata lett. C della ordinanza n. 1044 sia accompagnata dalla indicazione anche di altri parametri), si risolve essenzialmen te nella denuncia di Violazione del principio di eguaglianza, violazione sulla cui esclusione la corte fondò la sua decisione di
rigetto nella sentenza n. 64 del 1982.
7. - Ben altra considerazione deve essere invece accordata ad altre motivazioni alle quali il Tribunale di Torino ha affidato la sua istanza di accoglimento, e che lo stesso tribunale ha riferito, nei due citati capi del dispositivo della sua ordinanza, agli art.
24, 1° comma, e 3, 1° comma, 2, 29, 1° comma, e 30, 1°, 3° e 4" comma, Cost.
Il Foro Italiano — 1985.
La corte ritiene peraltro che, mentre dall'art. 30, 1° comma,
Cost, si possano prendere le mosse solo per sottolineare
l'importanza, che dal precetto si desume, del rapporto naturale di fi
liazione, al fine dei diritti-doveri che ne derivano (avendo la stessa
corte avuto occasione nella sentenza n. 118 del 1974, id., 1974, I,
1981, di affermare che per l'applicazione dell'art. 30 Cost, occorre
che « siano determinati, cioè individuati » i genitori), l'attenzione
deve essere concentrata sulla irrazionalità della limitazione, anzi
dell'esclusione, nel caso della scoperta dell'adulterio oltre un anno
dopo la nascita del figlio, del diritto del padre ad avvalersi della
facoltà, che L'art. 235 c.c. gli attribuisce, di provare «che il figlio
presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompa tibili con quelle del presunto padre, o ogni altro fatto tendente ad
escludere la paternità ».
In questo caso si può dire che l'azione sia inutiliter data con
patente violazione non tanto del diritto di difesa (art. 24, 2°
comma, Cost.), quanto del diritto di agire in giudizio (art. 24, 1°
comma). È opportuno, a questo punto, sottolineare che il rilievo attribui
to dal legislatore del 1975, nel nuovo testo dell'art. 235 c.c., all'adulterio della moglie come elemento che facoltizza la prova dell'esclusione della paternità, sta nel fatto che, mentre nella legge
precedente l'adulterio era rilevante solo se accompagnato dall'oc
cultamento della gravidanza e della nascita, nel nuovo testo
dell'adulterio diventa rilevante da solo. Quindi due ipotesi adulterio o occultamento della gravidanza e della nascita. Rispetto alla seconda ipotesi, il termine accordato al marito per proporre l'azione di disconoscimento decorre si dal giorno della nascita o,
quando il marito era lontano, dal giorno del suo ritorno, ma « in
ogni caso se egli prova di non avere avuta notizia della nascita
in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto
notizia » (art. 244, 2° comma, c.c.).
Rispetto alla prima ipotesi (adulterio), la data di conoscenza
non conta più, oppure gratuitamente si presume iuris et de iure
quella della nascita o quella della conoscenza di essa. E ciò non
soltanto è palesemente irragionevole, ina non appare conciliabile
con l'insegnamento della corte (sentenza n. 14 del 1977, id., 1977,
I, 259) che « la garanzia di cui all'art. 24 Cost, deve estendersi
alla conoscibilità del momento di decorrenza del termine stesso al
fine di assicurare all'interessato l'utilizzazione nella sua interez
za ».
8. - Come osserva il Tribunale di Torino, sul piano dell'espe rienza, l'adulterio è fatto la cui conoscenza può essere preclusa per lungo tempo. Di ciò ha certamente tenuto conto il legislatore quando ha fatto decorrere il termine per l'azione di disconosci mento da parte del figlio divenuto maggiorenne dalla « conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento ». Perché per il padre la data di tale conoscenza diventa del tutto irrilevante? Si può osservare, come ha fatto la corte, nella sentenza n. 64 del
1982, che in ciò non si concreti una violazione del principio di
eguaglianza, ma è difficile negare la oggettiva irrazionalità della
disposizione che impedisce al padre di proporre il disconoscimento
dopo essere venuto a conoscenza dell'adulterio, cioè dopo l'avve nimento da cui nasce il suo diritto di azione.
Né per giustificare questo sostanziale diniego del diritto di agire appare sufficiente il rilievo secondo cui la conoscenza della nascita sia un evento di meno aleatoria prova rispetto a quello di conoscenza dell'adulterio.
Un'ulteriore e più puntuale riflessione sul tema porta a conside rare che la prova della conoscenza della nascita (quando questa sia stata tenuta celata al marito che era lontano, anche dopo il suo ritorno) possa, in ipotesi, essere altrettanto difficile di quella dell'adulterio.
E, del resto, che non si tratti di prova sempre « aleatoria », e
perciò inammissìbile, lo riconosce lo stesso legislatore quando ammette il marito a quella prova, purché entro un anno dalla
conoscenza della nascita del figlio. 9. - Si è già più innanzi sottolineato come una delle ragioni
che inducono la corte al riesame della questione sia l'ulteriore evoluzione della coscienza collettiva nel senso della accordata
preminenza del fatto della procreazione sulla qualificazione giuri dica della filiazione. Questa preminenza non costituisce sopraffa zione, né tanto meno negazione del valore legittimità, posto che dì legittimità in senso sostanziale metagiuridico si può parlare solo quando l'apparenza del rapporto di filiazione corrisponde alla realtà della procreazione. Il legislatore del 1975 che anche in relazione alla sicurezza della prova negativa della paternità assicu rata dal progresso scientifico ha allargato la possibilità di far valere la verità sull'apparenza, pur con uno sbarramento — quello appunto relativo alla decorrenza del termine — estraneo alla
logica di quell'allargamento; il legislatore del 1983 che, come si è
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
già ricordato, ha ulteriormente operato, accordando l'azione nel
l'interesse del minore infrasedicemne al p.m., nel senso di favorire
ulteriormente il perseguimento del valore verità, non hanno fatto
che seguire la evoluzione della coscienza collettiva sempre più sensibile a quel valore. La corte ritiene ancora una volta di poter
anticipare il legislatore cogliendo quella evoluzione e armonizzan
do con i principi costituzionali l'istituto del disconoscimento della
paternità. 10. - Nel quadro di questi1 valori appartenenti alla odierna
oosciena sociale va considerato anche l'interesse del figlio e della
sua protezione con riferimento non già all'ipotesi di filiazione non
contestata, ma alla ipotesi che, accertato l'adulterio nel tempo del
concepimento, nasca la possibilità di una prova che escluda la
paternità del padre apparente. Da quel momento, o peggio ancora
quando, come nel caso esaminato dal Tribunale di Torino, che è
emblematico ma non inconsueto, la prova legale negativa della
paternità stabilita nell'art. 235 sia incontestabilmente raggiunta;
quando non soltanto la madre, la cui sola dichiarazione è
irrilevante, ma il curatore nominato dal tribunale chiede nell'inte
resse del minore che la domanda sia accolta (tanto che il
Tribunale di Torino si è posto, risolvendolo negativamente, il
quesito se quella richiesta non equivalesse all'istanza posta dal
curatore nell'interesse del figlio minore: art. 244, 3° comma, c.c.), è assai difficile considerare corrispondente all'interesse materiale e
spirituale del figlio la coatta continuazione di rapporti familiari
già distrutti.
Queste considerazioni tranquillizzano la corte sulle conseguenze di una dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 244, 2° comma,
c.c., nella parte in cui1 non prevede che per il marito il termine
dell'azione di disconoscimento di cui al n. 3 dell'art. 235 c.c.
decorre dalla conoscenza dell'adulterio della moglie nel tempo del
concepimento, conclusione che comunque è comandata dalla accer
tata irragionevole violazione del diritto di agire. 11. - L'accoglimento delle questioni nei termini suesposti di
spensa la corte dell'esaminare specificamente altri profili di inco
stituzionalità pure indicati dal giudice a quo. 12. - Come si è ricordato in narrativa, il Tribunale di Torino
ha rimesso alla corte, nel caso di accoglimento, la estensione della
pronunzia, ex art. 27 1. n. 87 del 1978, al caso che il padre
voglia agire in disconoscimento a causa di impotenza «anche se
soltanto d'i generare ». La corte, data la non totale identità dei
casi, ritiene di mantenere la pronuncia nei limiti della rilevanza, cioè dell'azione di disconoscimento per adulterio.
Il Tribunale di Torino chiede inoltre alla corte di esaminare,
sempre nel caso di accoglimento, l'ipotesi di un'efficacia della
dichiarazione di incostituzionalità estesa ai giudizi1 già definiti. Ma
è evidente l'impossibilità di accogliere una simile istanza.
13. - Nelle due conformi ordinanze ran. 214 e 313 del reg. ord.
1984, il Tribunale di Genova dubita della legittimità costituziona
le, per contrasto con l'art. 30, 2° cpv. (« la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compati bile con i diritti dei membri della famiglia legittima »), dell'art.
263 c.c. « nella parte in cui non prescrive termini brevi di
decadenza per l'esercizio dell'azione e nella parte in cui sancisce
l'imprescrittibilità dell'azione medesima ». Da ciò deriva infatti, secondo il tribunale rimettente, che il figlio naturale « può vedersi
privato, ad libitum, in qualsiasi momento della vita, del proprio stato da parte dell'autore del riconoscimento », mentre il figlio
legittimo non può essere disconosciuto se non in termini brevi di
decadenza per l'esercizio dell'azione. Occorre ricordare che l'art. 263 c.c. vige nel testo precedente
alla novella n. 151 del 1975, cioè fu dettato dal legislatore del 1942 quando i casi di riconoscibilità dei figli nati fuori dal
matrimonio erano assai più limitati, essendo esclusa la riconoscibi
lità dei figli adulterini.
Il Tribunale di Genova censura la imprescrittibilità dell'azione
di disconoscimento e chiede in sostanza che la corte all'imprescrit tibilità sostituisca « termini brevi di decadenza per l'esercizio
dell'azione ». E benché richiami, nella sua prospettazione, la
diversa previsione legislativa relativa al disconoscimento dei figli
legittimi, invoca il solo parametro dell'art. 30 Cost.
A prescindere dalla difficoltà di stabilire un razionale dies a
quo per il termine invocato (infatti il riconoscimento del figlio naturale è un atto di volontà corrispondente normalmente ma non
sempre alla convinzione di chi lo opera di essere il genitore
naturale, sicché il detto dies a quo potrebbe essere non quello della conoscenza di fatti che escludono la paternità naturale, bensì quello del pentimento di chi ha operato il riconoscimento), sta la decisiva considerazione che non la corte, ma solo il
legislatore, potrebbe stabilire la durata del termine da sostituire
all'imprescrittibilità disposta dall'art. 263 c.c.
Il Foro Italiano — 1985.
Trattasi, quindi, secondo la costante giurisprudenza della corte, di questione inammissibile.
Per questi motivi, la Corte costituzionale 1) dichiara la illegit timità costituzionale dell'art. 244, 2° comma, c.c., nella parte in
cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell'art. 235 dello
stesso codice, che il termine dell'azione di disconoscimento decor
ra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell'adulte
rio della moglie; 2) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 263 c.c., sollevata dal Tribunale
di Genova con le due ordinanze di cui in epigrafe im riferimento
all'art. 30, 2° cpv., Cost.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 2 maggio 1985, n. 127
(Gazzetta ufficiale 8 maggio 1985, n. 107 bis); Pres. Roehrssen, Rei. Corasaniti; Pelizzani c. Hofman; Casubolo; Furegon c.
Vavalle; Pantani interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato
Carbone). Ord. Pret. Salò 8 febbraio 1980 (G.U. n. 138 del
1980); Trib. Pistoia 13 aprile 1981 (G.U. n. 297 del 1981); Pret. Padova 25 giugno 1981 (G.U. n. 26 del 1982); Trib. Pisa
28 luglio 1983 (G.U. n. 190 del 1984).
Avvocato e procuratore — Patrocinio legale davanti alle preture — Persone abilitate con provvedimento del tribunale — In
costituzionalità (Cost., art. 3, 33; 1. 7 luglio 1901 n. 283,
sugli onorari dei procuratori e sul patrocinio legale nelle pre ture, art. 6, 7, 8, 9; r.d.l. 13 agosto 1926 n. 1459, norme
riguardanti i patrocinatori legali, art. 1, 2, 3; 1. 28 giugno 1928 n. 1415, norme per il patrocinio innanzi alle pretu
re, art. 1).
Sono illegittimi, per violazione degli art. 3, 1° comma, e 33, 5° com
ma, Cost., gli art. 6, lett. b,7,8 e 9 l. 7 luglio 1901 n.
283, gli art. 1, 2" comma, 2 e 3 r.d.l. 13 agosto 1926 n. 1459 e
l'art. 1. I. 28 giugno 1928 n. 1415, nella parte in cui ammettono
all'esercizio del patrocinio legale davanti alla pretura, ubicata in
centro che non sia sede di tribunale o capoluogo di provincia,
persone che, senza essere abilitate mediante esame di Stato,
figurano iscritte con provvedimento del tribunale nell'albo
tenuto presso la pretura stessa. (1)
(1) L'ordinanza di rimessione Pret. Salò 8 febbraio 1980 è massima ta in Foro it., 1980, I, 2365. In precedenza, la Corte costituzionale aveva dichiarato infondata analoga questione, osservando che nei
giudizi in cui è ammesso il patrocinio a norma degli art. 6 e 7 1. n.
283/1901 è consentito alle parti sostenere direttamente le proprie ragioni « per cui non è richiesta una speciale preparazione tecnica. Tali forme di patrocinio possono ragionevolmente ritenersi non incluse fra quelle per cui l'art. 33 Cost, prevede l'esame di Stato » (Corte cost. 3 maggio 1963, n. 58, id., 1963, I, 1040, con note critiche di A. Predieri e G. Magrone, in Giur. costit., 1963, 507, 519). In argomento, si vedano altresì C. Malchiodi, Patrocinio legale nelle preture e nelle conciliatu
re, in Foro it., 1970, V, 78, e G. Pezzano, Patrocinio, voce dell'Ercci clopedia del diritto, 1982, XXXII, 431.
La. questione ora giudicata fondata era stata in passato ritenuta inammissibile: 1) per difetto di rilevanza nel giudizio a quo, in quanto il patrocinatore legale nominato difensore di fiducia dell'impu tato aveva rifiutato l'incarico prima di assumere la difesa (Corte cost. 30 marzo 1977, n. 53, Foro it., 1977, I, 1036); 2) per insussistenza del presupposto processuale del « giudizio », in quanto l'iscrizione all'albo è ordinata direttamente dal presidente del tribunale (Corte cost. 25 marzo 1975, n. 72, id., 1975, I, 1325).
Da una parte della giurisprudenza si escludeva comunque la vigenza delle norme legislative dichiarate incostituzionali: v. in tal senso App. Milano 16 febbraio 1972, id., Rep. 1973, voce Avvocato e procuratore, n. 21 e Cons. naz. forense 20 gennaio 1972, id., 1972, III, 92 (contra App. Bari 17 gennaio 1972, id., 1972, I, 784). Riassuntivamente, sul tema v., da ultimo, R. Clarizia, R. Ricci, La responsabilità civile dell'avvocato, in Nuova giur. civ., 1985, II, 159.
Per effetto del principio di cui all'art. 33, 5° comma, Cost., secondo
l'interpretazione datane dalla corte, è possibile dubitare della stessa so
pravvivenza del patrocinio legale dei praticanti procuratori (art. 8 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578).
Anche per questi infatti l'abilitazione all'esercizio della professione non è preceduta da un controllo sull'idoneità tecnica costituito da un esame di Stato (la relativa questione è stata sollevata da Cons. naz.
forense, ord. 27 marzo 1980, Foro it., 1981, I, 2616). La difficoltà è in parte superata nel disegno di legge in corso di
approvazione ed ora all'esame della camera dei deputati, relativo alla modifica della disciplina del patrocinio davanti alle preture e degli esami di procuratore (C. n. 2725: cfr., Rubrica parlamentare, a cura di R. Moretti, in Foro it., 1985, V, 102). Secondo tale schema i
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