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Sentenza 7 dicembre 1960; Giud. Vassallo; imp. Di Bella

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Sentenza 7 dicembre 1960; Giud. Vassallo; imp. Di Bella Source: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 9 (1961), pp. 177/178-183/184 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23175028 . Accessed: 25/06/2014 00:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 195.78.108.185 on Wed, 25 Jun 2014 00:15:01 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 7 dicembre 1960; Giud. Vassallo; imp. Di BellaSource: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 9 (1961), pp. 177/178-183/184Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23175028 .

Accessed: 25/06/2014 00:15

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

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177 GIURISPRUDENZA PENALE 178

namento con la legge 15 dicembre 1954 n. 1322, secondo la

quale (art. 3) la proprietà industriale si intende nella acce

zione più larga e si applica non solamente all'industria e

al commercio propriamente detti, ma anche ai prodotti delle industrie agricole, « per esempio, piante, fiori, frutta ».

La difesa degli imputati sostiene anclie la illegittimità e la nullità del brevetto, ai sensi dell'art. 59, n. 3, e art. 28, 2° comma, r. decreto 29 giugno 1939. Secondo tali dispo sizioni « l'invenzione deve essere descritta in modo da con

sentire a ogni persona esperta di attuarla ».

Nella specie non si ravvisa alcuna carenza di descrizione.

Il brevetto indica i « genitori » della nuova pianta :

« trionfo liscio » ed « Elberta precoce » e ciò è sufficiente.

Poiché, tuttavia, la ragione delle norme anzidette è

quella di consentire, alla scadenza della privativa, lo sfrut

tamento libero del prodotto, deve rilevarsi che tale sfrut

tamento si presenta semplice nel caso in esame. Invero co

loro che non vorranno seguire il più complesso sistema della

« ibridazione », potranno produrre il nuovo frutto attraverso

l'innesto e cioè con il più facile dei procedimenti. Le dispo sizioni degli art. 28 e 59, n. 3, legge sui brevetti vanno

interpretate nel senso che il brevetto è nullo solo nei casi

in cui la descrizione sia ostativa alla futura utilizzazione del

prodotto inventato.

Sotto un terzo profilo si assume la illegittimità e la nul

lità del brevetto, per carenza del parere obbligatorio del

Consiglio superiore di sanità (art. 32), trattandosi di comme

stibili. Manca, invero, nell'atto la espressa indicazione « sen

tito il parere del Consiglio superiore di sanità ». Senonchè

da tale mancanza non si può dedurre l'esistenza di un vizio

nel procedimento formativo della volontà dell'Amministra

zione. Il brevetto infatti rappresenta l'atto conclusivo di

tale procedimento e la manifestazione esterna della volontà

della pubblica Amministrazione. Per norma generale non è

necessario che tale atto contenga, a pena di nullità, l'indi

cazione dell'intero procedimento attraverso il quale la vo

lontà si è formata. Cosicché, anche quando la legge prevede determinati atti preliminari (nella specie : parere del Consi

glio superiore di sanità) la omessa indicazione del loro com

pimento non inficia la validità dell'atto.

Deve ritenersi invero, in virtù della presunzione di le

gittimità degli atti amministrativi, che il parere fu richiesto

e che esso fu favorevole.

Infine, si assume la decadenza del brevetto per mancato

pagamento delle tasse annuali (art. 48 legge cit.). Le tasse per il mantenimento in vigore del brevetto re

lativo alla pesca Donna Mary dovevano essere pagate, ai sensi dell'art. 48, entro e non oltre il febbraio 1960 (così ha attestato l'Ufficio centrale dei brevetti), « invece sono

state corrisposte tardivamente il 23 giugno 1960 e non sono

state registrate ». « Tuttavia, poiché nei pagamenti prece denti esisteva una eccedenza, gli interessati hanno avan

zato un'istanza di regolarizzazione tardiva delle tasse ai

sensi dell'art. 49 cit. decreto. Tale istanza, depositata il

29 settembre 1960, è in corso di istruzione e, in conseguenza, il brevetto non è stato ancora dichiarato decaduto ».

Balza subito chiaro che, consentendo l'art. 49 una valu

tazione discrezionale della pubblica Amministrazione in

ordine agli « scusabili motivi » che hanno determinato il

tardivo pagamento, non è possibile, in materia, alcun sin

dacato da parte del giudice ordinario. Perciò, al momento

attuale, il brevetto deve essere ritenuto valido. Ove poi ne

venisse dichiarata la decadenza, essa opererebbe a partire dal febbraio I960, vale a dire da una data posteriore ai fatti

di causa.

In definitiva, per tutte le considerazioni sopra esposte, si deve affermare la legittimità del brevetto n. 589705

concesso a Paris Guido.

Ciò premesso, va ripreso l'esame della fattispecie penale,

per valutare se il Fanfarillo ed il Paliani abbiano prodotto il primo e spacciato entrambi pesche in frode al brevetto

n. 589705 rilasciato a Paris Guido.

La fattispecie di cui all'art. 8 prevede ipotesi alterna

tive. La sanzione è unica, verificandosi una o più delle dette

ipotesi.

La condotta consiste nel « fabbricare, spacciare, esporre, adoperare industrialmente, introdurre nello Stato » oggetti in frode a un valido brevetto. Tutti i tipi di condotta ec cetto il 1° e il 4°, postulano un reato istantaneo. La « fabbri cazione » e l'« uso industriale » degli oggetti, integrano in

vece un reato abituale. La « fabbricazione » va intesa come

quel complesso di azioni sufficienti a concludere un ciclo industriale. L'espressione non può essere interpretata let

teralmente ma come sinonimo di produrre ; la estensione del significato è imposta dalla più ampia interpretazione che

sopra si è data all'art. 12 legge sui brevetti, fino a compren dere la produzione di novità vegetali.

Diverso è il valore della locuzione « spacciare ». Sotto

questo profilo è sufficiente un singolo atto di vendita o di « messa in commercio », perchè si realizzi il reato : non è, necessario che si tratti di vendita all'ingrosso o su scala

industriale.

A questo punto si deve stabilire se il Fanfarillo abbia « prodotto » pesche in frode al brevetto Donna Mary.

Le conclusioni della perizia sono esplicite : nei fondi

condotti da Fanfarillo Pietro (tre appezzamenti, due in

affitto di proprietà Torlonia e uno di proprietà dello stesso

Fanfarillo, tutti in località Laghetto, Comune di Castel

gandolfo, e non in località La Traspontina come erronea

mente indicato nel quesito peritale), esistono complessi vamente 56 piante di pesco Donna Mary, che sono identi

che a quelle descritte nel brevetto di cui è titolare il Paris.

Il giudizio di identità è assoluto, fondato anche su analisi

di laboratorio e quindi sull'esame delle qualità estrinseche e intrinseche delle piante e dei frutti, ma tale identità non occorre per l'esistenza del reato. La lesione del diritto di

esclusiva si verifica infatti anche quando vengano prodotti o

spacciati oggetti simili a quelli brevettati, poiché la legge estende la sfera di protezione a tutti i beni che presentino le

caratteristiche essenziali rivendicate nel brevetto. Bisogna

precisare, sulla base dell'ampia formula usata nell'art. 88

(spaccia ... « oggetti » in frode a un valido brevetto d'inven

zione), che non c'è coincidenza tra l'« oggetto del brevetto »

e l'« oggetto materiale del reato ». Infatti il primo può

riguardare non soltanto le cose (prodotti industriali), ma

anche un metodo, un procedimento, ecc. Il secondo com

prende i prodotti brevettati e tutte quelle cose che ripe tono la loro origine dall'illecito e fraudolento sfruttamento

di un brevetto altrui.

Nella specie, comunque, il brevetto è relativo alla pianta e ai frutti che ne derivano. (Omissis)

Per questi motivi, ecc.

PRETDRA DI TRECASTAGNI.

Sentenza 7 dicembre 1960 ; Giud. Vassallo ; imp. Di

Bella.

Iniezioni Propatfanda elettorale in tjiorno di ele

zioni — Ministro di eulto che durante la Messa

inviti i fedeli a non votare per il Partito comunista — Insussistenza di reato (D. pres. 5 aprile 1951

n. 203, t. u. leggi per la composizione e la elezione degli

organi delle amministrazioni comunali, art. 79, 81). Libertà dei culti — Turbamento di funzione religiosa

Dolo — Nozione — Fattispecie (Cod. pen., art. 405).

Non esplica propaganda politica, ma esercita la propria

potestà di governo morale dei fedeli, garantita dal Concor

dato, il sacerdote che, in giorno di elezioni, nel corso della

predica fatta ai fedeli durante la Messa, illustri il con

tenuto di lettere episcopali sul dissidio ideologico fra cat

tolicesimo e comunismo ed inviti i fedeli a non dare il

loro appoggio al Partito comunista o agli altri che lo

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179 PARTE SECONDA 180

sostengono, senza invitarli a votare per determinati gruppi

politici o candidati. (1) Non sussiste il delitto di impedimento o turbamento di fun

zione religiosa, quando l'autore abbia agito, non per arre

care turbamento alla funzione religiosa, ma solo per in

durre il sacerdote a desistere da un comportamento da lui

ritenuto illegittimo. (2)

Il Pretore, ecc. — Nel dibattimento l'imputato Di Bella

ha ampliato il contenuto dell'originario interrogatorio reso al Maresciallo dei carabinieri affermando che il sacerdote Russo non si limitò, durante la predica, a comunicare ai

fedeli le lettere episcopali ed a commentarle, ma indusse i fedeli a votare per la Democrazia cristiana promettendo loro l'acquisto di un televisore in arredamento del circolo

parrocchiale e la sistemazione di una piazzetta nella fra

zione Sarro, per la quale opera, affermò, erano stati già stanziati dei milioni. Viceversa deponendo davanti al Mare

sciallo dei carabinieri, affermò sì che il sacerdote aveva detto ai fedeli di votare per la Democrazia cristiana, ma

non parlò di promesse fatte per indurre i fedeli a votare secondo le sue direttive vincolando ad esse i loro suffragi. Il sacerdote, dal canto suo, ha negato sia di avere invitato i fedeli a votare per la Democrazia cristiana, sia di avere fatto loro le promesse riferite dal Di Bella. I numerosi

fedeli, sentiti come testi, non hanno deposto in verità nel migliore dei modi apparendo anzi la loro deposiziono non molto attendibile. La quasi totalità non avrebbe addi rittura compreso niente del contenuto delle lettere episco pali malgrado il commento illustrativo fatto dal sacerdote, secondo sua ripetuta asserzione.

Fra i fedeli c'era anche una insegnante elementare dell'età di anni 36 (teste Zappalà Maria), la quale ha di chiarato di non ricordare cosa esattamente disse il sacer dote e se, a conclusione del suo dire, invitò i fedeli a votare

per un determinato partito politico. Non è azzardato per tanto dubitare che tutti i testi hanno deposto in questo modo per paura di pregiudicare con le loro risposte la

posizione del sacerdote, anche dichiarando semplicemente, se le cose andarono così, che il sacerdote si limitò a leggere le lettere pastorali ed a commentarle in aderenza al loro contenuto.

Comùnque, dalla deposizione dei testi assunti non è emerso alcun elemento a riscontro delle affermazioni del Di Bella e questo è quanto occorre precisare per la rico struzione del fatto. È da notare poi che le affermazioni del Di Bella si presentano anche esse di per sè inattendibili, oltre

(1) Conf. Trib. Catanzaro 18 dicembre 1957, Passafari, Foro it., Rep. 1958, voce Elezioni, nn. 184-186 ; App. Perugia 17 dicembre 1957, Vannocchi, ibid., nn. 187-189 ; App. Cagliari 19 febbraio 1954, Muroni, id., Rep. 1955, voce cit., nn. 123, 124 ; Trib. Sassari 28 luglio 1953, Muroni, id., 1954, II, 105, con nota di Cochetti. Contra : Pret. Perugia 23 marzo 1957, Vannocchi, id., Rep. 1957, voce cit., nn. 147-149.

Per l'ipotesi di rifiuto di assoluzione durante la confessione, v., in senso conforme, Pret. Benevento 29 ottobre 1958, Di Napoli, id., Rep: 1959, voce cit., n. 112.

In dottrina, v., da ultimo, Giacomazzo, I ministri di culto e le leggi elettorali, in Dir. eccles., 1959, I, 293 ; Casciaro, Ri lievi in materia di abuso delle attribuzioni di ministro del culto e reato elettorale, in Giur. cost., 1959, 1289 ; Cesàro, Considera zioni in tema di rapporti tra Stato e Chiesa, in Temi nap., 1959, II, 108 ; Onida, Il sindacato del giudice italiano sugli atti della autorità ecclesiastica, in Foro it., 1960, II, 42 ; Gabrieli, Delitti contro il sentimento religioso, ecc., Milaro, 1961, n. 91; nonché Gismondi e Lanero, in questa rivista, rispettivamente, 1958, II, 74 e 1959, II, 24, in not alle sentenze rese dal Tribunale e dalla Corte d'appello di Firenze per il caso del Vescovo di Prato.

(2) Non risultano precedenti. La massima pare in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte di cassazione (sent. 20 ottobre 1959, Caronte, Foro it., Rep. 1960, voce Libertà dei culti, n. 10), per la quale è sufficiente, ad integrare l'elemento intenzionale del delitto, la consapevolezza di turbare la funzione religiosa, indipendentemente dal fine ultimo che l'agente si ripromette.

che per mancanza di qualsiasi serio e coordinato riscontro

subiettivo, anche per essere state fatte in dibattimento per la prima volta, mentre la più semplice logica suggerisce che

avrebbe dovuto farle nella immediatezza del fatto, cioè

nell'interrogatorio reso ai Carabinieri, quando più vicina era la percezione delle parole e prepotente l'interesse ad accusare il sacerdote per difendere se stesso. Pertanto, anche se manca del tutto la prova che il sacerdote non indusse i fedeli a votare per la Democrazia cristiana, manca del pari ogni prova che il sacerdote tale induzione fece e conseguen temente il fatto da esaminare rimane circoscritto alla co municazione delle lettere episcopali ed al relativo commento, senza alcun conclusivo invito a votare per la Democrazia cristiana o per determinate persone.

La difesa dell'imputato ha tacciato di illegittimità l'ope rato del sacerdote sia per affermare che il sacerdote faceva

propaganda politica e non celebrava la Messa, sia per affer mare che non il Di Bella avrebbe dovuto essere tratto a

giudizio, ma il sacerdote, per violazione della disposizione contenuta nell'art. 81 t. u. delle leggi per la elezione dei

consigli comunali 5 aprile 1951 n. 203, che vieta lo svolgi mento di ogni propaganda elettorale nei giorni della vota zione entro un raggio di 200 metri dalla sezione elettorale e per violazione della disposizione contenuta nell'art. 79 dello stesso t. u. 5 aprile 1951 n. 203, che punisce il ministro di qualsiasi culto che, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati.

Sotto il primo profilo mancherebbe l'oggetto specifico della tutela penale predisposta dall'art. 405 cod. pen., che è costituito da una funzione, pratica o cerimonia religiosa e pertanto l'imputato non sarebbe punibile perchè il fatto non costituisce reato. Per il secondo ed il terzo rilievo il sacerdote avrebbe dovuto essere sottoposto a procedimento penale sia per avere vincolato con promesse i suffragi dei fedeli quali elettori e sia per avere, comunque, svolto pro paganda elettorale nel giorno della votazione entro il raggio di 200 metri dalla sezione elettorale.

Occorre a questo punto, alfinejdi valutare il fondamento di tali rilievi, esaminare il contenuto delle lettere pastorali comunicate dal sacerdote ai fedeli ed accluse in copia al

rapporto dei Carabinieri. Trattasi di un decreto del S. Uffizio sul comunismo datato

Roma 1° luglio 1949, di un comunicato della Conferenza

episcopale italiana datato Roma 3 maggio 1958, di un de creto del S. Uffizio del 4 aprile 1959, di una dichiara zione dell'Episcopato siciliano datato Bagheria 9 aprile 1959 e di una comunicazione del Vescovato di Agrigento senza data ma, presumibilmente, del 1959. Col primo de

creto, rispondendo ad analoghi quesiti proposti da fedeli, il S. Uffizio afferma non essere lecito per i cattolici iscri versi al Partito comunista perchè materialista e anticri

stiano, dargli appoggio, leggere scritti improntati a propa ganda comunista ; non potere i cattolici ricevere i Sacra menti, qualora violassero tali precetti, essendo anzi passi bili di scomunica. Con il comunicato della Conferenza epi scopale del 1958 si rivolge ai fedeli l'invito a votare e ad essere uniti nel voto per costituire un valido argine ai gra vissimi pericoli gravanti sulla vita cristiana del Paese. La dichiarazione dell'Episcopato siciliano e gli altri due docu menti affermano il principioche non è lecito ai cattolici dare il voto a quei partiti ed a quei candidati i quali, quantunque non professanti principi in contrasto con la religione cat

tolica, tuttavia di fatto si uniscono con i comunisti. Delle predette comunicazioni il sacerdote diede lettura

ai fedeli in Chiesa durante la Messa, al Vangelo. Rientra tale attività nel contenuto della Messa, che è funzione re

ligiosa, o se ne discosta per costituire una parentesi di pura e semplice propaganda elettorale che con la funzione reli

giosa nulla ha a che fare ? Questo interrogativo pone un

grave problema in quanto il legislatore non ha specificato il contenuto dell'oggetto della tutela penale accordata con la norma dell'art. 405 omettendo di dare la definizione dei concetti di pratica, funzione e cerimonia religiosa. Dot

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GIURISPRUDENZA PENALE

trina e giurisprudenza sono d'accordo però nel ritenere

che si tratti di una voluta astensione del legislatore doven

dosi trarre il contenuto di tali concetti dall'ordinamento

della Chiesa cattolica. Lo Stato italiano riconosce l'esi

stenza di tale ordinamento a mezzo del Concordato con la

Santa Sede e con l'art. 7 Costituzione.

L'art. 1 del Concordato « assicura alla Chiesa cattolica

il libero esercizio del potere spirituale, il libero e pubblico esercizio del culto, nonché della sua giurisdizione in materia

ecclesiastica ».

Nell'art. 2 del Concordato è « assicurata ai vescovi

la libertà di corrispondere e comunicare con il clero e

con i fedeli e di pubblicare ed anche affiggere nell'in

terno ed alle porte esterne degli edifici destinati al culto

o ad uffici del loro ministero, le istruzioni, ordinanze, let

tere pastorali, bollettini diocesani ed altri atti riguardanti il governo spirituale dei fedeli, che crederanno di emanare

nell'ambito della loro competenza ».

L'art. 7 Cost, italiana afferma a sua volta che « lo

Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio

ordine, indipendenti e sovrani».

È così affermato il principio del libero svolgimento da parte della Chiesa cattolica di tutte le funzioni e ceri

monie religiose secondo i canoni ecclesiastici e del potere

spirituale sui cattolici. Per definire pertanto il contenuto

delle pratiohe, funzioni e cerimonie religiose bisogna neces

sariamente rifarsi alla liturgia religiosa ed a tutte le di

sposizioni interne dell'ordinamento della Chiesa cattolica, inevitabile presupposto della norma statuale in questione.

Per quanto riguarda la fattispecie occorre esaminare

se la «predica» durante la Massa costituisca funzione religiosa e se tale natura conservi anche se il sacerdote, anziché

trattare argomenti puramente religiosi, svolga disserta

zioni attinenti alla politica. Il canone 1344 codex iuris canonici recita: « Diebus

dominicis ceterisque per annum festis de paecepto proprium

cuiusque parochi officium est, consueta homilia, praesertim intra Missam in qua major soleat, esse populi frequentia, verbum Dei populo nuntiare. Parochus liuic obligationi

nequit per alium habitualiter satisfacere, nisi ob iustam

causam ab Ordinario probatam. Potest Ordinarius per mittere ut solemnioribus quibusdam festis aut etiam, ex

iusta causa, aliquibus diebus dominicis concio omittatur ».

Il canone 1347 dello stesso codice recita : « In sacris con

cionibus exponenda in primis sunt quae fideles credere

et facere ad salutem oportet. Divini verbi praecones

abstineant profanis aut abstrusis argumentis communem

audientium captum excedentibus ; et evangelicum mi

nisterium non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis,

non in profano inanis et ambitiosae eloquentiae apparatu et lenocinio, sed in ostensione spiritus et virtutis exerceant,

non semetipsos, sed Christum cruficixum praedicantes ».

Da tali disposizioni si evince che il parroco ha l'obbligo di intrattenere i fedeli durante la Messa domenicale cate

chizzandoli sulla parola di Dio e sulle buone regole di con

dotta morale e religiosa astenendosi però dal trattare ar

gomenti profani. Tra gli argomenti profani rientra eviden

temente la propaganda elettorale, la polemica politica ed

ogni contesa in genere legata al giuoco politico.

Oltre che dal canone 1347, le limitazioni ai discostamenti

dal tema ìeligioso nella predica sono disposte da numerosi

documenti canonici vecchi 8 recenti. Si cita da ultimo la

più recente esortazione ai quaresimalisti fatta da Pio

XII il 10 marzo 1947 : « quando sul pulpito adempite l'alto

e santo ufficio di predicare la parola di Dio, guardatevi

dallo scendere a meschine questioni di partiti politici, ad

aspre contese di parts ». Anche secondo i canoni e le diret

tive ecclesiastiche è pertanto vietato dare alla predica un

contenuto politico ed il sacerdote non deve trascendere

il tema religioso trattando questioni di partiti ed uomini

politici. Se però si afferma questo da un lato, altri documenti

canonici, pur vietando ai predicatori di trattare argomenti

politici, nel senso sopra precisato, li invitano a contro

battere i « sistemi politici » che avversano la religione cat

tolica.

Si cita quale documento più importante, il decreto del

Concilio provinciale bituricense dove si dice : « idcirco

verbi Dei praecones ullatenus de politicis tractare omnimodo

vetamus ; se non interdicimus quin cum omni prudentia et caritate systemata fidei documenta adversantia confu

tent ». La Chiesa cattolica in altri termini afferma la sua

estraneità dalla politica, quale pratica contesa di uomini

e di idee per il reggimento della cosa pubblica, ma afferma

nel contempo il proprio diritto a difendersi da quei «si

stemi politici » che prendono posizione contro la religione

cattolica, facendo affermazioni di ateismo e di materia

lismo e programmando lo scardinamento di tutte le isti

tuzioni ecclesiastiche. Espressione di tale atteggiamento è

il decreto del S. Uffizio del 1° luglio 1949 sul comunismo,

nel quale si afferma non essere lecito ai cattolici iscriversi

al Partito comunista perchè materialista e anticristiano,

legger© e diffondere libri e giornali che sostengono la dot

trina comunista ed essere negati i Sacramenti a coloro che

professano e difendono tali idee. Il decreto del S. Ufiizio

del 4 aprile 1959, ricalcando le stesse affermazioni, dichiara

« non essere lecito ai cattolici dare il voto a quei partiti

politici o a quei candidati i quali, quantunque non pro

fessanti principi contrari alla dottrina cattolioa, tuttavia

si uniscono ai comunisti e con la loro azione li favoriscono ».

Il comunismo non è un movimento politico confes

sionale o, quanto meno, agnostico ; anzi fà aperta affer

mazione di ateismo e di materialismo ed ha come programma la rivoluzione mondiale per attuare, anche con la violenza,

la propria supremazia su. tutti gli altri ordinamenti esi

stenti che annulla o rende succubi. Lo scardinamento di

tutte le attuali strutture della Chiesa cattolica è nel suo

programma, riconoscendo in essa un pericoloso nemico che

ostacola dovunque la sua azione. L palese pertanto il

grave dissidio fra l'ideologia comunista e la religione cat

tolica e poiché il comunismo non è una ideologia di un ri

stretto circolo di pensatori ma si presenta dovunque come

partito politico interno, partecipante quindi al giuoco po

litico, il pericolo per la Chiesa cattolica è sempre attuale

in ogni Paese e devesi riconoscere pertanto alla Chiesa cat

tolica il diritto di rappresentare ai fedeli il dissidio ideologico

con il comunismo, nonché il pericolo che il trionfo politico

del comunismo rappresenterebbe per la conservazione dei

valori spirituali affermati dal cristianesimo. Se pertanto

il sacerdote nella sua predica limita il tema al dissidio ideolo

gico fra cattolicesimo e comunismo, invitando i fedeli a

non dare il loro appoggio al Partito comunista ed agli altri

schieramenti politici che direttamente lo sostengono, eviden

temente non trascende la materia religiosa cadendo nella

politica in senso tecnico, perchè ogni dissertazione limitata

al contrasto fra le due ideologie non ha carattere politico

ma religioso alla pari di una dissertazione avente per og

getto una qualsiasi eresia. Ragionare diversamente signi

ficherebbe togliere ogni valore ai principi del Concordato

e della Costituzione svuotando di qualsiasi contenuto le

affermazioni di libertà e sovranità fatte in favore della

Chiesa cattolica.

A diversa conclusione devesi pervenire invece quando

il sacerdote, superando i limiti delle necessità di trattazione

di tale argomento, scende sul terreno politico vero e proprio,

cioè in senso tecnico, inducendo i fedeli a votare per un

determinato partito o per determinati candidati. In questo

caso cade in quelle meschine quostioni di partiti politici

deprecate da Papa Pio XII.

I confini tra la materia politica, quale anche espressione

di un atteggiamento ideologico nei confronti della religione,

e la politica in senso tecnico non sono certamente ben de

finiti ed è pertanto facile camuffare un argomento netta

mente politico con capziose velature di dissertazione re

ligiosa. Male fà in tal caso il sacerdote ed il suo operato

costituisce certamente un abuso delle sue attribuzioni che

lo mette al di fuori delle garanzie concordatarie e costitu

zionali, passibile, al pari di qualsiasi cittadino, delle san

zioni penali previste dall'ordinamento statuale.

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183 PARTE SECONDA 184

Nella specie, posto ohe nessuna prova è emersa a ri

scontro delle affermazioni del Di Bella, la materia trattata

dal sacerdote deve ritenersi limitata al commento delle

lettere episcopali che, come sopra si è detto, non hanno

trasceso i limiti del dissidio fra cattolicesimo e comunismo

affermando solo che il comunismo è anticristiano e che i

fedeli non debbono pertanto appoggiare nè il Partito co

munista nè quelli che lo sostengono. Nessun invito a votare

per un determinato partito di destra o di centro o per per sone esponenti di tali partiti ; nessuna propaganda diretta a tale scopo a loro favore. Pertanto i fedeli rimanevano li

beri di dare il loro appoggio a qualsiasi partito non nemico della Chiesa e, qualora avessero voluto votare per il Par

tito comunista, ciò avrebbero fatto consapevoli di violare i principi della religione da loro professata.

Questi rilievi consentono di confutare, sebbene non oc

corre, mancando una imputazione a carico del sacerdote, le altre due argomentazioni della difesa. Nessuna violazione dell'art. 79 t. u. 5 aprile 1951 n. 203, perchè mancò da parte del sacerdote l'abuso delle sue attribuzioni, nè si adoperò il sacerdote a vincolare i suffragi dei fedeli elettori a fa

vore o contro un determinato partito limitandosi invece a

consigliare ai fedeli — e solo in quanto tali — a non dare

appoggio al Partito commista ed a quelli ad esso collegati. Nessuna violazione dell'art. 81 stesso t. u. perchè il sermone del sacerdote, pur trattando materia politica, fu limitato a ricordare ai fedeli il dissidio ideologico fra cattolicesimo e comunismo, come sopra detto.

A questo punto ritiene il Decidente che vada adeguata mente esaminato il comportamento dell'imputato per una

migliore valutazione dell'elemento psicologico. Il dolo ri chiesto dal reato in esame consiste nella coscienza e volontà

dell'impedimento o turbamento della funzione religiosa, nel senso che la gente deve agire consapevolmente con l'inten zione di cagionare l'evento, turbamento o impedimento. Il Di

Bella, rappresentante di lista del Partito Socialista it., ma mi litante comunista, si trovava nella sezione elettorale, allorché fu messo a conoscenza che Padre Russo teneva un comizio entro la Chiesa di Sarro, posta entro il raggio di 200 metri dalla sezione elettorale (teste Maresciallo Jacolano). Recatosi in Chiesa, trovò il sacerdote intento a parlare ai fedeli nel senso precisato sopra. Gli si rivolse allora dicendo : « la smetta di fare comizi, dica la Messa ». Nessun'altra parola, nessun atteggiamento minaccioso ! È chiaramente palese nelle parole del Di Bella l'intendimento non di turbare o impedire la funzione della Messa, alla cui celebrazione intese anzi, a modo suo, richiamare il sacerdote, ma quello di fargli presente la illiceità del suo comportamento facendo

propaganda politica in giorno di votazione ed in luogo aperto al pubblico entro il raggio di 200 metri dalla sezione elet torale. Questa giustificazione non è dell'ultima ora, ma fu

prospettata in questi termini nel primo interrogatorio reso al Maresciallo dei carabinieri e lascia fondatamente sup porre che in altro giorno, diverso da quello della votazione, il Di Bella non sarebbe intervenuto.

Non si può pertanto affermare che si abbia prova del dolo richiesto dal reato in esame avendosi anzi elementi sufficienti per ritenere il contrario. Il sacerdote fece uso di una facoltà riconosciutagli dall'ordinamento statuale esercitandola secondo le direttive degli organi ecclesiastici, ma non si può negare che, proprio nel giorno della votazione ed in ima Chiesa vicina alla sezione elettorale, l'esercizio di tale facoltà non poteva non apparire un abuso ed un espe diente che consentiva al sacerdote di parlare di politica mentre ad altri ciò era vietato ! Non mancano ai sacerdoti occasioni migliori per fare uso di quella libertà di propa ganda elettorale che in regime democratico è riconosciuta incondizionatamente a tutti i cittadini e sarebbe senza dubbio più saggio e conforme al sereno equilibrio della dottrina di Cristo, che il sacerdote evitasse, con migliore senso di opportunità, di ricordare ai fedeli il dissidio ideolo

gico fra comunismo e cattolicesimo proprio nel giorno della votazione in una Chiesa vicina alla sezione elettorale, quando a tutti i partiti, compreso il Partito comunista italiano antagonista, e, comunque, a qualsiasi cittadino

è vietata ogni forma di propaganda elettorale. 11 Di Bella

ritenne in buona fede che il sacerdote stesse violando le

disposizioni in materia di propaganda elettorale e volle

richiamarlo alla celebrazione della Messa. Non volle tur

bare o impedire questa funzione ritenendo che con essa

le dissertazioni del sacerdote nulla avessero a che fare.

Se il suo comportamento fu irriguardoso, tenendo presenti la persona, il momento ed il luogo, nei confronti del sacer

dote, ben potendo intervenire diversamente, finita la

Messa, interpellando il sacerdote in sacrestia o riferendo al vescovo che certamente avrebbe dovuto rilevare l'inop

portunità della iniziativa del sacerdote o denunziandolo ai carabinieri, lasciando così alle autorità competenti ogni sindacato di loro competenza, tuttavia tale comportamento non integra il reato di turbamento di funzione religiosa per difetto dell'elemento psicologico di questo reato.

A sostegno del particolare modo di intendere il dolo, cioè come consapevole intendimento di cagionare l'evento, si riportano due decisioni della Suprema corte che affermano tale principio, sia pure in tema di diffamazione : « A con cretizzare l'elemento soggettivo del delitto di diffamazione occorre il dolo di volontà, consistente nel compiere atti con la coscienza della loro attitudine lesiva e nell'intenzione di arrecare con essi un'offesa ». (Cass. pen. 10 febbraio

1953, Scialpi, Foro it., Rep. 1953, voce Ingiuria, n. 7). « Nel reato di diffamazione sussistono gli estremi della

comunicazione a più persone e l'elemento soggettivo, con

sistente, oltie che nella coscienza e- volontà dell'azione, nella volontà dell'evento diffamatorio, nel caso in cui...»

(Cass. pen. 16 maggio 1958, De Giorgi, id., Rep. 1959, voce

cit., n. 13). Nella specie manca del tutto la prova che il Di Bella

intendesse turbare la celebrazione della Messa ed anzi, per le superiori osservazioni, si ha fondato motivo di ritenere

provata la inesistenza di qualsiasi volontà consapevole in tal senso. L'azione materiale ebbe come spinta psicologica non il turbamento della funzione religiosa, ma unicamente la cessazione di quella attività del sacerdote che il Di Bella ritenne illecita nei confronti delle disposizioni statuali

regolanti le operazioni e la campagna elettorale e non

rientrante, come tale, nel contenuto rituale della Messa.

L'imputato deve essere pertanto assolto trattandosi di persona non punibile perchè il fatto non costituisce reato.

Per questi motivi, ecc.

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