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Sentenza 8 maggio 1959; Pres. Jannaccone P., Est. Salemi; Marchetti c. Soc. S.i.c.a.c.e.Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 4 (1960), pp. 693/694-695/696Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151335 .
Accessed: 25/06/2014 03:17
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
vare i diritti e le azioni spettantigli, non permetta al fideius sore di subentrarvi dopo il pagamento del debito garantito ; deve perciò il creditore porre in essere un fatto omissivo
(o meglio, prendendo a prestito dalla dottrina penalistica un'espressione più propria : un fatto commissivo mediante
omissione) in violazione di una disposizione di legge o di una clausola contrattuale (per cui la semplice inazione non s'identifica coi * fatto del creditore » espressamente pre visto dal legislatore nella norma citata), o, a maggior ra
gione, un fatto positivo, doloso o colposo o comunque illecito, da cui derivi come effetto diretto la mancata sur
rogazione del fideiussore nella posizione che in concreto
competeva al creditore medesimo. Una siffatta situazione
non s'è avverata nel caso in esame, perchè nessuno dei sud detti comportamenti può essere rimproverato al Banco
creditore, il quale non solo ha chiesto (e per incarico dello
stesso fideiussore) ed ottenuto il decreto ingiuntivo (relati vamente allo scoperto di conto corrente) nei confronti dei
debitori principali, ma ha anche proceduto all'insinuazione
dell'intero credito nel passivo del fallimento dei fratelli
Ercolani, e non acquista pregio sostenere che l'avere il
Banco scontato cambiali false, in rinnovazione di altre piena mente valide, avrebbe impedito la predetta surrogazione del fideiussore, prima di tutto perchè tale circostanza non è
stata affatto provata ed in secondo luogo perchè essa appare del tutto irrilevante, dato che, essendosi in ogni caso il
Tattoni reso garante « per qualunque ragione di debito »
dei fratelli Ercolani, da una condotta colpevole di costoro
non può discendere, con la pretesa liberazione del fideius
sore, un pregiudizio per la Banca creditrice, la quale non era
tenuta ad effettuare alcuna indagine preventiva sulla fal
sità o meno delle cambiali che scontava agli Ercolani stessi.
Nè la liberazione del fideiussore può derivare dal fatto che il
Banco di Napoli ebbe a concedere un mutuo alla Ditta
Ercolani per acquisto di macchine industriali, ai sensi
della legge 25 luglio 1952 n. 949, perchè se da un lato esso
iscrisse un privilegio sui macchinari già esistenti, dall'altro
non può disconoscersi che il patrimonio del debitore s'ar
ricchi delle nuove macchine, acquistate proprio in forza
di quel mutuo, cosicché il fideiussore non può affermare
d'aver subito una diminuzione della garanzia per effetto
dell'iscrizione del suddetto privilegio da parte del Banco ;
b) non ricorre nella specie neanche l'ipotesi prevista dall'art. 1956 cod. civ., il quale commina per il creditore la
sanzione dell'estinzione della fideiussione, prestata per ob
bligazioni future, qualora egli ne aggravi le condizioni,
facendo credito al debitore (senza aver ricevuto speciale autorizzazione da paite del garante), pur conoscendo che le
sue condizioni patrimoniali siano tali da rendere il soddis
facimento del credito più difficile rispetto al momento in
cui la garanzia fu data. In realtà dai documenti prodotti in giudizio nessuna prova, nessun indizio induce a ritenere
fondato l'assunto dell'opponente ; anzi è consentito consta
tare che la precarietà delle condizioni patrimoniali degli Ercolani, appunto perchè fu dolosamente creata da loro
stessi mediante l'improvvisa applicazione di un piano ne
cessariamente preordinato da tempo, costituì una sorpresa non solo per il Banco accreditante, ma anche per lo stesso
Tattoni, il quale, per favorire i propri amici, non rifiutò
di scontare direttamente alcune cambiali nel novembre e
nel dicembre del 1956, e cioè nell'imminenza della loro impre vedibile fuga dall'Italia ; a tal proposito non è vano ricor
dare che lo stesso Tattoni ha chiesto ed ottenuto l'insinua
zione nel passivo del fallimento della Ditta Ercolani. A
maggior prova poi della repentinità del crollo finanziario
degli Ercolani giova rilevare che, come risulta dal certifi
cato della cancelleria del Tribunale di Teramo, nell'anno
1956 nessun protesto cambiario era stato elevato a carico
degli Ercolani, e che invece a partire dalla prima quindicina del gennaio 1957 cominciarono ad eseguirsi i primi protesti
cambiari, segno evidente che i debitori avevano mascherato
le proprie intenzioni criminose fino al momento della loro
fuga, avvenuta il 4 gennaio 1957, facendo in modo che i
protesti iniziassero dopo di essa ;
c) infine non può utilmente sostenersi che il creditore
non abbia proposto le sue istanze contro il debitore o non
le abbia continuate con diligenza, con la conseguenza che sarebbe derivata, a' sensi dell'art. 1957 cod. civ., l'estin zione della fideiussione.
Infatti è sufficiente affermare innanzitutto che, secondo la norma ora citata, il fideiussore resta obbligato dopo la scadenza dell'obbligazione principale (avvenuta nella specie con la dichiarazione di recesso del 10 gennaio 1957) non solo
nell'ipotesi che il creditore abbia, entro il termine di sei
mesi, agito contro il debitore principale, ma anche quando egli, sempre entro il termine suddetto, abbia convenuto in
giudizio il solo fideiussore per ottenere da lui l'adempimento
dell'obbligazione garantita (il che è appunto provato nel caso concreto dall'emissione dei tre decreti ingiuntivi op posti dal Tattoni).
In secondo luogo poi non può non osservarsi (e la considerazione acquista valore decisivo e determinante) che il Banco di Napoli ha in effetti proposto contro i debi tori tutte le istanze che erano consentite dalla legge, in un
primo tempo ottenendo il decreto ingiuntivo (18 gennaio 1957) per la somma corrispondente, ed in un secondo tempo quanto era già intervenuto il fallimento (14 febbraio 1957) dei debitori stessi, insinuando l'intero credito (compren dente anche quello derivante dallo sconto delle cambiali, scadute in epoca successiva alla chiusura del conto) nel pas sivo (7 maggio 1957). Nessun'altra azione poteva il Banco creditore esperire contro i debitori, perchè, a seguito del
fallimento di costoro, e quindi della procedura concorsuale iniziat a nei loro confronti, le azioni di ogni singolo creditore
rimangono troncate, se.già proposte, o vietate in caso con
trario, a' sensi di quanto espressamente sancisce l'art. 51
legge fall. Deriva pertanto che neanche sotto questo pro filo può dichiararsi l'estinzione della fideiussione prestata dal Tattoni.
L'opposizione da questi proposta avverso i tre decreti
ingiunzionali è pertanto infondata e deve essere quindi
rigettata. Per questi motivi, ecc.
TRIBDNALE DI ROMA.
Sentenza 8 maggio 1959 ; Pres. Jannaccone P., Est.
Salemi ; Marchetti c. Soc. S.i.c.a.c.e.
Vendita — Consegna «li appartamento sprovvisto della licenza di abitabilità — Consegna di « alimi
pro alio» —1 Conseguenza (Cod. civ., art. 1346, 1418, 1453, 1497 ; 1. 17 agosto 1942 n. 1150, legge urbanistica, art. 32).
La consegna dell' appartamento venduto, privo della licenza
comunale di abitabilità, costituisce consegna di aliud
pro alio e quindi è causa di risoluzione del contratto. (1)
Il Tribunale, ecc. — Osserva il Collegio che è senz'altro da disattendere la tesi dell'attore, secondo la quale il con
tratto de quo sarebbe nullo perchè avente ad oggetto una
cosa extra commercium. Cose fuori di commercio, e che per ciò non possono essere oggetto di compravendita, sono le
res communes omnium e quelle destinate all'uso pubblico
(beni demaniali e beni patrimoniali indieponibili), nell'am
bito delle quali evidentemente non possono essere compresi
gli appartamenti in questione, pur se costruiti in viola
zione del regolamento edilizio comunale o senza la prescritta licenza di abitabilità.
Nemmeno la fattispecie può farsi rientrare nell'ipotesi di inalienabilità relativa per la mancanza di una necessaria
autorizzazione dell'autorità amministrativa. Questa, com'è
(1) Con questa sentenza -— approvata da P. Ricci, in Temi
rom., 1959, 469 — il Collegio aderisce alla tesi accolta da App. Roma 24 gennaio 1958, id., 1958, 503.
Per qualche riferimento vedi Bottini, in Foro it., 1950, I, 846 e seg. ; Cass. 14 ottobre 1958, id., Rep. 1958, voce Piano
regolatore, n. 248 ; App. Genova 16 maggio 1958, ibid., nn. 250, 251.
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695 PARTE PRIMA G90
noto, si concreta in un provvedimento dell'autorità, di
retto a rimuovere un preesistente divieto o una limitazione
in genere all'esercizio di un diritto o al compimento di una
determinata attività, per cui, difettando l'autorizzazione, l'esercizio del diritto o il compimento dell'attività sono
rispettivamente illegittimo e illecito. È ovvio, infatti, che la S.i.c.a.c.e., per l'alienazione degli appartamenti o per l'esecuzione della sua prestazione derivante dal contratto, non abbisognava di un'autorizzazione condizionante, che
funzionasse cioè come requisito legale dell'efficacia del contratto.
Né può fondatamente ritenersi che l'esistenza della li
cenza di abitabilità funzionasse da condicio iuris, nel senso
di presupposto necessario voluto dalla legge per l'esistenza della vendita, per cui una volta accertata la mancanza
della licenza, questo fatto potesse assurgere a condizione
comportante l'inesistenza giuridica o l'inefficacia del con
tratto. Ad una tale conclusione si oppone la considerazione
che l'accertamento delle condizioni necessarie per farsi
luogo all'autorizzazione, oltre che essere rimesso alla com
petenza esclusiva dell'organo amministrativo, costituisce solo la premessa, e perciò non esaurisce la fattispecie legale dell'autorizzazione.
L'attore, richiamando espressamente l'art. 1346 cod.
civ., sembra voglia sostenere, inoltre, che il contratto debba
ritenersi nullo ai sensi del successivo art. 1418 per illiceità
dell'oggetto. Ma anche questa tesi è inaccettabile. Premesso che per oggetto del contratto deve intendersi
la prestazione cui il contratto dà origine, perchè questa sia illecita occorre che sia, o in se medesima o anche soltanto
per il fine a cui tende, contraria alla legge, all'ordine pub blico, alla morale, al buon costume. Orbene, escluse le
ipotesi di prestazione contraria all'ordine pubblico, alla
morale e al buon costume, non ricorre neppure quella di
prestazione contraria alla legge, poiché non esiste alcuna norma imperativa che commini il divieto in sè e per sè di vendere immobili che si trovino nelle condizioni di quelli per cui è causa.
La realtà è che la consegna, da parte della S.i.c.a.c.e., di due appartamenti costruiti in violazione delle norme che
regolano l'edilizia del Comune e in difformità del progetto approvato, e mancanti financo, e per conseguenza, della licenza di abitabilità, costituisce consegna di aliud pro alio e dà luogo, quindi, all'ordinaria azione contrattuale di inesecuzione del contratto.
Invero, la conformità della costruzione al progetto ap provato e alle norme sull'edilizia comunale, nonché la li cenza di abitabilità, che ne è l'effetto, debbono giuridica mente ritenersi parti integranti o essenziali degli apparta menti destinati ad uso di abitazione.
Ove sussistano le irregolarità, quali risultano dalle in formazioni rimesse dal Comune con le note avanti trascritte, gli appartamenti debbono considerarsi non suscettibili di
utilizzazione, giacché le irregolarità determinano sostan zialmente la cosiddetta impossibilità giuridica, consistente nella incommerciabilità della cosa (non si tratta però di cosa fuori di commercio nel senso più sopra indicato). Di ciò si ha praticamente la prova se si pone in evidenza che il Comune può sempre ed in ogni momento ordinare l'ab battimento degli appartamenti, ai sensi dell'art. 32 legge 17 agosto 1942 n. 1150.
Si è dunque nell'ipotesi di consegna di cosa diversa da quella pattuita, non in quella, diversamente regolata dal codice, di cosa mancante delle qualità promesse od essenziali all'uso cui è destinata, la quale (ultima) dà il diritto al compratore di ottenere la risoluzione del con tratto solo quando il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi (art. 1497). Quest'ultima norma di legge configura un'azione contrattuale, differenziata,
però, nella sua portata e nella sua disciplina, da quella generale comune, che nasce dalla consegna di aliud pro alio.
Le accertate irregolarità, nella specie, costituiscono un vizio così sostanziale che non è concepibile possa equipa rarsi o sottoporsi allo stesso trattamento di difetti di qua lità suscettibili di essere contenuti entro i limili di tolle ranza consentiti dagli usi.
Nè è conferente obiettare che le irregolarità possono essere legittimate da una sanatoria da parte del Comune.
Il rilievo è privo di consistenza giuridica, poiché, ai fini
dell'esatta qualificazione del vizio, bisogna risalire al mo
mento della conclusione del contratto. D'altra parte, l'onere
inerente alla concessione della sanatoria non deve restare
a carico del compratore, contraente adempiente, con van
taggio dell'inadempiente e, in secondo luogo, la cosa ven
duta, ai fini della chiesta risoluzione del contratto, va
identificata nel suo sorgere, ossia nella sua capacità di
soddisfare i bisogni del compratore secondo le comuni esi
genze (fra le quali quella di potere rivendere la cosa) con
riferimento al momento della conclusione del contratto.
Pertanto, l'azione che compete al Marchetti è l'azione
generale contrattuale di chi dimostri che gli è stata con
segnata una cosa diversa da quella contrattata. In conse
guenza, quando vi è colpa del venditore, e nella specie non vi è alcun dubbio che la S.i.c.a.c.e. è stata in colpa il rimedio è la risoluzione per inadempimento (e non di
annullamento per errore, come ritiene qualche autore). Per questi motivi, ecc.
PRETURA DI ROMA.
Sentenza 12 giugno 1959 ; Giud. Pittiruti ; De Luca (Avv. Scarlata) c. Lucantoni (Avv. Macrì).
Possesso e azioni possessorie — Azione «li reinte
grazione — Legittimazione attiva —
Fattispeeie (Cod. civ., art. 1168).
Il componente del nucleo familiare del conduttore, che con
questo convive, è legittimato ad agire in reintegrazione contro il conduttore che lo abbia estromesso dall'abita zione comune, soltanto se il rapporto di convivenza tragga origine da un obbligo di mantenimento o di alimenti. (1)
Il Pretore, ecc. — Incombeva al De Luca, ex art. 2697 e 1168 cod. civ., l'onere di dimostrare la sussistenza del
duplice presupposto sul quale riposa la concessione della tutela possessoria : il possesso e la sua offesa. Poiché la Lucantoni non ha contestato di avere estromesso il cognato dalla casa in cui avevano coabitato sino alla data del rico vero di quest'ultimo in ospedale, la controversia si con creta e si esaurisce nell'accertare se il componente il nucleo familiare del conduttore, che con questo convive, sia legit timato ad agire con l'azione di reintegrazione, ove il titolare della locazione intenda por fine alla convivenza e lo estro metta dall'abitazione comune.
L'azione di reintegrazione è concessa a tutela sia del
possesso sia della semplice detenzione. Il De Luca fonda la propria legittimazione attiva su una pretesa coabitazione contrattuale e su un rapporto di convivenza radicato nel
tempo ; in altre parole il diritto al godimento dell'immobile deriverebbe sia dalla contitolarità del rapporto di locazione sia dalla materiale detenzione della comune casa di abita zione. Sotto entrambi i profili si deve far ricorso alle norme relative alla detenzione, poiché, come è noto, il conduttore di un immobile (ed a maggior ragione chi da esso ripete analogo diritto) non è possessore, bensì detentore del bene locato. Ai sensi dell'art. 1168, capov., cod. civ., l'azione in esame non può essere esercitata da chi ha la detenzione della cosa per ragioni di servizio o di ospitalità, da chi, cioè, non ha alcun diritto nei riguardi delle persone nel cui nome
possiede (detentore non autonomo). Il soggetto di una mera situazione di fatto, alla quale sia estraneo qualsiasi vincolo
giuridico e qualsiasi aspetto di necessità, non potrà quindi invocare la tutela possessoria.
Ciò premesso, è agevole osservare che, ove si tratti del
(1) Non risultano precedenti specifici. Per utili riferimenti, v. Zuccalà, La difesa del possesso,
pag. 79, e giurisprudenza ivi richiamata.
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