sentenza 8 aprile 1984; Pres. Magrone, Est. Infantini, P. M. D'Amelio (concl. diff.); Garruto(Avv. Del Mastro) c. Bonassisa (Avv. Battiante, Minunno) e altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 4 (APRILE 1985), pp. 1195/1196-1201/1202Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178443 .
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1195 PARTE PRIMA 1196
Ritiene il giudicante che lo stesso principio valga anche per le
misure cautelari nominate e non regolate dal capo terzo del libro
IV del c.p.c., ma collocate in altre parti del codice di procedura
o di quello civile. Se infatti, pur esistendo specifici mezzi
cautelari, potesse farsi ricorso ai provvedimenti ex art. 700, non
si vedrebbe per quale motivo il legislatore avrebbe espressamente
regolato quelli. In sostanza si ritiene che il provvedimento di
urgenza possa essere richiesto ed ammesso solo quando non
esistano provvedimenti cautelari specifici fissati dal legislatore.
Ciò posto dovrà stabilirsi se nella fattispecie i ricorrenti avesse
ro potuto e dovuto servirsi di mezzi specifici previsti dalla legge
per ottenere quanto oggi richiedono con il ricorso di cui trattasi.
È pacifico che la sospensione prima e la espulsione poi degli attori
sono state comminate da organi di una associazione sindacale non
riconosciuta.
Per giurisprudenza costante (Cass. 3 aprile 1978, n. 1498, id.,
1978, I, 1670; 2 marzo 1973, n. 579, id., 1973, I, 1407; 30 ottobre
1956, n. 4050, id., 1957, I, 397), del resto pienamente condivisa
dal Pretore di Ferrara, alle associazioni non riconosciute si
deve applicare la disciplina prevista per quelle riconosciute,
ovviamente ad esclusione delle disposizioni riguardanti gli istituti
collegati con il riconoscimento. Vi è anche da dire che giurispru denza e dottrina si sono sempre pronunciate per l'applica
zione alle associazioni non riconosciute (tra le quali deve
per certo annoverarsi anche il sindacato) dell'art. 23 c.c., secondo
il quale le delibere dell'« assemblea » non sono nulle, ma annul
labili sia su istanza dell'ente sia idi qualunque associato (Cass. 22
ottobre 1973, n. 2572, id., 1973, I, 3290; 24 ottobre 1969, n. 3490,
id., 1970, I, 870). Concetto questo da estendersi per analogia anche agli altri organi delle associazioni non riconosciute.
L'art. 2 Cost, infatti sancisce un principio fondamentale ed
inderogabile per il quale l'ordinamento deve riconoscere e garan tire i diritti invididuali dall'uomo sia come singolo, sia nelle
funzioni sociali ove si svolge la sua personalità per cui la
garanzia della tutela giurisdizionale deve considerarsi irrinunciabi
le. Di conseguenza anche il disposto dell'art. 23, là dove esso
concede a qualunque associato la facoltà di proporre al giudice istanza di annullamento di delibere non valide perché contrarie « alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto », può e deve essere
applicato al rapporto di associazione sindacale.
Da ciò discende che l'associato, che intende impugnare una
delibera di espulsione o di sospensione, adottata da un qualsiasi
organo della associazione, dovrà adire il giudice (tribunale) ai
sensi dell'art. 23 c.c.; qualora invece voglia ottenere la sospensio ne in via cautelativa del provvedimento dovrà rivolgersi al
presidente del tribunale o al giudice istruttore a seconda che la
causa sia stata o meno iniziata ai sensi del 3° comma del citato
articolo.
Posto quindi che esiste nel nostro ordinamento una procedura cautelare specifica a tutela del diritto che si vuol far valere con il
ricorso de quo, per quanto sopra detto, l'art. 700 c.p.c. non può trovare applicazione. (Omissis)
TRIBUNALE DI FOGGIA; sentenza 8 aprile 1984; Pres. Ma
grone, Est. Infantini, P. M. DAmelio (conci, diff.); Garruto
(Avv. Del Mastro) c. Bonassisa (Avv. Battiante, Minunno) e
altro.
TRIBUNALE DI FOGGIA;
Elezioni — Comuni con popolazione inferiore a diecimila abitanti — Potere di rettifica dei risultati elettorali — Sussistenza (D.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, t.u. delle leggi per la composizione e la
elezione degli organi delle amministrazioni comunali, art. 76,
82). Elezioni — Contenzioso elettorale — Cause di ineleggibilità e
incompatibilità — Procedimento di contestazione — Necessità — Limiti (D.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, art. 9 bis; 1. 23
aprile 1981 n. 154, noime in materia di ineleggibilità e in
compatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale, art. 7, 10).
Elezioni — Cause di ineleggibilità e incompatibilità — Appaltatore nell'interesse del comune — Incompatibilità — Limiti (L. 23
aprile 1981 n. 154, art. 3).
Sussiste il potere giurisdizionale di rettifica dei risultati elettorali
di comune con popolazione inferiore a diecimila abitanti, non ostandovi il sistema elettorale maggioritario. (1)
Non è inammissibile né improcedibile la domanda proposta al
giudice ordinario per far dichiarare la decadenza per incompa bilità di consigliere comunale, qualora il consiglio comunale
non provveda, preventivamente, alla contestazione della causa di
ineleggibilità. (2) Non sussiste causa di decadenza per incompatibilità elettorale
dell'appaltatore consigliere comunale che abbia eseguito un'ope ra nell'interesse del comune qualora, pur in mancanza del
collaudo, i lavori risultino ultimati senza riserva da sette anni e
vi sia accettazione tacita dell'opera da parte dell'amministrazio
ne. (3)
(1) Sui problemi posti dall'art. 76 t.u. 16 maggio 1960 n. 570 e sulle diverse interpretazioni da darsi alla norma, v. Corte cost. 12 febbraio
1963, n. 6, Foro it., 1963, I, 391; Cons. Stato, sez. V, 28 settembre
1973, n. 663, id., Rep. 1973, voce Comune, nn. 47, 50; Trib. Como 17 settembre 1980, che leggesi in Fascicolo aperto, Milano, 1981, n. 2, 27
ss.; Trib. Treviso 23 novembre 1970, Foro it., Rep. 1971, voce
Elezioni, n. 229, e in Giur. it., 1971, 1, 2, 390, con nota di Scivoletto e osservazioni di La Valle.
(2) La sentenza sembra aderire alla tesi secondo la quale l'azione
popolare ex art. 9 bis t.u. 570/60 permane dopo l'entrata in vigore della 1. 23 aprile 1981 n. 154 ed è utilizzabile indipendentemente dalla
procedura di contestazione e controdeduzioni codificata nell'art. 7, 3°
comma, 1. 154. Sul problema cfr. Cass., ord. 8 settembre 1983, n. 675, Foro it., 1983, I, 2386, con nota di richiami, che ai punti C, D ed
E della motivazione nega al consiglio comunale il potere di procedere discrezionalmente alla scelta se contestare o meno l'ineleggibilità e
l'incompatibilità; in tema v. Militerni-Saporito, La nuova legge elettorale, Napoli, 1982, 210 ss. e Appendice 1983, 34 ss.
(3) Circa l'incompatibilità ex art. 3, 2° comma, 1. 154/81 per chi ha
parte in appalti nell'interesse dell'ente locale, v. Cass. 21 novembre
1981, n. 6200, Foro it., Rep. 1982, voce Elezioni, nn. 163, 185, che esclude l'eleggibilità anche del progettista e del direttore dei lavori
prima del collaudo delle opere eseguite per conto del comune; sul
punto, v. Militerni-Saporito, op. cit., 114 ss. Sul rilievo dei rapporti d'appalto nel diritto elettorale esiste una articolata produzione giuris prudenziale formatasi nell'impero del previgente art. 15 t.u. 6 maggio 1960 n. 570 ed utile ancor oggi nell'identità di ratio con le disposizio ni contenute nella novella del 1981.
Cosi non è necessario che l'appalto sia concesso direttamente dall'ente ed a spese di questo, bastando che all'oggetto dell'appalto l'ente abbia un interesse diretto, ciò anche nel caso di lavori che, benché appaltati e pagati dallo Stato, realizzavano opere di cui l'ente locale sarebbe divenuto proprietario o comunque beneficiario (Cass. 19
luglio 1948, n. 1167, Foro it., Rep. 1948, voce cit., n. 55; 10 novembre 1961, n. 2617, id., Rep. 1961, voce cit., n. 101), ed
indipendentemente dall'entità e durata dell'appalto, stante la potenziale conflittualità tra la posizione dell'appaltante e quella del comune interessato alla realizzazione delle opere.
L'incompatibilità nasce con l'aggiudicazione dei lavori, cosi come già ritenuto da Cass. 31 gennaio 1969, n. 288, id., Rep. 1969, voce cit., nn. 60, 63. Quanto alla cessazione dell'incompatibilità allorché siano stati eseguiti e ultimati i lavori, è utile richiamare l'orientamento secondo il quale cessa la causa di ineleggibilità (oggi incompatibilità) con l'esecuzione del collaudo, dato che solo la probatio operis con cui il committente constata che l'opera è stata compiuta a regola d'arte esonera l'appaltatore da responsabilità, definendo il contratto d'appalto (Cass. 10 ottobre 1958, n. 3193, id., 1958, I, 1411, con nota di
Coletti). Cass. 23 giugno 1972, n. 2092, id., Rep. 1972, voce cit., n.
194, ha altresf escluso che, in caso di opere appaltate dal comune e
pagate con contributo della regione, l'esecuzione del collaudo da parte di quest'ultima, al limitato scopo di verificare i presupposti per la concessione del contributo, faccia cessare l'ineleggibilità, dovendosi attendere per tale effetto il collaudo (dal comune appaltante) che non
può essere sostituito, ai fini dell'eliminazione della causa l'ineleggibilità da un certificato di ultimazione rilasciato dal direttore dei lavori, rappresentando detto certificato uno solo degli atti inerenti al collaudo, che è un procedimento ben più ampio e complesso.
Sulla figura del direttore dei lavori, eleggibile (oggi, compatibile) anche prima del collaudo, dopo la chiusura della contabilità, in quanto estraneo all'appalto, v. Cass. 6200/81 cit. e 20 marzo 1972, n. 835, id., 1972, I, 893, con r.ota di richiami.
Sulla possibilità, per il giudice ordinario, di rimediare al ritardo della p.a. nel deliberare sui risultati del collaudo dell'opera pubblica eseguita, e sulla possibilità dell'appaltatore di chiedere la fissazione di un congruo termine, a norma dell'art. 1183 c.c., per approvare o rifiutare il collaudo, Cass., sez. un., 8 settembre 1970, n. 1343, id., 1970, I, 2431, con nota di richiami, e, sul ricorso al giudice ordinario per la fissazione del termine per il collaudo, Trib. Roma 18
gennaio 1980, Trib. Napoli 30 ottobre 1979, 3 marzo 1979, 2 marzo
1979, 28 febbraio 1979, id., Rep. 1982, voce Opere pubbliche, nn.
141-146; Cass. 27 febbraio 1980, n. 1359, id., Rep. 1980, voce cit., n.
116; Coli. arb. 15 febbraio 1980, id., Rep. 1981, voce cit., n. 255. Più
Il Foro Italiano — 1985.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Il consiglio comunale di Deliceto, nella seduta immediatamente successiva alle elezioni amministra
tive tenutesi in data 26 e 27 giugno 1983, dichiarava eleggibili —
con delibera del 18 agosto 1983 (n. 125) — venti consiglieri e, tra
questi, Bonasisisa Domenico: e ciò sul presupposto che nessuno di
essi si trovasse nelle condizioni di ineleggibilità o di incompatibi lità di cui agli art. 2 e 3 1. 23 aprile 1981 n. 154.
Tale delibera veniva pubblicata nell'albo pretorio per quindici
giorni consecutivi e con decorrenza dal 3 agosto 1983.
Con ricorso depositato in cancelleria il 6 settembre 1983
Garruto Angelo deduceva che il Bonassisa, trovandosi in una
situazione di conflitto di interessi con il comune — in quanto gli era stata data in appalto l'esecuzione dei lavori per la sistemazio
ne e l'ammodernamento del palazzo municipale —, non avrebbe
potuto ricoprire la carica di consigliere comunale, giusta il
disposto dell'art. 3, n. 2, 1. ciit.
Precisava che il prezzo dell'appalto era stato portato — a
seguito di approvazione di perizia di variante e suppletiva in
sanatoria di cui alla delibera del consiglio comunale in data 28
marzo 1978 (n. 64), regolarmente approvata dall'organo regionale di controllo — a lire 147.790.000 e che, alla data della consulta
zione elettorale, non era venuta meno la prospettata conflittualità — ancorché potenziale — non risultando presentato né il conto
finale né essendovi stato il collaudo dell'opera. Chiedeva, quindi, il ricorrente che, a rettifica dell'anzidetta
deliberazione di convalida degli aletti, fosse corretto il risultato
delle elezioni e sostituito il Bonassisa, iscritto nella lista « Ca
stello », con esso istante, iscritto nella lista della Democrazia
cristiana e primo dei candidati non eletti.
Con decreto presidenziale del 9 settembre 1983 veniva fissata — a termine dell'art. 82 d.p.r. 16 maggio 1960 n. 570, come
sostituito dall'art. 1 1. 23 dicembre 1966 n. 1147 — l'udienza di
discussione della causa per il giorno 15 novembre 1983.
Con controricorso depositato in cancelleria il 10 novembre 1983
il Bonassisa eccepiva, innanzi tutto, l'inammissibilità del ricorso.
Prospettava, al riguardo, che il Garruto, nell'istaurare la pre sente procedura, aveva agito non già come « qualsiasi cittadino
elettore del comune », ma quale portatore di un « interesse
diretto » o personale, intendendo essere proclamato eletto in
sostituzione di esso resistente.
Nella specie — osservava, però, quest'ultimo — non si verteva
in tema di surrogazione di cui all'art. 75 d.p.r. n. 570/60, ma in
una ipotesi di decadenza per sopraggiunti motivi di ineleggibilità di cui all'art. 7, 3° comma, 1. 154/81.
E detta ipotesi — quanto alla surrogazione — era regolata dall'art. 81 del testo unico del 1960 n. 570, in virtù del quale essa è ammessa solo nei comuni con più di 10.000 abitanti, ora
5.000, stante le modifiche di cui alla 1. 10 agosto 1964 n. 663.
Precisava, cioè, il Bonassisa che alla proclamazione del candi
dato immediatamente successivo — rispetto a quello eletto — si
sarebbe potuto procedere solo nei comuni con l'indicato numero
di abitanti — nei quali si vota con il sistema proporzionale —•
e non già nel comune di Deliceto, nel quale, essendovi meno di
5.000 abitanti, vige il sistema maggioritario. Nel merito, chiedeva il rigetto del ricorso, con ogni conseguen
za. Deduceva che non v'era alcun conflitto di interesse, essendosi
ormai esaurito il rapporto di appalto: e ciò perché risultavano
approvati lo stato finale dei lavori e la ultimazione di essi — con
rilascio del certificato e relazione relativi —, eseguito il collaudo
in cemento armato ed effettuata anche la consegna delle opere. Rimaneva da effettuare — soggiungeva il resistente — formal
mente solo il collaudo finale e ciò non era ancora avvenuto per incuria della p.a. e della competente commissione.
Prospettava, in particolare, che avrebbe dovuto ritenersi esauri
to ed estinto il contratto di appalto sia per l'adempimento delle
obbligazioni sia perché si era verificata una sorta di accettazione ta
cita dell'opera. Ed aggiungeva che, anche se dal collaudo fosse e
mersa una difformità nell'esecuzione dei lavori rispetto alle previsio
ni contrattuali, la entità del credito residuo che ancora vantava nei
confronti del comune avrebbe costituito sufficiente garanzia per
detto ente.
fn ogni caso, possibilità di contrasti con l'ente comunale
avrebbero dovuto ritenersi del tutto incerte e remote, con la
conseguenza che, anche sotto questo profilo, avrebbe dovuto
escludersi l'indicata causa di ineleggibilità.
Dichiarava, infine, il Bonassisa — e, a tal riguardo, sottoscrive
in generale a proposito dell'esperibilità nei confronti della p.a. del
rimedio di cui all'art. 1183 c.c. Cass. 6 ottobre 1975, n. 3162, id.,
1976, I, 2307, con osservazioni di C.M. Barone.
va ill controricorso unitamente al proprio legale — che, ove si
fosse ritenuto sussistente un conflitto di interessi con il comune,
in relazione al rapporto di appalto, rinunziava, senza riser
va alcuna, a richiedere il versamento di qualsiasi somma spet
tantegli durante l'espletamento del mandato consiliare, con
possibilità per l'ente di sospendere ogni operazione di pagamento in suo favore salvo il diritto di effettuare il collaudo.
All'esito di questo avrebbe eseguito tutte le opere dovute — a
sua cura e spese — senza che ciò avesse incidenza sull'obbliga zione di pagamento.
E tale situazione — rilevava, quindi, il Bonassisa — costituiva
cessazione di ogni eventuale materia di contesa, con conseguente esclusione della presunta causa di ineleggibilità. (Omissis)
Motivi della decisione. — Preliminarmente deve dirsi dell'ecce
zione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Bonassisa: essa
non ha pregio. Si è prospettato, al riguardo, che, vertendosi, nella specie, in
materia di decadenza per sopraggiunti motivi di ineleggibilità —
a termine dell'art. 7, 3° comma, 1. 23 aprile 1981 n. 154 —, ai
fini della surrogazione del consigliere comunale eletto si sarebbe
dovuto far riferimento alla norma di cui all'art. 81 d.p.r. 16
maggio 1960 n. 570, secondo la quale è ammessa solo nei comuni
con popolazione superiore ai 10.000 abitanti (ora 5.000, in virtù
delle modifiche apportate dalla 1. 10 agosto 1964 n. 663), vale a
dire nei comuni ned quali si vota con il sistema proporzionale. Con la conseguenza che, avendo il comune di Deliceto una
popolazione inferiore ai 5.000 abitanti ed avvenendo le elezioni
con il sistema maggioritario, non si sarebbe potuto far luogo ad
alcuna sostituzione o surrogazione a vantaggio del ricorrente,
risultato il primo dei non eletti, come si ricava dalla certifica
zione del sindaco di detto comune in data 17 marzo 1984.
Sicché, essendo stato proposto il ricorso dal Garrulo in quanto
portatore di un siffatto interesse qualificato, l'impugnativa avrebbe
dovuto dichiararsi inammissibile, in quanto non si sarebbe potuto
pervenire ad una pronunzia, che lo surrogasse nella carica di
consigliere comunale al posto di esso resistente.
L'assunto non può essere condiviso, ove si consideri che, a
mente dell'art. 82 t.u. n. 570/60, le deliberazioni adottate in
materia di eleggibilità dal consiglio comunale possono essere
impugnate da « qualsiasi cittadino elettore del comune o da
chiunque altro vi abbia diretto interesse ».
Orbene, non sembra potersi disconoscere che il Garruto, iscrit
to nelle liste del comune di Deliceto, avesso lo stato di « cittadi
no elettore » e fosse ben legittimato a proporre il presente ricorso.
E deve anche riconoscersi — come esattamente è stato rilevato
dalla difesa dell'istante — che il tribunale, investito della contro
versia ai sensi dell'art. 82 cit., conservi senz'altro il potere di
procedere alla rettifica dei risultati elettorali, sostituendo « ai
candidati illegalmente proclamati coloro che hanno diritto di
esserlo », in forza del successivo art. 84, come risulta nella nuova
formulazione operata dall'art. 4 1. 23 dicembre 1966 n. 1147.
Sicché, a nulla rileva che si tratti di comuni nei quali le
elezioni avvengono con il sistema proporzionale ovvero con
quello maggioritario, non emergendo dall'art. 82 citato alcuna
preclusione all'autorità giudiziaria circa la surrogazione del con
sigliere non eleggibile od incompatibile a ricoprire una tale
carica, una volta che venga accolta l'impugnativa proposta avverso
la delibera del consiglio comunale.
Non v'ha dubbio, pertanto, che, ove fosse stata riconosciuta la
fondatezza del ricorso, il Garruto avrebbe dovuto prendere il
posto del Bonassisa, in quanto risultato il primo dei non eletti.
Ciò precisato rimane da esaminare l'ulteriore prospettazione difensiva circa l'inammissibilità del ricorso tanto sotto il profilo della causa petendi quanto sotto quello del petitum.
Invero, si è impugnata la delibera di convalida degli eletti da
parte del consiglio comunale, rilevandosi che il Bonassisa, essendo
in atto un rapporto di appalto con il comune di Deliceto, veniva
a trovarsi in una situazione di conflitto di interessi con detto
ente: e ciò a termine dell'art. 3, n. 2, 1. n. 154/81.
Orbene, a prescindere dalla fondatezza o meno di una tale
doglianza e da ogni ulteriore disamina sul punto della rilevanza
da attribuirsi anche ad una mera conflittualità potenziale di
interessi tra l'eletto ed iti comune nonché del fondamento o
ragione giustificatrice del divieto espresso dalla norma — que stioni che attengono al merito vero e proprio della controversia
—, non sembra potersi negare che il ricorso sia senz'altro
ammissibile, avuto riguardo al motivo posto a fondamento di esso
ed al testo della disposizione di legge.
E, circa l'altro rilievo espresso dal resistente — che avrebbe
Il Foro Italiano — 1985 — Parte 1-11.
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1199 PARTE PRIMA 1200
dovuto giustificare una pronunzia di inammissibilità o, quanto
meno, di improoedibilità della domanda — non può non osser
varsi che, nella prima seduta del consiglio comunale, fosse stata
ampiamente dibattuta la questione se esso Bonassisa dovesse
ritenersi in una condizione di ineleggibilità (rectius, incompatibili
tà) in relazione alla carica di consigliere comunale e che, alla
fine, detto organo avesse escluso che ricorresse la situazione di
cui all'art. 3, n. 2, 1. n. 154/81.
Sicché, in mancanza di contestazione formale da parte del
consiglio comunale all'eletto dell'indicata condizione di incompa
tibilità, sembra doversi escludere che sia stata violata la normati
va di cui all'art. 7, 3° comma, dell'anzidetta legge, come è stato
prospettato dalia difesa del Bonassisa.
Questi ha indicato le ragioni che si opponevano ad una sua
eventuale sostituzione in seno al consiglio comunale — come si
ricava dall'anzidetta deliberazione del 1° agosto 1983 — e non si
è profilata la necessità di una eliminazione dell'indicata causa di
incompatibilità — come è previsto dall'art. 7, 4° comma, 1.
154/81 — e prescindendosi dal punto della possibilità concreta di
una rimozione di essa, proprio perché l'organo in questione non
aveva proceduto ad alcuna contestazione.
Il che porta, quindi, a non cogliere alcuna inammissibilità od
improcedibilità della domanda per « difetto di presupposto pro cessuale consistente nel previo esperimento del procedimento di
contestazione », come è stato dedotto dalla difesa del resistente.
Ciò chiarito, nel merito è infondato il ricorso proposto dal
Garruto e, pertanto, va rigettato. Al riguardo, giova precisare che, con contratto del 28 agosto
1972, al Bonassisa furono commessi in appalto i lavori per la
sistemazione e l'ammodernamento del palazzo municipale di Deli
ceto per un importo — al netto del ribasso d'asta — di lire
14.039.937.
V'è stata, poi, perizia di variante e suppletiva — regolarmente
approvata dal consiglio comunale con delibera del 28 marzo 1978
(n. 64) e dall'organo regionale di controllo in data 31 marzo
1978 —, in base alla quale il costo dei lavori appaltati è stato
portato a lire 147.790.000.
Emerge ulteriormente dalla documentazione esibita dal Bonassi
sa che l'ultimazione dei lavori è avvenuta il 20 marzo 1977 (v. relativo verbale sottoscritto, oltre che dall'appaltatore, anche dal
direttore dei lavori, ing. Giovanni Russo, e dal sindaco dell'epo
ca, dott. Arnaldo Banuomo) e che la relazione al conto finale è stata redatta dal direttore dei lavori in data 24 marzo 1980.
Da questa si ricava anche che residuava un credito a favore
dell'impresa appaltatrice in lire 19.336.731 e che la stessa aveva firmato il registro di contabilità e lo stato finale senza inserirvi alcuna riserva.
È stata prodotta anche una nota dell'I.n.p.s. — gestione contri buti assicurazione malattia — in data 7 maggio 1980 — diretta al
direttore dei lavori e, per conoscenza, all'ispettorato del lavoro ed al Bonassisa — con la quale si faceva presente — in riscontro a
precisa richiesta dell'ing. Russo — che la impresa appaltatrice, per i lavori in questione, era in regola con gli adempimenti relativi all'assicurazione contro le malattie per i dipendenti occu
pati. Orbene, non è ancora avvenuto il collaudo degli indicati lavori
e manca, quindi, anche l'approvazione dello stesso: che, però, non avrebbe potuto impedire — si è osservato dalla difesa del Bonassisa — idi ritenere ormai definito ed esaurito il rapporto di
appalto in questione con il comune, dovendosi ritenere che vi fosse stata accettazione tacita dell'opera.
In particolare, i locali della casa comunale — debitamente ristrutturati — erano stati riconsegnati all'ente comunale, che, nel
prenderne il possesso, non aveva mosso alcuna riserva al riguardo. Sicché, essendo ormai agibili da diversi anni, la mancanza
dell'atto formale del collaudo e della relativa approvazione non avrebbe potuto integrare — in sostanza — gli estremi di una condizione di incompatibilità — come prevista dall'indicata di
sposizione di legge —, ammettendosi che esso Bonassisa avesse ancora « parte, direttamente o indirettamente, in appalti ».
Si è prospettato, al riguardo, che avrebbe dovuto escludersi « ogni possibilità di interferenza di interessi, essendosi esaurito il
rapporto con la sistemazione del conto finale sottoscritto senza riserve e con l'accettazione, benché tacita, dell'opera ».
Ritiene il collegio, in definitiva, che possa seguirsi l'impostazio ne difensiva del Bonassisa allorché si esclude che, neEa specie, si verta in una situazione di iricompatibilità, pur in presenza di un
rapporto di appalto che non si è ancora concluso — sotto un
profilo formale — con l'approvazione del collaudo delle opere.
In particolare, giova dire che la 1. n. 154/81 ha radicalmente
mutato la disciplina in materia di ineleggibilità e di incompatibili tà alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e
circoscrizionale, regolando, altresì, nuove fattispecie conflittuali
confìgurabili per gli addetti al servizio sanitario nazionale, istitui
to con 1. 23 dicembre 1978, n. 833.
La nuova disciplina, che si inserisce nella linea di politica
legislativa (manifestatasi già con le 1. n. 87/71 e 280/71, successi
ve ad alcune pronunce della Corte costituzionale) diretta a
ridurre l'area di operatività dell'ineleggibilità, eliminando talune
ipotesi di conflitto meramente virtuale e consentendo la rimozio
ne, anche successivamente all'elezione, di alcune situazioni prima riferire a quel momento — poggia, è stato rilevato dalla Corte di
cassazione, su un diverso aspetto delle ragioni ostative alla
carica — per cui gran parte delle precedenti cause di ineleggibili tà danno luogo, invece, a decadenza — e sulla specifica previsio ne di strumenti volti appunto a favorirne l'eliminazione ad opera
degli interessati.
Più precisamente le situazioni ostative, definite e disciplinate ex
novo nell'art. 3 come cause di incompatibilità, incidono non sulla
capacità di essere eletti, bensì vietano di « ricoprire la carica » e,
pertanto, danno luogo a decadenza (ex art. 5) solo se non
vengano rimosse dall'interessato subito dopo l'elezione, nei termi
ni stabiliti, spontaneamente o nel corso dello speciale procedi mento regolato dall'art. 7 al fine della dichiarazione di decadenza
da parte del consiglio (previa contestazione del fatto ostativo
all'eletto).
In sostanza — si è puntualizzato ancora dal Supremo collegio a
proposito della questione se possa ravvisarsi una situazione di
incompatibilità allorché penda prooedimento penale nei confronti
dell'eletto, nel quale, però, non vi sia stata costituzione di parte civile del comune (risolta negativamente, alla luce del disposto di
cui al n. 4 dell'art. 3 cit.) — per una più intensa e razionale
tutela del diritto di elettorato passivo, costituzionalmente ga rantito (ex art. 51), l'ineleggibilità è stata limitata alle ipotesi che sono destinate ad operare nell'acquisizione della carica eletti
va ed è prevista al duplice scopo di garantire l'accesso alle
cariche medesime in condizione di egualianza e di proteggere la
genuina manifestazione della volontà del corpo elettorale.
Per altro verso l'istituto della incompatibilità, prima limitato
alle ipotesi in cui era fatto divieto ad una stessa persona di
ricoprire due uffici (incompatibilità oggettiva) ovvero a soggetti
legati da determinati rapporti di partecipare allo stesso organo
(inoompatibilità soggettiva), è stato ampliato in modo da com
prendere tutte le situazioni di conflitto tra l'interesse dell'ente
pubblico e interessi esterni, le quali diventano rilevanti in conse
guenza dell'assunzione della carica e perciò possono essere rimos
se fino a quel momento (cfr. Cass. 21 novembre 1981, n. 6200, Foro it., Rep. 1982, voce Elezioni, nn. 163, 185).
Orbene, pur in mancanza dell'atto di approvazione del collaudo
delle opere in questione, sembra doversi escludere, nella
specie, ogni possibilità di interferenza di interessi e più spe cificatamente che il Bonassisa, come titolare dell'omonima im
presa, avesse « parte, direttamente o indirettamente, in appalti »
(al momento della elezione). Pur convenendosi con la difesa del ricorrente sul punto della
natura e finalità dell'atto di collaudo — risolvendosi esso, in
sostanza, in un'operazione volta al controllo della rispondenza
dell'opera alle clausole contrattuali ed alle regole d'arte nonché
alla liquidazione del corrispettivo spettante all'appaltatore —, non
può, nondimeno, prescindersi — nella decisione della presente controversia elettorale — dal considerare lo sviluppo che ha
avuto concretamente il rapporto negoziale tra le parti, come
innanzi è stato precisato. Non si disconosce che l'approvazione del collaudo di un'opera
pubblica costituisca l'atto finale del procedimento di collaudazio
ne e valga a definire — sotto un profilo formale — il rapporto di
appalto, con effetti liberatori nei confronti delle parti (v. la
specifica normativa — richiamata dal ricorrente — di cui alla 1.
20 marzo 1865 n. 2248, all. F, ed al r.d. 25 maggio 1895 n, 350).
Senonché, nel caso in esame non può non rilevarsi che
l'ultimazione dei lavori fosse avvenuta sin dal 20 marzo 1977 e
che le opere siano state consegnate all'amministrazione comunale
ormai da diversi anni, senza che siano state mosse riserve o
contestazioni al riguardo. Non apparirebbe conforme a criteri di equità e, comunque, non
rispondente alle finalità della nuova disciplina legislativa in mate
ria di elettorato passivo — oggetto di una più penetrante tutela — riconoscere che si versi nella situazione di incompatibilità denunziata, solo perché non è ancora intervenuto il collaudo
Il Foro Italiano — 1985.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dell'opera, evento questo riconducibile non certo a colpa del
Bonissisa, ma dell'ente committente.
Ove si consideri, invero, che si è inteso rendere davvero pieno ed effettivo il diritto di elettorato passivo — attraverso l'elimina zione di talune ipotesi di conflitto meramente virtuale e consen
tendosi la rimozione da parte dell'interessato delle cause di
ineleggibilità o di incompatibilità —, non sembra potersi negare che, aderendo all'impostazione del ricorrente, si finirebbe per incidere su di esso, con seri dubbi sulla legittimità costituzionale
della norma in questione (interpretata in tali sensi) avuto riguar do agli art. 3 e 51 Cost.
Come è stato osservato dall'attenta difesa del resistente, non
potrebbe non ammettersi che, in mancanza del collaudo e dell'ap
provazione di esso, l'interessato non sarebbe nelle condizioni di
rimuovere la pretesa condizione di incompatibilità: e ciò a
differenza delle altre situazioni previste dall'art. 3, n. 2, 1. n.
154/81 eliminabili ove lo voglia. Il tutto sarebbe rimesso, cioè, alla volontà dell'amministrazione,
che, ritardando il procedimento della collaudazione delle opere, inciderebbe sul potere del cittadino di rimuovere la causa di
incompatibilità in cui versa e, in definitiva, sul diritto politico di elettorato passivo riconosciuto allo stesso.
Peraltro, non è senza significato che la Corte di cassazione —
sia pure occupandosi di altra situazione (consigliere comunale
dichiarato decaduto dalla carica per essere imputato in procedi mento penale nel quale il comune si era costituito parte civile) — abbia sollevato eccezione di legittimità costituzionale degli art.
6 e 7 1. n. 154/81, nelle parti in cui non prevedono le concrete
modalità di rimozione della causa di incompatibilità elettorale per lite pendente, ove tale rimozione non dipenda unicamente dalla
volontà dell'eletto, ma anche da determinazioni di terzi (nella spe cie, rinunzia alla costituzione di parte civile), in riferimento agli art. 3, 24 e 51 Cost. (ord. 8 settembre 1983, n. 675, id., 1983, I,
2386). E le considerazioni sin qui svolte appaiono ancor più valide
ove si consideri — come è stato messo in evidenza anche dalla
difesa del Bonassisa — che l'istituto del collaudo ha ricevuto una
particolare disciplina con la 1. 10 dicembre 1981 n. 741, con
tenente ulteriori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche.
Invero, sono dettate dall'art. 5 particolari prescrizioni perché il collaudo dei lavori pubblici avvenga in tempi brevi (entro sei
mesi o, comunque, non oltre l'anno dall'ultimazione dei lavori); ed eguali esigenze di speditezza sono previste per il rilascio del
certificato di collaudo o di quello di regolare esecuzione.
Soprattuto è importante — ai fini della presente vicenda
processuale — il 4° comma di detta disposizione di legge, in base
al quale, se il certificato di collaudo o quello di regolare esecuzione non sono approvati entro due mesi dalla scadenza dei
termini di cui ai precedenti comma e salvo che ciò non dipenda da fatto imputabile all'impresa, l'appaltatore, ferme restando le
eventuali responsabilità a suo carico accertate in sede di collau
do, ha diritto alla restituzione della somma costituente la cauzio
ne definitiva, delle somme detenute ai sensi dell'art. 48, 1°
comma, r.d. 23 maggio 1924 n. 827 (regolamento per l'ammini
strazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato) — come successivamente modificato — e di tutte quelle consimili
trattenute a titolo di garanzia.
Alla stessa data — è ancora precisato — si estinguono le
eventuali garanzie fideiussorie.
Il che sta a significare che si è avvertita l'esigenza di accelera
re i tempi per le procedure di esecuzione di opere pubbliche e di
non considerare il collaudo come il momento finale cui ricollega re determinati effetti liberatori per l'appaltatore: e ciò anche con
riferimento alla possibilità per il medesimo di instaurare giudizio arbitrale o ordinario per controversie nascenti dal contratto di
appalto, come dispone il successivo comma della stessa norma.
E, indipendentemente dal punto se, in base a tale normativa,
possa parlarsi — nel caso in esame — di accettazione tacita
dell'opera o di esaurimento del rapporto di appalto — come pure è stato prospettato dalla difesa del Bonassisa —, preme al
collegio evidenziare che non pare esservi — sotto un profilo
squisitamente sostanziale — più alcuna interferenza o conflitto di
interessi in atto tra il consigliere eletto e l'amministrazione
predetta.
Ove dovessero rilevarsi — in sede di collaudo — eventuali
responsabilità dell'appaltatore nell'esecuzione delle opere, il co
mune prowederà a contestargliele e potrà esperire i rimedi di
legge a tutela delle proprie ragioni: ma non apparirebbe confor
me allo spirito della legge — e a sostanziali ragioni di equità —
far discendere da questa situazione (mancato collaudo) — ricolle
gabile, in definitiva, ad inerzia della stessa p.a. — conseguenze sfavorevoli sul diritto di elettorato passivo dell'altra parte con
traente-oggetto di tutela anche a livello costituzionale.
Né sembra scalfire tale convincimento il fatto che il Bonassisa
vanti ancora un credito nei confronti del comune per l'attività
svolta ovvero che abbia costituito detto ente in mora — con atto
del 29 aprile 1980, protocollato il 3 maggio dello stesso anno (n.
1999) — per ottenere il pagmento degli interessi moratori nella
misura di lire 12.757.500.
Peraltro, che la norma posta a base del ricorso del Garruto
vada interpretaita in tali sensi — secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto dei valori costituzionali innanzi espressi — pare discendere anche dalla circostanza che è prevista come causa di
incompatibilità — in forza del n. 4 di detta disposizione — in
situazione di « colui che ha lite pendente, in quanto parte iti un
procedimento civile od amministrativo, rispettivamente con la
regione, la provincia o il comune».
Si è richiesto cioè — ad fini della decadenza dalla carica —
di consigliere per incompatibilità — un conflitto attuale di interessi,
oggetto di un vero e propro procedimento, e non già un semplice conflitto virtuale.
A maggior ragione, allora, sembra doversi escludere una situa
zione conflittuale tra il resistente ed il comune di Deliceto, se si
considera che v'è stata — di fatto — consegna delle opere
appaltate — ormai da diversi anni — e che il Bonassisa, nel
firmare gli atti contabili, non vi ha inserito alcuna riserva
come si è accennato innanzi.
Le esposte considerazioni, in quanto assorbenti, esimono il
collegio dal soffermarsi sugli altri profili della restante vicenda, trattati dalle parti. (Omissis)
TRIBUNALE DI MONZA; decreto 8 marzo 1984; Pres. Lo Tur
co, Rei. Lapertosa; De Benedictis.
TRIBUNALE DI MONZA;
Separazione di coniugi — Annotazione della separazione a margine dell'atto di matrimonio — Inammissibilità (Cod. civ., art. 162,
163, 191, 193; r.d. 9 luglio 1939 n. 1238, ordinamento dello stato
civile, art. 133).
Non può essere accolto il ricorso con cui si chiede che venga
giudizialmente autorizzata l'annotazione del titolo della separa zione personale, consensuale o giudiziale che sia, in margine all'atto di matrimonio. (1)
(1) Il decreto in epigrafe riporta alla ribalta, in tutta la sua attualità, la vexata quaestio dell'annotazione di quei provvedimenti (decreti di
omologazione dei verbali di separazione consensuale dei coniugi e
sentenze di separazione giudiziale) che, ai sensi dell'art. 191 c.c., costituiscono causa di scioglimento della comunione legale. Il problema s'inserisce in quello, piti generale, della pubblicità del regime patrimo niale della famiglia introdotto dalla legge di riforma del 1975, le cui lacune sono state denunciate per tempo dalla dottrina (Schlesinger, Comunione legale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo, Trabucchi, Padova, 1977, I, 1, 379; Cian, Sulla pubblicità del regime patrimoniale della famiglia. Una revisione che si impone, in Riv. dir. civ., 1976, I, 33 ss.; Palermo, La
disciplina della pubblicità nella riforma del diritto di famiglia, in Riv.
not., 1976, I, 750 ss.; per una lettura meno severa dell'attuale sistema
v. Busnelli, La « comunione legale » nel diritto di famiglia riformato, ibid., 44 ss.).
Il legislatore ha prescelto, per la comunione legale, un sistema di
pubblicità « negativo », imperniato sull'atto di matrimonio: in mancan
za di annotazioni deve presumersi la sua persistenza (sul punto, in
vario senso, v. Zatti e Mantovani, La separazione personale, Padova,
1983, 293; Schlesinger, cit., 379; Gargano, La pubblicità dei rappor ti patrimoniali tra coniugi nel nuovo diritto di famiglia, in Dir.
famiglia, 1976, 309; Andrini, Convenzioni matrimoniali e pubblicità
legale nel nuovo diritto di famiglia, in Riv. not., 1975, I, 1100 ss.). Ma in dottrina si è subito rilevato che, mentre per alcune delle cause
di scioglimento della comunione è disposto dalla legge l'obbligo della
annotazione a margine dell'atto di matrimonio, si che i terzi possono conoscere la reale situazione patrimoniale dei coniugi (v. l'art. 193 c.c.,
per la sentenza di separazione giudiziale dei beni; l'art. 125, 5°
comma, n. 6, e 113, 1° comma, n. 3, r.d. 9 luglio 1939 n. 1238, per le
pronunce di annullamento del matrimonio e per quelle di dichiarazione
di assenza o di morte presunta; l'art. 10 1. 1° dicembre 1970 n. 898,
per le sentenze di divorzio; gli art. 162, 4°comma, e 163, 3° comma,
per le convenzioni matrimoniali e le relative modifiche), nessuna
prescrizione in tal senso è determinata dal nostro legislatore per altre
cause, espressamente indicate dall'art. 191 c.c., quali la separazione
Il Foro Italiano — 1985.
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