sentenza 7 giugno 2000; Pres. Nannipieri, Est. Bilancetti; Sandali (Avv. Nucci) c. Soc. Unipol(Avv. Melani Graverini), Usl 23 Arezzo (Avv. Buscicchi)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 5 (MAGGIO 2001), pp. 1721/1722-1727/1728Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196196 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Si costituiva altresì la Edilia di Toscano e Corina s.n.c. depo sitando, a sua volta, fascicolo e comparsa con la quale precisava le conclusioni di epigrafe e deduceva: a) l'improponibilità, inammissibilità ed improcedibilità dell'appello per la mancata
notificazione nei suoi confronti dell'ordinanza in oggetto, trat
tandosi di litisconsorte necessaria quale chiamata in causa nel
giudizio di primo grado ex art. 36 c.p.c. (causa inscindibile); b) l'avvenuta chiusura dell'istruzione della causa da parte del g.i.;
c) la condivisibilità dell'ordinanza impugnata, nel merito.
Rigettata, da parte del consigliere istruttore, l'istanza di so
spensione della provvisoria esecuzione del provvedimento im
pugnato, sulle conclusioni definitive di epigrafe la causa veniva
decisa nella camera di consiglio del 6 ottobre 2000.
Motivi della decisione. — Risulta dal testo dell'ordinanza
impugnata che detto provvedimento ha deciso esclusivamente in
ordine al pagamento delle somme indicate nel verbale di udien
za del 20 maggio 1998, e che, ritenuta non raggiunta la prova in
ordine alla spettanza in favore dell'Inches di ulteriori somme,
ha rimesso le parti al collegio per la decisione su tale domanda.
Ciò posto, si osserva che, stante il silenzio della legge, la que stione dell'ammissibilità dell'ordinanza successiva alla chiusura
dell'istruzione nei processi con cumulo di domande va risolta in
via interpretativa. La ancora scarsa giurisprudenza sull'argo mento, e soltanto di merito, tuttavia, ha elaborato principi in
virtù dei quali l'ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. è ammissi
bile soltanto nei seguenti casi: a) quando l'istanza relativa è
stata proposta su tutte le domande cumulate e nei confronti o da
parte di tutti i litisconsorti, purché tutte le domande presentino i
requisiti previsti dal legislatore; b) quando la domanda per la
quale è stata proposta l'istanza viene preventivamente separata dalle altre che non possono formare oggetto dell'ordinanza. Ha
negato l'ammissibilità dell'ordinanza che si pronunzia su alcune
soltanto delle domande cumulate nel caso di litisconsorzio ne
cessario o di rapporto di connessione o di dipendenza tra cause
tale da non permetterne la separazione (cfr., sul punto, Trib.
Roma 15 luglio 1997 e 25 giugno 1997, Foro it., 1997, I, 3399; Trib. Modena 4 giugno 1998, id., Rep. 1999, voce Procedi
mento civile, n. 291, e, più recentemente, App. Firenze 8 marzo
2000, id., 2000,1, 2506). La soluzione indicata trova il suo fondamento non soltanto
nella considerazione del carattere tendenzialmente definitivo
dell'ordinanza in esame sulla base della previsione normativa di
una pronunzia sulle spese, che ne esclude l'ammissibilità nelle
ipotesi in cui la stessa non sia in grado di chiudere il giudizio, ma anche in considerazioni di tipo funzionale, e cioè nell'op
portunità di evitare che un provvedimento nato per scopi sem
plificatori finisca per creare ulteriori complicazioni, quali quelle che derivano dalla necessità di coordinare l'eventuale giudizio
d'appello sull'ordinanza che ha acquistato l'efficacia di senten
za per rinunzia dell'intimato, con il giudizio di primo grado an
cora pendente sulle altre domande non comprese nell'oggetto
dell'ordinanza, come nel caso di specie. Va, poi, aggiunto, che, come è pacifico in causa e risulta da
gli atti, la litisconsorte Edilia di Toscano e Corina s.n.c. non è
stata in grado di pronunziarsi in ordine all'eventuale rinunzia
alla sentenza collegiale, posto che l'ordinanza in esame non le è
stata nemmeno notificata, con ciò escludendosi in radice la pos sibilità di argomentare che, per l'avvenuto raggiungimento dello
scopo, l'originaria anomalia dell'ordinanza sia divenuta irrile
vante, ex art. 156, 3° comma, c.p.c., ai fini della successiva ac
quisizione, da parte dell'ordinanza stessa, dell'efficacia della
sentenza impugnabile. Ne consegue che, alla stregua dei principi enunciati, il prov
vedimento impugnato non ha mai acquistato l'efficacia di sen
tenza, con l'ulteriore conseguenza che l'appello deve essere di
chiarato inammissibile.
Il Foro Italiano — 2001.
CORTE D'APPELLO DI FIRENZE; sentenza 7 giugno 2000; Pres. Nannipieri, Est. Bilancetti; Sandali (Avv. Nuc
ci) c. Soc. Unipol (Avv. Melani Graverini), Usi 23 Arezzo
(Avv. Buscicchi).
Responsabilità civile — Contagio post-trasfusionale
— Col
pa professionale dei medici di centro trasfusionale — Re
sponsabilità della Usi — Fattispecie (Cod. civ., art. 1176, 2043).
Danni in materia civile — Responsabilità della Usi per fatto dei dipendenti — Risarcibilità del danno morale — Fatti specie (Cod. civ., art. 2059; cod. pen., art. 185, 583, 590).
Integra una condotta colposa, ai limiti del dolo eventuale, la
fornitura a fini trasfusionali di sangue proveniente da dona
tori rimasti ignoti e sui quali non è consentito effettuare alcu
na verifica, da parte dei medici di un centro trasfusionale di
pendenti di una Usi; quest'ultima, di conseguenza, risponde in via extracontrattuale dei danni conseguenti al contagio
post-trasfusionale subito dal paziente (nella specie, a fronte di un quadro indiziario tale da far ritenere probabile che l'e
patite C lamentata dal paziente fosse stata determinata da
una trasfusione di sangue attinto dal virus, somministrata nel
dicembre 1989, risultava che due delle tredici sacche di san
gue trasfuse al paziente nell'occasione fossero rimaste ano
nime, con la conseguente impossibilità di verificare i controlli
eseguiti su tali donazioni). (1) Ove sia accertata la responsabilità extracontrattuale per la for
nitura di sangue infetto da parte dei medici dipendenti di una
Usi, i quali abbiano colposamente fornito a fini trasfusionali
sangue proveniente da donatori anonimi, su cui non è con
sentito effettuare alcuna verìfica, l'attore contagiato ha di
ritto ad essere risarcito anche del danno morale, perché la
condotta dei medici integra astrattamente il reato di lesioni
personali colpose di cui all'art. 590, in relazione all'art. 583,
2° comma, n. 1, c.p. (2)
(1-2) Sulla responsabilità della Usi nei confronti del paziente conta
giato da sangue infetto fornito dal centro trasfusionale afferente alla
struttura sanitaria, v. Trib. Ravenna, ord. 28 ottobre 1999, Danno e
resp., 2000, 1012, ove, seguendo una traccia argomentativa radical
mente diversa da quella percorsa dalla sentenza in epigrafe, il risarci
mento del danno da contagio post-trasfusionale subito dal paziente (nella specie, il virus Hiv acquisito con la trasfusione aveva cagionato il decesso del malcapitato) consegue all'applicazione dell'art. 2050 c.c.
all'attività del centro trasfusionale. In altri casi, il contagio non è stato
ritenuto imputabile alla mancata prevenzione da parte del centro trasfu
sionale fornitore del sangue, sul presupposto che all'epoca della trasfu
sione incriminata non esistessero cautele adottabili per accertare che il
sangue fornito fosse esente da virus. Così, a volte le corti hanno ravvi
sato la responsabilità del contagio nella negligente condotta professio nale del medico che aveva deciso di somministrare la trasfusione al pa ziente, in difetto d'ineludibile necessità terapeutica e nella consapevo lezza dei rischi di contagio sottesi a tale decisione: v. Trib. Milano 22
maggio 1995, Pasquariello c. Pellanda (inedita, ma leggila sunteggiata in U. Izzo, Sangue infetto e responsabilità civile: appunti per un inqua dramento olistico del danno da contagio, id., 1998, 741, spec. 745
747); App. Milano 15 ottobre 1996, Foro it.. Rep. 1999, voce Respon sabilità civile, n. 189, e, in extenso, Riv. it. medicina legale, 1998, 1119, con nota critica di F. Introna, Epatite post-trasfusionale Nanb
(1985); trasfusione eseguita quando il malato non è ancora pervenuto allo stadio di emergenza; rischio di Ept pari al dieci per cento; trasfu sione da farsi solo «quando è indispensabile o almeno necessaria»; dov'è la prova ragionevole della colpa professionale?', 22 ottobre
1996, Foro it., Rep. 1997, voce Professioni intellettuali, n. 113, e, in
extenso, Danno e resp.. 1997, 734 (in tutte le decisioni protagonista del
contagio è, come nella sentenza in epigrafe, il virus dell'epatite C). In
altre circostanze, quando la trasfusione infetta mostrava d'avere un re
moto antecedente causale nella condotta illecita del responsabile di un
sinistro stradale (senza la quale la necessità di somministrare la trasfu
sione alla vittima del sinistro non si sarebbe prospettata), le corti hanno
potuto giudicare con minor rigore la condotta dei medici (operanti nella
struttura fornitrice del sangue ovvero responsabili della decisione di ef
fettuare la trasfusione), applicando la condicio sine qua non per alloca
re il danno da contagio in capo alla tasca profonda dell'assicuratore
dell'automobilista imperito o distratto: v. Trib. Perugia 8 giugno 1991,
Foro it., Rep. 1992, voce Circolazione stradale, n. 160, e, in extenso,
Resp. civ., 1993, 636, con nota di G. Giannini, Sinistro stradale, re
sponsabilità professionale del medico e nesso causale; Trib. Torino 5
marzo 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Danni civili, n. 176, e, in exten
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1723 PARTE PRIMA 1724
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato
rispettivamente in data 15 e 16 giugno 1994 Sandali Aldo con
veniva in giudizio davanti al Tribunale di Arezzo la Usi n. 23 di
Arezzo e la Unipol assicurazioni s.p.a. per sentirli condannare al
risarcimento dei danni subiti a seguito di emotrasfusione presso detto nosocomio. Esponeva l'attore:
— che venne ricoverato presso il reparto chirurgia Garbasso
dell'ospedale di Arezzo dal 22 novembre 1989 al 5 dicembre
1989 per «ulcera gastrica sanguinante con shock emorragico»; — che fu sottoposto ad emotrasfusione come risulta dalla
cartella clinica; — che «al momento del ricovero gli esami ematochimici ef
fettuati dimostrarono 'negatività" della ricerca dello HBs Ag e
valori da considerarsi nella norma delle transaminasi e della bi
lirubina»; — che dovette poi essere ricoverato presso il reparto di ga
stroenterologia del medesimo ospedale e dalla relativa cartella
so, Dir. ed economia assicurai., 1993, 561; Trib. Parma 30 settembre
1998, Foro it.. Rep. 1999, voce Responsabilità civile, nn. 186, 229, e, in extenso. Danno e resp., 1999. 455, con nota di G. Facci, La trasfu sione di sangue ed il rapporto di causalità; v. anche la recentissima Cass. 24 aprile 2001, n. 6023, Foro it., Mass., ove i giudici di legitti mità, muovendo dalla teoria dell'equivalenza delle condizioni, confer mano che il danno da sinistro stradale possa essere veicolato in capo al l'assicuratore dell'autore del sinistro, ritenendo che, nella fattispecie vagliata dai giudici di merito, non fossero emersi elementi tali da con sentire di avallare l'idea che la causa successiva rispetto al fattore cau sale remoto identificasse una causa sufficiente ed unica del danno. In una diversa prospettiva, quasi quattrocento vittime del sangue infetto
(fra emofilici e politrasfusi contagiati dai virus dell'Hiv e dell'epatite nel corso degli anni ottanta) hanno indirizzato la loro pretesa risarcito ria contro lo Stato, lamentando la sciatta gestione dell'emovigilanza e delle politiche di approvvigionamento del sangue e del plasma da parte del ministero della sanità. In primo grado l'azione è stata accolta, con sentenza di condanna parziale sull'cm della responsabilità: v. Trib. Ro ma 27 novembre 1998, id., 1999, I, 313, con nota di Izzo, e Giust. civ., 1999, I, 2851, con nota di Costanzo. Il quadro dei precedenti che af frontano il problema dell'imputazione della responsabilità del danno da
contagio si completa con una pronuncia penale, ove, nel caso di un
soggetto cui erano stati trapiantati organi prelevati dal cadavere di un
soggetto portatore del virus Hiv, l'imprevedibilità del rischio di conta
gio dovuta alle incomplete conoscenze scientifiche del momento (mag gio 1986) ha indotto ad escludere che il medico, tenuto a verificare le condizioni di salute del donatore prima di procedere all'espianto, ver sasse in colpa: v. Pret. Bologna 31 maggio 1996, Foro it., Rep. 1998. voce Omicidio e lesioni personali colpose, nn. 34, 35, e Riv. it. dir. e
proc. pen., 1997, 1043, con nota di Mantovani. In dottrina, sulle varie problematiche sottese al risarcimento del danno
da contagio, v. U. Izzo, Sangue infetto e responsabilità civile: appunti per un inquadramento olistico del danno da contagio, cit.; Id., Sangue infetto e responsabilità civile: rischio, responsabilità e prevenzione, id., 2000, 229; Id.. Sangue infetto e responsabilità civile: il danno da contagio fra responsabilità del produttore ed esercizio di attività pericolose, ibid., 933; Id., La responsabilità dello Stato per il contagio da Hiv ed epatite di
emofilici e politrasfusi, i limiti della responsabilità civile, id.. 1999. 214; Id.. La «posta in gioco» e la ragionevole durata del processo nelle azioni promosse per il risarcimento del danno da contagio di Hiv, ibid., 184; Id., Storie di (stra)ordinaria causalità: rìschio prevenibile ed accerta mento della causalità giurìdica in materia di responsabilità extracon trattuale, in Riv. critica dir. privato, 2001 (in corso di pubblicazione); L. Di Costanzo, Il danno da trasfusione ed emoderivati infetti. Napoli, 1998; Id., La riparazione dei danni da trasfusioni e da somministrazione di emoderivati infetti, in Rass. dir. civ., 1997, 858; M. Biscione, Hiv da
trasfusione, emoderivati e responsabilità civile, in Danno e resp.. 1996, 145 ss. e 271 ss.; A. Carbone, Epatite C post-trasfusionale. Problemati che medico-legali, in Zacchia, 1995, 39; M. Arcangeli-A. Premate-S. Sernia, Considerazioni medico-legali su un caso controverso di infezione post-trasfusionale da virus epatico, in Difesa sociale, 1995, 71: M. A rietti, Sieropositività conseguente a trasfusione della moglie e successivo
contagio del marito: profili di responsabilità civile in una recente senten za del BGH, in Giur. it., 1992, I, 1, 801; F. Buzzi, Contagio di Hiv da
emotrasfusioni ed emoderivati: considerazioni medico-legali e medico sociali in prospettiva europea, in Riv. it. medicina legale, 1992, 15; A. Flores, L'infezione post-trasfusionale da Hiv. Aspetti epidemiologici, diagnostico preventivi e riflessi medico-legali, id., 1990, 1075; da ultimo, per una trattazione unitaria delle problematiche giuridiche (fra cui quelle relative al danno da contagio) connesse allo status del soggetto che ha contratto il virus Hiv, cfr. F. Bilotta, Dalla sieropositività all'Aids, in P. Cendon (a cura di), Trattato breve dei nuovi danni. Il risarcimento del danno esistenziale: aspetti civili, penali, medico legali, processuali, Pa dova, 2001, 237 (in corso di pubblicazione).
Il Foro Italiano — 2001.
clinica «si evince che il ricovero avvenne per epatite cronica at
tiva Hcv positiva ... elevati valori delle transaminasi e della
gamma GT e ciò a partire dall'aprile 1990 ...»; — che «nel corso dell'anno 1992 vi furono ulteriori ricoveri
presso la stessa divisione per 'epatite cronica attiva da virus
C'»; — che «da quanto sopra illustrato emerge che l'esponente è
affetto da epatite attiva conseguente all'infezione da virus C e
che tale malattia si è presentata nell'aprile 1990 a distanza cioè
di cinque mesi da un ricovero ospedaliero dovuto a stato di
shock per ulcera gastrica sanguinante e che durante tale degenza fu sottoposto ad emotrasfusione con sangue di donatore scono
sciuto»; — che «l'incubazione dell'epatite da virus C (definita anche
epatite da trasfusione) va da tre ai sei mesi, posto che al mo
mento del ricovero gli esami ematochimici avevano dimostrato
valori normali nelle transaminasi nonché degli indici di funzio
nalità epatica, non v'è dubbio che l'origine della malattia virale
contratta dall'esponente è da definirsi 'epatite virale post-trasfu sionale da virus C'»;
— che «ad analoghe conclusioni è pervenuta la commissione
medica ospedaliera di Firenze (nella seduta) del 23 ottobre 1993
che ha esaminato l'esponente in base al disposto della 1. 25 feb
braio 1992 n. 210» la quale ha così deciso: «Sì, esiste nesso
causale tra trasfusione con l'infermità; epatite cronica attiva
Hcv positiva, ascrivibile alla quinta categoria della tabella A
d.p.r. 30 dicembre 1981 n. 834».
Tanto premesso, concludeva, «previa declaratoria di esclusiva
responsabilità nella causazione dell'evento dannoso, condannare
la Usi e la Unipol assicurazioni in solido tra loro al risarcimento
dei danni tutti provocati all'esponente sia in punto di danno
biologico, danno economico e danno morale nella misura ed
importo che risulteranno nel corso dell'istruttoria come da con
teggi all'esito della consulenza medica d'ufficio».
Entrambi i convenuti si costituivano in giudizio. L'Usi n. 23 chiedendo il rigetto della domanda perché «l'at
tore non ha dato alcuna prova che l'affezione contratta sia stata
causata dalla trasfusione alla quale è stato sottoposto ... ciò
vale tanto più nel caso specifico ove la scienza medica è con
corde nel ritenere che l'epatite C possa essere contratta anche
attraverso altre vie le quali non possono essere escluse a prio ri... nessun addebito di responsabilità può essere ragionevol mente mosso nei confronti dei sanitari e dell'organizzazione
ospedaliera, infatti il quadro clinico con il quale l'attore si è
presentato in ospedale il 22 novembre 1989 ha imposto ai sani
tari il suo ricovero ... durante il quale la somministrazione di
sangue al Sandali è apparsa ai sanitari indispensabile ed indero
gabile per la sua stessa vita ... all'epoca del ricovero (dicembre
1989) peraltro non erano state condotte a termine le ricerche sul
virus dell'epatite di tipo C e di conseguenza non era ancora in
vigore una normativa che imponesse un controllo qualificato del
sangue nei confronti di tale virus ...».
La compagnia assicuratrice Unipol s.p.a. nell'uniformarsi alla
richiesta dell'altra convenuta deduceva «anzitutto che non vi è
prova alcuna del nesso causale tra l'evento epatite lamentato dall'attore e la trasfusione di sangue a cui è stato sottoposto il
Sandali dai sanitari della Usi n. 23 in occasione del suo ricovero nel novembre 1989, in ogni caso si contesta che le trasfusioni siano state eseguite in modo negligente ed imprudente da parte del personale ospedaliero, al quale non può essere imputato al
cun addebito di responsabilità ... per l'impossibilità tecnica di
evidenziare al tempo dell'emotrasfusione l'eventuale capacità infettante del sangue trasfuso ... sul danno contestano l'entità dei postumi lamentati e la loro incidenza sulla capacità lavorati
va specifica». Nel corso dell'istruttoria venivano chiamate in causa le com
pagnie di assicurazione Legai & General Assurance Society Ltd
s.p.a. e Lavoro e sicurtà s.p.a.; espletata consulenza medico
legale la causa è stata decisa con sentenza emessa in data 21 ottobre 1998.
Avverso tale decisione, che rigettava la domanda attrice, ha
interposto appello il Sandali chiedendo in riforma della gravata sentenza che venisse riconosciuta l'esclusiva responsabilità della Usi n. 23 nella causazione del danno con prosecuzione dell'istruttoria per la determinazione del quantum debeatur, si sono costituiti sia la compagnia assicuratrice Unipol s.p.a. che
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
la Usi n. 23 di Arezzo chiedendo il rigetto dell'appello e la con
ferma della sentenza impugnata; sono rimaste contumaci le
compagnie di assicurazione Legai & General Assurance Society Ltd s.p.a. e Lavoro e sicurtà s.p.a.
All'odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione
sulle conclusioni in epigrafe trascritte.
Motivi della decisione. — Risulta pacifico, peraltro confor
tato dalle cartelle cliniche prodotte nonché dalla relazione del
c.t.u. medico-legale che Sandali Aldo è affetto da epatite croni
ca attiva da virus Hcv.
Si legge nella relazione del c.t.u.: «la patologia della quale è
affetto il Sandali è causata da infezione da virus dell'epatite C
(Hcv) che in alcuni casi, dopo aver provocato un'epatite acuta
sfocia in una epatite cronica con evoluzione sfavorevole verso
la progressiva cirrosi epatica. L'infezione da Hcv è anche defi
nita 'post-trasfusionale' per la grande frequenza con la quale
l'agente infettante viene trasmesso da soggetto a soggetto tra
mite il sangue ... in genere i sintomi compaiono dopo circa tre
mesi dall'infezione, con innalzamento dei valori di transaminasi
nel sangue, segno di lesione delle cellule epatiche ... nel caso in
esame l'epatite con movimento di transaminasi si è verificata
dopo circa tre mesi dalle trasfusioni di sangue, in un paziente che sicuramente all'ingresso in ospedale non aveva una epatite acuta in quanto le transaminasi erano nei limiti della norma; il
soggetto risultava inoltre negativo al test per l'epatite B. L'iter
clinico indirizzava la diagnosi verso un'epatite post trasfusionale, come ipotizzato anche dai medici del reparto di
gastroenterologia dove il Sandali è stato ricoverato nell'aprile 1990 e poi seguito con successivi controlli. Tuttavia le indagini svolte su mia richiesta dalla dott. Lovari del centro trasfusionale
di Arezzo hanno condotto all'identificazione di tutti i donatori
del sangue che fu trasfuso al Sandali durante il ricovero presso la chirurgia Garbasso nel novembre 1989 e tutti sono risultati ad
oggi donatori di sangue e negativi al test per l'Hcv ... non si
ravvisa nessuna responsabilità da parte dei medici che ebbero in
cura il Sandali dell'infezione da lui contratta con modalità pe raltro non identificabili. Come risulta anche dalla documenta
zione allegata il sangue era, al momento delle trasfusioni, rigo rosamente controllato a norma della legge allora vigente e quin di assolutamente idoneo ad essere usato a scopo terapeutico».
Tale convincimento, che il tribunale acriticamente ha fatto
proprio, non considera un particolare di fondamentale importan za e cioè che il medico del centro trasfusionale del nosocomio
aretino (dell'ospedale cioè della responsabilità del quale si trat
tava) delegato dal c.t.u. ad effettuare un tale accertamento co
municava che la verifica era stata effettuata sulle persone dei
donatori identificati dalle undici sacche numerate ma veniva
omesso di considerare che dalla cartella clinica, in copia auten
tica prodotta dall'attore, emergeva che la trasfusione venne ef
fettuata oltre che con le undici sacche numerate anche con altre
due non numerate e quindi di impossibile identificazione del
relativo donatore, tanto più a distanza di oltre dieci anni.
Non si può quindi convenire con il giudizio del c.t.u. che «il
sangue era. al momento delle trasfusioni, 'rigorosamente' con
trollato».
Le caratteristiche dell'infezione contratta (che il c.t.u. dichia
ra essere chiamata anche «post-trasfusionale»), la sua manife
stazione nei quattro mesi circa successivi alla trasfusione, se
condo una normale evoluzione della patologia («in un paziente che sicuramente all'ingresso in ospedale non aveva una epatite acuta in quanto le transaminasi erano nei limiti della norma ...
indirizzava la diagnosi verso un'epatite post-trasfusionale come
ipotizzato anche dai medici del reparto di gastroenterologia ove
il Sandali è stato ricoverato nell'aprile 1990»; v. relazione), le
conclusioni alle quali è pervenuta la commissione medica ospe daliera di Firenze («Sì, esiste nesso causale tra la trasfusione con
l'infermità...»; cfr. nota del 31 maggio 1994 del ministero
della sanità) sono ad avviso di questa corte elementi idonei a
fondare un giudizio di collegamento causale tra l'emotrasfusio
ne e l'infezione manifestatasi circa quattro mesi dopo la trasfu
sione stessa. Rimane da verificare se tale evento sia riconduci
bile ad una condotta quantomeno colposa degli operatori sanita
ri oppure se non si riscontri una tale colpa ed allora il malcapi tato trasfuso ha diritto solo all'indennizzo che quindi gli com
pete solo ai sensi della 1. 25 febbraio 1992 n. 210 a prescindere da tale accertamento di responsabilità: nel primo caso il diritto è
Il Foro Italiano — 2001.
all'integrale ristoro dei danni subiti, nel secondo caso è limitato
ad una più modesta riparazione, predeterminata dalla legge,
quale rischio inevitabile in ogni trasfusione.
Dati i rischi inevitabili che sono impliciti nella trasfusione il
legislatore ne ha disciplinato l'impiego con la 1. 4 maggio 1990
n. 107 «per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed
ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati», sono
stati introdotti specifici protocolli, ai sensi del d.m. 15 gennaio 1991, «per l'accertamento dell'idoneità del donatore di sangue ed emoderivati», è stato previsto, con la 1. 25 febbraio 1992 n.
210, un «indennizzo a favore dei soggetti da complicanze di ti
po irreversibile a causa di trasfusioni e somministrazioni di de
rivati» e, proprio in considerazione dello specifico rischio im
plicito quanto inevitabile nella emotrasfusione, dopo aver previ sto l'obbligo del «consenso informato» (espressione per la pri ma volta introdotta nel nostro ordinamento proprio con la 1. n.
107 del 1990), ha altresì prescritto, con il d.m. 1° settembre
1995, la compilazione di un modulo di informazione con previ sione debitamente esplicitata da parte del medico operante dei
rischi concreti che tale trattamento comporta tanto che deve es
sere appositamente sottoscritta dal paziente (nel documento da
sottoscrivere è appunto ricordato «che la pratica terapeutica non
è completamente esente da rischio — inclusa la trasmissione di
virus dell'immunodeficienza, dell'epatite, ecc. ...» per cui il
paziente dichiara per iscritto che ha «ben compreso quanto è
stato spiegato dal dott. ... in ordine ai rischi connessi alla tera
pia ... quindi acconsento/o non acconsento ad essere sottoposto al trattamento con emoderivati, necessario ...»). Se il tratta
mento in questione è stato effettuato poco prima dell'entrata in
vigore di questo così articolato e scrupoloso intervento normati
vo, per cui non è dato addebitarne l'inosservanza agli operatori della Usi n. 23 all'epoca della trasfusione al Sandali, tuttavia era
fin troppo evidente anche allora il rischio implicito in un tal
trattamento da parte del personale medico operante: l'evento era
cioè prevedibile, né occorreva una particolare esperienza o pro fessionalità per rendersene conto.
Se dunque in questo contesto si trasfondono tredici sacche di
sangue, delle quali undici sono numerate e come tali ne è stata
identificata la provenienza e verificata dal c.t.u., tramite il per sonale medico del centro trasfusionale dell'ospedale ove il San
dali era allora ricoverato, che proveniva da persone risultate ne
gative ai test allora praticati non altrettanto può dirsi per le altre
due non numerate, delle quali lo stesso medico del centro tra
sfusionale nulla ha detto e nulla poteva dire a causa proprio del
loro anonimato, la conclusione è univoca: è stato trasfuso san
gue proveniente da persona ignota, sulla quale non è consentito
fare alcuna verifica.
Proprio in questo sta la condotta colposa, colpa cosciente al
limite del dolo eventuale, per aver praticato un'attività terapeu tica sicuramente e notoriamente rischiosa senza quel preventivo accertamento necessario, ancorché non sempre sufficiente; se
ancora non erano entrati in vigore i rigorosi protocolli sull'im
piego del sangue era però certamente necessario avere un mini
mo di prudenza e perizia per sapere da chi e da dove proveniva e a quali verifiche era stato sottoposto il sangue utilizzato, cir
costanza che, a fronte dei precisi, plurimi e concordanti ele
menti indiziari emersi né i convenuti né la c.t.u. hanno saputo o
potuto chiarire.
La condotta colposa è certamente riconducibile alla previsio ne dell'art. 1176 c.c. perché dovuta all'impiego dì sacche senza
adeguata verifica né della provenienza né degli accertamenti ai
quali doveva essere stato sottoposto il sangue, dato l'elevato
margine di rischio implicito in tale somministrazione, elemento
questo da considerarsi notorio e che un operatore sanitario al
momento del suo impiego o una Usi al momento del suo acqui sto, non potevano ignorare senza commettere grave imprudenza ed imperizia; la condotta colposa del sanitario comporta analoga
colpa per il suo datore di lavoro, nei confronti del quale ha in
staurato il rapporto contrattuale il paziente Sandali al momento
del suo ricovero all'ospedale aretino.
In merito la Suprema corte è concorde nel ritenere che: «La
responsabilità di un ente ospedaliero per i danni causati ad un
ricoverato da prestazioni mediche dei sanitari dipendenti, erro
neamente o non diligentemente eseguite, ha natura contrattuale:
l'ente ospedaliero, infatti, ha concluso con il ricoverato un con
tratto d'opera intellettuale, obbligandosi ad eseguire le presta
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1727 PARTE PRIMA 1728
zioni mediche necessarie a mezzo dei sanitari suoi dipendenti, e,
pertanto, la sua responsabilità discende dall'inesatto inadempi mento» (Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141, Foro it., 1979, I, 4). Il paziente danneggiato ha però azione di responsabilità sia nei
confronti del medico, della cui condotta colposa si tratta, sia
dell'Usi dal quale quello dipende così come da anni ormai chia
rito dalla Suprema corte (v. Cass., sez. un., 6 maggio 1971, n.
1282, id., 1971,1, 1476): l'attore ha agito nei confronti dell'Usi
ai sensi dell'art. 2043 c.c.
Quindi ad avviso di questa corte emerge chiara non solo l'e
ziologia della malattia ma anche la colpa degli operatori sanita
ri, che si traduce in responsabilità per i convenuti: non si può
parlare solo di indennizzo, dovuto sempre anche se difetta la
prova della condotta colposa dell'operatore sanitario, bensì di
responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c., che comporta il diritto
al risarcimento dei danni di natura patrimoniale, biologico e mo
rale, quest'ultimo perché la condotta riferita integra anche il de
litto di lesioni di cui all'art. 590, in relazione all'art. 583, 2°
comma, n. 1, c.p., accertata soltanto a fini risarcitori in questa sede in assenza di procedimento penale.
I predetti indizi, peraltro già valorizzati sia dal c.t.u. nella ri
chiamata relazione che dalla commissione medica ospedaliera di
Firenze, hanno valenza indubbiamente probatoria a mente del
l'art. 2729 c.c., essendo gravi, precisi e concordanti; è poi noto
rio che il rapporto causale tra condotta medica certamente col
posa, stante la riferita imprudenza e imperizia e l'evento pre
giudizievole della salute del paziente non richiede un collega mento in termini di certezza assoluta perché, come ha avuto
modo di precisare ripetutamente la Suprema corte, in questa
specifica materia sottratta alla certezza matematica non vi sa
rebbe quasi mai responsabilità, per cui il giudizio va formulato
in termini di probabilità. «La prova, anche in tema di rapporto di causalità materiale,
non può essere identificata esclusivamente in un dato di certez
za scientifica fondato sulla regolarità senza eccezioni nella suc
cessione di determinati fenomeni. In molti casi, soprattutto nel
settore della medicina e della biologia, in assenza di leggi scientifiche debbono considerarsi validi e sufficienti, al fine
dell'indagine causale, anche risultati di generalizzazioni del
senso comune, fermo restando che è doveroso, da parte del giu dice, orientare, laddove e fin dove è possibile, l'indagine verso
una spiegazione scientifica (comunque verso una spiegazione statistica esplicativa dei fenomeni, in particolare di quelli natu
rali)» (Cass. 27 aprile 1987, Mancinelli, id., Rep. 1988, voce
Prova penale, n. 10); il principio, affermato in materia penale, è
applicabile anche in ambito civile, dato che alla normativa pe nalistica occorre far riferimento ogni volta che si deve indivi
duare il criterio eziologico tra condotta umana ed evento: «con
riguardo alla sussistenza del nesso di causalità fra lesione per sonale ed un intervento chirurgico, al fine dell'eventuale re
sponsabilità risarcitoria dell'autore di tale intervento, ove il ri
corso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non
possa fornire un grado di certezza assoluta, la ricorrenza del
suddetto rapporto di causalità non può essere esclusa in base al
rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica» (Cass. 16 novembre 1993, n.
11287, id., Rep. 1993, voce Responsabilità civile, n. 56; conf.
Cass. 16 novembre 1988, n. 6220, id., Rep. 1988, voce Profes sioni intellettuali, n. 94).
Anche sotto il profilo dell'onere della prova si riscontra l'an
zidetta responsabilità dell'Usi.
Dimostrato da parte attrice il molto probabile collegamento tra l'incauta e colposa somministrazione di due sacche di san
gue, delle quali non è dato sapere la provenienza, con la patolo
gia insorta subito dopo, tipica conseguenza di tale trattamento
(tanto che viene comunemente chiamata «post-trasfusionale») ed insorta proprio in corrispondenza del momento nel quale è
solita manifestarsi (cioè a distanza di circa quattro mesi), per di
più in soggetto che al momento del ricovero, quando si rese ne
cessaria la trasfusione, risultava documentalmente immune da una tal patologia, a fronte di elementi di alto valore indiziario
ricadeva sulla Usi e sugli altri convenuti, l'onere della prova di
diverse e concrete eziologie della riscontrata patologia o che era
stato impiegato sangue previo rigoroso controllo che, allo stato
delle conoscenze e delle specifiche normative allora vigenti, ve
niva ad escludere, rispettivamente, sia la colpa generica che
quella specifica, ciò, tanto più, se si considera che tale tesi era
Il Foro Italiano — 2001.
stata analiticamente dedotta fin dall'atto introduttivo del giudi zio ed era stata adeguatamente documentata con le cartelle cli
niche e non seriamente smentita, anzi avvalorata, dalle conside
razioni medico-legali del c.t.u.
La Corte di cassazione ha in proposito enunciato il seguente
principio: riscontrato il collegamento causale tra trattamento
medico-chirurgico ed evento lesivo «in base a quel serio ragio nevole criterio di probabilità scientifica (specie suffragata dalla
mancata prova di altri fattori determinanti preesistenti conco
mitanti e sopravvenuti) al quale essi giudici avevano il dovere di
attenersi, giusta la direttiva data da questa Suprema corte con la
sentenza n, 3013 del 1982 {id., Rep. 1982, voce cit., n. 45) ma
una volta assodato che, ai fini della decisione della controversia, veniva nella fattispecie in linea di conto il disposto di cui al 2°
comma dell'art. 1176 c.c. e non quello di cui all'art. 2236 c.c.
(attinente alle prestazioni d'opera professionali implicanti la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà), bene a ra
gione i giudici del rinvio hanno ritenuto che per spezzare il so
pra indicato nesso di causalità il professionista avrebbe dovuto
comprovare l'esistenza e l'efficienza eziologica di altri fattori —
imprevisti, imprevedibili o comunque non superabili me
diante la diligenza media richiesta a lui operatore — idonei a
provocare» la patologia specifica in quel caso riscontrata a se
guito dell'intervento medico-chirurgico. «Ora il giudizio nega tivo, espresso da quei giudici del merito, circa la mancanza della
prova liberatoria suindicata, non può essere infirmato mercé la
mera prospettazione di dubbi, incognite ed eventualità, anche
nel loro complesso incapaci di sovvertire quel criterio di proba bilità scientifica alla luce del quale il problema del nesso di cau
salità è stato, in concreto, risolto» (Cass. 16 novembre 1988, n.
6220, cit.). Principio questo che è stato ribadito in più decisioni; cfr.
Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141, cit.: «Sicché il cliente, for
nendo la dimostrazione di quegli elementi, sui quali è possibile fondare la presunzione, ha adempiuto l'onere probatorio a suo
carico. Ed allora spetta al chirurgo fornire la prova contraria: di
aver eseguito adeguatamente e diligentemente la prestazione
professionale e che l'esito peggiorativo fu causato dal soprav venire di un evento imprevisto ed imprevedibile secondo l'ordi
naria diligenza professionale oppure dall'esistenza di una parti colare condizione fisica del cliente non accertabile con il mede
simo criterio dell'ordinaria diligenza professionale». Quindi,
seguendo il ragionamento imposto dalla norma cardine dell'art.
2697 c.c., fornita la prova, pur attraverso la presunzione di cui
all'art. 2729 c.c., della condotta colposa dei sanitari del noso
comio aretino e del nesso causale con l'evento patologico ri
scontrato sull'attore ricadeva sui convenuti l'onere di dimostra
re «l'inefficacia di tali fatti» sotto il profilo probatorio ora detto, onere della prova al quale costoro non hanno però assolto.
Non rimane quindi che rimettere la causa in istruttoria per
espletare c.t.u. medico-legale al fine di accertare la reale consi
stenza ed entità dei danni, come da ordinanza a parte, riservando alla sentenza definitiva le spese di causa, previa riforma inte
grale dell'impugnata sentenza.
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