sentenza 7 maggio 2002, n. 155 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 15 maggio 2002, n. 19);Pres. Ruperto, Est. Capotosti; Federazione radio televisione e altri (Avv. Chiola) c. Autorità perle garanzie nelle comunicazioni; interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Polizzi). Ord. TarLazio 20 dicembre 2000 (G.U., 1 a s.s., n. 13 del 2001)Source: Il Foro Italiano, Vol. 125, No. 9 (SETTEMBRE 2002), pp. 2237/2238-2243/2244Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197766 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
comma, d.leg. 286/98 quanto il provvedimento di rimpatrio del
minore straniero non accompagnato ex art. 33, comma 2 bis,
d.leg. 286/98 si risolvono entrambi in un «allontanamento
coatto» del minore stesso dal territorio nazionale, sarebbe mani
festamente irragionevole prevedere l'intervento del tribunale
per i minorenni solo per il primo di tali provvedimenti.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 7 maggio 2002, n.
155 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 15 maggio 2002, n.
19); Pres. Ruperto, Est. Capotosti; Federazione radio televi
sione e altri (Avv. Chiola) c. Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni; interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato
Polizzi). Ord. Tar Lazio 20 dicembre 2000 (G.U., la s.s., n.
13 del 2001).
Elezioni — Campagne elettorali — Emittenti radiotelevisive
— Programmi di «comunicazione politica»
— Obbligo di
programmi politici «paritari» — Questione infondata di
costituzionalità (Cost., art. 3, 21, 42; 1. 22 febbraio 2000 n.
28, disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informa
zione durante le campagne elettorali e referendarie e per la
comunicazione politica, art. 1, 2, 3, 5). Elezioni —
Propaganda elettorale — Limiti — Applicabilità
alle emittenti radiotelevisive e non alla stampa periodica — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art. 3; 1.
22 febbraio 2000 n. 28, art. 7). Elezioni —
Propaganda elettorale — Emittenti radiotelevi
sive nazionali — Messaggi politici autogestiti
— Carattere
gratuito — Questione infondata di costituzionalità (Cost.,
art. 42; 1. 22 febbraio 2000 n. 28, art. 4, 5).
E infondata la questione di legittimità costituzionale degli art.
1, 2, 3 e 5 I. 22 febbraio 2000 n. 28, nella parte in cui impon
gono alle emittenti radiotelevisive di assicurare la «parità» tra le varie forze politiche nei programmi di «comunicazione
politica» durante le campagne elettorali e nei periodi non e
lettorali, in riferimento agli art. 3 e 21 Cost. ( 1 ) E infondata la questione di legittimità costituzionale dell 'art. 7
I. 22 febbraio 2000 n. 28, nella parte in cui stabilisce limita
zioni alla propaganda elettorale, non previste invece per la
stampa periodica, in riferimento ali 'art. 3 Cost. (2) E infondata la questione di legittimità costituzionale dell 'art. 4,
I. 22 febbraio 2000 n. 28, nella parte in cui prevede che, du
rante la campagna elettorale, i messaggi politici autogestiti debbono essere trasmessi gratuitamente dalle emittenti na
zionali, mentre alle emittenti locali è riconosciuto un rim
borso da parte dello Stato, in riferimento all'art. 42 Cost. (3)
(1-3) La Corte costituzionale afferma il valore costituzionale prima rio rappresentato dal diritto ad una completa ed obiettiva informazione del cittadino, al fine di un corretto svolgimento del confronto politico su cui in permanenza si fonda, indipendentemente dai periodi di com
petizione elettorale, il sistema democratico. La libertà di espressione delie emittenti radiotelevisive private, a giudizio della corte, si esplica al fine di consentire la più ampia informazione per formare la consape volezza politica del cittadino ed il c.d. principio della concessione
comporta per esse alcuni doveri a tutela di un interesse costituzionale
generale, cui non può non cedere quello della libertà di opinione delle
singole emittenti private. La corte si richiama a principi affermati in precedenti decisioni ed in
particolare con le sent. 10 maggio 1995, n. 161, Foro it., 1995,1, 1700, con nota di richiami, commentata da Pizzorusso, in Corriere giur., 1995, 819, da Grandinetti, in Giornale dir. ammin., 1995, 711, da Tere
si, in Nuove autonomie, 1995, 381, e da Lamarque, in Dir. informazio ne e informatica, 1995, 845, la quale ha dichiarato che non spetta al
governo adottare, con riferimento alle campagne referendarie, la dispo sizione di cui all'art. 3, 6° comma, d.l. 20 marzo 1995 n. 83 e, conse
guentemente, ha annullato tale disposizione, nella parte in cui stabiliva,
Il Foro'Italiano — 2002.
Diritto. — 1. - Le questioni di legittimità costituzionale, sol
levate dal Tar Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe, ri
guardano gli art. 1, 2, 3, 4, 5 e 7 1. 22 febbraio 2000 n. 28 (di
sposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione du
rante le campagne elettorali e referendarie e per la comunica
zione politica), in riferimento agli art. 3, 21 e 42 Cost.
Il giudice a quo dubita in particolare della legittimità costitu
zionale degli art. 1, 2, 3 e 5 della predetta legge nelle parti in
a partire dal trentesimo giorno precedente la data delle elezioni, il di vieto di ogni forma di pubblicità elettorale anche se relativa a successi ve consultazioni referendarie; 7 dicembre 1994, n. 420, Foro it., 1995, 1, 4, con nota di richiami e osservazioni di Pardolesi, commentata da
Pinto, in Giust. civ., 1995,1, 17, da Colombani, in Arch, civ., 1995, 25, da Roppo, in Corriere giur., 1995, 168, da Ambrosini, in Giur. it., 1995, I, 129, da Corso, in Nuove autonomie, 1995, fase. 1, 93, da Grandinet
ti, in Giornate dir. amm., 1995, 43, da Votano, Contaldo, Vespignani, in Dir. informazione e informatica, 1995, 295, da Zaccaria, Grandi
nettì, in Giur. costit., 1994, 3716, e da Bianchi, in Questione giustizia, 1995, 46, che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 15, 4° comma, 1. 6 agosto 1990 n. 223, nella parte in cui consentiva ad uno stesso sog getto di esser titolare di tre delle nove concessioni per reti televisive su scala nazionale assentibili ai privati; 26 marzo 1993, n. 112, Foro it., 1993, I, 1339, con nota di richiami e osservazioni di Caringella, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 2, 3, 15, 16, 19 1. 6 agosto 1990 n. 223, nella parte in cui subordi nano l'esercizio dell'attività di diffusione radiotelevisiva al consegui mento di apposito titolo concessorio; 14 luglio 1988, n. 826, id., 1988, I, 2477, con nota di richiami e osservazioni di Pardolesi, commentata da Esposito, in Corriere giur., 1988, 913, e da Fragola, in Cons. Stato, 1988, II, 1962, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 1, 183 e 195 d.p.r. 156/73, in relazione a quanto prescritto dall'art. 45 1. 103/75, nonché
dagli art. 1 e 2 stessa legge e dall'art. 2 1. 693/75, nella parte in cui ri servano allo Stato le trasmissioni televisive su scala nazionale.
L'ordinanza di rimessione di Tar Lazio, sez. II (con data 7 febbraio
2001, n. 943) è riportata in Foro it., 2001, III, 293, con nota di richia mi.
In ordine alla disciplina della propaganda elettorale, contenuta nella 1. 28/00, v. Corte cost. 17 novembre 2000, n. 502, ibid., I, 780, con nota di richiami, che ha ritenuto spettare alla commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi adottare la
disciplina contenuta negli art. 1, 2° comma, 2, 1° comma, lett. c) e d), 1, 2° comma, della deliberazione approvata il 28 marzo 2000 in ordine a comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico per la campa gna referendaria 2000 e ha giudicato manifestamente infondata la que stione di legittimità costituzionale degli art. 5, 1° comma, e 9 1. 28/00, nella parte in cui non conterrebbero una disciplina sufficiente ad assicu rare l'esistenza, costituzionalmente necessaria, di una reale ed efficace comunicazione istituzionale.
Per ulteriori applicazioni della 1. 28/00, v. Tar Lazio, sez. Il, 17 otto bre 2001, n. 8580, id., Rep. 2001, voce Elezioni, n. 177, secondo cui, ove la Rai — muovendo da una ritenuta ed ampia sfera di autonomia di
gestione quanto ai tempi e modi di articolazione degli spazi di pro grammazione da assegnare alle trasmissioni di comunicazione politica diverse dalle tribune, per le quali vi è assoluta riserva di regolamenta zione da parte della commissione parlamentare di vigilanza
— non ab
bia, con consapevole scelta editoriale, previsto al riguardo un assetto di
programmazione organizzata, l'assenza di detto organico quadro di
programmazione, in base al quale (salvo le tribune politiche oggetto di
separata ed esaustiva.disciplina) possa identificarsi la prevalente valen za del contenuto di determinati gruppi di trasmissioni, esclude che pos sa avere ingresso una pretesa all'adozione di misure compensative ai sensi dell'art. 10, 3° comma, 1. 28/00, non identificandosi un parametro certo ed obiettivo per la distribuzione degli spazi secondo i rigidi criteri di proporzionalità stabiliti dall'art. 3 della delibera della commissione
parlamentare di vigilanza del 21 giugno 2000; Tar Lazio, sez. Il, ord. caut. 2 maggio 2001, n. 2922, ibid., n. 39, circa il criterio recepito dal
legislatore (e ritenuto non irragionevole), ai fini dell'accesso ai sistemi
di comunicazione politica elencati dall'art. 4, 1° comma, 1. 28/00, im
perniato sulla soglia di rilevanza, sul piano nazionale, di un soggetto
politico. Sul divieto di presenza di uomini politici nelle trasmissioni televisive
di mera informazione nel periodo anteriore alle votazioni, in base a
quanto stabilito dalla 1. 10 dicembre 1993 n. 515, v. Cass. 28 novembre
2001, n. 15101, e 14 giugno 2001, n. 8024, id., 2002, I, 750 e 142, con
note di richiami. In tema di pubblicazioni di propaganda elettorale, v. Corte cost. 25
luglio 2001, n. 287, id., 2001,1, 3024, con nota di richiami.
* * *
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PARTE PRIMA 2240
cui, imponendo alle emittenti radiotelevisive di assicurare la
«parità» tra le varie forze politiche nei programmi di «comuni
cazione politica» durante le campagne elettorali e nei periodi non elettorali, impedirebbero alle emittenti stesse, in violazione
degli art. 3 e 21 Cost., di qualificarsi attraverso l'affermazione di propri orientamenti, «espropriando» così il loro diritto a ma
nifestare una propria identità politica. Inoltre l'art. 7 stessa legge si porrebbe in contrasto, secondo
Messaggio alle camere del presidente della repubblica Carlo A
zeglio Ciampi in materia di pluralismo e imparzialità dell'infor mazione (palazzo del Quirinale, 23 luglio 2002).
Onorevoli parlamentari, la garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione costituisce strumento essenziale per la realizzazione di una democrazia compiuta; si tratta di una necessità avvertita dalle forze politiche, dal mondo della cultura, dalla società civile.
Il principio fondamentale del pluralismo, sancito dalla Costituzione e dalle norme dell'Unione europea, è accolto in leggi dello Stato e svi
luppato in importanti sentenze della Corte costituzionale. 11 tema investe l'intero sistema delle comunicazioni, dalla stampa
quotidiana e periodica alla radiotelediffusione e richiede un'attenta ri flessione sugli apparati di comunicazione anche alla luce delle più re centi innovazioni tecnologiche e della conseguente diffusione del si stema digitale. 11 mondo appare sempre più un insieme di mezzi e di reti interconnesse, che abbracciano l'editoria giornalistica, la radiotele visione, le telecomunicazioni.
Per quanto riguarda il settore della stampa, la 1. 5 agosto 1981 n. 416 fissa limiti precisi alle concentrazioni e detta norme puntuali per la loro eliminazione ove esse vengano a costituirsi. Secondo i dati forniti dal
presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nella sua relazione annuale sull'attività svolta, presentata il 12 luglio scorso, i limiti posti dalla legge alle concentrazioni in materia di stampa risulta no rispettati.
Per quanto concerne l'emittenza televisiva, dopo la sentenza n. 826 del 1988 (Foro it., 1988,1, 2477), nella quale la Corte costituzionale af fermava che il pluralismo «non potrebbe in ogni caso considerarsi rea lizzato dal concorso tra un polo pubblico e un polo privato», il parla mento approvò la 1. 6 agosto 1990 n. 223, per disciplinare il sistema ra diotelevisivo pubblico e privato. Si tratta della prima legge organica che, nel suo art. 1, dopo aver affermato il preminente interesse generale della diffusione di programmi radiofonici e televisivi, definisce i prin cipi fondamentali del sistema: «il pluralismo, l'obiettività, la comple tezza e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse opinio ni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto della li bertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione».
La successiva I. 31 luglio 1997 n. 249, ha istituito l'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni e ha dettato norme con le quali ha precor so, con lungimiranza, il tema della c.d. «convergenza multimediale», tra telecomunicazioni e radiotelevisione, attribuendo all'autorità indi
pendente competenza su entrambi i settori. Dato essenziale della normativa in vigore è il divieto di posizioni
dominanti, considerate di per sé ostacoli oggettivi all'effettivo esplicar si del pluralismo.
La giurisprudenza costituzionale, sviluppatasi nell'arco di un quarto di secolo, ha trovato la sua sintesi nella sentenza n. 420 del 1994 (id., 1995, I, 4), nella quale la corte ha richiamato il vincolo, imposto dalla Costituzione al legislatore, di assicurare il pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero, e di garantire, in tal modo, il fondamentale diritto del cittadino all'informazione.
Questi principi hanno avuto conferma nell'aprile scorso nella senten za n. 155 del 2002 della stessa corte (in epigrafe) che, richiamando i
punti essenziali delle precedenti decisioni, ha ribadito l'imperativo co stituzionale, secondo cui il diritto di informazione garantito dall'art. 21 Cost, deve essere «qualificato e caratterizzato, tra l'altro, sia dal plura lismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie — così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo pre senti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti — sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla com
pletezza, dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazio ne erogata».
Tale sentenza è particolarmente significativa là dove pone in rilievo che la sola presenza dell'emittenza privata (c.d. pluralismo «esterno») non è sufficiente a garantire la completezza e l'obiettività della comu nicazione politica, ove non concorrano ulteriori misure «sostanzial mente ispirate al principio della parità di accesso delle forze politiche» (c.d. pluralismo «interno»),
I principi e i valori del pluralismo e dell'imparzialità dell'informa zione nel settore delle comunicazioni elettroniche sono stati richiamati e hanno trovato sistemazione organica in quattro recenti direttive del
parlamento europeo e del consiglio dell'Unione europea, che dovranno essere recepite dai paesi membri entro il luglio del 2003. Il contenuto di
queste direttive è in sintonia con la carta dei diritti fondamentali del
li. Foro Italiano — 2002.
il giudice a quo, con l'art. 3 Cost., sotto il profilo che stabilendo
limitazioni alla propaganda elettorale, le quali invece non sono
previste per la stampa periodica, introdurrebbe un'irragionevole discriminazione in danno delle imprese radiotelevisive.
Infine, il Tar censura l'art. 4, 3° comma, lett. b), e 5° comma, della medesima legge nella parte in cui, prevedendo che durante
la campagna elettorale i messaggi politici autogestiti debbono
essere trasmessi gratuitamente dalle emittenti nazionali, mentre
l'Unione europea che, nel 2° comma dell'art. 11, sancisce espressa mente il rispetto del pluralismo e la libertà dei media.
Nelle premesse di tali direttive sono indicate le finalità di una politi ca comune europea in materia di informazione. Viene, in particolare, definito il concetto di libertà di espressione, precisando che questa «comprende la libertà di opinione e la libertà di trasmettere informa zioni e idee, nonché la libertà dei mezzi di comunicazione di massa e il loro pluralismo».
In particolare, nella direttiva denominata «direttiva quadro»: — vie
ne specificato che «la politica audiovisiva e la regolamentazione dei contenuti perseguono obiettivi di interesse generale, quali la libertà di
espressione, il pluralismo dei mezzi di informazione, l'imparzialità, la diversità culturale e linguistica, l'inclusione sociale, la protezione dei consumatori e la tutela dei minori»; — si fa obbligo agli Stati membri di «garantire l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazio ne in modo da assicurare l'imparzialità delle loro decisioni»; — è riser vato grande spazio all'assetto del mercato e all'esigenza di assicurare un regime concorrenziale.
Nel volgere di pochi anni anche l'Italia disporrà delle nuove possibi lità che l'evoluzione della tecnologia mette a disposizione dell'emit tenza radiotelevisiva. Questo sviluppo produrrà un allargamento delle occasioni di mercato e rappresenterà un freno alla costituzione o al raf forzamento di posizioni dominanti, pur nella necessaria considerazione delle dimensioni richieste dalle esigenze della competizione nell'am bito del più ampio mercato europeo e mondiale.
La 1. 20 marzo 2001 n. 66 prevede, in proposito, che «le trasmissioni televisive dei programmi e dei servizi multimediali su frequenze terre stri devono essere irradiate esclusivamente in tecnica digitale entro l'anno 2006».
E, tuttavia, il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione non po tranno essere conseguenza automatica del progresso tecnologico. Sa ranno, quindi, necessarie nuove politiche pubbliche per guidare questo imponente processo di trasformazione. È questo un problema comune a tutti i paesi europei, oggetto di vivaci dibattiti e di proposte innovative.
Onorevoli parlamentari, la prospettiva della nuova realtà tecnologica, il quadro normativo offerto dalle recenti direttive comunitarie e le chia re indicazioni della Corte costituzionale richiedono l'emanazione di una legge di sistema, intesa a regolare l'intera materia delle comunica zioni, delle radiotelediffusioni, dell'editoria di giornali e periodici e dei
rapporti tra questi mezzi. Nel redigere tale legge occorrerà tenere presente, per quanto riguarda
la radiotelevisione, il ruolo centrale del servizio pubblico. Il trattato di Amsterdam, che vincola tutti i paesi dell'Unione europea, muove dal
presupposto «che il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché all'esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione».
Nell'atteso testo normativo dovrà trovare coerente sistemazione la
disciplina della tutela dei minori, troppo spesso non tenuta nella dovuta considerazione nelle programmazioni delle emittenti televisive.
E fondamentale, inoltre, che la nuova legge sia conforme al titolo V Cost., che all'art. 117 ha assegnato alle regioni un preciso ruolo nella comunicazione, considerando questa materia ricompresa nella legisla zione concorrente insieme a quella della promozione e dell'organizza zione di attività culturali, che ne costituisce un logico corollario. Se condo la riforma costituzionale, spetta allo Stato di determinare i prin cipi fondamentali in dette materie, mentre alle regioni è conferito il
compito di sviluppare una legislazione che valorizzi il criterio dell'arti colazione territoriale della comunicazione come espressione delle iden tità e delle culture locali.
Nella definizione di tali principi fondamentali, lo Stato svolge la sua essenziale funzione di salvaguardia dell'unità della nazione e della identità culturale italiana. Essi costituiscono la più valida cornice, entro la quale trova esplicazione il pluralismo culturale, ricchezza inestima bile del nostro paese, sorgente di libera formazione della pubblica opi nione.
La cultura — questo è mio convincimento profondo — è il fulcro
della nostra identità nazionale; identità che ha le sue radici nella forma zione della lingua italiana e che, negli ultimi due secoli, si è sviluppata in una continuità di ideali e di valori dal risorgimento alla resistenza, alla Costituzione repubblicana.
Nel preparare la nuova legge, va considerato che il pluralismo e
l'imparzialità dell'informazione, così come lo spazio da riservare nei mezzi di comunicazione alla dialettica delle opinioni, sono fattori indi
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
alle emittenti locali è riconosciuto un rimborso da parte dello
Stato, violerebbe l'art. 42 Cost.
2. - Le questioni prospettate non sono fondate.
Il nucleo argomentativo dell'ordinanza di rimessione è che la
disciplina della comunicazione politica radiotelevisiva, deli
neata dagli art. 2 e 4 1. 22 febbraio 2000 n. 28, implica la «piena funzionalizzazione» del mezzo radiotelevisivo, dal momento
che all'emittente privata è negata, in ragione della necessaria
parità tra le varie forze politiche, la possibilità di manifestare
una propria identità politica, in contrasto con il riconoscimento
della libertà dei mezzi di diffusione garantita dall'art. 21 Cost.
Tale ordine argomentativo non appare però condivisibile. In
proposito va innanzi tutto rilevato che l'art. 1 1. 6 agosto 1990 n.
223 (disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), ispirandosi peraltro alla precedente 1. 14 aprile 1975 n. 103
(nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva),
dopo aver ribadito che «la diffusione di programmi radiofonici e
televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo tecnico, ha carattere di
preminente interesse generale», espressamente dispone che il
pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'in
formazione, l'apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose «rappresentano i principi fonda
mentali del sistema radiotelevisivo, che si realizza con il con
corso di soggetti pubblici e privati». Principi alla cui osservanza
sono dunque tenuti, alla luce delle pronunce di questa corte, an
che gli imprenditori privati, che operano nel settore, proprio in
quanto «soggetti in grado di concorrere insieme al servizio pub blico nella realizzazione dei valori costituzionali posti a presidio dell'informazione radiotelevisiva (v. art. 1 e 2 1. n. 223 del
1990)» (sentenza n. 112 del 1993, Foro it., 1993,1, 1339). Fin dalle prime decisioni di questa corte emerge che è giusti
ficato l'intervento del legislatore diretto a regolare, durante la
campagna elettorale, la concomitante e più intensa partecipazio
spensabili di bilanciamento dei diritti della maggioranza e dell'opposi zione: questo tanto più in un sistema come quello italiano, passato dopo mezzo secolo di rappresentanza proporzionale alla scelta maggioritaria.
Quando si parla di «statuto» delle opposizioni e delle minoranze in un sistema maggioritario, le soluzioni più efficaci vanno ricercate an zitutto nel quadro di un adeguato assetto della comunicazione, che con senta l'equilibrio dei flussi di informazione e di opinione.
Anche a tal fine, la vigilanza del parlamento, in coordinamento con l'autorità di garanzia, potrebbe estendersi all'intero circuito mediatico,
pubblico e privato, allo scopo di rendere uniforme ed omogeneo il prin cipio della par condicio.
Parametri di ogni riforma devono, in ogni caso, essere i concetti di
pluralismo e di imparzialità, diretti alla formazione di una opinione pubblica critica e consapevole, in grado di esercitare responsabilmente i diritti della cittadinanza democratica.
Riassumo le considerazioni fin qui svolte, dalle quali emergono al cuni obiettivi essenziali: —
specificazione normativa — tenendo conto delle variazioni introdotte dalle innovazioni tecnologiche in continua evoluzione — dei principi contenuti nella legislazione vigente e nella
giurisprudenza della Corte costituzionale; — attuazione delle direttive comunitarie che l'Italia dovrà recepire entro il luglio del 2003; — defi nizione di un quadro normativo per l'attivazione della competenza con corrente delle regioni nel settore delle comunicazioni, secondo quanto previsto dall'art. 117 del nuovo titolo V Cost.; — perseguimento dello
scopo fondamentale di meglio garantire, attraverso il pluralismo e
l'imparzialità dell'informazione, i diritti fondamentali dell'opposizione e delle minoranze.
Onorevoli parlamentari, ho voluto sottoporre ai rappresentanti eletti della nazione queste riflessioni, perché avverto che sta a noi tutti prov vedere per il presente e, al tempo stesso, guardare al futuro, prefiguran do e preparando con lungimiranza un sistema di valori e di regole che
salvaguardi e sostenga la vita e l'azione delle nuove generazioni. Lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e delle reti di comu
nicazione è qualcosa di più di un avanzamento tecnico: configura un salto di qualità; muta il contesto nel quale si esplica la vita culturale e
politica dei popoli; apre straordinarie possibilità di conoscenza, di nuo vi servizi, di partecipazione, di crescita individuale e collettiva.
Dobbiamo vivere questo momento di transizione con consapevolezza e fiducia. Un processo di innovazione affidato alle forze della società,
promosso e accompagnato dall'azione pubblica in una appropriata cor
nice normativa, è la base per una nuova stagione di sviluppo morale e materiale della nazione.
E questa una sfida che coinvolge tutte le istituzioni: saper tradurre l'innovazione in una grande opportunità di formazione per i cittadini.
Non c'è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell'informazio ne: sono fiducioso che l'azione del parlamento saprà convergere verso la realizzazione piena di questo principio.
Il Foro Italiano — 2002.
ne di partiti e cittadini alla propaganda politica (cfr. sentenza n.
48 del 1964, id., 1964, I, 1525). E nella successiva giurispru denza costituzionale si è ripetutamente affermato che, fermo re
stando che i mezzi d'informazione di massa sono tenuti alla pa rità di trattamento nei confronti dei soggetti politici (sentenza n.
161 del 1995, id., 1995, I, 1700), i principi fondanti del nostro
Stato «esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera
opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale»
(sentenza n. 112 del 1993). Proprio da qui deriva «l'imperativo costituzionale» che «il diritto all'informazione», garantito dal
l'art. 21 Cost., venga qualificato e caratterizzato, tra l'altro, sia
dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie —
così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti cultu
rali e politici differenti — sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e
dalla continuità dell'attività d'informazione erogata (sentenza n.
112 del 1993). Il diritto alla completa ed obiettiva informazione del cittadino
appare dunque, alla luce delle ricordate pronunce, tutelato in via
prioritaria soprattutto in riferimento a valori costituzionali pri mari, che non sono tanto quelli
— come sostiene la difesa delle
parti private — alla «pari visibilità dei partiti», quanto piuttosto
quelli connessi al corretto svolgimento del confronto politico su
cui in permanenza si fonda, indipendentemente dai periodi di
competizione elettorale, il sistema democratico. È in questa pro
spettiva di necessaria democraticità del processo continuo di in
formazione e formazione dell'opinione pubblica, che occorre
dunque valutare la congruità del bilanciamento tra principi ed
interessi diversi attuato dalla disciplina censurata mediante la
previsione di modalità e forme della «comunicazione politica». Attraverso di esse infatti, proprio al fine specifico di consentire — in ogni tempo e non solo nei periodi elettorali — la più am
pia informazione del cittadino per formare la sua consapevolez za politica, si esplica la libertà di espressione delle singole emittenti private.
Ed è in questa stessa prospettiva che deve essere valutato se il
c.d. pluralismo «esterno» dell'emittenza privata sia sufficiente a
garantire, in ogni caso, la completezza e l'obiettività della co
municazione politica, o se invece debbano concorrere ulteriori
misure sostanzialmente ispirate al principio della parità di ac
cesso delle forze politiche e dei rispettivi candidati, tenendo
presente che nei principali paesi europei la disciplina della co
municazione politica, in questi ultimi anni, si è orientata, pur nell'inevitabile diversità dei criteri ispiratori, su modelli di re golazione degli spazi radiotelevisivi caratterizzati in generale dalla regola della parità di chances.
2.1. - In questo quadro, il primo dubbio di costituzionalità che
l'ordinanza di rimessione solleva riguarda l'obbligo imposto dall'art. 2, 2° comma, della legge censurata alle singole emit
tenti di predisporre appositi programmi di «opinioni e valuta
zioni politiche», da organizzare in forma particolare, e nei quali deve essere appunto assicurata la parità di accesso tra i diversi
soggetti partecipanti. A questo proposito va tenuto presente che l'attuale sistema
radiotelevisivo misto pubblico-privato è governato dal c.d.
«principio della concessione» (sentenza n. 112 del 1993), dal
quale derivano, tra l'altro, obblighi incidenti sull'esercizio del
l'attività radiotelevisiva, come quelli, ad esempio, che impon
gono alle emittenti private in ambito locale di dedicare un certo
numero di ore settimanali all'informazione su problematiche sociali (art. 5 1. 27 agosto 1993 n. 323), oppure quelli che im
pongono alle emittenti private nazionali di trasmettere quotidia namente i telegiornali e di mandare in onda programmi per non
meno di dodici ore giornaliere (art. 20 1. n. 223 del 1990). Si tratta di obblighi di facere, che gravano sugli imprenditori pri vati del settore, in quanto la concessione, per ciò che riguarda
gli aspetti relativi ai controlli sull'attività erogata e sull'orga nizzazione dell'impresa, «costituisce uno strumento di ordina
zione nei confronti di facoltà e di doveri connessi alla garanzia costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero e
della libertà di iniziativa economica privata, nonché ai correlati
vi limiti posti a tutela di beni d'interesse generale» (sentenza n.
112 del 1993). In quest'ottica, quindi, l'effettuazione di quelli che il giudice
a quo definisce «programmi politici 'paritari'» si concretizza
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PARTE PRIMA 2244
essenzialmente in un'attività che deve rispettare precisi limiti
«modali», cioè inerenti alle modalità di svolgimento di queste trasmissioni; limiti i quali attengono specificamente ai profili
organizzativo-imprenditoriali dell'iniziativa economica, anziché
a quelli contenutistici dell'attività di manifestazione del pensie ro. Ed invero, le norme censurate prevedono l'obbligo di predi
sporre nel quadro della programmazione — in attuazione del
dovere di assicurare, in condizioni di parità, a tutti i soggetti
politici l'«accesso» all'informazione ed alla comunicazione po litica —
specifiche e assai limitate nel tempo tipologie di tra
smissioni («tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presenta zione in contraddittorio di candidati e di programmi politici, confronti, interviste e ogni altra forma nella quale assuma ca
rattere rilevante l'esposizione di opinioni e valutazioni politi
che»), nel cui ambito deve essere rigorosamente osservato il
criterio della partecipazione in contraddittorio e del confronto
dialettico tra i soggetti intervenienti, secondo il canone della pa ri opportunità. Ma è un obbligo che incide su modalità organiz zative, che non toccano la libertà di espressione, se non sotto il
profilo del dovere di osservanza di un comportamento neutrale
ed imparziale. Si tratta peraltro di doveri che discendono dal prospettato re
gime di concessione, ordinato appunto alla regolazione di fa
coltà e doveri a tutela di un interesse costituzionale generale —
quale è appunto quello dell'informazione e formazione consa
pevole della volontà del cittadino-utente — in favore del quale il legislatore ha risolto non irragionevolmente il bilanciamento
con la contrapposta libertà di opinione delle singole emittenti
private. 2.2. - In ogni caso non è esatto ritenere che in questo modo si
pervenga — come sostiene l'ordinanza di rimessione — ad
«espropriare in loto di ogni manifestazione 'politica' le emit
tenti private». Ed infatti l'art. 2, 2° comma, della legge censu
rata, stabilendo espressamente che le disposizioni che regolano la comunicazione politica radiotelevisiva «non si applicano alla
diffusione di notizie nei programmi di informazione», preclude che in questi programmi, che certamente costituiscono un mo
mento ordinario, anche se tra i più caratterizzanti dell'attività
radiotelevisiva, all'emittente possano essere imposti limiti, che
derivino da motivi connessi alla comunicazione politica.
L'espressione «diffusione di notizie» va pertanto intesa, del re
sto secondo un dato di comune esperienza, nella sua portata più
ampia, comprensiva quindi della possibilità di trasmettere noti
zie in un contesto narrativo-argomentativo ovviamente risalente
all'esclusiva responsabilità della testata.
Tanto è sufficiente, quindi, ad escludere ogni paventata forma
di «funzionalizzazione» del mezzo radiotelevisivo o di «espro
priazione» dell'identità politica delle singole emittenti private ed a consentire invece ad ognuna di esse di fare emergere, anche
attraverso le proprie analisi e considerazioni di ordine politico,
l'immagine propria di un'impresa di tendenza. Vero è, a questo proposito, che durante le campagne elettorali sono previsti, ne
gli art. 4 e 5, criteri limitativi sia in ordine alla comunicazione
politica radiotelevisiva, sia in ordine ai programmi di informa
zione: si tratta peraltro di prescrizioni, che nella loro rigorosa
previsione appaiono tutte ispirate dal ragionevole intento di pre venire in ogni modo qualsiasi influenza, anche «in forma sur
rettizia», sulle libere e consapevoli scelte degli elettori, in mo
menti particolarmente delicati della vita democratica del paese. In considerazione di tutto ciò, non è condivisibile l'afferma
zione del giudice a quo, secondo cui «l'esigenza di tutela del
processo di formazione della consapevolezza politica dell'elet
tore» sarebbe soddisfatta più agevolmente, anziché da una rigida
disciplina di settore, dal «libero concorso di differenti voci in
formative». Questa tesi evidentemente evoca il c.d. pluralismo «esterno», che certamente costituisce uno degli «imperativi» elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in materia; in pro
posito, peraltro, va ricordato che esso non può dirsi realizzato
per il solo fatto che vi sia concorso fra un polo pubblico e un
polo privato, il quale detenga una posizione dominante nel set
tore dell'emittenza privata (sentenza n. 826 del 1988, id., 1988,
I, 2477), giacché in questo modo non si verifica l'accesso al si
stema radiotelevisivo del «massimo numero possibile di voci
diverse» (sentenza n. 112 del 1993). Ma in ogni caso il plurali smo esterno può risultare insufficiente — in una situazione in
cui perdura la sostanziale limitazione delle emittenti — a ga rantire la possibilità di espressione delle opinioni politiche at
li Foro Italiano — 2002.
traverso il mezzo televisivo. Proprio a questo fine le norme cen
surate, imponendo un ragionevole bilanciamento dei contrappo sti interessi, richiedono, nel caso di trasmissioni di comunica
zione politica, modalità che assicurino il pluralismo sostanziale
mediante la garanzia della parità di chances offerta ai soggetti intervenienti.
3. - Un'ulteriore censura riguarda l'art. 7 stessa legge, sotto il
profilo della disparità di trattamento in danno del settore radio
televisivo, poiché per la stampa periodica non sono previste li
mitazioni così incisive in ordine alla propaganda elettorale.
La prospettata violazione dell'art. 3 Cost, però non sussiste, in quanto emittenza radiotelevisiva e stampa periodica hanno
regimi giuridici nettamente diversi — cosi da impedire l'indivi duazione di un tertium comparationis adeguato
— in relazione
alle loro differenti caratteristiche: «nel settore della stampa non
c'è alcuna barriera all'accesso, mentre nel settore televisivo la
non illimitatezza delle frequenze, insieme alla considerazione
della particolare forza penetrativa di tale specifico strumento di
comunicazione impone il ricorso al regime concessorio» (sen tenza n. 420 del 1994, id., 1995,1, 4). In ogni caso la disomoge neità dei mezzi in comparazione è tale da escludere qualsiasi di
sparità di trattamento, poiché è noto e costante, nella giurispru denza di questa corte, il riconoscimento della peculiare diffusi
vità e pervasività del messaggio televisivo (sentenze n. 225 del
1974, id, 1974, I, 1945; n. 148 del 1981, id, 1981, I, 2094; n. 826 del 1988, cit.), così da giustificare l'adozione, soltanto nei
confronti dell'emittenza radiotelevisiva, di una rigorosa disci
plina capace di impedire qualsiasi improprio condizionamento
nella formazione della volontà degli elettori.
4. - L'ultima censura, infine, riguarda il diverso regime cui
sono soggetti i «messaggi politici autogestiti», la cui trasmissio
ne durante le campagne elettorali, mentre per le emittenti locali
prevede un rimborso da parte dello Stato (cfr. art. 4, 5° comma, 1. n. 28 del 2000), deve invece essere gratuita per le emittenti
nazionali (cfr. art. 4, 3° comma, lett. b, della medesima legge), in violazione, secondo l'ordinanza di rimessione, dell'art. 42
Cost., sotto il profilo che «gli atti ablatori della proprietà privata
postulino la corresponsione di un indennizzo, il quale non po trebbe non interessare anche l'ipotesi dell'esproprio di spazi ra
diotelevisivi privati». Al riguardo va osservato che è del tutto inesatto, in questo ca
so, il riferimento all'«esproprio» di spazi radiotelevisivi privati,
giacché per le emittenti nazionali, esclusa la concessionaria del
pubblico servizio, la trasmissione dei predetti messaggi non
rappresenta certo un obbligo, ma solo una scelta evidentemente
dipendente da complessive valutazioni di carattere imprendito riale intorno all'offerta dei programmi. D'altra parte, stante la
rilevante differenza di ordine fattuale e giuridico tra emittenti ad
ambito nazionale ed emittenti ad ambito locale ed in considera
zione della limitatezza delle risorse finanziarie disponibili per
queste ultime, appare del tutto giustificata la previsione di un
rimborso da parte dello Stato delle loro spese per la trasmissione
di messaggi autogestiti. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondate
le questioni di legittimità costituzionale degli art. 1, 2, 3, 4, 5 e
7 1. 22 febbraio 2000 n. 28 (disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e refe
rendarie e per la comunicazione politica), sollevate, in riferi
mento agli art. 3, 21 e 42 Cost., dal Tar Lazio con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
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