sentenza 6 ottobre 1983, n. 312; Pres. Schinaia, Est. D'Agostino; Di Ponzio e altri (Avv.Colagrande, Scoca) c. Direttore didattico 3° circolo de L'Aquila (Avv. dello Stato Camerini)Source: Il Foro Italiano, Vol. 107, No. 10 (OTTOBRE 1984), pp. 391/392-399/400Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178129 .
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PARTE TERZA
sono destinatari del suo esercizio, avvertendo che la richiamata
azione di promozione « è attuata nel rispetto della coscienza
morale e civile degli alunni stessi ».
Può trarsi da ciò un primo convincimento: la libertà di
insegnamento costituisce un valore funzionalizzato alla esigenze di
formazione degli allievi e solo con riguardo ad essi trova prote zione ed incontra limiti; è, cioè, una libertà che, nell'ambito della
scuola, è posta per un risultato che attiene agli alunni.
Il contenuto della libertà di insegnamento va, poi, correlata a
quella che, secondo l'ordinamento positivo, è la funzione docente.
Questa è intesa « come esplicazione essenziale dell'attività di
trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa
e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla
formazione umana e critica della loro personalità » (art. 2 d.p.r. n. 417/74).
Sono, quindi, individuabili due aspetti interagenti ed essenziali,
in relazione ai quali è garantita la libertà di insegnamento: un
aspetto che attiene alla trasmissione della cultura ed un aspetto che attiene alla formazione umana dei giovani. Quanto a que st'ultimo è da rammentare che la partecipazione « alla realizza
zione delle iniziative educative della scuola, deliberate dai compe tenti organi » (art. 2, lett. c, d.p.r. n. 417/74), è esplicitamente considerato connesso con la funzione docente, in quanto ne
contribuisce a realizzare gli obiettivi.
Tutto ciò considerato, il richiamo alla libertà di insegnamento
appare invocato non a proposito dai ricorrenti. Tale libertà,
infatti, non può ritenersi lesa in considerazione a marginali
(rispetto al complesso delle ore curriculari) forme di integrazione
scolastica, che pur tuttavia rientrano nel contenuto della funzione
docente, e tendono a realizzare obiettivi didattici ed educativi
presenti nell'ordinamento.
In realtà i ricorrenti sembrano aver piuttosto di mira, attraver
so il richiamo a principi di libertà, la volontà di evitare i disagi
che loro soggettivamente creano talune forme di integrazione
scolastica, che non condividono, e per le quali non sentono
inclinazione. Se è cosi, sarà la scuola che dovrà darsi carico di
una questione di giusta considerazione della personalità del do
cente e di utilizzazione, nei programmi di integrazione scolastica,
delle sue migliori capacità e qualità, secondo il possibile e le
esigenze dell'istituto; ma tutto ciò è lontano dal costituire un
problema di libertà di insegnamento. Circa i principi dell'ordinamento che consentirebbero l'attua
zione delle forme di integrazione scolastica di cui trattasi, può osservarsi che essi sono individuabili chiaramente dalla tendenza
che il legislatore è andato ponendo quanto agli obiettivi ed ai
contenuti della scuola media dell'obbligo, ed alla figura di docen
te che, in relazione ad essi, si è andata delineando.
A tal fine occorre por mente principalmente alle disposizioni di
cui al d.m. 9 febbraio 1979.
Il d.m. 9 febbraio 1979 pone fra i « principi e fini generali della scuola media » quello di elevare il livello di educazione e
di istruzione personale di ciascun cittadino e generale di tutto il
popolo italiano, attraverso il potenziamento delle capacità di
partecipare ai valori della cultura, della civiltà e della convivenza
sociale. A tali fini si affida alla scuola media il compito di essere « formativa », offrendo « occasioni di sviluppo della personalità in
tutte le direzioni (etniche, religiose, sociali, intellettive, affettive,
operative, creative, ecc.) ».
Queste formulazioni, pur di principio ed ideali, sono accom
pagnate da linee operative concrete. La scuola infatti (punto 4, 3* parte, d.m. cit.) dovrà prestare particolare attenzione alla
rilevazione delle esigenze manifestate dalla comunità sociale entro
la quale sviluppa la propria azione, assumendo anche d problemi
proposti da particolari situazioni di emarginazione culturale o so
ciale e promuovendo interventi capaci di rimuoverle. In questa
prospettiva sono esplicitamente richiamate « le attività scolastiche
di integrazione anche a carattere interdisciplinare » già previste,
peraltro, nell'art. 7 1. 4 agosto 1977 n. 517.
Quanto ai contenuti dell'attività di insegnamento, giova ai
nostri fini richiamare il principio della unità del sapere (punto 3, 4* parte, d.m. cit.) con la conseguente previsione che possano « stabilirsi modalità di cooperazione fra i diversi insegnamenti », ditalché è considerato « pedagogicamente e didatticamente utile
programmare le interrelazioni delle varie discipline in vista di un
approccio culturale alla realtà più motivato e concreto ».
Non minore importanza, rispetto all'educazione al conoscere,
riveste « l'educazione al vivere insieme » (punto 5, 4* parte, d.m.
cit.); importanza che può' rilevarsi anche dal fatto che le attività
parascolastiche o interscolastiche entrano a far parte, a talune
condizioni, dell'orario normale di insegnamento (art. 88 1. 30
luglio 1977 n. 477 ed art. 50 d.m. 4 giugno 1977).
Adeguata agli obietti della scuola media è la previsione del
ruolo dell'insegnante, già anticipato nella individuazione della
funzione docente (art. 2 d.p.r. n. 417/74), ma presente anche
nelle disposizioni di cui al d.m. 9 febbraio 1979, allorché se ne
individuano gli aspetti educativi (punto 5, parte 1" e punto 3,
parte 2"). Quanto all'organo competente ad elaborare programmi di inte
grazione scolastica, esso è chiaramente individuato nel collegio dei docenti (art. 7 1. 4 agosto 1977 n. 517, punto 4, parte 3", d.m.
9 febbraio 1979, art. 4 d.p.r. 31 maggio 1974 n. 417). L'unico problema che può porsi a tale ultimo proposito, ed
infatti è stato sollevato dai ricorrenti, riguarda il punto se siano o meno vincolanti per tutti gli insegnanti (anche quelli dissenzien
ti) le deliberazioni del collegio dei docenti.
Al riguardo, deve osservarsi che la legge attribuisce al collegio dei docenti nella materna di cui trattasi un « potere deliberante », che trova limiti solo nella garanzia della libertà di insegnamento. Una volta, pertanto, che sia stato accertato, come nel caso, il
rispetto di tale limite, deve ammettersi che le deliberazioni di cui trattasi sono vincolanti nei confronti anche dei docenti dissen zienti in minoranza, non prevedendo la legge che esse debbano essere adottate all'unanimità per la loro piena operatività, né concedendo ai singoli dissenzienti una facoltà di dissooiazione nell'attuazione dei programmi didattici ed educativi deliberati.
(Omissis)
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A
BRUZZO; sentenza 6 ottobre 1983, n. 312; Pres. Schinaia, Est. D'Agostino; Di Ponzio e altri (Avv. Colagrande, Scoca) c. Direttore didattico 3° circolo de L'Aquila <Avv. dello Stato
Camerini).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'A
BRUZZO; sentenza 6 ottobre 1983, m. 312; Pres. Schinaia,
Istruzione pubblica — Scuola elementare — Avvicendamento
degli insegnanti consolidati con i titolari — Legittimità (R.d. 5 febbraio 1928 n. 577, t.u. delle leggi delle norme giuridiche sulla istruzione elementare, post-elementare e sulle sue opere di
integrazione, art. 64; 1. 24 settembre 1971 n. 820, norme sull'ordinamento della scuola elementare e sulla immissione in ruolo degli insegnanti della scuola elementare e della scuola ma terna statale, art. 1; 1. 4 agosto 1977 in. 517, norme sulla valutazione degli alunni e sulla abolizione degli esami di ri
parazione nonché altre norme di modifica dell'ordinamento sco
lastico, art. 2).
È legittimo il provvedimento col quale il direttore didattico stabilisce che in una scuola elementare si avvicendino in
posizione di parità, nell'attuazione del programma educativo,
gli insegnanti c.d. consolidati di attività integrative con gli insegnanti titolari di materie curriculari, con lo spostamento dell'insegnamento di questi alle ore pomeridiane in alcuni
giorni della settimana. .(1)
(1) Non si rinvengono precedenti editi in termini. Una limitata analogia, in quanto identico ne è il percorso argo
mentativo, può essere riscontrata nella decisione T.A.R. Emilia-Roma gna, sede di Parma, 17 giugno 1982, n. 140, Foro it., Rep. 1983, voce Istruzione pubblica, n. 154, ove si sostiene che l'assistenza alla mensa la quale, sulla scorta della 1. 24 settembre 1971 in. 820, costituisce un fondamentale momento educativo nell'ambito della giornata e della realtà scolastica, non può non essere che il punto di collegamento fra le ore di insegnamento spettanti ai c.d. insegnanti curriculari e le ore di attività integrativa; conseguentemente, la predetta attività di assistenza può essere indifferentemente affidata ad entrambe le categorie di insegnanti, sia per lo stretto contatto tra i due tipi di insegnamento (pacificamente riaffermato dalla 1. 4 agosto 1977 n. 517), sia per l'obbligo di prestazione, per tutti i docenti, delle venti ore mensili di attività non strettamente didattiche, ma comunque connesse al funzionamento globale della scuola, ai sensi dell'art. 88 d.p.r. 31 maggio 1974 n. 417.
Il tipo di ragionamento che sta alla base delle due decisio ni è, in larga misura, comune, anche se, nella sentenza che si riporta, si fa perno, con maggior convinzione, sulle nuove caratteri stiche impresse dalla 1. n. 517/77 alla scuola elementare a tempo pieno e, segnatamente, sul superamento del c.d. principio dell'unicità di classe, già codificato dall'art. 64 r.d. 5 febbraio 1928 n. 577, e sulla conseguente regola dell'alternanza che consentirebbe l'avvicen damento degli insegnanti di materie curriculari e di quelli addetti ad attività integrative sia per le ore antimeridiane che nel pomeriggio.
Comune, infine, ad entrambe le decisioni è, per cosi dire, la « rivalutazione » del ruolo giocato dalla figura del direttore didattico, alla luce dell'art. 3 d.p.r. n. 417/74, tra i cui compiti rientra, senza
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Diritto. — Nessuno dei proposti profili si appalesa meritevole
di accoglimento. Per quel che concerne il primo, io particolare, il collegio
ritiene opportuno premettere alcune considerazioni d'ordine gene rale sulla c.d. scuola a tempo pieno: solo con un'esatta qualifica zione e determinazione di quest'ultima può in concreto saggiarsi la conformità o meno del mezzo, modellato sulla necessità di
mantenere distónti gli insegnamenti curriculari (di oui sono titolari
gli odierni ricorrenti) dagli altri, con ogni conseguenza anche in
ordine alla organizzazione dell'attività didattica.
Le docenti c.d. curriculari partono infatti dalla premessa che
l'integrazione didattica disposta con I. n. 820 (e successivi prov vedimenti normativi citati in narrativa) non abbia alterato la
distinzione di ruoli e di attività didattiche nell'ambito della
scuola: gli insegnanti di attività integrative, in questa logica, avrebbero una configurazione certo non molto diversa dal c.d.
doposcuola fino a confondersi con quelle attività di supporto educativo {musica, lingue straniere e via elencando) richiedenti
una specifica seppur settoriale preparazione. Le parti ricorrenti
intendono evidentemente rivendicare la titolarità dell'insegnamen to nella sua più vasta accezione, come conseguenza cioè di un
rapporto immediato e diretto tra unicità di classe e unicità di
docente nella scuola elementare (art. 64 r.d. 5 febbraio 1928 n.
577). In tale prospettiva l'immissione di altri insegnanti che per
diverso titolo — sia di immissione negli organici della scuola
(c.d. consolidamento) sia per la destinazione didattica c.d. integra
tiva — vantino identità di posizione nei confronti della intera
organizzazione didattica sembra agli stessi ricorrenti una violazio
ne del principio costituzionalmente garantito della libertà d'inse
gnamento. Posto infatti che la titolarità pertiene ad unico inse
gnante, ogni determinazione che revochi o sminuisca l'esercizio di
quella titolarità (quale ad esempio l'obbligo di prestare attività
educativa al momento della refezione, sottraendo cosi ore all'in
segnamento delle materie curriculari) si appaleserebbe ovviamente
presa in violazione di quel principio. Nella delicata controversia la configurazione della posizione
legittimante (diritto o meno alla libertà di insegnamento) assume
la primaria e discriminante funzione di saggiare sia l'interesse al
gravame sia la natura della c.d. scuola a tempo pieno cosi come
programmata (e solo parzialmente attuata) nell'ambito dell'intera
educazione a livello elementare.
Giova ancora premettere che se l'unica fonte della disciplina fosse il 1° comma dell'art. 1 1. 24 settembre 1971 n. 820, il
ricorso si rivelerebbe fondato, non avendo inteso quella disposi zione modificare l'ordinamento di talune scuole elementari. Sta
tuiva la succitata norma che « le attività integrative della scuola
elementare, nonché gli insegnamenti speciali, con lo scopo di
contribuire all'arricchimento della formazione dell'alunno e all'av vio della realizzazione della scuola a tempo pieno, saranno svolti in ore aggiuntive a quelle costituenti il normale orario scolastico, con specifico compito, da insegnanti elementari di ruolo. Il
conseguimento dello scopo di cui sopra dovrà scaturire dalla
collaborazione, anche mediante riunioni periodiche, degli inse
gnanti delle singole classi e di quelle attività integrative e degli insegnamenti speciali».
Il quadro che emerge dalla surriportata disposizione non sem
bra alterare evidentemente i principi richiamati dagli odierni ricorrenti. Infatti: a) si stabilisce che il normale orario scolastico
rimanga di competenza esclusiva dei docenti titolari di cattedra;
b) si individuano due distinti momenti didattici: quello relativo
all'insegnamento delle normali materie curriculari e quello di
integrazione di tale insegnamento. Quest'ultimo, proprio in rela
zione al suo carattere aggiuntivo, non sembra presupporre alcuna
equiparazione con il precedente; c) sono precisate con chiarezza
le diverse finalità delle due specie d'insegnamento: quello del
normale orario scolastico mantiene gli scopi educativi e formativi
propri di quel grado di istruzione; l'insegnamento aggiuntivo sembra soddisfare due diverse esigenze, l'una immediata e l'altra
di mera prospettiva. Esso infatti tende a contribuire all'arricchimento della forma
zione dell'alunno (caratterizzando cioè la mera supplementarità di
quella fase educativa) e costituisce altresì il presupposto per l'avvio della scuola a tempo pieno, dovendosi intendere con
quest'ultima espressione una estensione programmata di un tipo di
alcun dubbio, quello di predisporre i turni di servizio, in vista dell'ottimizzazione delle prestazioni rese agli alunni, soprattutto quando il manoato accordo tra gli insegnanti potrebbe paralizzare, o comunque compromettere, l'attività scolastica a tempo pieno.
In dottrina, cfr., da ultimo, S. Sidoti, Il tempo pieno nella scuola
primaria: ad oltre dieci anni di esperienza, in Riv. giur. scuola, 1983, 549 ss.
scuola diverso dal precedente, con caratteristiche di generalità. È
evidente sotto questo riguardo il carattere strumentale e non
anticipatorio della norma, che pone l'esperienza del tempo pieno quale esito dà una trasformazione dell'intera organizzazione didat
tica e di una rimeditata ristrutturazione dell'insegnamento elemen
tare. Trattandosi, come esplicitamente si ammette, di un avvio
per la formazione di una nuova struttura educativa, la norma
mantiene il normale assetto organizzativo, aggiungendo ma non
modificando alcunché nell'ambito dei rapporti tra normale orario
scolastico (e quindi normale insegnamento delle materie) e ore
aggiuntive (dedicate sperimentalmente all'integrazione, sotto un
profilo non strettamente didattico, ma lato sensu formativo della
personalità degli scolari, del normale insegnamento curriculare).
LI 4° comma dello stesso art. 1 1. n. 820/71 tuttavia prevedeva che « a partire dall'anno scolastico 1971-1972 il ministero per la
p.i. è autorizzato ad (istituire all'inizio di ogni anno scolastico il
numero dei posti necessari ed a statuire con proprio decreto, sentita la terza sezione del consiglio superiore, direttive di orien
tamento per le attivtà e gli insegnamenti di cui al 1° comma ».
Quale che sia il significato di quest'ultima disposizione è
problema di una certa complessità. Formalmente la disposizione sembra aver connotazioni meramente esecutive (autorizzando al
l'uopo il ministero per la p.i. alla mera istituzione dei posti per
ogni anno scolastico) e di corredo pratico per l'attivazione di
quanto stabilito nel 1° comma (legittimando, previa consultazione
tecnica, l'emanazione di direttive di orientamento per le attività e
gli insegnamenti). Senonohé una autorizzazione a livello legislativo ha ragione
d'essere per la — discrezionale — individuazione del numero dei
posti necessari, attenendo alla fase organizzativa direttamente
sottoposta alla guarentigia dell'art. 97 Cost.; di meno facile
comprensione è l'aspetto autorizzativo per la determinazione in forma decretale delle direttive di orientamento per il complesso di attività e di insegnamento di cui al 1° comma. Non sfugge certo che in quella parte della disposizione il riferimento non
riguarda esclusivamente le attività integrative, bensì l'intero in
segnamento scolastico elementare. Ne consegue che di potere di
direttiva ha un senso proprio in funzione della coesistenza di due diversi tipi di insegnamento, seppure qualificati e separati dalla stessa legge istitutiva. La potestà di direttiva va pertanto correlata alla necessità di fornire gli strumento giuridici per organizzare nelle singole scuole la coerenza dei due programmi didattici
(ordinario ed integrativo). Alla luce di tali considerazioni emerge con ogni evidenza come
il 4° comma dell'art. 1 1. n. 820/71 sia altresì norma autarizzatri ce di potestà regolamentare e non già mera previsione di un
sempre esercitarle potere di direttiva. Non avrebbe avuto infatti senso richiamare in una norma legislativa l'esercizio di una facoltà connessa naturalmente alla supremazia del complesso organizzatorio in cui doveva estrinsercarsi la sperimentazione didattica di cui si discorre. La capacità di imprimere direttive è connaturata alla funzione di organo sovraordinato e preposto quale il ministro nei confronti dell'intero apparato dipendente: una
previsione esplicita di detto potere non è punto necessaria e,
quand'anche sussista, essa va interpretata nel senso non di una mera individuazione di competenze, bensì nella denotazione di un
rapporto determinato da una fonte normativa. Nel caso che
interessa, l'elemento caratterizzante è il decreto ministeriale, tipica espressione anche di potere regolamentare, sia perché sotto il
rispetto delle regole d'ermeneutica, sia avuto riguardo alla struttu ra e alla funzione dei rapporti in organi complessi, consegue con certezza che la succitata disposizione costituisce esempio — anche
se non di pregevole fattura — di norma delegante l'autorità
amministrativa per quanto riguarda la pratica attuazione del
principio fissato nella legge.
Tale premessa consente di individuare nel d.m. 28 febbraio
1972 la fonte regolamentare del particolare tipo di scuola indica
to come modello di sperimentazione. Il suddetto d.m. è diviso organicamente in una premessa e due
parti. Nel preambolo si precisa che tutte le indicazioni circa l'attività
integrativa e gli insegnamenti speciali, avendo carattere sperimen tale in funzione dell'avvio al tempo pieno, non precludono ad
ogni utile contributo sottolineando così la provvisorietà del relati
vo contesto. Ciò premesso il d.m. impartisce indicazioni operative, facendole precedere da indicazioni di massima per la progressiva realizzazione della scuola a tempo pieno (cui le attività integrati ve e gli insegnamenti speciali sono finalisticamente orientati).
Tra i criteri di massima finalizzati, come si è detto alla
progressiva realizzazione della scuola a tempo pieno, vengono
individuati i seguenti indicati con i puinti 1) e 3).
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PARTE TERZA
Quanto al punto 1), di fatto educativo scolastico, superato il
momento tradizionale del solo insegnamento, tende a realizzarsi
attraverso una successione organica e unitaria di momenti educa
tivi (culturale, artistico-espressivo, ricreativo o ludico, aperto an
che ad agenti culturali esterni alla scuola, di ricerca e di
esperienza personale e di gruppo, di attività socializzanti), avva
lendosi non più soltanto del rapporto docente unico-alunno, ma
dell'intervento di diversi insegnanti debitamente preparati e
operanti in collaborazione tra loro.
Quanto al punto 3), la pluralità degli interventi e la necessaria
unità dell'azione educativa esigono la convergenza di tutte le
attività alla effettiva animazione del processo formativo dell'alun
no. Questo dà significato alla necessità di collaborazione, oppor tunamente organizzata e coordinata dal direttore didattico, fra gli
insegnanti sia per specifica identificazione delle finalità che si
vogliono conseguire in relazione all'ambiente in cui la scuola
opera, sia per l'individuazione di criteri, modalità, mezzi per la
realizzazione delle attività programmate.
Quanto sopra senza prescindere, tra l'altro, dalla applicazione
di una vera metodologia di sperimentazione per la ricerca di
soluzioni pedagogicamente valide, intesa a realizzare, anche attra
verso le attività integrative e gli insegnamenti speciali, la trama
di una nuova scuola elementare a tempo pieno. Nell'ambito delle indicazioni operative si prevede, oltre all'ov
via previsione dell'esistenza di una sufficiente attrezzatura e
all'invio ad una partecipazione responsabile di tutte le componen ti della comunità scolastica, quanto segue:
Al punto 2), l'esatta impostazione del rapporto tra attività
integrativa, insegnamenti speciali e lavoro scolastico tradizional
mente inteso, precisando al riguardo che ogni concessione gerar chica dei momenti educativi va decisamente superata sicché
nessuna delle attività va vista in funzione complementare alle
altre, concorrendo ciascuna di esse ad animare un unico proces
so di crescita attraverso una molteplicità di « modelli », di occa
sioni stimolanti, di concrete possibilità di espressione. AI punto 3) l'individuazione chiara di ambiti di attività integra
tiva e di contenuti per insegnamenti speciali chiarendo che le
prime, in quanto tali, possono investire tutte le disciplina di
studio, approfondendone, con tecniche adeguate, aspetti e appli cazioni particolari in modo da gratificare al massimo la possibilità di libera espressione dell'alunno, il suo bisogno di conoscere e di
fare, le sue capacità creative.
Al punto 4), la composizione di un orario atto a garantire la
fluida articolazione di tutti i momenti educativi (compreso quello della mensa scolastica aperta a tutti gli alunni), collocando
ciascuno di essi al posto più adatto della giornata scolastica, senza forzatura o accomodamenti unilaterali e senza che alcuni
momenti siano privilegiati rispetto ad altri. Il d.m. sottolinea al
tresì che l'impegno di 25 ore settimanali (comune peraltro a tutti
gli insegnanti sia di materie ordinarie sia di attività integrative o
speciali) conduce a presumere la libera utilizzazione degli inse
gnanti di attività integrativa nell'intero arco della giornata scola
stica e quindi anche al mattino, tenendo conto che l'orario deve scaturire da una programmazione comune.
Al punto 5), l'utilizzazione di insegnanti preparati non soltanto
al loro specifico intervento educativo, ma anche alla nuova
dinamica della vita scolastica, prevedendo l'eventualità di passag
gio — per uno stesso insegnante — dall'uno all'altro dei diversi
compiti di insegnamento, ovviamente senza soluzioni di continuità
didattica anche al fine di non circoscrivere l'intervento educativo
entro i limiti definitivi che potrebbero determinare degenerazioni e scadimenti tecnicistici.
L'ampio quadro di indicazioni emergenti dal d.m. 28 febbraio
l'872 consente di stabilire che le previsioni del legislatore indicate
nel 1° comma dell'art. 1 1. n. 820/71 sono state se non sovvertite,
quanto meno modificate attraverso il regolamento autorizzato dal
successivo 4° comma.
Dalla visione statica — o quanto meno cauta — di un processo molto graduato all'avvio del tempo pieno nella scuola elementare, si passa per mezzo del regolamento ad un dinamico tentativo di
anticipazione dei tempi necessari attraverso una strumentazione
che seppure non si rivela in contrasto con la disposizione a
livello legislativo, tuttavia la comprime e la modella ai fini
necessariamente innovativi della prevista sperimentazione didattica.
Invero attraverso la delegazione regolamentare, il momento
attuativo assume connotazione assai più incisiva di quanto assu
ma la mera previsione legislativa. Ciò si ottiene soprattutto attraverso una interpretazione estensiva del significato di « ore
aggiuntive a quelle costituenti il normale orario scolastico ». Priva
delle specificazioni regolamentari l'espressione non altro può si
gnificare che quanto sopra indicato nell'introduttiva esegesi del
succitato 1° comma, il d.m. 28 febbraio 1972 allarga, senza però
snaturare o sconvolgere la volontà legislativa, il concetto di ore aggiuntive e lo coordina con due elementi presenti peraltro nello stesso comma: a) la parità di posizione giuridica degli insegnanti di attività integrative rispetto agli altri (con la conseguente partecipazione anche oirca l'orario di servizio uguale per tutte le
categorie di docenti: 25 ore settimanali); b) la necessità del
conseguimento dello scopo collegato ad una collaborazione assai stretta fra insegnanti delle singole classi e quelli immessi per la realizzazione del c.d. tempo pieno. Tale collaborazìione, nonostan te le positive indicazioni del d.m. più volte citato, non arriva al concetto assoluto di interscambio di esperienze e di didattica, posto che permane la distinzione tra insegnanti di classe e di attività integrative. Il principio della corrispondenza della cat tedra ad unica classe non viene formalmente intaccato, benché nella sostanza le direttive ministeriali accennino piuttosto esplici tamente a questa possibilità. Tuttavia è certo che il regolamento, pur autorizzato, non possa immettere disposizioni in contrasto con la fonte delegante: nel caso dà specie si è cioè in presenza di una forzatura tendenziale, che non altera peraltro i principi riconfermati nella legge.
Quale che fosse infine l'effettiva finalità (se in concreto sussi stesse o meno contrasto tra legge e regolamento) è problema privo dei caratteri dell'attualità, atteso che la 1. 4 agosto 1977 n. 517 ha modificato l'assetto organizzativo delle scuole in cui viene realizzato il c.d. tempo pieno. Al rapporto unitario tra classe e docente (art. 64 r.d. 5 febbraio 1928 n. 577) viene sostituito il concetto di unità di ciascuna classe (anche per ovvie esigenze organizzative), cui peraltro non corrisponde unicità di insegnante, potendo la programmazione educativa comprendere gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse relativamente ad attività scolastiche integrative <art. 2 1. 5 luglio 1977).
Alla stretta interdipendenza tra classe ed insegnante si sosti tuisce cosi un'elastica struttura, che tiene come punto fisso la
ripartizione in classi, lasciando peraltro relativamente gli altri termini della struttura {insegnamento non solo per classe, ma anche per gruppi da parte di diversi docenti).
La finalità perseguita è di ogni chiarezza: si tende cioè a creare gruppi omogenei sotto il profilo educativo superando in parte i limiti imposti dalla precedente legislazione, che assegnava un ambito monoclasse agli interventi dell'attività integrativa.
Ciò, evidentemente, contrastava con gli interessi perseguiti dalla realizzazione del c.d. tempo pieno visto come esperienza educati va completa (anche se non totalizzante) nella quale lo studio della personalità dell'alunno sia posto in primo piano. Tale connessa meta viene perseguita attraverso la modificazione non già degli strumenti di rilievo della succitata personalità, bensì attraverso una corresponsabilizzazione all'uso e alla tenuta di quegli strumenti da parte di tutti i docenti interessati; in questa logica si spiega il principio sancito dal successivo art. 4 1. n. 577/77 che conseguenzialmente stabilisce essere tenuti l'insegnante o gli insegnanti di classe « a coltivare ed a tenere aggiornata una scheda personale dell'alunno... ».
La suindicata disposizione costituisce in pratica il punto d'arri vo di tutte le precedenti considerazioni per la coesistenza nella medesima di due fondamentali affermazioni relative al thema decidendum: a) il riconoscimento della parificazione tra insegnan ti di attività curriculari e integrative non solo sotto il profilo giuridico dell'identità di status nell'ambito dell'amministrazione, bensì anche nel contesto operativo concreto dell'educazione sco lastica; b) il rafforzamento di tale principio (peraltro desumibile dalle sopra richiamate disposizioni regolamentari) per il tramite dell'enunciazione della corresponsabilità educativa, di cui è im mediata conseguenza l'obbligo di tenere insieme le schede degli ulunni. E non è un caso che tale tenuta gravasse precedentemen te sugli insegnanti titolari di classe.
11 significato delle innovazioni legislative sul punto costituisce — come si è detto — riflesso immediato del concetto di scuola a
tempo pieno introdotto con 1. n. 820/71 e lumeggiato con
maggiore ampiezza dal d.m. 28 febbraio 1972. Scuola a tempo pieno cioè non vuol dire mera aggregazione temporale di fasi educative totalmente distinte per struttura, caratteri, organizzazio ne e finalità d'insegnamento, bensì fusione organica ed equilibrata di diversi modi di svolgere in unico contesto e con identici
destinatari l'attività didattica ed educativa. La realtà emergente ormai con assoluta trasparenza dalla 1. n. 577/77 è che nella scuola a tempo pieno operano con identità di status (in qualità cioè di co-docenti) l'insegnante di materie curriculari e di attività
integrative, posto che non esiste più alcuna scissione tra i due momenti educativi: ciò significa, in altre parole, il superamento — nel limitato ordine di scuole o plessi in cui la riforma è stata attuata — del tradizionale insegnamento da parte del docente
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
titolare di classe, realizzandosi l'istruzione elementare in un
complesso organizzato e polivalente di fattori educativi attivati di
volta in volta da insegnanti con mansioni esattamente comple mentari e — secondo l'ardita o quanto meno suggestiva imposta zione deducibile dallo stesso regolamento del 1972 — perfino scambiabili: quest'ultima affermazione merita peraltro una
ulteriore precisazione relativa ai rapporti intercorrenti tra i due
ordini di insegnanti.
Con circolare telegrafica n. 178 del 17 gennaio 1980 il ministe
ro della p.i. ha disposto, a partire dall'anno scolastico 1980-81, il
graduale consolidamento negli organici dei singoli plessi di tutti i
posti a tempo pieno istituiti in virtù dell'art. 1 1. n. 820/71 e con
successiva circolare n. 99 prot. n. 1445 del 21 marzo 1981 ha
stabilito tra l'altro che nell'accertamento delle condizioni indi
spensabili per la prosecuzione delle esperienze in atto si tenesse
in debito conto (punto 4, lett. d) il grado di cooperazione fra gli
insegnanti tenuto conto che per la realizzazione del progetto è
indispensabile acquisire preventivamente il consenso degli inse
gnanti interessati, sia titolari che nominati ex art. 1/820 (disposi zione pedissequemente ripetuta nella circ. n. 140 prot. n. 2544 del
23 maggio 1980). Ciò significa che, nel momento di introdurre
nell'ambito della scuola una modificazione sostanziale della posi zione dell'insegnante titolare, si è prevista, opportunamente, l'ade
sione preventiva (di un vero e proprio assenso cioè) da parte del medesimo docente, stante il voluto carattere sperimentale, del c.d.
tempo pieno, nella sua prima attuazione. I docenti titolari aveva no in precedenza manifestato il loro consenso a quella modifica zione (implicitamente accettando la cooperazione a livello didatti
co-educativo con l'insegnante consolidato). Se così stanno le cose, il principio di adesione alla modificazione organizzativa (consen tendo l'immissione di un secondo insegnante di ruolo nella medesima classe) va portato a tutte le sue naturali conseguenze, quale quella già prevista nel d.m. 28 febbraio 1972 e perfezionata nel corso degli anni della c.d. alternanza di turni siccome prevede
l'impugnata circolare n. 141 del 1982.
È bene a tale proposito chiarire come per alternanza non
debba intendersi una mera ripartizione alternata tra l'orario
meridiano e pomeridiano dell'insegnamento delle aree formative di primitiva competenza (materie curriculari e integrative) bensì
come coinvolgimento al programma educativo di tutti i docenti
(titolari e consolidati) sì da non distinguere più l'attribuzione
delle aree formative medesime come esclusiva pertinenza dell'uno
o dell'altro contitolare di olasse: oiò equivale a ritenere che la diversa impostazione del modello di scuola a tempo pieno abbia naturalmente superato la precedente concezione dell'insegnamento delle aree formative come elementi legati soltanto da una cerniera normativa. Il principio del cointeressamento alla programmazione educativa e la circostanza che gli insegnanti consolidati hanno gli stessi requisiti dei loro colleglli titolari (trattandosi in ambedue i casi di insegnanti di ruolo) alterano evidentemente il precedente riparto di competenze e provocano una necessaria cooperazione tra i docenti nel perseguimento degli obiettivi previsti nel pro gramma medesimo. L'avvicendamento d'orario secondo i criteri
all'uopo stabiliti nel progetto educativo rientra perfettamente in
questa prospettiva. Se consolidamento altro non vuol significare che titolarità provocata da uno specifico ampliamento di organici, la conseguenza è che -i contitolari (quale che sia la loro prove nienza) debbono muoversi di comune accordo nelle tracce del
progetto educativo alla cui formazione hanno entrambi concorso.
L'obiettivo diventa allora anche sistema di riferimento per valuta re non già le originarie competenze (cioè la causale dell'inseri mento nell'organismo della scuola) bensì le attività educative e
didattiche siccome conferenti all'obiettivo medesimo. In questa
logica acquista il massimo rilievo la singola predisposizione a
portare avanti una parte del programma (sia in funzione di
esperienze specifiche a suo tempo maturate, sia per un'inclinazio
ne a trovare meglio tale parte nel programma anziché un'altra): la predisposizione viene allora collegata dal direttore didattico ad
una determinata fase educativa in modo da ottenere non già un
equilibrio di posizioni nell'ambito della prestazione del servizio,
bensì' la migliore applicazione del docente in funzione dei desti
natari dell'insegnamento. Ecco che l'avvicendamento per turni (la
c.d. alternanza) non può rimanere fisso per l'intero anno scolasti
co i(esso non è una modificazione di orario) e deve riguardare
esclusivamente la migliore integrazione del corpo docente per il
perseguimento del risultato. Questa è la ratio della c.d. alternanza,
finalizzata alla massima produttività didattica ed educativa dei
moduli scolastici già previsti dalla legge n. 820/71 nonché dal
regolamento contenuto nel d.m. 28 febbraio 1972.
L'alternanza, in altre parole, è conseguenza del modello educa
tivo prefisso dal legislatore e ha un senso solo ove corrisponda
alle esigenze indicate nel progetto educativo elaborato dalla
scuola. Quest'ultimo diviene cioè lo schema non solo dei risultati
(quale invero appare in molte generiche espressioni il progetto adottato dalla scuola a tempo pieno Santa Barbara per l'anno
scolastico 1982-83), ma anche e soprattutto delle procedure neces
sarie per il conseguimento dei primi: alle procedure corrisponde la titolarità di una fase educativa. Diversamente la scelta del
direttore didattico potrebbe apparire come mera mediazione tra
interessi o esecuzione burocratica di decisioni del corpo di
docenti. Nessuna delle due ipotesi si rivela in consonanza con le
osservazioni che precedono, nel mentre ha come sua propria
conseguenza con tutto il discorso una scelta svolta in funzione
del duplice elemento delle singole predisposizioni in relazione alla
base educativa.
L'attività del direttore didattico assume in proposito le qua lificanti caratteristiche di un opportuno coordinamento e in
definitiva di una personale responsabilizzazione al perseguimento del progetto educativo.
Non sembra invero che gli atti impugnati siano stati armoniz
zati in funzione delle esigenze sopra illustrate. Tuttavia l'osserva
zione rimane priva dii ogni rilevanza, atteso che il primo mezzo
del ricorso si muove nella diversa logica di negare ogni cittadi
nanza al principio dell'avvicendamento e comunque sottoponendo
lo ad una serie di condizioni procedimentali che non risultereb
bero essere state rispettate nel caso di specie.
Le considerazioni che precedeno consentono tuttavia di supera
re agevolmente sia l'obiezione fondamentale (cioè illegittimità
della c.d. alternanza) sia le diverse censure alla stessa collegate.
Posta infatti la profonda modificazione intervenuta con la previ
sione della scuola cosiddetta a tempo pieno, non ha più senso
invocare il principio dell'unicità di classe (art. 64 r.d. 5 febbraio
1928 n. 577); la scuola a tempo pieno è organizzata sull'opposto
principio della contitolarità di cui l'alternanza è solo una conse
guenza operativa.
Né ha pregio la doglianza secondo cui l'introduzione dell'alter
nanza avrebbe dovuto essere inclusa nelle modalità di attuazione
del progetto educativo: si confonde cosi una premessa della legge istitutiva del cosiddetto tempo pieno, con le previsioni di uno
strumento di attuazione fondato tutto — fuorché ovviamente le
parti tecniche e pedagogiche — in quelle premesse.
È logico cioè che l'atto di esecuzione si muova nel contesto dei
principi che regolano la materia e non che lo stesso acquisti carattere informatore.
In ogni caso la stessa esistenza del progetto va del tutto
staccata dall'adesione al principio della cosiddetta alternanza il
medesimo costituendo uno dei presupposti logico-giuridici della
praticabilità del progetto.
La diversa prospettiva in cui va posto il rapporto tra criterio
dell'avvicendamento e progetto educativo toglie rilievo alle due
successive censure secondo cui vi sarebbe stata la necessità dii
approvazione della c.d. alternanza da parte delle competenti autorità, oltre che dell'assenso sia delle famiglie sia degli inse
gnanti interessati. Esattamente rileva il patrocinio erariale come di
principio dell'avvicendamento non fosse affatto nuovo nell'ordi
namento scolastico elementare, discendendo dalle caratteristiche
per cosi dire intrinseche della scuola a tempo pieno e che
proprio l'originaria adesione degli insegnanti titolari di classe
all'attuazione di tale sperimentazione ha modificato i contenuti
del diritto alla libertà d'insegnamento. La conseguenza è che la
carenza della posizione soggettiva legittimante revochi in dubbio
la stessa sussistenza di un interesse tutelabile in questa sede.
Indipendentemente da tale conseguenza, è certo che nessuna
specifica approvazione da parte delle superiori autorità si appale sa necessaria per l'attuazione dell'avvicendamento (raccomandato
espressamente da queste ultime): le approvazioni relative al
progetto riguardano la validità dello stesso e si collocano in
un'area di valutazioni tecniche in cui il punto censurato costitui
sce nuli'altro che una premessa.
Quanto poi alla necessità di un placet sia da parte delle
famiglie che dei docenti interessati, va subito osservato che la
censura confonde tre momenti cronologicamente e logicamente assai diversi: quello dell'adozione del tempo pieno (ormai irrevoca
bile giusta le precedenti premesse), quello dell'adozione del
progetto (nel cui ambito avrebbero potuto trovare rilievo le
proposte sia degli insegnanti sia delle famiglie cosi come sugge
riscono le circolari n. 146 del 23 maggio 1980 e n. 99 del 21 marzo
1981) e quello dell'attuazione del progetto (fase in cui le diverse
componenti sopra indicate hanno già consumato ogni potere
d'intervento). Ed è in tale ultima fase che vanno collocati gli atti
impugnati (ad eccezione della circolare n. 141 del 1982).
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PARTE TERZA
Nessun pregio ha peraltro il secondo motivo, a sua volta
ripartitale in tre diversi ordini di censura.
Secondo la prima doglianza l'argomento votato non sarebbe
stato compreso nell'ordine del giorno. Invero l'applicabilità dell'alternanza non può essere disgiunta
dall'assegnazione degli insegnanti alle varie classi, di cui null'altro
è che la pratica attuazione. Nel verbale n. 30 del 3 settembre
1982 si legge tra gli argomenti all'ordine del giorno: Proposte
per la formazione delle classi. Nel verbale n. 31 del 14 settembre
1982 tra gli argomenti suddetti si legge: Proposte al direttore
per la formazione e la composizione delle classi e assegnazione
degli insegnanti alle medesime.
Queste semplici constatazioni escludono ogni validità del primo
mezzo.
Con la seconda doglianza si censura la mancata partecipazione
al voto di alcuni insegnanti pure presenti cui sarebbe stato
inibito di votare. Invero ebbero luogo due votazioni, di cui solo
la seconda riservata ai docenti del plesso direttamente interessati
e l'altra estesa ai docenti dell'intera scuola. Tutte le votazioni si
risolsero favorevolmente per l'attuazione dell'avvicendamento.
È altresì indubitabile che alle votazioni parteciparono tutti i
membri presenti interessati (anche quelli cioè sopraggiunti in
corso di seduta). Un semplice calcolo lo testimonia. La riunione
si apri con 47 docenti; nel corso della stessa sopraggiunsero altri
sette insegnanti. I risultati indicano 54 presenti e votanti nella prima votazione
(relativa all'intero corso docenti) e 43 nella votazione limitata agli
insegnanti del plesso di S. Barbara.
Dalla seconda votazione furono cioè estromessi sia gli inse
gnanti di altre scuole del plesso sia i docenti non consolidati
della scuola S. Barbara. {Omissis)
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA
LOMBARDIA; sentenza 20 gennaio 1983, n. 20; Pres. Tum
biolo, Est. Leoni; Astesani (Avv. Bianchi, Nespor) c. Min.
pubblica istruzione (Avv. dello Stato Bozzi).
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA
LOMBARDIA; sentenza 20 gennaio 1983, n. 20; Pres. Tum
Impiegato dello Stato e pubblico — Dipendente statale —
Astensione dal lavoro per maternità in alternativa alla madre — Trattamento economico — Determinazione (D.p.r. 10 gen naio 1957 n. 3, statuto degli impiegati civili dello Stato, art. 40,
41; 1. 30 dicembre 1971 n. 1204, tutela delle lavoratrici madri, art. 7, 13, 15; 1. 9 dicembre 1977 n. 903, parità di trattamento
tra uomini e donne in materia di lavoro, art. 7).
Al dipendente statale che si avvalga, in alternativa alla madre, della facoltà di astensione facoltativa dal lavoro per maternità,
spetta il trattamento economico previsto per il congedo straor
dinario per maternità delle dipendenti statali. (1)
(1) Non constano precedenti editi in termini. La sentenza, peraltro, si
muove nell'ottica della applicazione agli istituti giuridici che regolano il trattamento economico del dipendente statale della 1. 9 dicembre 1977 n. 903.
Per altre ipotesi di applicabilità della citata legge, sempre con
riguardo a questioni inerenti al trattamento giuridico ed economico di maternità, cfr., con riferimento al rapporto di lavoro privato subordinato, Pret. Roma 19 maggio 1982, Foro it., Rep. 1982, voce Lavoro (rapporto), n. 707 e iPret. Biella 23 luglio 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 731, che hanno escluso la possibilità di estendere
al padre lavoratore la particolare tutela concessa alle madri lavoratri ci dall'art. 10 1. 1204/71, ritenendo che l'interesse tutelato dalla
norma (possibilità della lavoratrice di assentarsi dal servizio per un massimo di due ore giornaliere retribuite per l'allattamento del figlio) sia indissolubilmente collegato alla condizione specifica della materni tà. Diversamente, tuttavia, Trib. iPavia 18 ottobre 1979, id., Rep. 1980, voce cit., n. 1763, che ha ammesso tale possibilità; iPret.
Bologna 19 marzo 1981, id., 1982, I, 2103, con nota di richiami, che ha sollevato, sul punto, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7 1. 903/77; Trib. Milano 29 maggio 1980, id., 1981, I, 597, con nota di richiami, che, analogamente, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 1. 1204/71 e 6 1. 903/77 nella parte in cui
non prevedono a favore del padre lavoratore il diritto all'astensione
obbligatoria nei tre mesi post partum, allorché venga a mancare nello
stesso periodo l'assistenza al neonato da parte della madre (Corte cost., ord. 5 maggio 1983, n. 130, id., Rep. 1983, voce cit., n. 1383, ha dichiarato inammissibile l'identica questione di costituzionalità solleva ta da Pret. Milano 12 febbraio 1982); Pret. Milano 24 gennaio 1979
(riformata da Trib. Milano cit.), id., 1980, I, 1764, con nota di
richiami, che ha riconosciuto il diritto all'astensione obbligatoria dal
lavoro anche al padre lavoratore. Sul punto cfr. anche Corte giustizia
Diritto. — Il ricorrente chiede che venga accertato il tratta
mento economico a lui spettante per l'astensione facoltativa dal
lavoro di cui ha potuto usufruire quale padre lavoratore.
Il medesimo afferma che, quale insegnante di ruolo presso il 1°
istituto tecnico superiore per il turismo di Milano, gli dovrebbe
essere riservato il trattamento previsto per i dipendenti statali
dagli art. 40 e 41 d.p.r. n. 3/57, e cioè il trattamento di
congedo straordinario, in virtù dell'estensione operata dal combi
nato disposto degli art. 7 1. n. 903/77 e 13 1. n. 1204/71. L'assunto del ricorrente va condiviso.
Invero, il trattamento economico spettante in tutte le situazioni
giuridiche previste dalla 1. n. 1204 del 30 dicembre 1071 sulla
tutela della lavoratrici madri è disciplinato dal titolo secondo di
tale legge (art. 13 e 22). All'art. 13, 2° comma viene previsto che alle dipendenti delle
amministrazioni dello Stato, ecc. si applichi il T.E. previsto dai
relativi ordinamenti, salve le disposizioni di maggior favore risul
tanti dalla legge stessa.
Ratio della norma è indubbiamente quella di introdurre un
meccanismo che assicuri al dipendente il massimo di tutela
possibile, fissando un trattamento standard, quello della 1. 1204
del 1071, e rendendolo tuttavia fungibile con altri trattamenti, di
cui il dipendente possa fruire per effetto degli ordinamenti degli enti di appartenenza purché più favorevoli.
Tale meccanismo di sostituzione automatica interviene ogni
qualvolta se ne configurino gli estremi di operatività: è per questo che, laddove l'art. 15 della stessa legge al 1° comma prevede, per le lavoratrici madri, una indennità giornaliera pari all'80 % della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria, per le
dipendenti statali si applica il più favorevole art. 41, 1° comma, t.u. n. 3/57 che dichiara la dipendente aver diritto al pagamento di tutti gli assegni. Analogamente, mentre il 2° comma dell'art. 15 1. n. 1204 del 1971 prevede, per i periodi di astensione facoltativa una indennità giornaliera pari al 30 % della retribuzione, il meccanismo sostitutivo garantisce alla dipendente statale il più favorevole trattamento di cui all'art. 41, 2° comma, cit., consistente nell'applicare il T.E. previsto per il congedo straordi nario e cioè l'intera retribuzione per il primo mese di congedo e riduzione del 20 % per il secondo.
Con l'introduzione, nel nostro ordinamento della 1. 9 dicembre
1977 n. 903, riguardante la parità di trattamento tra uomini e
donne in materia di lavoro, si è fatto un ulteriore passo avanti
per quanto riguarda l'applicabilità dei sopra menzionati istituti.
Invero, l'art. 7 della legge citata prevede che « il diritto di
assentarsi dal lavoro e il T.E. previsti rispettivamente dall'art. 7 e
dal 2° comma dell'art. 15 1. 30 dicembre 1971 n. 1204 sono
riconosciuti anche al padre lavoratore (omissis) in alternativa alla
madre lavoratrice ovvero quandi i figli siano affidati al solo
padre ».
Orbene, sostenere come fa la difesa dell'amministrazione e
come appare dal testo del parere del ministero del tesoro, rag.
gen. Stato, 160P, che il dettato legislativo non consente, per la sua tassatività, di estendere, al padre lavoratore, di meccanismo
sostitutivo per il più favorevole trattamento individuato dall'art.
13, 2° comma, 1. n. 1204 del 1971, pare al collegio che urti
contro i criteri che sovraintendono alla interpretazione delle
norme in base ai quali la norma inon va interpretata solo in se e
per se, ma con riferimento logico sia al complesso del provvedi mento di legge in cui è contenuta sia alle singole norme in esso
ricomprese. Una norma, qual è quella dell'art. 15 1. n. 1204 del 1971,
regolante una situazione di trattamento economico, è inserita in
un apposito titolo, il II, avente ad oggetto appunto il T.E.
CEE 26 ottobre 1983, causa 163/82, id., 1984, IV, 119, con nota di De Luca, La « parità di trattamento » tra lavoratori e lavoratrici nell'ordinamento italiano: prime riflessioni su una sentenza « assolu toria » della Corte comunitaria, par. 5.
Sulla disciplina dell'assenza facoltativa post partum delle dipenden ti di enti pubblici cfr. anche T.A.R. Umbria 10 aprile 1981, n. 132, id., Rep. 1981, voce Impiegato dello Stato, nn. 929, 930, nel senso, ritenuto dalla sentenza che si riporta, della necessità di coordinare la
disciplina generale dell'art. 15 1. 1204/71 con la normativa di settore di cui agli art. 40, 41 t.u. 10 gennaio 1957 o. 3, disciplinante il
congedo straordinario per maternità delle impiegate dello Stato e pubbliche, e Corte conti, sez. contr., 28 giugno 1982, n. 1262, id., Rep. 1983, voce cit., nn. 1009-1011.
In tema di parità di trattamento tra uomo e donna nel rapporto di lavoro v., da ultimo, Cass. 11 gennaio 1984, n. 209, Foro it., 1984, I, 982, con nota di richiami.
Sulla astensione facoltativa per maternità, da ultimo, cfr. Corte cost. 27 giugno 1984, n. 183, ibid., 2059, con nota di richiami.
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