sentenza 8 maggio 1996, n. 148 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 15 maggio 1996, n. 20);Pres. Ferri, Est. Santosuosso; Gentilini c. Fall. soc. Uno; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib.Pistoia 11 gennaio 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 40 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 6 (GIUGNO 1996), pp. 1907/1908-1911/1912Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190466 .
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1907 PARTE PRIMA 1908
del codice di procedura civile, veniva affermato che «è la scelta
compiuta dalle parti che produce lo spostamento di competenza dal giudice del procedimento ordinario a quello del procedi mento di impugnativa del lodo, non il comando di una legge elusivo di una aspettativa maturata, o quello di un organo dello
Stato al quale la stessa legge ha conferito la corrispondente
potestà».
L'illegittimità costituzionale della imposizione autoritativa del
ricorso all'arbitrato è stata ribadita successivamente da nume
rose sentenze di questa corte (n. 54 del 1996, id., 1996, I, 1106; 493 del 1994; nn. 232, 206 e 494 del 1994, id., 1995, I, 1768; n. 488 del 1991, id., 1992, I, 999). In una di queste pronunce
(sentenza n. 232 del 1994) si è anche ritenuto non conforme
ai principi costituzionali il rinvio della controversia ad una com
missione arbitrale predeterminata direttamente dalla legge. 5. - Con la disposizione impugnata (art. 16 1. 10 dicembre
1981 n. 741), l'originaria formulazione dell'art. 47 del capitola to disciplinato dal citato d.p.r. n. 1063 del 1962 è stata sostitui
ta, stabilendosi che la competenza arbitrale, prevista dagli art.
43 ss. «può essere esclusa solo con apposita clausola inserita
nel bando o invito di gara, oppure nel contratto in caso di trat
tativa privata». Siffatta nuova formulazione dell'art. 47, collegata con le di
sposizioni degli articoli precedenti, prevede un sistema declina
torio della competenza arbitrale che non si sottrae alla censura
di incostituzionalità, in quanto sostanzialmente conferma la na
tura obbligatoria dell'arbitrato, ritenuta illegittima dalla costante
giurisprudenza di questa corte.
In effetti, va in primo luogo osservato che il silenzio serbato
dalla pubblica amministrazione riguardo alla deroga alla com
petenza arbitrale — pur a fronte di un rinvio ricognitivo al ca
pitolato generale presente nel bando di gara — o l'inserimento
di una clausola compromissoria nella proposta di appalto a trat
tativa privata, attribuiscono, di fatto, alla sola pubblica ammi
nistrazione la scelta in favore della competenza arbitrale, che
la controparte, se vuole partecipare alla gara, è tenuta ad ac
cettare.
In altri termini, esigendosi l'accordo delle parti per derogare alla competenza arbitrale, si rimette pur sempre alla volontà
della sola parte che non voglia tale accordo derogatorio, l'effet
to di rendere l'arbitrato concretamente obbligatorio per l'altro
soggetto che non l'aveva voluto. Sarebbe infatti sufficiente la
mancata intesa sulla deroga della competenza arbitrale per va
nificare l'apparente facoltatività bilaterale dell'opzione. L'arbitrato può invece ritenersi non obbligatorio quando —
come prevedeva l'originaria formulazione dell'art. 47 — anche
dopo l'aggiudicazione dell'appalto e fino alla nomina degli ar
bitri per la decisione sull'insorta controversia, sia consentita la
facoltà, all'una o all'altra parte del rapporto, di scegliere anco
ra la competenza ordinaria.
Risulta pertanto evidente il contrasto della norma impugnata con gli invocati parametri costituzionali in quanto questa, con
il prevedere che la competenza arbitrale può essere derogata solo con una clausola inserita nel bando o invito di gara oppure nel contratto nel caso di trattativa privata, finisce con il rendere
obbligatorio l'arbitrato, in spregio al principio, più volte ribadi
to, secondo cui solo a fronte della concorde e specifica volontà
delle parti (liberamente formatasi) sono consentite deroghe alla
regola della statualità della giurisdizione. Lo stesso legislatore, d'altronde, ha dimostrato recentemente
di cercare giuste soluzioni al problema perché, nel regolare ex
novo la materia degli appalti pubblici (con la 1. 11 febbraio 1994 n. 109), aveva previsto (all'art. 32) che la competenza sulle
controversie fosse attribuita al giudice ordinario, con esplicito divieto di deferire la controversia agli arbitri; successivamente, con il d.l. 3 aprile 1995 n. 101, convertito in legge con l'art.
1, 1° comma, 1. 2 giugno 1995 n. 216, la competenza arbitrale
è stata nuovamente introdotta, però con il richiamo della disci
plina contenuta al riguardo nel codice di procedura civile. La
legislazione potrebbe ancora evolversi tenendo conto, oltre che
del coordinamento con la legislazione comunitaria, del princi
pio essenziale della effettiva libera volontà di ciascuna parte sulla scelta della competenza nei casi in cui il contratto sia pre
disposto dalla pubblica amministrazione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti
II Foro Italiano — 1996.
mità costituzionale dell'art. 16 1. 10 dicembre 1981 n. 741 (ulte riori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione
di opere pubbliche), che ha sostituito l'art. 47 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063, nella parte in cui non stabilisce che la competenza arbitrale può essere derogata anche con atto unilaterale di cia
scuno dei contraenti.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 8 maggio 1996, n. 148
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 15 maggio 1996, n. 20); Pres. Ferri, Est. Santosuosso; Gentilini c. Fall. soc. Uno; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Pistoia 11 gennaio 1995
(G.U., la s.s., n. 40 del 1995).
Fallimento — Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci — Misure cautelari — Poteri del giudice delegato — Iniziativa d'ufficio — Questione infondata di costituziona
lità (Cost., art. 3, 24, 101; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disci
plina del fallimento, art. 146).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
146 l. fall, (la cui permanente vigenza nell'ordinamento a se
guito della introduzione del nuovo procedimento cautelare uni
forme è questione rimessa alla interpretazione del giudice del
merito), nella parte in cui prevede che, prima dell'inizio della
causa di merito, le misure cautelari strumentali rispetto all'a
zione di responsabilità contro gli amministratori e sindaci pos sono essere disposte d'ufficio dal giudice delegato al fallimento anziché su ricorso del curatore secondo le norme ordinarie, in riferimento agli art. 3, 24, 2° comma, coordinato con l'art.
3, e 101, 2° comma, Cost. (1)
(1) A latere dell'ormai quasi stucchevole disputa sulla questione della
permanente vigenza del potere del giudice delegato di emettere le misu re cautelari di cui all'art. 146 1. fall, in occasione del decreto con il
quale viene autorizzato l'esercizio delle azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci di società di capitali fallite, il giudice delle
leggi ha stabilito che ove la normativa fallimentare dovesse ritenersi ancora in vigore questa non si porrebbe in contrasto con le norme co stituzionali sull'eguaglianza, sul diritto di difesa e sulla imparzialità del
giudice attese le particolari connotazioni pubblicistiche delle procedure concorsuali e alla luce della sufficienza dei controlli sull'operato del
giudice delegato. Per un sommario resoconto della vicenda interpretativa attorno al
l'art. 146 1. fall., si rinvia alla nota redazionale a Cass. 17 febbraio 1995, n. 1726, Foro it., 1995, I, 3221 (la quale a sua volta aveva lascia to aperto il capitolo relativo alla attualità della speciale competenza del giudice delegato) non senza osservare che la Corte costituzionale sembra esprimere qualche dubbio sul fatto che il nuovo procedimento cautelare uniforme non abbia inciso sui poteri del giudice delegato.
Con riferimento all'aspetto della imparzialità del giudice delegato, la corte ha ricordato che anche in altre occasioni il duplice ruolo di tale organo (prima di «impulso» e poi di «giudizio») può ritenersi costi tuzionalmente «sopportabile» in funzione dei controlli apprestati dalla
legge fallimentare e rafforzati dagli interventi del giudice delle leggi. In passato. Di recente, Cass. 4 giugno 1994, n. 5429, ibid., 213, alla cui nota si rinvia per ulteriori richiami, ha ribadito che è legittima la
partecipazione del giudice delegato al collegio investito di un reclamo contro un suo provvedimento. Cass. 20 giugno 1983, n. 4235, id., Rep. 1984, voce Fallimento, n. 264, aveva invece rilevato che «il dovere di
astensione, secondo la previsione dell'art. 51 c.p.c., riguarda non l'or
gano giudicante, ma la persona fisica del giudice; pertanto, con riguar do alla sentenza resa dal tribunale fallimentare, in sede di azione revo
catoria, con la partecipazione del giudice delegato che in precedenza ha autorizzato la proposizione dell'azione medesima, è irrilevante la
questione di legittimità costituzionale degli art. 24 e 99 1. fall., in riferi mento agli art. 3, 24 e 101 Cost., sotto il profilo che tali norme non
contemplerebbero l'astensione di detto giudice delegato, ove risulti che nella funzione di giudice delegato si siano succedute persone diverse,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Diritto. — 1. - Il Tribunale di Pistoia «dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale dell'art. 146, 3° comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267
(disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'am
ministrazione controllata e della liquidazione coatta amministra
tiva), nella parte in cui prevede che, prima dell'inizio della cau
sa di merito, le misure cautelari strumentali rispetto all'azione
di responsabilità contro gli amministratori e sindaci possono es
sere disposte d'ufficio dal giudice delegato al fallimento anziché
su ricorso del curatore secondo le norme ordinarie, in riferi
mento agli art. 3, 24, 2° comma, coordinato con l'art. 3, e
101, 2° comma, Cost.».
2. - Ai fini della rilevanza della questione occorre osservare
che — come correttamente motiva lo stesso giudice rimettente — non può ravvisarsi una «istanza in senso proprio» (con tutti
i requisiti formali e sostanziali previsti per l'atto introduttivo
di altri procedimenti) nella generica sollecitazione di misure cau
telari fatta dal curatore nell'atto con cui richiedeva l'autorizza
zione ad agire in giudizio. La libertà delle forme che governa
l'attività processuale non toglie che la domanda di parte, in
quanto diretta ad instaurare un determinato giudizio nei con
fronti di un terzo, debba consentire a quest'ultimo di esercitare
il diritto di difesa e va pertanto specificamente determinata nei
suoi elementi essenziali. D'altra parte, osserva ancora il giudice
a quo, «allorquando l'iniziativa è officiosa, l'eventuale richiesta
di terzi degrada a mera denuncia».
3. - Nel merito la questione non è fondata.
Il tribunale rimettente prende le mosse dall'orientamento —
al quale aderisce — di quella parte della giurisprudenza secon
do cui, anche dopo l'entrata in vigore della generale disciplina
unitaria dei procedimenti cautelari (articoli da 669 bis a 669
quaterdecies c.p.c.), è ancora vigente il 3° comma dell'art. 146
1. fall., il quale attribuisce al giudice delegato un potere di ini
ziativa nel disporre le misure cautelari, costituendo una delle
ipotesi in cui il nostro ordinamento processuale fa eccezione
al principio della domanda di parte.
Ritiene tuttavia il tribunale che tale norma contrasti con i
precetti costituzionali degli art. 3, 24, 2° comma, e 101, 2° com
ma, Cost., poiché la predetta eccezione alla regola generale non
sarebbe sorretta da una effettiva e inderogabile giustificazione
(quella dell'interesse pubblico della massa dei creditori), poten
do «lo stesso risultato essere garantito attraverso diversi stru
menti tecnici».
Secondo l'ordinanza di rimessione la norma, come sopra in
terpretata in modo non implausibile, determinerebbe la viola
zione del principio di ragionevolezza ed un vulnus alla tutela
giurisdizionale poiché, anche in questa ipotesi, si verificherebbe
quanto già affermato dalla Corte costituzionale con sentenza
n. 133 del 1993 (Foro it., 1993, I, 2126), e cioè una «deroga
alla regola di terzietà del giudice» ed alla «normale dialettica
processuale, sia perché la domanda introduttiva del giudizio,
formulata dallo stesso giudice, prefigura il contenuto della deci
sione, sia perché il contraddittorio non si instaura in condizioni
di parità tra le parti del rapporto sostanziale, bensì tra queste,
da un lato, e il giudice dall'altro».
4. - Va subito precisato a quest'ultimo proposito che la fatti
specie oggetto della sentenza costituzionale, alla quale si richia
ma il giudice a quo, aveva ad oggetto un potere d'impulso pro
cessuale nell'ambito di una normativa in cui l'anomalia
dell'attore-giudice era il riflesso dell'anomalia della veste di
amministratore-giudice allora riconosciuta al commissario per
gli usi civici. Nel presente caso, invece, il giudice delegato non «formula
la domanda introduttiva del giudizio», ma emette un prowedi
sicché quella che ha partecipato al collegio sia diversa da quella che
ha autorizzato l'azione». Per ciò che attiene ai rapporti fra domanda di parte ed iniziativa
d'ufficio, oltre agli autori citati in nota all'ordinanza del giudice remit
tente (Trib. Pistoia 11 gennaio 1995, id., 1995, 1, 663), sostengono l'ec
cezionalità delle ipotesi in cui la legge processuale acconsente all'organo
giurisdizionale un esercizio non sollecitato dall'esterno di quella funzio
ne che gli compete, Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato Vassalli, Torino, 1994, 31; Consolo, Domanda giudiziale, voce del Digesto civ., Torino, 1991, VII, 56.
li Foro Italiano — 1996.
mento consequenziale all'istanza del curatore di essere autoriz
zato ad introdurre il giudizio di responsabilità; e, una volta rite
nuta la necessità di garantire con misure cautelari l'efficacia
del giudizio che il curatore chiede di introdurre, il giudice dele
gato dà avvio ad un contraddittorio che, sia pure con alcune
connotazioni peculiari alla procedura concorsuale, si svolge tra
le parti portatrici degli interessi contrapposti del rapporto so
stanziale.
5. - A prescindere dal riferimento fatto al citato precedente di questa corte, le censure sollevate con l'ordinanza di rimessio
ne non possono essere condivise.
Il diritto alla tutela giurisdizionale è ascrivibile tra i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale ed è con
nesso al principio di democrazia nell'assicurare per qualsiasi con
troversia un giudice e un giudizio (sentenza n. 18 del 1982, id.,
1982, I, 934); ma tale diritto non risulta violato in materia pro cessuale quando gli strumenti apprestati dalla legge, sia pure
con diverse modulazioni dipendenti dall'adattamento alla strut
tura di ciascun procedimento, salvaguardino nella sua essenza
l'esercizio del diritto stesso (ex plurimis, sentenze nn. 214 del
1974, id., 1974, I, 1955; 27 del 1966, id., 1966, I, 740, e 5 del 1965, id., 1965, I, 400).
Più recentemente la corte ha avuto diverse occasioni — spe
cie in materia penale — di sottolineare l'importanza dei principi
dell'imparzialità e della terzietà del giudice, per la salvaguardia dei diritti di difesa e della uguaglianza dei cittadini, che hanno
fondamento negli art. 3, 24 e 101 Cost. (sent. nn. 455 del 1994,
id., 1955, I, 2078; 133 del 1993, cit.; 299 del 1992, id., 1994, I, 3582; 502 e 390 del 1991, id., 1992, I, 625 e 305).
6. - La delicata materia cautelare — in cui questa corte è
intervenuta numerose volte specie per le misure penali — assu
me anche nel settore civile particolare rilievo, dal momento che
essa può incidere in modo grave, sia pure provvisoriamente, su diritti dei soggetti passivi, sulla base di una istruttoria som
maria e senza sicurezza di eliminazione totale degli effetti, una
volta rimossi i provvedimenti stessi. Questo potere, pertanto,
specie se consentito per iniziativa officiosa, assume carattere ec
cezionale anche per i giudici ordinari, e viene del tutto escluso
per gli arbitri (art. 818 c.p.c.). Il legislatore ha poi ritenuto di
dovere disciplinare unitariamente i procedimenti cautelari civili
(prima regolati in modo disomogeneo e frammentario) con la
novella del 1990, che si connota per il rispetto del contradditto
rio e degli altri strumenti di difesa, e risponde all'esigenza (v.
relazione 23 febbraio 1990 della commissione giustizia del sena
to) di «evitare che, a fronte di una crescente domanda di prov
vedimenti implicanti cognizione sommaria, le differenze strut
turali e le lacune delle rispettive discipline si traducano in una
abnorme ampiezza dei confini delle opzioni ermeneutiche».
7. - La specifica disciplina fallimentare — pur dopo numerosi
interventi della giurisprudenza costituzionale (tra le altre: sen
tenze nn. 201 del 1993, id., 1994, I, 3577; 100 del 1993, id., 1993,1, 2445; 570 del 1989, ibid., 1132; 567 del 1989, id., 1991, I, 47; 408 del 1989, id., 1989, I, 2692; 204 del 1989, ibid., 2091; 127 e 46 sul 1975, id., 1975, I, 2435 e 509) ispirati ad una cor
retta aderenza del processo fallimentare ai principi costituziona
li, soprattutto per il rispetto del diritto di difesa (in particolare le sentenze nn. 538 del 1990, id., 1992, I, 602; 120 e 102 del
1986, id., 1986, I, 1753 e 1762; 155 e 151 del 1980, id., 1981, I, 1 e 2); 110 del 1972, id., 1972, I, 1802; 142 e 141 del 1970, id., 1970, I, 2038) — è caratterizzata da aspetti pubblicistici e dalla tendenziale esigenza di maggiore speditezza del processo.
In questo contesto, sono affidati al giudice delegato vari po
teri (direttivi, decisori e di controllo), nell'esercizio dei quali non è stata ravvisata violazione dei precetti costituzionali del
l'imparzialità e dell'indipendenza del giudice delegato, quando
ciò risponda all'esigenza di assicurare il rapido svolgimento ed
il miglior rendimento dell'attività giurisdizionale, senza pregiu
dicare le decisioni del tribunale, e quando il giudice sia in grado
di operare con assoluta obiettività (sentenze nn. 158 e 94 del
1975, id., 1975, I, 2427 e 1045). In coerenza con le predette caratteristiche del processo falli
mentare e delle funzioni del giudice delegato, il nostro sistema
prevede alcuni interventi officiosi; a proposito dei quali, limita
tamente al profilo costituzionale e con riguardo alla peculiare
questione che forma oggetto specifico del presente giudizio, si
rende necessaria qualche precisazione. 8. - L'art. 146 r.d. n. 267 del 1942 attribuisce al giudice dele
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1911 PARTE PRIMA 1912
gato un potere autorizzato ed uno cautelare, entrambi strumen
tali a quel giudizio di responsabilità che non soggiace alla vis
attractiva fallimentare ed ha soggetti diversi rispetto a quelli della procedura concorsuale. Per la sua genericità, la norma
stessa ha dato luogo ad una serie di questioni, oggetto di ampio dibattito dottrinale e di interpretazioni giurisprudenziali discor
di. Si è fatto, tra l'altro, notare che l'esercizio di un potere eccezionale ed officioso nel procedimento giudiziario implica che
esso sia ravvisabile nei casi tassativi in cui la norma chiaramen
te lo preveda, debba essere interpretato restrittivamente ed ap
plicato con le garanzie offerte dall'ordinamento; inoltre si è ri
levato che la legge non configura una competenza del giudice
delegato in tema di misure cautelari quando allo stesso sia ana
logamente richiesta l'autorizzazione all'esercizio di azioni revo
catone fallimentari.
In ogni caso, chiarire l'effettiva portata dell'art. 146, 3° com
ma, 1. fall, (che non precisa — a differenza dell'art. 151, 6°
comma — se il potere di disporre le misure cautelari sia eserci
tabile ex officio o su istanza di parte), e stabilire quali effetti siano derivati alla vigenza della norma denunziata a seguito del
la sopravvenuta 1. n. 353 del 1990, contenente la disciplina ge nerale dei procedimenti cautelari, resta affidato all'interpreta zione del giudice ordinario e specialmente del supremo organo di nomofilachia.
9. - In questa sede quindi non è consentito prendere posizio ne sui problemi di coordinamento tra la normativa generale e
quella speciale, e ciò non sarebbe comunque necessario dal mo
mento che, anche a ritenere officioso il potere di disporre misu
re cautelari di cui si discute e non applicabile la sopravvenuta
disciplina del 1990, tale interpretazione non appare a questa corte viziata da una esasperata concezione pubblicistica che me
nomi il diritto di tutela giurisdizionale costituzionalmente ga rantito.
Va infatti ribadito, anzitutto, che il principio di iniziativa pro cessuale di parte (art. 2907 c.c.) ammette eccezioni, sempre che
queste non determinino ingiustificate limitazioni al diritto di di
fesa. Inoltre, pur se la norma denunziata sia interpretata come
sopra, non è esatta la censura di illegittimità in quanto al giudi ce delegato verrebbe in tal modo attribuito il potere di introdur
re, e contestualmente concludere, il procedimento cautelare. In
realtà, l'intervento eccezionale del giudice delegato per tutelare
urgentemente interessi della massa dei creditori può considerar
si compatibile con la salvaguardia dei principi costituzionali ri
tenendo che alla tempestiva limitazione della sfera giuridica dei
soggetti gravati dalla misura cautelare subentri l'immediata re
staurazione di un sufficiente rispetto del contraddittorio.
Come, invero, si deduce chiaramente dalla stessa rapida se
quenza degli atti processuali posti in essere nel caso di specie, il giudice dispone le opportune misure cautelari attraverso una
serie di garanzie per il diritto di difesa, sia pure con adattamen
ti specifici alla peculiare materia: a) tale potere viene esercitato
«nell'autorizzare l'azione di responsabilità» (art. 146, 3° com
ma), e cioè prima della instaurazione del giudizio di merito, sulla base della dettagliata istanza del curatore circa gli elementi
emersi sulla responsabilità degli amministratori e sul periculum in mora-, b) anche se la misura viene disposta d'ufficio, il giudi ce convoca subito le parti per sentirle e decidere conseguente mente se confermare, modificare o revocare la misura stessa
(nella specie, il giudice delegato — sulle dichiarazioni delle parti — confermava il decreto nei confronti di alcuni soggetti, men
tre lo revocava e lo dichiarava inefficace nei confronti di altri);
c) avverso questi provvedimenti sono ammessi i normali mezzi
di impugnazione, a cominciare dall'immediato reclamo al colle
gio; d) quest'ultimo riesamina ogni aspetto alla luce della di
scussione dei soggetti interessati, ed emette una decisione che
produce le normali conseguenze, non esclusa quella relativa alla
soccombenza di una delle parti. 10. - Può allora conclusivamente ritenersi che, nell'esercizio
di questo potere, il giudice delegato, pur tenendo conto degli elementi risultanti dall'istanza del curatore e con l'ulteriore au
silio di sommarie e dirette informazioni, agisca non come atto
re, ma nella sua veste giurisdizionale e quindi super partes, va
lutando i requisiti che devono essere la sicura base di qualsiasi
provvedimento cautelare (il fumus boni iuris ed un effettivo pe riculum in mora), sentendo le parti — seppure dopo l'adozione
Il Foro Italiano — 1996.
del provvedimento per non pregiudicare l'attuazione della misu
ra stessa — e sempre con la garanzia dei successivi mezzi di
impugnazione. Anche ai fini di questo successivo riesame, il giudice deve
motivare sulla ricorrenza in concreto dei requisiti che legittima no il provvedimento, nonché sugli elementi di fatto e di diritto
(da versare negli atti del giudizio principale) che giustificano
quelle misure cautelari da lui ritenute «opportune». Quest'ulti ma espressione è stata usata dalla norma non come equivalente di misura «conveniente» ad una parte, ma nel significato —
quello più obiettivo, che si addice ad un provvedimento giudi ziale — dell'equilibrata adeguatezza (anche nella scelta del tipo e nella quantità della misura) a tutti gli interessi in gioco, e
quindi in relazione ai diversi soggetti coinvolti, alle responsabi lità degli stessi ed alle varie conseguenze delle misure adottate.
In questo procedimento, pertanto, i soggetti passivi delle mi
sure cautelari vengono a trovarsi in contraddittorio, non col
mero convincimento di un giudice-attore, ma con gli interessi
e le ragioni sostenute dalla controparte, e con strumenti proces
suali, certo peculiari per la specificità della materia, ma pur
sempre sufficienti a garantire la tutela del dirittto di difesa, sia
sotto il profilo della terzietà del giudice, sia per l'essenziale dia
lettica processuale. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda
ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 146, 3° com
ma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del
concordato preventivo, della amministrazione controllata e del
la liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento
agli art. 3, 24, 2° comma, e 101, 2° comma, Cost., dal Tribu
nale di Pistoia l'ordinanza indicata in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 aprile 1996, n. 128
(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 aprile 1996, n. 18); Pres. Ferri, Est. Mengoni; Fogolin e altri (Aw. Garlatti),
Agosti (Avv. Agostini) e Riva (Aw. Garlatti, Assennato) c. Inps (Avv. De Angelis); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Polizzi). Orci. Pret. Milano 8 maggio 1995 (sette)
(G.U., la s.s., n. 35 del 1995); 25 maggio 1995 (G.U., la
s.s., n. 37 del 1995); 16 giugno 1995 e 22 giugno 1995 (G.U., la s.s., n. 39 del 1995); 12 luglio 1995 (G.U., la s.s., n. 43
del 1995); 12 ottobre 1995 e 8 novembre 1995 (G.U., la s.s., n. 51 del 1995).
Previdenza e assistenza sociale — Domanda di prestazione pen sionistica — Controversie — Nuovo regime decadenziale trien nale — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art.
24, 38; d.l. 19 settembre 1992 n. 384, misure urgenti in mate ria di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché
disposizioni fiscali, art. 4; 1. 14 novembre 1992 n. 438, con
versione in legge, con modificazioni, del d.l. 1. 19 settembre 1992 n. 384).
È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 4, 3° comma, d.l. 19 set
tembre 1992 n. 384, convertito, con modificazioni, in l. 14
novembre 1992 n. 438, nella parte in cui prevede l'applicabili tà del nuovo regime decadenziale triennale dell'azione giudi ziaria per le controversie in materia di trattamenti pensioni stici anche nel caso in cui anteriormente all'entrata in vigore del d.l. 384/92 sia stata presentata la sola istanza amministra
tiva e siano decorsi i trecento giorni previsti per l'esaurimento
del procedimento, in tal modo omettendo di stabilire un ra
gionevole regime transitorio che valga a salvaguardare i dirit ti di coloro che non hanno proposto l'azione giudiziaria nel
triennio, in riferimento agli art. 24 e 38 Cost. (1)
(1) La corte risolve in via interpretativa la questione rilevando che il nuovo regime decadenziale triennale introdotto dalla norma sospetta
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