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sentenza 8 maggio 1996, n. 148 (Gazzetta ufficiale, 1aserie speciale, 15 maggio 1996, n. 20); Pres....

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sentenza 8 maggio 1996, n. 148 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 15 maggio 1996, n. 20); Pres. Ferri, Est. Santosuosso; Gentilini c. Fall. soc. Uno; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib. Pistoia 11 gennaio 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 40 del 1995) Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 6 (GIUGNO 1996), pp. 1907/1908-1911/1912 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23190466 . Accessed: 28/06/2014 15:15 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 193.105.245.160 on Sat, 28 Jun 2014 15:15:19 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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sentenza 8 maggio 1996, n. 148 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 15 maggio 1996, n. 20);Pres. Ferri, Est. Santosuosso; Gentilini c. Fall. soc. Uno; interv. Pres. cons. ministri. Ord. Trib.Pistoia 11 gennaio 1995 (G.U., 1 a s.s., n. 40 del 1995)Source: Il Foro Italiano, Vol. 119, No. 6 (GIUGNO 1996), pp. 1907/1908-1911/1912Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23190466 .

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1907 PARTE PRIMA 1908

del codice di procedura civile, veniva affermato che «è la scelta

compiuta dalle parti che produce lo spostamento di competenza dal giudice del procedimento ordinario a quello del procedi mento di impugnativa del lodo, non il comando di una legge elusivo di una aspettativa maturata, o quello di un organo dello

Stato al quale la stessa legge ha conferito la corrispondente

potestà».

L'illegittimità costituzionale della imposizione autoritativa del

ricorso all'arbitrato è stata ribadita successivamente da nume

rose sentenze di questa corte (n. 54 del 1996, id., 1996, I, 1106; 493 del 1994; nn. 232, 206 e 494 del 1994, id., 1995, I, 1768; n. 488 del 1991, id., 1992, I, 999). In una di queste pronunce

(sentenza n. 232 del 1994) si è anche ritenuto non conforme

ai principi costituzionali il rinvio della controversia ad una com

missione arbitrale predeterminata direttamente dalla legge. 5. - Con la disposizione impugnata (art. 16 1. 10 dicembre

1981 n. 741), l'originaria formulazione dell'art. 47 del capitola to disciplinato dal citato d.p.r. n. 1063 del 1962 è stata sostitui

ta, stabilendosi che la competenza arbitrale, prevista dagli art.

43 ss. «può essere esclusa solo con apposita clausola inserita

nel bando o invito di gara, oppure nel contratto in caso di trat

tativa privata». Siffatta nuova formulazione dell'art. 47, collegata con le di

sposizioni degli articoli precedenti, prevede un sistema declina

torio della competenza arbitrale che non si sottrae alla censura

di incostituzionalità, in quanto sostanzialmente conferma la na

tura obbligatoria dell'arbitrato, ritenuta illegittima dalla costante

giurisprudenza di questa corte.

In effetti, va in primo luogo osservato che il silenzio serbato

dalla pubblica amministrazione riguardo alla deroga alla com

petenza arbitrale — pur a fronte di un rinvio ricognitivo al ca

pitolato generale presente nel bando di gara — o l'inserimento

di una clausola compromissoria nella proposta di appalto a trat

tativa privata, attribuiscono, di fatto, alla sola pubblica ammi

nistrazione la scelta in favore della competenza arbitrale, che

la controparte, se vuole partecipare alla gara, è tenuta ad ac

cettare.

In altri termini, esigendosi l'accordo delle parti per derogare alla competenza arbitrale, si rimette pur sempre alla volontà

della sola parte che non voglia tale accordo derogatorio, l'effet

to di rendere l'arbitrato concretamente obbligatorio per l'altro

soggetto che non l'aveva voluto. Sarebbe infatti sufficiente la

mancata intesa sulla deroga della competenza arbitrale per va

nificare l'apparente facoltatività bilaterale dell'opzione. L'arbitrato può invece ritenersi non obbligatorio quando —

come prevedeva l'originaria formulazione dell'art. 47 — anche

dopo l'aggiudicazione dell'appalto e fino alla nomina degli ar

bitri per la decisione sull'insorta controversia, sia consentita la

facoltà, all'una o all'altra parte del rapporto, di scegliere anco

ra la competenza ordinaria.

Risulta pertanto evidente il contrasto della norma impugnata con gli invocati parametri costituzionali in quanto questa, con

il prevedere che la competenza arbitrale può essere derogata solo con una clausola inserita nel bando o invito di gara oppure nel contratto nel caso di trattativa privata, finisce con il rendere

obbligatorio l'arbitrato, in spregio al principio, più volte ribadi

to, secondo cui solo a fronte della concorde e specifica volontà

delle parti (liberamente formatasi) sono consentite deroghe alla

regola della statualità della giurisdizione. Lo stesso legislatore, d'altronde, ha dimostrato recentemente

di cercare giuste soluzioni al problema perché, nel regolare ex

novo la materia degli appalti pubblici (con la 1. 11 febbraio 1994 n. 109), aveva previsto (all'art. 32) che la competenza sulle

controversie fosse attribuita al giudice ordinario, con esplicito divieto di deferire la controversia agli arbitri; successivamente, con il d.l. 3 aprile 1995 n. 101, convertito in legge con l'art.

1, 1° comma, 1. 2 giugno 1995 n. 216, la competenza arbitrale

è stata nuovamente introdotta, però con il richiamo della disci

plina contenuta al riguardo nel codice di procedura civile. La

legislazione potrebbe ancora evolversi tenendo conto, oltre che

del coordinamento con la legislazione comunitaria, del princi

pio essenziale della effettiva libera volontà di ciascuna parte sulla scelta della competenza nei casi in cui il contratto sia pre

disposto dalla pubblica amministrazione.

Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara l'illegitti

II Foro Italiano — 1996.

mità costituzionale dell'art. 16 1. 10 dicembre 1981 n. 741 (ulte riori norme per l'accelerazione delle procedure per l'esecuzione

di opere pubbliche), che ha sostituito l'art. 47 d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063, nella parte in cui non stabilisce che la competenza arbitrale può essere derogata anche con atto unilaterale di cia

scuno dei contraenti.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 8 maggio 1996, n. 148

(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 15 maggio 1996, n. 20); Pres. Ferri, Est. Santosuosso; Gentilini c. Fall. soc. Uno; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Trib. Pistoia 11 gennaio 1995

(G.U., la s.s., n. 40 del 1995).

Fallimento — Azione di responsabilità contro amministratori e sindaci — Misure cautelari — Poteri del giudice delegato — Iniziativa d'ufficio — Questione infondata di costituziona

lità (Cost., art. 3, 24, 101; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, disci

plina del fallimento, art. 146).

È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.

146 l. fall, (la cui permanente vigenza nell'ordinamento a se

guito della introduzione del nuovo procedimento cautelare uni

forme è questione rimessa alla interpretazione del giudice del

merito), nella parte in cui prevede che, prima dell'inizio della

causa di merito, le misure cautelari strumentali rispetto all'a

zione di responsabilità contro gli amministratori e sindaci pos sono essere disposte d'ufficio dal giudice delegato al fallimento anziché su ricorso del curatore secondo le norme ordinarie, in riferimento agli art. 3, 24, 2° comma, coordinato con l'art.

3, e 101, 2° comma, Cost. (1)

(1) A latere dell'ormai quasi stucchevole disputa sulla questione della

permanente vigenza del potere del giudice delegato di emettere le misu re cautelari di cui all'art. 146 1. fall, in occasione del decreto con il

quale viene autorizzato l'esercizio delle azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci di società di capitali fallite, il giudice delle

leggi ha stabilito che ove la normativa fallimentare dovesse ritenersi ancora in vigore questa non si porrebbe in contrasto con le norme co stituzionali sull'eguaglianza, sul diritto di difesa e sulla imparzialità del

giudice attese le particolari connotazioni pubblicistiche delle procedure concorsuali e alla luce della sufficienza dei controlli sull'operato del

giudice delegato. Per un sommario resoconto della vicenda interpretativa attorno al

l'art. 146 1. fall., si rinvia alla nota redazionale a Cass. 17 febbraio 1995, n. 1726, Foro it., 1995, I, 3221 (la quale a sua volta aveva lascia to aperto il capitolo relativo alla attualità della speciale competenza del giudice delegato) non senza osservare che la Corte costituzionale sembra esprimere qualche dubbio sul fatto che il nuovo procedimento cautelare uniforme non abbia inciso sui poteri del giudice delegato.

Con riferimento all'aspetto della imparzialità del giudice delegato, la corte ha ricordato che anche in altre occasioni il duplice ruolo di tale organo (prima di «impulso» e poi di «giudizio») può ritenersi costi tuzionalmente «sopportabile» in funzione dei controlli apprestati dalla

legge fallimentare e rafforzati dagli interventi del giudice delle leggi. In passato. Di recente, Cass. 4 giugno 1994, n. 5429, ibid., 213, alla cui nota si rinvia per ulteriori richiami, ha ribadito che è legittima la

partecipazione del giudice delegato al collegio investito di un reclamo contro un suo provvedimento. Cass. 20 giugno 1983, n. 4235, id., Rep. 1984, voce Fallimento, n. 264, aveva invece rilevato che «il dovere di

astensione, secondo la previsione dell'art. 51 c.p.c., riguarda non l'or

gano giudicante, ma la persona fisica del giudice; pertanto, con riguar do alla sentenza resa dal tribunale fallimentare, in sede di azione revo

catoria, con la partecipazione del giudice delegato che in precedenza ha autorizzato la proposizione dell'azione medesima, è irrilevante la

questione di legittimità costituzionale degli art. 24 e 99 1. fall., in riferi mento agli art. 3, 24 e 101 Cost., sotto il profilo che tali norme non

contemplerebbero l'astensione di detto giudice delegato, ove risulti che nella funzione di giudice delegato si siano succedute persone diverse,

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE

Diritto. — 1. - Il Tribunale di Pistoia «dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costi

tuzionale dell'art. 146, 3° comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267

(disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'am

ministrazione controllata e della liquidazione coatta amministra

tiva), nella parte in cui prevede che, prima dell'inizio della cau

sa di merito, le misure cautelari strumentali rispetto all'azione

di responsabilità contro gli amministratori e sindaci possono es

sere disposte d'ufficio dal giudice delegato al fallimento anziché

su ricorso del curatore secondo le norme ordinarie, in riferi

mento agli art. 3, 24, 2° comma, coordinato con l'art. 3, e

101, 2° comma, Cost.».

2. - Ai fini della rilevanza della questione occorre osservare

che — come correttamente motiva lo stesso giudice rimettente — non può ravvisarsi una «istanza in senso proprio» (con tutti

i requisiti formali e sostanziali previsti per l'atto introduttivo

di altri procedimenti) nella generica sollecitazione di misure cau

telari fatta dal curatore nell'atto con cui richiedeva l'autorizza

zione ad agire in giudizio. La libertà delle forme che governa

l'attività processuale non toglie che la domanda di parte, in

quanto diretta ad instaurare un determinato giudizio nei con

fronti di un terzo, debba consentire a quest'ultimo di esercitare

il diritto di difesa e va pertanto specificamente determinata nei

suoi elementi essenziali. D'altra parte, osserva ancora il giudice

a quo, «allorquando l'iniziativa è officiosa, l'eventuale richiesta

di terzi degrada a mera denuncia».

3. - Nel merito la questione non è fondata.

Il tribunale rimettente prende le mosse dall'orientamento —

al quale aderisce — di quella parte della giurisprudenza secon

do cui, anche dopo l'entrata in vigore della generale disciplina

unitaria dei procedimenti cautelari (articoli da 669 bis a 669

quaterdecies c.p.c.), è ancora vigente il 3° comma dell'art. 146

1. fall., il quale attribuisce al giudice delegato un potere di ini

ziativa nel disporre le misure cautelari, costituendo una delle

ipotesi in cui il nostro ordinamento processuale fa eccezione

al principio della domanda di parte.

Ritiene tuttavia il tribunale che tale norma contrasti con i

precetti costituzionali degli art. 3, 24, 2° comma, e 101, 2° com

ma, Cost., poiché la predetta eccezione alla regola generale non

sarebbe sorretta da una effettiva e inderogabile giustificazione

(quella dell'interesse pubblico della massa dei creditori), poten

do «lo stesso risultato essere garantito attraverso diversi stru

menti tecnici».

Secondo l'ordinanza di rimessione la norma, come sopra in

terpretata in modo non implausibile, determinerebbe la viola

zione del principio di ragionevolezza ed un vulnus alla tutela

giurisdizionale poiché, anche in questa ipotesi, si verificherebbe

quanto già affermato dalla Corte costituzionale con sentenza

n. 133 del 1993 (Foro it., 1993, I, 2126), e cioè una «deroga

alla regola di terzietà del giudice» ed alla «normale dialettica

processuale, sia perché la domanda introduttiva del giudizio,

formulata dallo stesso giudice, prefigura il contenuto della deci

sione, sia perché il contraddittorio non si instaura in condizioni

di parità tra le parti del rapporto sostanziale, bensì tra queste,

da un lato, e il giudice dall'altro».

4. - Va subito precisato a quest'ultimo proposito che la fatti

specie oggetto della sentenza costituzionale, alla quale si richia

ma il giudice a quo, aveva ad oggetto un potere d'impulso pro

cessuale nell'ambito di una normativa in cui l'anomalia

dell'attore-giudice era il riflesso dell'anomalia della veste di

amministratore-giudice allora riconosciuta al commissario per

gli usi civici. Nel presente caso, invece, il giudice delegato non «formula

la domanda introduttiva del giudizio», ma emette un prowedi

sicché quella che ha partecipato al collegio sia diversa da quella che

ha autorizzato l'azione». Per ciò che attiene ai rapporti fra domanda di parte ed iniziativa

d'ufficio, oltre agli autori citati in nota all'ordinanza del giudice remit

tente (Trib. Pistoia 11 gennaio 1995, id., 1995, 1, 663), sostengono l'ec

cezionalità delle ipotesi in cui la legge processuale acconsente all'organo

giurisdizionale un esercizio non sollecitato dall'esterno di quella funzio

ne che gli compete, Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, in Trattato Vassalli, Torino, 1994, 31; Consolo, Domanda giudiziale, voce del Digesto civ., Torino, 1991, VII, 56.

li Foro Italiano — 1996.

mento consequenziale all'istanza del curatore di essere autoriz

zato ad introdurre il giudizio di responsabilità; e, una volta rite

nuta la necessità di garantire con misure cautelari l'efficacia

del giudizio che il curatore chiede di introdurre, il giudice dele

gato dà avvio ad un contraddittorio che, sia pure con alcune

connotazioni peculiari alla procedura concorsuale, si svolge tra

le parti portatrici degli interessi contrapposti del rapporto so

stanziale.

5. - A prescindere dal riferimento fatto al citato precedente di questa corte, le censure sollevate con l'ordinanza di rimessio

ne non possono essere condivise.

Il diritto alla tutela giurisdizionale è ascrivibile tra i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale ed è con

nesso al principio di democrazia nell'assicurare per qualsiasi con

troversia un giudice e un giudizio (sentenza n. 18 del 1982, id.,

1982, I, 934); ma tale diritto non risulta violato in materia pro cessuale quando gli strumenti apprestati dalla legge, sia pure

con diverse modulazioni dipendenti dall'adattamento alla strut

tura di ciascun procedimento, salvaguardino nella sua essenza

l'esercizio del diritto stesso (ex plurimis, sentenze nn. 214 del

1974, id., 1974, I, 1955; 27 del 1966, id., 1966, I, 740, e 5 del 1965, id., 1965, I, 400).

Più recentemente la corte ha avuto diverse occasioni — spe

cie in materia penale — di sottolineare l'importanza dei principi

dell'imparzialità e della terzietà del giudice, per la salvaguardia dei diritti di difesa e della uguaglianza dei cittadini, che hanno

fondamento negli art. 3, 24 e 101 Cost. (sent. nn. 455 del 1994,

id., 1955, I, 2078; 133 del 1993, cit.; 299 del 1992, id., 1994, I, 3582; 502 e 390 del 1991, id., 1992, I, 625 e 305).

6. - La delicata materia cautelare — in cui questa corte è

intervenuta numerose volte specie per le misure penali — assu

me anche nel settore civile particolare rilievo, dal momento che

essa può incidere in modo grave, sia pure provvisoriamente, su diritti dei soggetti passivi, sulla base di una istruttoria som

maria e senza sicurezza di eliminazione totale degli effetti, una

volta rimossi i provvedimenti stessi. Questo potere, pertanto,

specie se consentito per iniziativa officiosa, assume carattere ec

cezionale anche per i giudici ordinari, e viene del tutto escluso

per gli arbitri (art. 818 c.p.c.). Il legislatore ha poi ritenuto di

dovere disciplinare unitariamente i procedimenti cautelari civili

(prima regolati in modo disomogeneo e frammentario) con la

novella del 1990, che si connota per il rispetto del contradditto

rio e degli altri strumenti di difesa, e risponde all'esigenza (v.

relazione 23 febbraio 1990 della commissione giustizia del sena

to) di «evitare che, a fronte di una crescente domanda di prov

vedimenti implicanti cognizione sommaria, le differenze strut

turali e le lacune delle rispettive discipline si traducano in una

abnorme ampiezza dei confini delle opzioni ermeneutiche».

7. - La specifica disciplina fallimentare — pur dopo numerosi

interventi della giurisprudenza costituzionale (tra le altre: sen

tenze nn. 201 del 1993, id., 1994, I, 3577; 100 del 1993, id., 1993,1, 2445; 570 del 1989, ibid., 1132; 567 del 1989, id., 1991, I, 47; 408 del 1989, id., 1989, I, 2692; 204 del 1989, ibid., 2091; 127 e 46 sul 1975, id., 1975, I, 2435 e 509) ispirati ad una cor

retta aderenza del processo fallimentare ai principi costituziona

li, soprattutto per il rispetto del diritto di difesa (in particolare le sentenze nn. 538 del 1990, id., 1992, I, 602; 120 e 102 del

1986, id., 1986, I, 1753 e 1762; 155 e 151 del 1980, id., 1981, I, 1 e 2); 110 del 1972, id., 1972, I, 1802; 142 e 141 del 1970, id., 1970, I, 2038) — è caratterizzata da aspetti pubblicistici e dalla tendenziale esigenza di maggiore speditezza del processo.

In questo contesto, sono affidati al giudice delegato vari po

teri (direttivi, decisori e di controllo), nell'esercizio dei quali non è stata ravvisata violazione dei precetti costituzionali del

l'imparzialità e dell'indipendenza del giudice delegato, quando

ciò risponda all'esigenza di assicurare il rapido svolgimento ed

il miglior rendimento dell'attività giurisdizionale, senza pregiu

dicare le decisioni del tribunale, e quando il giudice sia in grado

di operare con assoluta obiettività (sentenze nn. 158 e 94 del

1975, id., 1975, I, 2427 e 1045). In coerenza con le predette caratteristiche del processo falli

mentare e delle funzioni del giudice delegato, il nostro sistema

prevede alcuni interventi officiosi; a proposito dei quali, limita

tamente al profilo costituzionale e con riguardo alla peculiare

questione che forma oggetto specifico del presente giudizio, si

rende necessaria qualche precisazione. 8. - L'art. 146 r.d. n. 267 del 1942 attribuisce al giudice dele

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1911 PARTE PRIMA 1912

gato un potere autorizzato ed uno cautelare, entrambi strumen

tali a quel giudizio di responsabilità che non soggiace alla vis

attractiva fallimentare ed ha soggetti diversi rispetto a quelli della procedura concorsuale. Per la sua genericità, la norma

stessa ha dato luogo ad una serie di questioni, oggetto di ampio dibattito dottrinale e di interpretazioni giurisprudenziali discor

di. Si è fatto, tra l'altro, notare che l'esercizio di un potere eccezionale ed officioso nel procedimento giudiziario implica che

esso sia ravvisabile nei casi tassativi in cui la norma chiaramen

te lo preveda, debba essere interpretato restrittivamente ed ap

plicato con le garanzie offerte dall'ordinamento; inoltre si è ri

levato che la legge non configura una competenza del giudice

delegato in tema di misure cautelari quando allo stesso sia ana

logamente richiesta l'autorizzazione all'esercizio di azioni revo

catone fallimentari.

In ogni caso, chiarire l'effettiva portata dell'art. 146, 3° com

ma, 1. fall, (che non precisa — a differenza dell'art. 151, 6°

comma — se il potere di disporre le misure cautelari sia eserci

tabile ex officio o su istanza di parte), e stabilire quali effetti siano derivati alla vigenza della norma denunziata a seguito del

la sopravvenuta 1. n. 353 del 1990, contenente la disciplina ge nerale dei procedimenti cautelari, resta affidato all'interpreta zione del giudice ordinario e specialmente del supremo organo di nomofilachia.

9. - In questa sede quindi non è consentito prendere posizio ne sui problemi di coordinamento tra la normativa generale e

quella speciale, e ciò non sarebbe comunque necessario dal mo

mento che, anche a ritenere officioso il potere di disporre misu

re cautelari di cui si discute e non applicabile la sopravvenuta

disciplina del 1990, tale interpretazione non appare a questa corte viziata da una esasperata concezione pubblicistica che me

nomi il diritto di tutela giurisdizionale costituzionalmente ga rantito.

Va infatti ribadito, anzitutto, che il principio di iniziativa pro cessuale di parte (art. 2907 c.c.) ammette eccezioni, sempre che

queste non determinino ingiustificate limitazioni al diritto di di

fesa. Inoltre, pur se la norma denunziata sia interpretata come

sopra, non è esatta la censura di illegittimità in quanto al giudi ce delegato verrebbe in tal modo attribuito il potere di introdur

re, e contestualmente concludere, il procedimento cautelare. In

realtà, l'intervento eccezionale del giudice delegato per tutelare

urgentemente interessi della massa dei creditori può considerar

si compatibile con la salvaguardia dei principi costituzionali ri

tenendo che alla tempestiva limitazione della sfera giuridica dei

soggetti gravati dalla misura cautelare subentri l'immediata re

staurazione di un sufficiente rispetto del contraddittorio.

Come, invero, si deduce chiaramente dalla stessa rapida se

quenza degli atti processuali posti in essere nel caso di specie, il giudice dispone le opportune misure cautelari attraverso una

serie di garanzie per il diritto di difesa, sia pure con adattamen

ti specifici alla peculiare materia: a) tale potere viene esercitato

«nell'autorizzare l'azione di responsabilità» (art. 146, 3° com

ma), e cioè prima della instaurazione del giudizio di merito, sulla base della dettagliata istanza del curatore circa gli elementi

emersi sulla responsabilità degli amministratori e sul periculum in mora-, b) anche se la misura viene disposta d'ufficio, il giudi ce convoca subito le parti per sentirle e decidere conseguente mente se confermare, modificare o revocare la misura stessa

(nella specie, il giudice delegato — sulle dichiarazioni delle parti — confermava il decreto nei confronti di alcuni soggetti, men

tre lo revocava e lo dichiarava inefficace nei confronti di altri);

c) avverso questi provvedimenti sono ammessi i normali mezzi

di impugnazione, a cominciare dall'immediato reclamo al colle

gio; d) quest'ultimo riesamina ogni aspetto alla luce della di

scussione dei soggetti interessati, ed emette una decisione che

produce le normali conseguenze, non esclusa quella relativa alla

soccombenza di una delle parti. 10. - Può allora conclusivamente ritenersi che, nell'esercizio

di questo potere, il giudice delegato, pur tenendo conto degli elementi risultanti dall'istanza del curatore e con l'ulteriore au

silio di sommarie e dirette informazioni, agisca non come atto

re, ma nella sua veste giurisdizionale e quindi super partes, va

lutando i requisiti che devono essere la sicura base di qualsiasi

provvedimento cautelare (il fumus boni iuris ed un effettivo pe riculum in mora), sentendo le parti — seppure dopo l'adozione

Il Foro Italiano — 1996.

del provvedimento per non pregiudicare l'attuazione della misu

ra stessa — e sempre con la garanzia dei successivi mezzi di

impugnazione. Anche ai fini di questo successivo riesame, il giudice deve

motivare sulla ricorrenza in concreto dei requisiti che legittima no il provvedimento, nonché sugli elementi di fatto e di diritto

(da versare negli atti del giudizio principale) che giustificano

quelle misure cautelari da lui ritenute «opportune». Quest'ulti ma espressione è stata usata dalla norma non come equivalente di misura «conveniente» ad una parte, ma nel significato —

quello più obiettivo, che si addice ad un provvedimento giudi ziale — dell'equilibrata adeguatezza (anche nella scelta del tipo e nella quantità della misura) a tutti gli interessi in gioco, e

quindi in relazione ai diversi soggetti coinvolti, alle responsabi lità degli stessi ed alle varie conseguenze delle misure adottate.

In questo procedimento, pertanto, i soggetti passivi delle mi

sure cautelari vengono a trovarsi in contraddittorio, non col

mero convincimento di un giudice-attore, ma con gli interessi

e le ragioni sostenute dalla controparte, e con strumenti proces

suali, certo peculiari per la specificità della materia, ma pur

sempre sufficienti a garantire la tutela del dirittto di difesa, sia

sotto il profilo della terzietà del giudice, sia per l'essenziale dia

lettica processuale. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fonda

ta la questione di legittimità costituzionale dell'art. 146, 3° com

ma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina del fallimento, del

concordato preventivo, della amministrazione controllata e del

la liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento

agli art. 3, 24, 2° comma, e 101, 2° comma, Cost., dal Tribu

nale di Pistoia l'ordinanza indicata in epigrafe.

CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 24 aprile 1996, n. 128

(iGazzetta ufficiale, la serie speciale, 30 aprile 1996, n. 18); Pres. Ferri, Est. Mengoni; Fogolin e altri (Aw. Garlatti),

Agosti (Avv. Agostini) e Riva (Aw. Garlatti, Assennato) c. Inps (Avv. De Angelis); interv. Pres. cons, ministri (Avv. dello Stato Polizzi). Orci. Pret. Milano 8 maggio 1995 (sette)

(G.U., la s.s., n. 35 del 1995); 25 maggio 1995 (G.U., la

s.s., n. 37 del 1995); 16 giugno 1995 e 22 giugno 1995 (G.U., la s.s., n. 39 del 1995); 12 luglio 1995 (G.U., la s.s., n. 43

del 1995); 12 ottobre 1995 e 8 novembre 1995 (G.U., la s.s., n. 51 del 1995).

Previdenza e assistenza sociale — Domanda di prestazione pen sionistica — Controversie — Nuovo regime decadenziale trien nale — Questione infondata di costituzionalità (Cost., art.

24, 38; d.l. 19 settembre 1992 n. 384, misure urgenti in mate ria di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché

disposizioni fiscali, art. 4; 1. 14 novembre 1992 n. 438, con

versione in legge, con modificazioni, del d.l. 1. 19 settembre 1992 n. 384).

È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di

legittimità costituzionale dell'art. 4, 3° comma, d.l. 19 set

tembre 1992 n. 384, convertito, con modificazioni, in l. 14

novembre 1992 n. 438, nella parte in cui prevede l'applicabili tà del nuovo regime decadenziale triennale dell'azione giudi ziaria per le controversie in materia di trattamenti pensioni stici anche nel caso in cui anteriormente all'entrata in vigore del d.l. 384/92 sia stata presentata la sola istanza amministra

tiva e siano decorsi i trecento giorni previsti per l'esaurimento

del procedimento, in tal modo omettendo di stabilire un ra

gionevole regime transitorio che valga a salvaguardare i dirit ti di coloro che non hanno proposto l'azione giudiziaria nel

triennio, in riferimento agli art. 24 e 38 Cost. (1)

(1) La corte risolve in via interpretativa la questione rilevando che il nuovo regime decadenziale triennale introdotto dalla norma sospetta

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