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Sentenza 8 marzo 1960; Pres. Riccomagno P., Est. Saitta; Giussani (Avv. Vacchina) c. Finanze

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Sentenza 8 marzo 1960; Pres. Riccomagno P., Est. Saitta; Giussani (Avv. Vacchina) c. Finanze Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 4 (1960), pp. 679/680-683/684 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23151332 . Accessed: 28/06/2014 17:37 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.31.195.48 on Sat, 28 Jun 2014 17:37:28 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Sentenza 8 marzo 1960; Pres. Riccomagno P., Est. Saitta; Giussani (Avv. Vacchina) c. FinanzeSource: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 4 (1960), pp. 679/680-683/684Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151332 .

Accessed: 28/06/2014 17:37

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PARTE PRIMA 680

La Corte, ecc. — Col primo motivo di gravame gli appel lanti sostanzialmente si dolgono che il Tribunale, assegnando alla autonomia patrimoniale delle società di persone un contenuto più vasto di un semplice onere di destinazione dei beni conferiti dai soci, abbia negato l'esistenza di una comunione tra i soci medesimi con riferimento ai beni stessi e sia pervenuto, sul fondamento di tale erronea premessa, alla statuizione di rigetto della spiegata azione di rivendica. In contrasto con quanto la impugnata sentenza ha ritenuto, gli appellanti sostengono che essi hanno avuto ed hanno, come comproprietari pro quota di tutti i beni sociali, il diritto di rivendicare le azioni erroneamente attribuite in

più al consocio e liquidatore Antonio Feltrinelli e di conse

guenza alla di lui avente causa, Accademia nazionale dei Lincei. (Omissis)

Posta la sicura premessa che l'azione, formulata e tena cemente coltivata in causa dagli attori, trova, per espressa formale qualificazione di parte e per il titolo denunciato a suo fondamento, configurazione giuridica nell'azione reale di rivendica, non è da dubitare, a parere della Corte, della infondatezza della domanda. E, per vero, la legittimazione a proporre l'azione di rivendica spetta al proprietario delle cose rivendicate (art. 948 cod. civ.), cui incombe la dimostra zione del dominio che, come il Tribunale non ha mancato di

rilevare, gli stessi attori non hanno dimostrato di avere.

È, invece, pacifico che i titoli azionari rivendicati costitui vano parte del patrimonio della Collettiva Feltrinelli.

Adducono gli appellanti che i beni conferiti dai soci alle società di persone sono affetti da un onere di destinazione, dal quale non possono essere distolti, ma che ciò non com

porta la privazione, rispetto ai soci, del diritto di compro prietà di quei beni, salva la temporanea indisponibilità fino a quando duri il vincolo di destinazione. In altre parole, l'autonomia patrimoniale della società di persone non impli cherebbe titolarità dei beni a favore della società, onde il

patrimonio sociale sarebbe oggetto di comproprietà dei soci cui spetterebbero le azioni a tutela del dominio e segna tamente l'azione di rivendica ; ciò anche secondo la disci

plina del codice di commercio abrogato. La Corte, pur non dissimulandosi la gravità del problema,

ritiene, col conforto della più recente ed autorevole giuris prudenza di non poter condividere l'assunto. Anche nel l'ordinamento meno favorevole della legge in vigore, il

Collegio avvisa che l'autonomia delle società di persone, dal più limitato grado riconosciuto alla società semplice, si accentua nella società in nome collettivo e nella società in accomandita semplice, e, pur senza attingere la perso nalità giuridica propria delle società di capitali, si afferma nei rapporti esterni ed interni in una serie di connotazioni utili a configurare una sfera giuridica dell'ente nettamente distinta da quella dei singoli soci. La società ha nei rapporti esterni diritti e obblighi propri (art. 2266 cod. civ.) e una sua rappresentanza (art. 2296 cod. civ.) ; i creditori non

possono pretendere il pagamento dai soci se non dopo la escussione del patrimonio sociale (art. 2268, 2304, 2315) ; il creditore particolare del socio non può chiedere la liqui dazione della quota del debitore (art. 2305-2315), oè è ammessa la compensazione tra debito del socio e credito della società (art. 2271), ecc. La stessa autonomia si afferma anche nei rapporti interni, nel senso che la indisponibilità dei beni permane finché dura la società (art. 2282, 2293) e non soltanto finché essa svolge un'attività lucrativa (la società in liquidazione ha la sua rappreseutanza nel liqui datore) (art. 2310), col divieto ai soci di servirsi dei beni so ciali (art. 2256, 2293). A ciò va aggiunto che il fallimento

1053, 267 ; Scalfì, Personalità giuridica delle società di persone registrate, Milano, 1054; Oraziani, Diritto delie societàNapoli, 1960, 44 ss.

Da ultimo Ascakkli.i (Personalità giuridica e ■problemi delle ■società, in Riv. società, 1057, 081) ha opportunamente richiamato l'attenzione degli studiosi sulla necessità di precisare quale è la normativa che si intende racchiudere sotto il segno « persona giuridica », e come questa normativa sia pur sempre regolatrice di rapporti ed interessi fra uomini, e non già creatrice di un « non uomo » o « omone ».

del socio delle società di persone, quantunque illimitata

mente responsabile, non si estende alla società (art. 149

legge fall.). Da tutto ciò deriva la sicura discriminazione tra soci e

società di persone, e il riconoscimento delle società stesse

quali soggetti di diritto cui il patrimonio sociale è riferi

bile unitamente all'azienda.

Sembra, per ciò, doversi escludere che, pendendo la liqui dazione, possa il singolo socio spiegare in proprio nome azione di rivendica dei beni che egli assuma essere stati illegitti mamente distolti dal patrimonio sociale. Per altro, come

giustamente ha messo in rilievo la difesa delle appellate, una cosa è rivendicare pro quota, prima della divisione, la pretesa comproprietà di un bene (che si afferma es sere comune e indiviso) e un'altra rivendicare la esclusiva

proprietà di parte dei beni comuni dopo la divisione. Prima

della divisione (e in causa si sostiene da parte attrice che

nessuna divisione sia avvenuta) i singoli comproprietari, ammesso che tali fossero gli attori, non possono domandare che il giudice riconosca loro la proprietà esclusiva di una

parte dei beni comuni ; onde, quand'anche risultasse fon

dato il diritto di comproprietà, non potrebbe trovare ingresso l'azione di rivendica di una parte dei beni indivisi.

Ancor meno suscettibile di legittimazione sul piano pre liminare del processo appare, poi, l'assunto col quale gli appellanti propugnano l'ingresso della domanda di riven

dica in via surrogatoria. Come il Tribunale ha esattamente

chiarito, è da escludere che gli attori intendessero eserci

tare un'azione surrogatoria in primo grado, avendo costoro

sempre asserito di voler promuovere azione diretta iure

domini e non utendo iuribus societatis. A prescindere da ogni considerazione di merito, osta alla proponibilità di una simile

azione in grado di appello, il divieto del ius novorvm. Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI GENOVA.

Sentenza 8 marzo 1960 ; Pres. Riccomagno P., Est. Saitta ; Giussani (Avv. Vacchina) c. Finanze.

Hejjistro — Edilizia — Case di nuova costruzioni;

in base alla c. d. legge Tupini—-Trasferimento —

Aliquota (E. d. 30 dicembre 1923 n. 3269, testo di

legge del registro, tariffa all. A, art. 1 ; all. B, art.

43 ; d. legisl. 8 maggio 1947 n. 399, provvidenze dirette

ad agevolare la ripresa delle eostruzioni edilizie, art. 5, 9 ; 1. 2 luglio 1949 n. 408, disposizioni per l'ineremento

delle costruzioni edilizie, art. 17).

L'art. 17 delia legge 2 luglio 1949 n. 408 (e. d. legge Tupini) ha ridotto alla metà l'imposta di registro, già ridotta

dall'art. 43 tariffa all. B r. decreto 30 dicembre 1923

n. 3269, per i trasferimenti infraquadriennali delle case

di nuova costruzione. (1)

Il Tribunale, ecc. — La presente controversia è identica a quella già decisa dalla Suprema corte con sentenza 27

marzo 1958 (Foro it., 1958, I, 706), e che aveva prima formato oggetto delle sentenze del Tribunale e della Corte

d'appello di Milano rese, rispettivamente, in data 11 marzo

1954 (id., Rep. 1955, voce Registro, n. 175) e 20 gennaio 1956 (id., 1956, I, 1734).

Com'è noto, con tali pronunce è stato concordemente

ritenuto ebe l'art. 17 legge 2 luglio 1949 n. 408 (c. d.

legge Tupini) abbia ridotto alla metà l'imposta di registro

(1) Vedi in conformità Trib. Milano 6 novembre 1958, Foro

it., 1959, I, 1797, con nota di richiami, nonché le sentenze citate nella motivazione : Trib. Milano 11 marzo 1954, id., Rep. 1955, voce Registro, n. 175 ; App. Milano 20 gennaio 1956, id., 1956, I, 1734 ; Oass. 27 marzo 1958, id., 1958, I, 706.

In senso contrario vedi Comm. centr. imp. dir. 15 aprile 1959, id., 1959, III, 235, con nota di richiami.

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681 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 682

già ridotta dall'art. 43 della tariffa all. B della legge del

registro, per i trasferimenti infraquadriennali delle case di nuova costruzione non di lusso.

Altre numerose pronunce, tra cui quelle finora emesse da questo stesso Tribunale, hanno fatto seguito a quelle sopra ricordate e tutte sono state conformi alla tesi testé

enunciata, per cui può ben dirsi che la giurisprudenza si sia ormai in tal senso consolidata.

Da tale costante giurisprudenza, informata com'è ai canoni della più stretta e ortodossa ermeneutica, non intende dissentire il Collegio per la risoluzione della questione sottoposta ora al suo esame.

Agli argomenti d'ordine grammaticale, logico e siste

matico, così lucidamente addotti nelle surricordate sentenze, a sostegno della tesi che qui vuole accogliersi e ribadirsi,

vengono ora opposte da parte della Amministrazione

convenuta nuove gravi obiezioni nel dichiarato proposito di superare quella che ormai è la interpretazione dominante

dell'art. 17 della legge n. 408 del 1949, e ch'è ad essa conve

nuta sfavorevole.

Tali obiezioni, che saranno di qui a poco enunciate, trovano anche riscontro nella costante giurisprudenza della Commissione centrale per le imposte dirette, la quale, ancora recentemente (Comm. contr., Sez. VI, 15 aprile 1959, n. 15498, Foro it., 1959, III, 235), pur dopo la nota

sentenza della Corte suprema, sopra menzionata, e attra

verso « ulteriore e approfondito esame », ha ritenuto di

mantenere ferma la precedente sua decisione n. 8299 del

15 ottobre 1958, la quale, com'è risaputo, è favorevole

alla tesi qui sostenuta dalla Amministrazione convenuta.

S'impone dunque, da parte del Collegio, non tanto

un riesame particolareggiato degli argomenti, pro e contro,

già svolti nelle precedenti pronunce giudiziarie (riesame che non potrebbe in altro consistere se non nella ripetizione testuale e monotona ditali argomenti), quanto una puntuale

risposta alle nuove obiezioni e argomentazioni proposte e tenacemente sostenute dalla convenuta.

I) Questa contesta anzitutto la esattezza del rilievo

contenuto nella sentenza della Suprema corte, là dove

è testualmente detto che « per le case ad uso di abita

zione di nuova costruzione, trasferite nel quadriennio,

l'imposta normale a carattere permanente (e non già ecce

zionale e temporanea) è quella di cui alla tabella all. B

che forma un tutto organico con la menzionata legge di

registro, e non già quella di cui alla tariffa all. A ».

Obietta in proposito la convenuta che non è dalla « posizione » della norma in esame (art. 43 tabella all. B) che può farsi derivare il carattere generale o eccezionale

di essa, sibbene dalla sua intrinseca natura. Per modo che, avuto riguardo a tale più appropriata indagine, l'art. 43

testé citato, siccome implicante una disciplina particolare che si sottrae all'applicazione di una regola generale (art. 1

tariffa ali. A), non può non considerarsi norma di carattere

eccezionale, anche se essa è contenuta nello stesso corpo

legislativo, ov'è stabilito il regolamento ordinario e comune

di un determinato rapporto. Accertata la natura eccezionale dell'art. 43, viene a

cadere, aggiunge la convenuta, la premessa fondamentale

da cui trae origine l'apparente esattezza della tesi dominante, con la conseguenza irrimediabile che l'imposta normale, da prendersi a base del calcolo per la prevista riduzione

« a metà » di cui all'art. 17, non può essere altra che quella fissata dall'art. 1 tariffa ali. A.

Osserva il Collegio che la obiezione e le argomentazioni che precedono sono infondate.

Secondo una più aderente e corretta definizione, sono

norme eccezionali quelle che «si distinguono per la natura

contingente della valutazione del pubblico interesse che

le ha determinate, e per l'indole anormale e temporanea delle situazioni che le impongono ».

Alla stregua di tale concetto, non può certo sostenersi, contrariamente a quanto affermato dalla convenuta, che

l'art. 43 in esame sia norma di carattere eccezionale, esulando

da esso ogni carattere di provvisorietà o anormalità, per

quanto attiene alla valutazione dell'interesse pubblico che

ne giustifica l'esistenza.

Norma eccezionale è anche quella che devia dai principi

generali che reggono tutto un ramo del diritto o un determi

nato istituto giuridico. Nel caso in esame, il principio generale posto in essere

dalla legge del registro è quello della assoggettabilità alla

registrazione e al pagamento della relativa imposta di tutti

«gli atti fatti nello Stato in forma pubblica o privata, civili e commerciali, stragiudiziali e giudiziali, come pure le trasmissioni di proprietà, ecc. ecc. (art. 1 r. decreto

30 dicembre 1923 n. 3269). Ora la diversa misura d'imposta, stabilita per gli atti

previsti dall'art. 43 tabella all. B, in relazione agli atti

previsti dall'art. 1 tabella all. B, non attenendo alla intrinseca

natura della norma impositiva, non può dirsi costituisca

una deviazione dal principio generale sopra enunciato :

l'atto è pur sempre assoggettato ad imposta anche se in

misura attenuata.

La « tariffa » e le « tabelle », che costituiscono gli allegati alla legge del registro, anche se formalmente distinte e

differenziate, sostanzialmente non differiscono tra loro, avendo esse la funzione di meglio coordinare e regolare la lunga enumerazione di atti sottoposti a registrazione e per i quali, come dice la Relazione ministeriale alla legge de] registro, « uno o più articoli della legge sarebbero riusciti

soverchiamente lunghi e sempre meno chiari ».

Alla stessa conclusione si perviene anche facendo riferi

mento ai principi informatori del diritto tributario in genere, ai quali non si sottrae la legge del registro.

Com'è noto, il debito d'imposta sorge quando si verifica

la situazione di fatto stabilita dalla legge come presupposto

dell'imposizione. La scelta dei presupposti è rimessa, com'è altresì noto, al criterio discrezionale del legislatore ed è determinata da considerazioni di vario genere, econo

miche, politiche e tecniche ; per modo che qualsiasi situazione

di fatto può essere suscettibile d'imposizione.

Ora, quando la legge ha stabilito e fissato una particolare situazione di fatto, come generativa d'imposta, ha, con ciò

stesso, determinato il sorgere di una norma tributaria

che ha vita indipendente ed autonoma da ogni altra norma

del sistema tributario.

Ciò stante, diventa perfino oziosa, per non dire inutile, nelle condizioni di cui sopra, un'indagine intesa a stabilire

se una determinata norma generativa d'imposta sia di

carattere generale, eccezionale o speciale. Nella specie, è indiscutibile che la legge, dopo avere

statuito (art. 1 tariffa ali. A) che una determinata categoria di atti deve soggiacere ad una determinata misura d'imposta, ha inteso fissare, con altra norma (art. 43 tab. all. B) una

nuova situazione di fatto (e quindi un nuovo presupposto),

generativa anche essa d'imposta, sia pure in misura più attenuata.

Lo stesso concetto testé enunciato è, sostanzialmente, alla base del rilievo che suol farsi in dottrina e'in giuris

prudenza, che, cioè, la misura dell'imposta di registro è

stabilita per specifiche e differenziate categorie di atti.

Non può quindi accogliersi la conclusione che la convenuta

ha inteso trarre dal preteso carattere eccezionale della

norma dell'art. 43 in esame, rimanendo, così, saldo e fermo

il principio posto a base della tesi dominante e cioè, che la

detta norma contiene un criterio di tassazione normale

e che a tale criterio bisogna riferirsi come base di partenza,

per operare la riduzione « a metà » disposta dall'art. 17

legge n. 408 del 1949.

II) La convenuta afferma altresì che la tesi qui accolta

è inficiata da un evidente errore « dimensionale », circa

la interpretazione dell'art. 17 della citata legge n. 408

del 1949. Non è stata, cioè, dice la convenuta, esattamente

valutata la diversa portata di tale norma, in relazione

a quella ch'è propria dell'art. 43 all. B : mentre la prima norma prevede l'agevolazione tributaria per gli « atti di

trasferimento » di case nuove non di lusso, la seconda ha

per oggetto soltanto gli « atti di compravendita », che,

ovviamente, costituiscono una categoria meno ampia della prima. Ne segue, conclude la convenuta, che l'argo mento fondamentale su cui si fonda la contraria opinione

da essa contrastata (la inutilità dell'art. 17, qualora dovesse

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PARTE PRIMA 684

accogliersi la tesi della Finanza) viene irrimediabilmente

a cadere nel nulla, dovendosi ritenere clie l'art. 17, concepito nei termini generali sopra precisati, ha operato un assorbi

mento della corrispondente disciplina di cui all'art. 43

relativamente alle compravendite di case nuove non di lusso.

L'argomentazione, esatta nella sua formulazione, è

invece errata o, comunque, non risolutiva nella sua con

clusione.

La diversa estensione delle due. norme in esame, se

esclude la ipotizzata inutilità di una di esse, non è però d'ostacolo alla loro pacifica coesistenza.

L'assorbimento presupporrebbe l'abrogazione di quella

parte della norma dell'art. 43 clie si riferisce alle case non

di lusso, lasciando sussistere invece quella parte della

stessa norma che attiene alle case di lusso.

Ora, l'abrogazione, nella specie, dato il silenzio della

legge in proposito, non potrebbe essere che tacita ; ma

l'abrogazione tacita nella specie (escluso il caso della « incom

patibilità ») non può che derivare dal fatto che la successiva

norma abrogante abbia regolato l'intera materia regolata dalla norma che si pretende abrogata. Ora, è risaputo che

l'art. 17 ha regolato solo una parte della materia regolata dall'art. 43.

Non, dunque, di assorbimento è da parlare ma di esten

sione del beneficio tributario anche ad atti diversi dalla

compravendita, e rientranti nella più ampia accezione

« trasferimenti », quale, ad es. la permuta, che, prima, non era compresa nella disciplina dell'art. 43.

Ili) La convenuta afferma infine che la tesi dominante, ad essa sfavorevole, urta contro il disposto dell'art. 24

della legge n. 408, secondo il quale « sono fatte salve le

più favorevoli agevolazioni fiscali e tributarie consentite

dalle leggi vigenti ».

Ora, aggiunge la convenuta, poiché l'agevolazione

prevista dall'art. 43 è uguale (non maggiore) a quella

prevista dall'art. 17, per quanto ha tratto alla sola imposta di registro, ne segue che il legislatore ha implicitamente, ma chiaramente, inteso di escludere l'applicazione congiunta di due agevolazioni successive nel tempo, ma uguali nella

misura dell'imposta ; che, altrimenti, la norma risulterebbe

completamente inutile.

L'obiezione, osserva il Collegio è solo apparentemente

grave e può essere senz'altro superata. Occorre, anzitutto, rilevare che la legge n. 408 del

1949 ha disposto altre agevolazioni tributarie oltre a quella relativa all'imposta di registro (ad es. imposta ipotecaria) ; ciò basterebbe a legittimare la norma in esame essendo

pacifica l'esistenza di norme precedenti, implicanti agevola zioni tributarie più favorevoli inerenti all'imposta ipote caria (v. art. 5 decreto legisl. pres. 8 maggio 1947 n. 399).

Ma, anche restando nel campo della imposta di registro,

possono citarsi come disposizioni più favorevoli, che il citato art. 124 ha voluto far salve, le seguenti : l'art. 65, 4° comma, della legge di registro, che prevede l'imposta fissa limitatamente al solo atto di prima assegnazione della

casa ai soci delle cooperative edilizie ; l'art. 88 tariffa ali. A, lett. 6), che prevede l'imposta graduale sulle assegnazioni di case costruite da società ; infine, l'art. 7 decreto legisl. 17 aprile 1928 n. 740, contenente modificazioni ed integra zioni di altre disposizioni di legge, concernenti il riassetto delle zone urbane dellecittàmaggiormentedanneggiatedagli eventi bellici, il quale prevede l'imposta fissa di registro e ipotecaria.

Pertanto deve concludersi che la disposizione dell'art. 24

in esame non è affatto in contrasto con la tesi qui accolta

della piena cumulabilità delle agevolazioni previste dal

l'art. 43 all. B e dall'art. 17 legge n. 408 del 1949. Tanto ciò è vero che lo stesso legislatore, quando lia voluto escludere il beneficio della cumulabilità lo ha detto espressamente (v. art. 9 del citato decreto legisl 8 maggio 1947 n. 399, che così recita testualmente : « i benefici previsti dal pre sente decreto non sono cumulabili con altre agevolazioni concesse in base ad altre disposizioni di legge»).

Concludendo, la riduzione dell'imposta di registro, ac

cordata dall'art. 17 legge 2 luglio 1949 n. 408, deve essere riferita non già all'aliquota prevista dall'art. 1 della tariffa

all. A della legge di registro, bensì all'aliquota ridotta di

all'art. 43 della tabella all. B della stessa legge. Per questi motivi, ecc.

TRIBUNALE DI ROMA.

Sentenza 12 dicembre 1959 ; Pres. ed est. Elia P. ; Tufa

relli (Avv. Montei.) e. Pres. Cons, ministri (Avv. dello

Stato Pentinaca).

Nobiltà (titoli di) — Titoli nobiliari pontifici — Sus

sistenza (Costituzione della Repubblica, art. 7 ; disp. trans. XIV ; Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, art. 42 ; r. d. 7 giugno 1943 n. 651, ordinamento dello

stato nobiliare italiano, art. 6, 38).

Ai titoli ìiobiliari concessi dalla Santa Sede continua ad

applicarsi il regime giuridico precedente Ventrata in vigore della Costituzione. (1)

(1) La condizione giuridica dei titoli nobiliari pontifici .

1. — Questa sentenza del Tribunale di Roma è di notevole

importanza, sia per quanto riguarda l'interpretazione dell'art. 42 del Concordato, sia per la condizione dei titoli pontifici nell'attuale ordinamento giuridico.

Che l'art. 42 del Concordato conservi vigore, nonostante la XIV disp. trans., è in effetti difficilmente contestabile, dato il tenore dell'art. 7 della Costituzione (1). Tuttavia, a quali titoli esattamente si riferisce ? Ad un primo esame della questione sembrerebbe che le Alte Parti contraenti avessero in vista solo i titoli concessi dalla Santa Sede dopo la perdita della sovranità territoriale sullo Stato pontificio. I titoli anteriori al 1870, infatti, erano considerati dalla legislazione italiana vigente nel 1929 come titoli italiani, e trovavano in quella legislazione una piena tutela giuridica.

Ora, nel caso di specie deciso dal Tribunale di Roma, si trattava appunto di un titolo concesso posteriormente al 1870. Tuttavia nella motivazione la sentenza fa chiaramente intendere che tutti i titoli pontifici, anteriori o posteriori al 1870, debbono

godere dello stesso trattamento giuridico. Questa soluzione sembra esatta (nello stesso senso, Mistrttzzi Di Frisinga, op. cit.). Anzitutto essa è l'unica perfettamente aderente alla lettera dell'art. 42, il quale testualmente dispone : « L'Italia ammetterà il riconoscimento, mediante decreto reale, dei titoli nobiliari conferiti dai Sommi pontefici anche dopo il 1870 e di quelli che saranno conferiti in avvenire ».

Con quell'anche il testo della norma concordataria mostra chiaramente che l'obbligo internazionale assunto dallo Stato italiano si riferisce a tutti i titoli concessi dalla Santa Sede, quale che sia l'epoca della concessione. Del resto se si appro fondisce l'esame dell'art. 42, non può negarsi che la Santa Sede aveva un apprezzabile interesse a che l'Italia si obbligasse sul piano del diritto internazionale a continuare a riconoscere quei titoli da essa concessi, che già avevano una protezione secondo il nostro diritto interno. E ciò per evidenti ragioni di prestigio, che appaiono tanto di maggior peso se si tiene presente che varie e importanti cariche della Corte pontificia sono ereditarie in determinate famiglie dell'aristocrazia romana. Per il decoro della carica interessa indubbiamente alla Santa Sede che il titolare di esse goda anche in Italia, indipendentemente da quella che

possa essere la legislazione italiana in materia, di quel par ticolare status nobiliare, in considerazione del quale l'ufficio gli è attribuito.

Tenendo presenti sia la ratio della norma concordataria sia i criteri di interpretazione degli atti internazionali, pensiamo che

per « titoli nobiliari conferiti dai Sommi pontefici » si debbano

(1) Sui rapporti fra Costituzione e Patti lateranensi, cfr. D'Avack, I ravvorti fra V'ito e Chiesa, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana, 1950, 1,99 se??.; Dsl Gtctdics, Mxnuale di diritto ecclesii stico, Milano, 1959, 129 se??. ; Bellini, I Patti lateranensi e la Co stituzione della Repubblica, in Diritto ecclesiastico, 1955, 23 segg., e let teratura ivi richiamata.

Sul trattamento dei titoli pontifici, cfr. Mistruzzi di Frisinga, I diritti nobiliari e la Costituzione, Milano, 1957, 125 segg. ; Del Giu dice, op. cit., 200 segg., con ampi richiami bibliografici; Gorino Causa, L'ejfcioia del riiiYiiscimznto dei titoli nobiliari pontifici, in Di ritto ecclesiastico, 1953, 3 se??. ; Cochetti, Il riconoscimento dei titoli nobiliari pontifici, in Riv. giur. Umbro-abruzzese, 1959, 575 segg.

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