sentenza 8 giugno 2001, n. 180 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 13 giugno 2001, n. 23);Pres. Ruperto, Est. Bile; Inps (Avv. De Angelis) c. Montella; Inps (Avv. De Angelis) c. Rizzi;interv. Pres. cons. ministri (Avv. dello Stato Fiorilli). Ord. Trib. Bologna 24 giugno 1999 (due)(G.U., 1 a s.s., n. 48 del 1999)Source: Il Foro Italiano, Vol. 124, No. 7/8 (LUGLIO-AGOSTO 2001), pp. 2129/2130-2137/2138Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23196082 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
cognizione sommaria e la seconda, eventuale, a cognizione pie na, è comunque un giudizio unitario, in considerazione dello
stretto collegamento che si verifica tra i due momenti nel caso
di opposizione; che non potrebbe quindi ipotizzarsi la competenza di giudici
diversi (giudice ordinario e giudice del lavoro) in relazione a
ciascuna delle due fasi, essendo la seconda solo eventuale e non
potendo il giudice della convalida accertare la sussistenza dei
presupposti per l'emanazione del provvedimento, quando questi siano inerenti ad un rapporto di lavoro;
che, in particolare, come afferma il rimettente, il giudice della
convalida non potrebbe limitarsi, in caso di opposizione, a ri
mettere le parti innanzi al giudice del lavoro, in quanto egli de
ve decidere se pronunciare o meno l'ordinanza di rilascio e do
vrebbe prendere cognizione del sottostante rapporto di lavoro,
compiendo valutazioni riservate ad altro giudice; che, pertanto, ad avviso del rimettente, il disposto dell'art.
659 c.p.c., se interpretato nel senso che sia possibile l'assegna zione di cause di convalida basate su rapporti di lavoro al giudi ce di una sezione ordinaria, anziché al giudice specializzato, si
porrebbe in contrasto anzitutto con l'art. 25 Cost., in quanto una
causa avente ad oggetto un rapporto di lavoro sarebbe trattata da
un giudice diverso da quello naturale precostituito per legge, che, nella specie, è il giudice del lavoro; e violerebbe inoltre
l'art. 3 Cost., determinando una disparità di trattamento fra la
voratori convenuti in una causa di sfratto, i quali sarebbero pre
giudicati dalla mancanza di specializzazione del giudice ordina
rio, e quelli convenuti innanzi al giudice specializzato, che sa
rebbero invece pienamente tutelati; che è intervenuto nel giudizio il presidente del consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello
Stato, concludendo per l'inammissibilità della questione, in
quanto inerente alle modalità di ripartizione delle cause tra ma
gistrati appartenenti allo stesso ufficio diviso in più sezioni;
che, comunque, ad avviso dell'avvocatura, il precetto di cui
all'art. 25 Cost, risulterebbe erroneamente interpretato dal ri
mettente e sarebbe altresì insussistente la lamentata disparità di
trattamento, in ragione della disomogeneità delle situazioni pre se in esame.
Considerato che il giudice rimettente prospetta la lesione del
l'art. 25 Cost, ad opera della norma impugnata, sostenendo che
una causa avente ad oggetto un rapporto di lavoro sarebbe trat
tata da un giudice diverso da quello naturale precostituito per
legge, ed assume altresì la violazione del principio di eguaglian za, in quanto l'art. 659 c.p.c. determinerebbe una disparità di
trattamento fra lavoratori convenuti in una causa di sfratto, i
quali sarebbero pregiudicati dalla mancanza di specializzazione del giudice ordinario, e quelli convenuti innanzi al giudice spe
cializzato, che sarebbero invece pienamente tutelati; che il presupposto in forza del quale il giudice rimettente
fonda le proprie censure risulta palesemente erroneo, dal mo
mento che costituisce principio giurisprudenziale ormai conso
lidato quello secondo cui sono estranee al concetto di compe tenza le questioni inerenti alla sfera di ripartizione dei compiti e
delle attribuzioni fra sezioni o fra magistrati dello stesso ufficio giudiziario;
che, quindi, la distinzione tra giudice ordinario e giudice del
lavoro nell'ambito dello stesso ufficio giudiziario può assumere
rilievo soltanto ai fini del rito applicabile alla controversia; che nel procedimento per convalida di sfratto soltanto la fase
a cognizione sommaria è sottoposta al rito ordinario, mentre
quella a cognizione piena, che si instaura con l'opposizione alla
convalida, è regolata, ai sensi dell'art. 447 bis c.p.c., dal rito
speciale del lavoro, nelle cui forme il giudizio prosegue dopo l'eventuale pronuncia delle ordinanze di rilascio o di pagamento delle somme non contestate;
che, quindi, la distinzione tra giudice ordinario e giudice del lavoro appartenenti al medesimo ufficio giudiziario, già di per sé ininfluente ai fini della competenza, assume nella fattispecie un rilievo ancor più marginale;
che, non essendo configurabile una questione di competenza fra giudici addetti alle diverse sezioni nelle quali si articola un medesimo ufficio giudiziario, non può sussistere l'asserita le
sione del principio del giudice naturale precostituito per legge, né per le stesse ragioni può affermarsi la pretesa disparità di
trattamento fra le parti convenute dinanzi ai diversi giudici, in
quanto tale assunto sembra addirittura postulare l'incapacità del
Il Foro Italiano — 2001.
giudice adito di risolvere controversie aventi un oggetto in parte diverso da quello ordinariamente trattato;
che la questione sollevata è manifestamente infondata.
Visti gli art. 26, 2° comma, 1. 11 marzo 1953 n. 87 e 9, 2° comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara la manife
sta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
dell'art. 659 c.p.c., sollevata, in riferimento agli art. 3 e 25
Cost., dal Tribunale di Roma con l'ordinanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 8 giugno 2001, n. 180 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 13 giugno 2001, n. 23); Pres. Ruperto, Est. Bile; Inps (Avv. De Angeus) c. Montel
la; Inps (Avv. De Angelis) c. Rizzi; interv. Pres. cons, mini
stri (Avv. dello Stato Fiorilli). Ord. Trib. Bologna 24 giugno 1999 (due) (G.U., la s.s., n. 48 del 1999).
Previdenza e assistenza sociale — Pensione — Quote aggiun tive — Retribuzione pensionabile — Rivalutazione — Li miti temporali — Questioni infondata e manifestamente inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 38; 1. 29 maggio 1982 n. 297, disciplina del trattamento di fine rap
porto e norme in materia pensionistica, art. 3; 1. 11 marzo
1988 n. 67, disposizioni per la formazione del bilancio an
nuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988), art.
21; d.l. 21 marzo 1988 n. 86, norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del ministero del la
voro e della previdenza sociale, art. 3; 1. 20 maggio 1988 n.
160, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 21 mar
zo 1988 n. 86, art. 1).
E infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, 11° comma, l. 29 maggio 1982 n. 297, in relazione all'art. 21, 6° comma, l. 11 marzo 1988 n. 67, come interpretato dall'art.
3, comma 2 bis, d.l. 21 marzo 1988 n. 86, convertito in l. 20
maggio 1988 n. 160, nella parte in cui non prevede che la ri
valutazione delle retribuzioni medie imponibili e pensionabili ai fini del calcolo delle quote aggiuntive di pensione abbia
luogo fino al 1° gennaio 1988, in riferimento agli art. 3 e 38
Cost. (1) E manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza, in
quanto proposta in un giudizio relativo a pensione in godi mento anteriormente al 30 giugno 1982, la questione di legit timità costituzionale dell'art. 3, 11° comma, l. 29 maggio 1982 n. 297, in relazione all'art. 21, 6° comma, l. 11 marzo
1988 n. 67, come interpretato dall'art. 3, comma 2 bis, d.l. 21
marzo 1988 n. 86, convertito in l. 20 maggio 1988 n. 160,
nella parte in cui non prevede che la rivalutazione delle retri
buzioni medie imponibili e pensionabili ai fini del calcolo delle quote aggiuntive di pensione abbia luogo fino al 1° gen naio 1988, in riferimento agli art. 3 e 38 Cost. (2)
(1-2) Con la sentenza in epigrafe la Corte costituzionale ritorna per la terza volta sul tema del c.d. tetto pensionabile ex 1. n. 297 del 1982.
Per intendere il senso di questo nuovo intervento è opportuno ricordare
i termini normativi a cui si riferisce. All'uopo va ricordato: a) che 1' 11°
comma dell'art. 3 1. n. 297 del 1982 — quale parte di un minisistema
normativo, che nel suddetto art. 3, comprendeva i precedenti 8°, 9° e
10° comma nonché il 12° e 13° comma — aveva previsto che «la retri
buzione media settimanale determinata per ciascun anno solare ai sensi
del precedente 9° comma è rivalutata in misura corrispondente alla va
riazione dell'indice annuo del costo della vita calcolato dall'Istat ai fini
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2131 PARTE PRIMA
Diritto. — 1. - I due giudizi pongono la questione di legitti mità costituzionale della stessa norma, e quindi devono essere
riuniti. 2. - Il giudice rimettente dubita della conformità agli art. 3 e
38, 2° comma, Cost, dell'art. 3, 11° comma, 1. 29 maggio 1982
n. 297, in relazione all'art. 21, 6° comma, 1. 11 marzo 1988 n.
67, interpretato dall'art. 3, comma 2 bis, d.l. 21 marzo 1988 n.
86, convertito, con modificazioni, in 1. 20 maggio 1988 n. 160. L'art. 3 1. n. 297 del 1982 — modificando la disciplina delle
pensioni dell'assicurazione generale obbligatoria per invalidità,
della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria, tra l'anno solare cui la retribuzione si riferisce e quello precedente la de correnza della pensione»; b) che l'8° comma aveva disposto che «per le
pensioni liquidate con decorrenza successiva al 30 giugno 1982 la re tribuzione annua pensionabile per l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti è costituita dalla quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro, o corrispondenti a periodi riconosciuti
figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria, risul tante dalle ultime duecentosessanta settimane di contribuzione antece denti la decorrenza della pensione»; c) che secondo il 9° comma «a cia scuna settimana si attribuisce il valore retributivo corrispondente alla retribuzione media dell'anno solare cui la settimana stessa si riferisce, la retribuzione media di ciascun anno solare si determina suddividendo le retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro o corrispon denti a periodi riconosciuti figurativamente ovvero ad eventuale contri buzione volontaria per il numero delle settimane coperte da contribu zione obbligatoria, effettiva o figurativa, o volontaria»; d) che ai sensi del 10° comma «per l'anno solare in cui cade la decorrenza della pen sione sono prese in considerazione le retribuzioni corrispondenti ai pe riodi di paga scaduti anteriormente alla decorrenza stessa»; e) che, infi
ne, il 12° comma aveva previsto che «la retribuzione media settimanale di ciascun anno solare o frazione di esso, rivalutata ai sensi del comma
precedente, non è presa in considerazione per la parte eccedente la re tribuzione massima settimanale pensionabile in vigore nell'anno solare da cui decorre la pensione».
Questo sistema normativo, con riferimento alle pensioni liquidate con decorrenza successiva al 30 giugno 1982, si risolveva in una disci
plina sostanzialmente meno favorevole di quella precedente in punto d'individuazione della retribuzione considerabile ai fini pensionistici. Limiti in proposito erano stati introdotti per la prima volta con l'art. 5
d.p.r. 27 aprile 1968 n. 488, con il quale si era abbandonato il sistema c.d. contributivo in precedenza in vigore (secondo il quale l'ammontare della pensione si correlava ai contributi versati) e si era passati al si stema retributivo (secondo il quale quell'ammontare si correlava ad una
percentuale della retribuzione considerata pensionabile ed all'anzianità
contributiva) ed erano stati poi modificati dall'art. 14 1. 30 aprile 1969 n. 153 e successivamente dall'art. 26 1. 3 giugno 1975 n. 160, che ebbe a sostituire il suddetto art. 14. La disciplina introdotta dall'art. 3 1. n. 297 del 1982, rispetto a quella precedente (sia pure considerata con ri ferimento alle pensioni di decorrenza più recente — cioè a quelle suc cessive al 31 dicembre 1975 — posto che per quelle decorrenti dal 31 dicembre 1968 e fino al 31 dicembre 1975, valeva la limitazione agli ultimi cinque anni: art. 14, 1° comma, 1. n. 153 del 1969) si segnalava per un maggior rigore, in particolare espresso dalla limitazione del pe riodo d'individuazione della retribuzione pensionabile agli ultimi cin
que anni di contribuzione antecedenti la pensione. Il nuovo sistema conteneva anche un'innovazione più favorevole,
laddove il 13° comma dello stesso art. 3 disponeva che «con decorrenza dal 1° gennaio 1983, il limite massimo di retribuzione annua di cui al l'art. 19 1. 23 aprile 1981 n. 155, ai fini della determinazione della pen sione a carico del fondo pensione dei lavoratori dipendenti, è adeguato annualmente con effetto dal 1 ° gennaio con la disciplina della perequa zione automatica prevista per le pensioni a carico del fondo predetto d'importo superiore al trattamento minimo». Questa disposizione si correlava all'esistenza nell'ordinamento pensionistico — per la verità anche prima dell'introduzione del sistema retributivo, attraverso la pre visione di una classe massima della contribuzione utilizzabile a base di calcolo — del principio del c.d. tetto pensionabile, secondo il quale la retribuzione pensionabile, determinata secondo i criteri via via succe dutisi nel tempo (in base alle citate fonti normative), non poteva co
munque superare un certo valore. Tale valore, all'atto dell'introduzione del sistema retributivo era stato fissato direttamente dall'art. 5, 4° comma, d.p.r. n. 488 del 1968 e poi confermato dalla successiva nor mativa di cui alle 1. n. 153 del 1969 e n. 160 del 1975. Il mancato ade
guamento del «tetto» all'incidenza del fenomeno inflattivo provocò una considerevole erosione dei trattamenti pensionistici, ma solo con l'art. 19 1. 23 aprile 1981 n. 155 si provvide all'elevazione — per le pensioni liquidate con decorrenza successiva al 31 dicembre 1980 — ad elevare il limite massimo della retribuzione pensionabile. Tale aumento avven ne una tantum.
Viceversa, con il citato 13° comma dell'art. 3 venne previsto che il
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vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, ed in particolare il sistema (già esistente nell'ordinamento precedente) del c.d.
«tetto pensionabile» — determinò all'8° comma la retribuzione
annua pensionabile, per le pensioni con decorrenza successiva al
30 giugno 1982, nella quinta parte della somma delle retribu
zioni percepite in costanza di rapporto di lavoro (o corrispon denti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad even
tuale contribuzione volontaria) risultante dalle ultime duecento
sessanta settimane di contribuzione (pari, in pratica, agli ultimi
cinque anni) precedenti la decorrenza della pensione; e stabilì
«tetto» così fissato fosse permanentemente rivalutabile. Nel contempo, tuttavia, proprio tale disposizione confermò l'operatività del «tetto» anche per le pensioni liquidande con il nuovo regime fissato dallo stes so art. 3.
Anche in base a questo nuovo regime, conseguentemente, la parte della retribuzione annua pensionabile determinata secondo i criteri fis sati dai commi dall'8° al 12° dell'art. 3 che avesse eventualmente ec ceduto il «tetto» pensionabile non veniva presa in considerazione ai fini
pensionistici, non diversamente da quanto accadeva nel vigore dei pre cedenti sistemi di calcolo, salva l'incidenza nel nuovo sistema della ri valutazione automatica del «tetto».
La misura della rivalutazione del «tetto» non apparve, però, suffi ciente a garantire la congruenza dei trattamenti pensionistici soprattutto con riferimento ai lavoratori fruenti all'atto del pensionamento di retri buzione medio-alta, in quanto la retribuzione pensionabile corrispon dente al «tetto» rimaneva comunque, pur rivalutata, ben al di sotto de! valore della retribuzione assoggettata a contribuzione. Tanto che la Corte costituzionale venne direttamene investita della questione di le
gittimità costituzionale relativa alla previsione del «tetto» e pur non ri tenendolo incostituzionale formulò «l'auspicio di una sollecita elabora zione di norme adeguate in materia di proporzione tra contributi, retri buzione e pensione» (sent. 7 luglio 1986, n. 173, Foro it., 1986, I,
2087), cioè, in pratica, di una mitigazione degli effetti del «tetto».
L'auspicio venne raccolto dal legislatore con l'art. 21, 6° comma, 1. n. 67 del 1988, il quale stabilì che «a decorrere dal 1° gennaio 1988 ai fini della determinazione della misura delle pensioni a carico dell'assi curazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i super stiti dei lavoratori dipendenti, la retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile previsto per l'assi curazione predetta è computata secondo le aliquote di cui all'allegata tabella. La quota di pensione così calcolata si somma alla pensione de terminata in base al limite massimo suddetto e diviene, a tutti gli effetti,
parte integrante di essa». La norma venne immediatamente autentica mente interpretata dall'art. 3, comma 2 bis, d.l. n. 86 del 1988, conver tito in 1. n. 160 del 1988, il quale dispose (nel primo inciso che qui inte
ressa) che «l'art. 21 1. 11 marzo 1988 n. 67 si interpreta nel senso che la retribuzione pensionabile va calcolata sulla media delle retribuzioni
imponibili e pensionabili, rivalutate a norma dell'I 1° comma dell'art. 3 1. 29 maggio 1982 n. 297, e relative alle ultime duecentosessanta setti mane di contribuzione».
Per effetto del combinato disposto di queste due norme il «tetto»
pensionabile non risultò abolito, ma mitigato nei suoi effetti, in quanto la parte di retribuzione rispetto ad essa eccedente non diveniva rile vante ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile nella sua integralità e nemmeno allo stesso modo della parte non eccedente, secondo i criteri dei commi 8 ss. dell'art. 3 1. n. 297 del 1982, ma dive niva utilizzabile secondo aliquote di rendimento a scaglioni successivi via via decrescenti. La norma interpretativa si preoccupò di specificare il criterio di calcolo della retribuzione pensionabile ai fini della deter minazione della c.d. quota aggiuntiva rispetto al tetto stesso, indivi duandone il termine di riferimento in pratica allo stesso modo che per la parte inferiore al tetto e sostanzialmente determinando il supera mento del limite fissato dal 12° comma dell'art. 3.
In ordine alla nuova normativa insorse subito questione interpretativa circa la sua applicabilità soltanto alle pensioni decorrenti dal 1° gen naio 1988 oppure anche alle pensioni già liquidate ed in godimento an teriormente. E la Corte costituzionale, investita — in una situazione in cui ancora sul punto la Corte di cassazione non si era pronunciata —
della questione di legittimità costituzionale della norma interpretata e della norma interpretativa, sollevata nel presupposto che la prima fosse
applicabile solo alle pensioni decorrenti dopo il 1° gennaio 1988 la ri tenne infondata in quanto basata su un'erronea interpretazione di quel disposto, che invece consentiva un'interpretazione in senso contrario e, dunque, nel senso della sua applicabilità anche alle pensioni in godi mento anteriormente a quella data, che doveva considerarsi indicare soltanto il momento a partire dal quale doveva corrispondersi la quota aggiuntiva di pensione e come tale appariva applicabile anche in rife rimento alle pensioni già in godimento (sent. 22 febbraio 1990, n. 72, id., Rep. 1990, voce Previdenza sociale, n. 611, e Dir. lav., 1990, II, 110, con nota di Ravajoli). Tale avviso venne, quindi, ribadito dalla stessa corte con una successiva decisione (sent. 5 luglio 1995, n. 296, Foro it., Rep. 1995, voce cit., n. 607, e Informazione prev., 1995, 899),
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
all'11° comma la rivalutazione della retribuzione media setti
manale di ciascun anno solare in misura corrispondente alla va
riazione dell'indice annuo del costo della vita (calcolato dall'I
stat ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori
dell'industria) tra l'anno solare di riferimento e quello prece dente la decorrenza della pensione.
Il sistema è stato poi mitigato dalla 1. n. 67 del 1988, il cui
art. 21 ha previsto, al 6° comma, la computabilità — con decor
renza dal 1° gennaio 1988 — della parte di retribuzione ecce
dente il «tetto pensionabile», secondo aliquote di rendimento
mentre frattanto si era ormai affermato nella giurisprudenza di legitti mità, assumendo la forza del «diritto vivente» (cfr. la nota di richiami a Cass. 8 marzo 1999, n. 1973, Foro it., 1999,1, 1177 ss.).
Già anteriormente al consolidarsi del dato dell'applicabilità della normativa di cui all'art. 21, 6° comma, 1. n. 67 del 1988 e della sua norma interpretativa alle pensioni in godimento anteriormente al 1°
gennaio 1988, in sede giurisprudenziale, pur fra coloro che lo condivi
devano, era sorta, tuttavia, l'ulteriore questione interpretativa del dies ad quem della rivalutazione della retribuzione pensionabile ai sensi dell'11° comma dell'art. 3 1. n. 297 del 1982, agli effetti del riconosci mento su dette pensioni delle quote aggiuntive eccedenti il tetto. Se condo un'opinione, il dies ad quem si sarebbe dovuto individuare con riferimento alla data del 31 dicembre 1987, cioè all'anno anteriore al 1°
gennaio 1988, come se la liquidazione del trattamento aggiuntivo cor relato alle quote costituisse una nuova liquidazione della pensione, sia
pure a tale effetto. Secondo la contraria opinione, viceversa, costituen do quella data soltanto il momento di decorrenza economica del benefi cio per le pensioni già in godimento, quel dies ad quem doveva sempre identificarsi con riferimento all'anno anteriore a quello della decorren za della pensione liquidata senza il nuovo beneficio. In sostanza, se condo la prima opzione interpretativa, in applicazione dell'11° comma dell'art. 3, agli effetti della rivalutazione della retribuzione media set timanale per ciascun anno solare considerato ai sensi del 9° comma dello stesso art. 3 (normalmente — in caso di continuità contributiva
per le duecentosessanta settimane, assunte come base di riferimento dall'8° comma — gli ultimi cinque anni prima del pensionamento), si doveva assumere come dies a quo la fine di ciascuno di tali anni ante cedenti (cioè «l'anno solare cui la retribuzione si riferisce») e come dies ad quem l'anno solare 1987, individuato — agli effetti delle quote aggiuntive — come equivalente di «quello precedente la decorrenza della pensione». In base alla seconda opzione interpretativa, viceversa, fermo il suddetto dies a quo, per «anno precedente la decorrenza della
pensione», con riferimento al quale si doveva calcolare la rivalutazione, si doveva intendere l'anno solare antecedente l'effettivo pensiona mento.
È appunto nel presupposto della validità di questa seconda alternati va interpretativa, che era stata sollevata la questione di legittimità co stituzionale decisa con la sentenza in epigrafe.
Il giudice delle leggi ha ritenuto inammissibile la questione con rife rimento ad una delle due ordinanze di rimessione, assumendo che essa non poteva considerarsi rilevante nel giudizio a quo, in quanto que st'ultimo non riguardava una pensione liquidata con decorrenza succes siva al 30 giugno 1982, ma una pensione decorrente dal 1976 e, quindi, non soggetta — secondo il «diritto vivente» — all'applicabilità del l'art. 21, 6° comma, 1. n. 67 del 1988, come autenticamente interpretato dall'art. 3, comma 2 bis, d.l. n. 86 del 1988, convertito nella 1. n. 160 del 1988 (in effetti nella giurisprudenza della Cassazione si coglie l'e sistenza di questo «diritto vivente», che, inaugurato da Cass. 24 no vembre 1995, n. 12137, id., Rep. 1996, voce cit., n. 596, è stato più di recente ribadito — sempre anteriormente all'ordinanza di rimessione — da Cass. 1973/99, cit. Tuttavia, ancorché non traspaia dalle massime ufficiali e non assurga a rigore neppure la consistenza di un contrasto c.d. inconsapevole, si segnala in tre decisioni l'implicito disconosci mento dell'indirizzo in questione, posto che, per la soluzione data al caso concreto, esse hanno considerato applicabile la normativa in di scorso anche a pensioni liquidate prima del 30 giugno 1982: v., infatti, le motivazioni di Cass. 13 agosto 1996, n. 7540, ibid., n. 578; 10 giu gno 1999, n. 5708, id., Rep. 1999, voce cit., n. 478; 28 marzo 2000, n.
3737, id., Mass., 372). Va rilevato che nei suoi due precedenti sopra citati, la questione del
l'applicabilità della normativa impugnata anche alle pensioni liquidate anteriormente al 30 giugno 1982 non era stata in alcun modo conside rata dalla corte, essendosi essa limitata ad affermare il principio del
l'applicabilità della normativa impugnata alle pensioni decorrenti ante
riormente al 1° gennaio 1988, senza svolgere alcun rilievo sull'ambito cui queste pensioni si dovevano riferire e, in particolare, senza indicare se questa decorrenza dovesse riferirsi anche alle pensioni liquidate pri ma del 30 giugno 1982. I giudizi a quibus nell'una e nell'altra concer
nevano, del resto, pensioni liquidate successivamente a quella data. Con riferimento all'ord. n. 638 del 1999, che concerneva una pensio
ne liquidata nel 1985, la corte è scesa all'esame del merito della que stione, che non aveva esaminato espressamente nei due indicati prece
II Foro Italiano — 2001.
fissate nella tabella allegata, precisando che la quota di pensione così determinata si somma a quella originaria.
Il 6° comma dell'art. 21 è stato interpretato autenticamente
dall'art. 3, comma 2 bis, d.l. n. 86 del 1988, aggiunto dalla leg
ge di conversione n. 160 del 1988, nel senso che la retribuzione
pensionabile rilevante per la determinazione della quota ag
giuntiva si calcola sulla media delle retribuzioni imponibili e
pensionabili, rivalutate a norma dell'11° comma dell'art. 3 1. n.
297 del 1982, e relative alle ultime duecentosessanta settimane
di contribuzione, cioè, in pratica, allo stesso modo che per la
quota non eccedente il tetto.
denti. Tuttavia, in essi il sistema emergente dalla normativa impugnata era sostanzialmente ricostruito — sia pure agli effetti dell'esame della
questione allora proposta — in modo da implicare la condivisione del l'idea che punto di riferimento finale della rivalutazione dovesse consi derarsi l'anno anteriore alla data di decorrenza originaria della pensio ne. L'implicito accoglimento di tale presupposto interpretativo si co
glieva, infatti, come la stessa corte nella sentenza interpretativa non manca di notare, nell'affermazione che l'art. 21, 6° comma, come au tenticamente interpretato, in quanto applicabile ai trattamenti pensioni stici correnti a quella data, non comportava una riliquidazione della
pensione, ma solo una liquidazione aggiuntiva a quella originariamente effettuata nel limite del «tetto pensionabile». Proprio per tale carattere
aggiuntivo l'operazione di liquidazione della quota eccedente il «tetto» era stata ritenuta operabile anche per le pensioni già correnti al 1° gen naio 1988, assumendosi che essa poteva considerarsi possibile anche
per chi avesse ottenuto la liquidazione della pensione. Ed anche il «diritto vivente» emergente dalla giurisprudenza di legit
timità fa leva proprio su tale argomento per escludere che la rivaluta zione debba spingersi fino all'anno antecedente il 1° gennaio 1988 (v. Cass. 8 maggio 1996, n. 4314, id., Rep. 1996, voce cit., n. 587; 6 no vembre 1996, n. 9687, ibid., n. 577; 15 gennaio 1997, n. 359, id., Rep. 1998, voce cit., n. 512, e Informazione prev., 1997, 181; 20 novembre
1997, n. 11589, Foro it., Rep. 1998, voce cit., n. 523, e Orient, giur. lav., 1997,1, 1111. Con espressa valutazione d'infondatezza della que stione decisa dalla sentenza in epigrafe: Cass. 11 maggio 1996, n. 4446, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 579; 13 agosto 1996, n. 7540, cit.; 11 ottobre 1997, n. 9929, id., Rep. 1997, voce cit., n. 864; 10 giugno 1999, n. 5708, cit.).
Questa interpretazione comporta una differenza di trattamento fra i
pensionati già titolari di pensione al 1° gennaio 1988 (liquidata secondo il sistema dello stesso art. 3) e coloro che fossero divenuti titolari della
pensione solo dopo quella data, ma tale differenza non integra — se condo la sentenza in epigrafe — né una violazione del principio di
eguaglianza ex art. 3 Cost., né dell'art. 38, 2° comma, Cost. In effetti, la differenza di trattamento non emerge in buona sostanza
per il fatto che i soggetti già titolari di pensione al 1° gennaio 1988 non si vedono rivalutare la retribuzione pensionabile fino all'anno antece dente quella data, ma semplicemente per il fatto che quest'ultima rap presenta il dies a quo della spettanza economica correlata alla liquida zione della quota aggiuntiva. Per essere posti esattamente sullo stesso
piano di coloro che sono divenuti pensionati dopo il 1° gennaio 1988, coloro che lo erano a tale data avrebbero dovuto, in realtà, vedersi rico noscere gli arretrati delle quote aggiuntive di pensione per il periodo compreso fra la data di pensionamento ed il 1° gennaio 1988, cioè be neficiare del trattamento mitigatore dell'incidenza del «tetto» retroatti vamente anche in senso economico. Solo in questo modo la parità di trattamento fra le due categorie sarebbe stata effettiva, in quanto i pen sionati ante 1° gennaio 1988 si sarebbero venuti a trovare nella mede sima posizione in cui si sono venuti a trovare i nuovi pensionati.
Il sistema di cui sollecitava l'introduzione l'ordinanza di rimessione varrebbe soltanto a ridurre la differenza di trattamento fra le due cate
gorie di pensionati, in quanto porrebbe i primi nella condizione di do ver essere considerati pensionati agli effetti delle quote aggiuntive a far
tempo dal 1° gennaio 1988, ma non eliderebbe la differenza di tratta mento emergente per il fatto che essi, fino a quella data ed a far tempo dalla data di effettivo pensionamento, non hanno potuto beneficiare del nuovo trattamento.
E, quindi, si trattava di un'opzione parzialmente inidonea ad esclude re la differenza di trattamento. Alla corte, peraltro, per dichiarare in fondata la questione è bastato rilevare che il rimettente sollecitava un sindacato sulla discrezionalità del legislatore nella modulazione tempo rale del trattamento pensionistico di cui trattasi e che l'esercizio di tale discrezionalità — soggetto al controllo di ragionevolezza — non meri tava censura, perché la soluzione prospettata dal rimettente si sarebbe
risolta nell'introduzione nell'ordinamento di un criterio di rivalutazione della retribuzione pensionabile del tutto nuovo e non costituente sem
plice estensione del criterio emergente dall'11° comma dell'art. 3 1. n.
297 del 1982, in quanto (almeno per tutti i pensionati già tali anterior
mente al 31 dicembre 1986; per i pensionati del 1987, in effetti, la no vità sarebbe meno radicale, ma pur sempre esistente, in quanto per essi
si dovrebbe operare la rivalutazione anche per l'anno del pensiona
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PARTE PRIMA
Per effetto del richiamo a tale 11° comma, la rivalutazione è
fatta secondo la variazione dell'indice annuo del costo della vita
«tra l'anno solare cui la retribuzione si riferisce e quello prece dente la decorrenza della pensione».
3. - La norma ha dato luogo a dubbi interpretativi, in partico lare sull'applicabilità del sistema delle quote aggiuntive solo
alle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 1988 o anche a quelle li
quidate prima.
Questa corte ha dichiarato non fondata la questione di legit timità costituzionale prospettata sull'assunto che il sistema non
concernesse le pensioni liquidate anteriormente al 1° gennaio 1988, ritenendola basata su un erroneo presupposto interpretati vo, ed ha affermato che i benefici di cui all'art. 21 1. n. 67 del
1988 si applicano anche ai soggetti già pensionati al 1° gennaio 1988, in quanto tale data segna solo il momento a partire dal
quale si computa la retribuzione eccedente il tetto e si corri
sponde la quota aggiuntiva (sentenza n. 72 del 1990, Foro it.,
Rep. 1990, voce Previdenza sociale, n. 611). Il principio è stato
confermato e precisato dalla sentenza n. 296 del 1995 (id., Rep. 1995, voce cit., n. 607), nel senso che il meccanismo previsto dalla norma in esame «si esaurisce nell'erogazione di una sem
plice 'quota' di pensione, da sommare a quella 'determinata in
base al limite massimo' della retribuzione annua pensionabile, con conseguente esclusione di qualsiasi operazione di comples sivo ricalcolo del trattamento».
Sulla base di questa interpretazione, la giurisprudenza di le
gittimità si è consolidata — divenendo «diritto vivente» — nel
senso che, ai fini della liquidazione della quota aggiuntiva rela
tiva a pensioni liquidate prima del 1° gennaio 1988, le retribu
zioni medie imponibili e pensionabili devono essere rivalutate
per il periodo che va da ciascun anno solare considerato fino al
l'anno antecedente a quello dell'originaria decorrenza della
pensione. 4. -
Sull'implicita premessa che la norma impugnata debba
mento effettivo), si dovrebbe procedere alla rivalutazione per un perio do di tempo — quello compreso fra il pensionamento effettivo ed il 31 dicembre 1987 — nel quale essi erano già pensionati, con obiettiva di versità rispetto al sistema emergente dal citato 11° comma, per cui la rivalutazione si arrestava all'anno anteriore a quello di verificazione del pensionamento.
D'altro canto, va ricordato che secondo il costante indirizzo giuris prudenziale della corte, il c.d. fluire del tempo costituisce elemento di differenziazione fra le situazioni giuridiche anche nella materia previ denziale, onde deve escludersi «che possa giudicarsi in sé irragionevo le, in quanto riferibile a situazioni non omogenee tra di loro, la previ sione di una disciplina normativa diversificata ratione lemporìs, dal momento che differenziazioni temporali agevolati ve nell'ambito di una stessa categoria di soggetti si giustificano con la necessità di bilancia mento con le disponibilità delle risorse indispensabili a tal fine e con le connesse esigenze finanziarie» (cfr., ex multis, sent. 16 dicembre 1998, n. 409, id., 1999,1, 3144; 28 maggio 1999, n. 202, ibid., 2159).
In ordine alla censura ex art. 38 Cost., la corte ha buon gioco a ricor dare che nell'attuare l'art. 38 Cost, il legislatore è tenuto a garantire la sufficienza del trattamento previdenziale ad assicurare le esigenze di vita del lavoratore pensionato; va rilevato che nell'attuazione di tale
principio al legislatore è da riconoscere una sfera di discrezionalità, an che in relazione alle risorse disponibili, almeno quando non sia in gioco la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona (ex mul
tis, cfr. sent. 30 dicembre 1998, n. 457, id., Rep. 1999, voce cit., n. 466, e 10 giugno 1992, n. 265, id., Rep. 1992, voce cit., n. 654), per desume re che nella specie l'esclusione dei pensionati già tali prima del 1° gen naio 1988 dalla rivalutazione della retribuzione pensionabile fino a tale data agli effetti delle quote aggiuntive non appare sicuramente tale da incidere — proprio per la limitatezza dell'oggetto dell'esclusione — su
quella garanzia. Questa valutazione si giustifica ulteriormente se si tien conto che con
d.p.c.m. 16 dicembre 1989, si era proceduto all'elevazione del c.d. «tetto pensionabile» anche per le pensioni liquidate negli anni 1982, 1983 e 1984, cioè in anni ricadenti sotto il regime dell'art. 3 1. n. 297 del 1982 e, quindi, il legislatore aveva ritenuto di ulteriormente inter venire per mitigare le conseguenze negative dell'incidenza del «tetto».
Sulla diversa questione della spettanza delle quote aggiuntive anche nel caso in cui la retribuzione pensionabile fosse inferiore al tetto, v. Cass. 13 gennaio 1998, n. 220, id., Rep. 1998, voce cit., n. 522; 8 feb braio 2000, n. 1413, id., Mass., 148).
In dottrina, sull'evoluzione della nozione di retribuzione pensiona bile, v. Boer, in Diritto del lavoro e della previdenza sociale. Il lavoro
privato e pubblico a cura di Santoro Passarelli, Milano, 1998, 1284
ss., e Cinelli, Diritto della previdenza sociale, Torino, 1999, 147-157, 188-197 e 441-451.
Il Foro Italiano — 2001.
così essere interpretata, l'ordinanza n. 638 la ritiene in contra
sto: a) con l'art. 3 Cost., essendo irrazionale che coloro che so
no andati in pensione prima del 1° gennaio 1988 «siano penaliz zati dalla mancata perequazione della retribuzione pensionabile
per il periodo intercorrente tra il loro pensionamento originario e la sua successiva riliquidazione»; b) con l'art. 38, 2° comma,
Cost., perché «la mancata rivalutazione dei valori monetari re
lativi alla retribuzione pensionabile si riflette sul trattamento
pensionistico, diminuendone il valore economico effettivo e
rendendolo non più idoneo a fornire agli interessati quei mezzi
adeguati di vita di cui abbisognano, e che la norma costituzio
nale vuole siano assicurati».
5. - La questione non è fondata.
Anzitutto il giudice rimettente ragiona erroneamente in ter
mini di «riliquidazione» della pensione, senza considerare che
le citate sentenze della corte hanno escluso che la norma impu
gnata dia luogo ad un «complessivo ricalcolo del trattamento».
Ma soprattutto — nella sostanza — finisce per sollecitare un
sindacato sull'esercizio della discrezionalità del legislatore in
tema di modulazione temporale dell'applicabilità dei trattamenti
previdenziali. Orbene, tale sindacato è possibile soltanto sotto il profilo del
controllo di ragionevolezza (cfr., fra le altre, sentenza n. 202 del
1999, id., 1999,1, 2159; ordinanza n. 177 del 1999): e nella spe cie è da escludere che la scelta legislativa sia irragionevole.
In effetti, la soluzione auspicata dal rimettente — secondo
cui. ai fini del calcolo della «quota aggiuntiva» su pensioni an
teriori al 1° gennaio 1988, la retribuzione media pensionabile dovrebbe essere rivalutata non solo dai singoli anni dell'ultimo
quinquennio fino all'anno antecedente il pensionamento (come
dispone la norma impugnata), ma anche per il periodo successi
vo, fino al 1° gennaio 1988 — comporterebbe l'applicazione a
tali pensioni di un meccanismo radicalmente diverso rispetto a
quello apprestato dalla stessa norma per tutte le altre.
Infatti — mentre per le pensioni liquidate dopo il 1° gennaio 1988 la quota aggiuntiva è calcolata tenendo conto della svalu
tazione della retribuzione di ciascun anno di riferimento fino al
l'anno anteriore a quello del pensionamento —
per le pensioni
liquidate prima di quella data la retribuzione sarebbe rivalutata
non solo per lo stesso anno di pensionamento, ma anche per un
periodo ad esso successivo, posteriore quindi alla cessazione del
rapporto di lavoro; e si configurerebbe, sia pure ai soli fini della
quota aggiuntiva, proprio quel «complessivo ricalcolo» del
trattamento pensionistico che la corte ha decisamente escluso
(sentenza n. 296 del 1995, cit.).
Pertanto, la scelta operata dalla norma in esame (interpretata nel senso della sua applicabilità anche alle pensioni liquidate
prima del 1° gennaio 1988) di sottoporre categorie diverse di
soggetti — collocati in pensione in momenti diversi e nel vigore
di leggi diverse — ad una disciplina coerentemente differenzia
ta, idonea ad evitare contraddizioni interne al sistema, non può dirsi irragionevole e quindi lesiva dell'art. 3 Cost.
6. - La questione è infondata anche in riferimento all'art. 38
Cost.
Certamente ii precetto costituzionale esige che il trattamento
previdenziale sia sufficiente ad assicurare le esigenze di vita del
lavoratore pensionato; ma nell'attuazione di tale principio al le
gislatore deve riconoscersi un margine di discrezionalità, anche
in relazione alle risorse disponibili, almeno quando non sia in
gioco la garanzia delle esigenze minime di protezione della per sona (ex multis, sentenza n. 457 del 1998, id., Rep. 1999, voce
cit., n. 466). E tale garanzia sicuramente non è incisa da una
scelta legislativa mirante — secondo quanto si è detto — a ri
condurre la posizione dei titolari di pensioni liquidate prima del 1° gennaio 1988 alla disciplina generale del calcolo delle quote
aggiuntive, che per la rivalutazione della retribuzione considera
unicamente periodi anteriori al pensionamento. 7. - La questione sollevata dall'ordinanza n. 639 è manife
stamente inammissibile per difetto di rilevanza, come eccepito
dall'Inps. Secondo la giurisprudenza di legittimità
— che sul punto co
stituisce «diritto vivente» e che non è contestata dal giudice a
quo — la norma dell'art. 21, 6° comma, 1. n. 67 del 1988, au
tenticamente interpretata dall'art. 3, comma 2 bis, d.l. n. 86 del
1988, convertito, con modificazioni, in 1. n. 160 del 1988, es
sendo strettamente correlata al sistema di liquidazione intro
dotto dall'art. 3 1. n. 297 del 1982, non è applicabile alle pen
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
sioni liquidate prima del 30 giugno 1982, nel vigore della disci
plina precedente. E dall'ordinanza in esame emerge che il giudizio concerne un
soggetto collocato in pensione nel 1976.
Per questi motivi, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi: dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 3, 11° comma, 1. 29 maggio 1982 n. 297 (disciplina del
trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), in relazione al 6° comma dell'art. 211. 11 marzo 1988 n. 67 (di
sposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 1988), come interpretato dall'art.
3, comma 2 bis, d.l. 21 marzo 1988 n. 86 (norme in materia pre videnziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonché per il potenziamento del sistema informatico del mini
stero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con mo
dificazioni, in 1. 20 maggio 1988 n. 160, sollevata dal Tribunale di Bologna, in riferimento agli art. 3 e 38, 2° comma, Cost., con
l'ordinanza n. 638 r.o. del 1999; dichiara manifestamente inammissibile la medesima questio
ne, sollevata dal Tribunale di Bologna, con l'ordinanza n. 639
r.o. del 1999.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 28 maggio 2001, n. 162 (Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 maggio 2001, n. 21); Pres. Ruperto, Est. Marini; Min. finanze c. Fall. soc.
Fin.Im. Ord. Trib. Napoli 5 gennaio 2000 (G.U., la s.s., n. 48 del 2000).
Fallimento — Crediti privilegiati — Estensione della prela zione agli interessi anteriori e successivi — Esclusione — Incostituzionalità (Cost., art. 3; cod. civ., art. 2749; r.d. 16
marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 54).
E incostituzionale l'art. 54, 3° comma, l. fall, nella parte in cui
non richiama anche nel fallimento l'estensione del diritto di
prelazione agli interessi prevista dall'art. 2749 c.c. per i cre
diti muniti di privilegio generale o speciale. (1)
(1) Con una motivazione assertiva composta di poche righe, il giudi ce delle leggi dissolve una contraria giurisprudenza ultradecennale e
propri precedenti interventi emessi fra il 1989 e il 1994. Per quanto attiene all'interpretazione consolidata della Cassazione di
cui si fa menzione nella motivazione, cfr. Cass. 29 marzo 1999, n.
2997, Foro it., Rep. 1999, voce Fallimento, n. 679, secondo la quale gli interessi prodotti dai crediti assistiti da privilegio (speciale o generale), per il tempo successivo all'instaurarsi della procedura concorsuale a ca rico del debitore (nella specie, fallimento) non sono garantiti dal privi legio che tutela il credito per capitale, atteso che l'art. 55, 1° comma, 1.
fall., nel riconoscere tali interessi, fa salvo il 3° comma del precedente art. 54, il quale richiama, per l'estensione del diritto di prelazione agli interessi, solo gli art. 2788 e 2855 c.c. sui crediti pignoratizi ed ipoteca ri, e non anche l'art. 2749 in tema di crediti privilegiati; è, al riguardo, manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa alle
norme richiamate con riferimento agli interessi sui crediti vantati dal
l'Inps, atteso che la Corte costituzionale, nel dichiararne l'illegittimità con riferimento esclusivo agli interessi dovuti sui crediti dei lavoratori
dipendenti nelle varie procedure concorsuali, ne ha escluso l'incostitu
zionalità con riferimento ad altri soggetti, sul presupposto che il regime
degli interessi così come disegnato dal combinato disposto delle norme
del codice civile e della legge fallimentare sopra richiamate fosse in
compatibile soltanto in relazione all'esigenza di protezione dei lavora
tori di cui all'art. 38 Cost.; Cass. 9 giugno 1997, n. 5096, id., Rep. 1997, voce Privilegio, n. 35; 22 gennaio 1997, n. 670, ibid., voce Fal
limento, n. 577; 8 maggio 1995, n. 5020, id., 1995,1, 2856, alla cui nota
di richiami si rinvia; a tale opzione interpretativa, fedele alla lettera
Il Foro Italiano — 2001.
Diritto. — 1. - È sollevata questione di legittimità costituzio
nale — in riferimento all'art. 3 Cost. — dell'art. 54, 3° comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del concor
dato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liqui dazione coatta amministrativa), «nella parte in cui, non richia
mando l'art. 2749 c.c., esclude che, nelle procedure concorsuali,
possa estendersi agli interessi maturati sui crediti privilegiati la
medesima disciplina dettata da quest'ultimo articolo».
Ritiene, in particolare, il rimettente che la norma impugnata sia lesiva del principio di eguaglianza per l'irragionevole dispa rità di trattamento che comporta tra i limiti entro i quali gli inte
ressi sui crediti privilegiati possono essere soddisfatti nell'am
bito della liquidazione concorsuale ed i limiti entro i quali i me
desimi interessi possono essere soddisfatti nell'ambito della
esecuzione individuale.
2. - La questione è fondata.
2.1. - La disciplina sostanziale delle cause legittime di prela zione nel fallimento è modellata su quella dettata in materia dal
codice civile, la quale è dunque unitariamente riferibile ai diritti
dei creditori indipendentemente dalla concorsualità o meno
della esecuzione in cui tali diritti si realizzano.
La norma denunciata, invece, nel regolare l'estensione del di
ritto di prelazione agli interessi, mentre richiama gli art. 2788 e
2855 c.c., dettati per il pegno e l'ipoteca, omette qualsiasi men
zione dell'art. 2749 c.c. relativo all'estensione del privilegio. Con la conseguenza che, secondo un costante indirizzo giuris
prudenziale al quale il rimettente dichiara di aderire, nel
l'esecuzione concorsuale, l'inapplicabilità dell'art. 2749 c.c.
comporta la collocazione semplicemente chirografaria degli in
teressi sui crediti privilegiati. Orbene, non esiste una qualsivo
glia ragione giustificativa della deroga in tal modo apportata alla disciplina civilistica e della disparità di trattamento che si
viene a determinare a danno dei creditori privilegiati in sede di
esecuzione concorsuale rispetto ai creditori privilegiati ai quali,
agendo in sede di esecuzione individuale, l'art. 2749 c.c. si ap
plica. Ed in proposito, non è privo di significato che in dottrina,
prima del consolidarsi dell'orientamento giurisprudenziale di
cui si è detto, il mancato richiamo dell'art. 2749 c.c. fosse a tal
punto ritenuto inspiegabile da essere imputato ad una mera svi
sta del legislatore. La norma denunciata risulta, dunque, nella parte relativa al
della legge (il mancato richiamo dell'art. 2749 c.c. nell'ultimo comma dell'art. 54 1. fall.) si allineano Guglielmucci, Lezioni di diritto falli mentare, Torino, 1998,1, 207; de Ferra, Manuale di diritto fallimenta re, Milano, 1998, 132.
Per quanto attiene alla Consulta, i precedenti opposti più immediati sono rappresentati da Corte cost. 19 maggio 1994, n. 195, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 350; 28 luglio 1993, n. 350, id., 1993, I, 2754, cui si rinvia (e, con riferimento specifico ai crediti tributari assistiti da prela zione, 20 aprile 1989, n. 227, id., 1989, I, 2089); tali scelte restrittive sono criticate (oltre che dagli autori citati nelle note redazionali sopra menzionate) da Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2001, 323; Jorio, Le crisi d'impresa. Il fallimento, Milano, 2000, 385; Inzitari, Effetti de! fallimento per i creditori, in Le procedure concor suali. Il fallimento, trattato diretto da Ragusa Maggiore e Costa, Tori
no, ,1997, II, 98. V'è da dire che il mutato atteggiamento del giudice delle'leggi sem
bra recepire le osservazioni svolte in dottrina da chi aveva rilevato co me il parametro di costituzionalità violato, l'art. 3, dovesse essere posto in relazione come tertium comparationis alle sorti della collocazione
degli interessi nell'esecuzione singolare (Stesuri, Natura del credito
per interessi sulle obbligazioni, in Fallimento, 1997, 965; Bozza
Schiavon, L'accertamento dei crediti nel fallimento e le cause di pre lazione, Milano, 1992, 321) e non invece alla disuguaglianza rispetto ai
crediti di lavoro, ipotecari e pignoratizi come prospettato nelle decisio
ni di infondatezza. Nella motivazione si fa riferimento ad una «svista»
del legislatore così evocandosi un profilo già emerso in dottrina: v. Fa
biani, Quando una svista crea giurisprudenza: la sorte degli interessi
postfallimentari sui crediti privilegiati, in Foro it., 1994, I, 466, ed ivi
riferimenti alla dottrina più risalente.
La decisione della Consulta determinerà verosimilmente molti scos
soni nelle aule dei tribunali fallimentari, specie con riferimento ai cre
diti dell'amministrazione finanziaria che proprio di recente, dopo una
lunga resistenza, con la circolare min. fin., dipartim. entrate dir. centr.
affari giur. e contenzioso trib., 14 ottobre 1999, n. 202/E, Circolari e
risoluzioni min. fin., 1999, 611, si era finalmente adeguata all'indirizzo
della corte regolatrice (Cass. 22 gennaio 1997, n. 670, cit.) appostando
gli interessi al chirografo. [M. Fabiani]
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