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sentenza 9 aprile 1986; Giud. Castelli; imp. Fabiani ed altroSource: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 5 (MAGGIO 1987), pp. 339/340-343/344Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23178744 .
Accessed: 28/06/2014 13:58
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PARTE SECONDA
Mangini e Mezzapesa. Come risulta dalla documentazione foto
grafica in atti, l'opera edilizia abusiva risulta stabilmente infissa
al suolo, a destinazione non precaria (dovendo essere destinata
ad abitazione dei figli del Delfine, secondo le dichiarazioni rese
dallo stesso in udienza). Dunque, il manufatto aveva (ed ha) l'at
titudine a modificare la morfologia della porzione di territorio
sui cui insiste. Pacificamente deve ritenersi che il Quarato fosse
il titolare della impresa (se pur piccola) che ha curato i lavori.
Ciò è risultato incontestabilmente dalle ammissioni fatte in udienza
dal Delfine e dallo stesso Quarato, nonché dalle dichiarazioni re
se dai suddetti due testi. Peraltro, anche a voler reputare (come ha detto il Delfine) che il manufatto abusivo sia stato realizzato in parte (ossia il pianterreno) prima del 1° ottobre 1983 e parte
(ossia la sopraelevazione) tra il dicembre 1985 e il gennaio 1986, non sussistevano comunque i presupposti di applicabilità degli art. 31 ss. 1. n. 47/85. Invero, la sanatoria ex art. 38 1. n. 47/85
non può non investire che l'opera edilizia realizzata nella sua uni
tarietà fisica e funzionale, non potendosi ritenere ammissibile una
sanatoria «parziale» o «frazionata», non contemplata dall'art.
31 1. n. 47/85 (nello stesso senso Pret. Pizzo Calabro 18 aprile
1985). Sulla base delle esposte considerazioni, il Delfine ed il Qua rato vanno dichiarati colpevoli del reato loro ascritto sub A).
(Omissis)
PRETURA DI TRENTOLA; ordinanza 30 ottobre 1986; Giud.
Giuliano; imp. Basco e altro.
PRETURA DI TRENTOLA;
Edilizia e urbanistica — Lottizzazione abusiva negoziale — Con
dono — Inapplicabilità — Questione non manifestamente in
fondata di costituzionalità (Cost., art. 3; 1. 28 febbraio 1985 n. 47, norme in materia di controllo dell'attività urbanistico
edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie, art.
31, 34, 35, 38, 44).
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costi
tuzionale degli art. 31, 34, 35, 38 e 44 l. 28 febbraio 1985 n.
47 e successive modificazioni, nella parte in cui non prevedono la sospensione del procedimento penale, la possibilità di pre sentare oblazione e la conseguente estinzione del reato anche
per chi è imputato del reato di lottizzazione abusiva consumato
mediante il solo compimento di attività negoziali, in riferimen to all'art. 3 Cost. (1)
Va sollevata d'ufficio la questione di legittimità costituzionale
degli art. 31, 34, 35, 38 e 44 1. n. 47 del 28 febbraio 1985 e
successive modifiche per contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedono, a favore di chi è imputato del reato di
lottizzazione abusiva consumata mediante il solo compimento di attività negoziale, la sospensione del procedimento penale, la pos sibilità di essere ammesso alla oblazione e di ottenere la autoriz zazione in sanatoria con conseguente estinzione del reato.
L'art. 31, 1° comma, lett. a), 1. n. 47/85 prevede la possibilità di richiedere la sanatoria per le «costruzioni» e le «altre opere» che risultino essere state «ultimate» entro la data del 1° ottobre 1983 ed eseguite in assenza o difformità dal titolo (licenza, con cessione od autorizzazione) prescritto da norme di legge o di re
golamento.
(1) La tesi della inapplicabilità del condono all'ipotesi del reato di lot tizzazione abusiva c.d. negoziale ha già un autorevole precedente in Cass. 29 maggio 1985, Pizzi, Foro it., 1986, II, 546, con nota di C. Rapisarda in cui già si segnalava l'incongruenza di riservare un trattamento più fa vorevole (ammettendo l'oblazione e quindi il condono) alle forme di ma nifestazione più gravi del medesimo reato. Ora la Corte costituzionale, al cui esame la fattispecie di lottizzazione abusiva è già stata sottoposta (senza esito) per farne rilevare l'illegittimità sotto il profilo della tassativi tà (cfr. Corte cost., ord. 14 marzo 1984, n. 72, id., 1985, I, 942; v. pure ord. 20 marzo 1985, n. 75, ibid., 1872), viene chiamata ad un sinda cato sulla ragionevolezza della discriminazione tra le due forme di lottiz zazione, dovuta peraltro forse più ad una svista del legislatore che non ad una precisa scelta di politica criminale. È noto comunque che la corte è sempre stata molto cauta nel pronunciarsi su questioni di ragionevolez za, dichiarando solo in un caso l'illegittimità di una norma (cfr. Corte cost. 24 maggio 1979, n. 26, id., 1979, I, 1345, in materia di reati militari).
Il Foro Italiano — 1987.
La disposizione suddetta appare molto ampia, dato che non
pone alcun limite alle dimensioni di quanto è stato illegittima mente realizzato e che, con i termini «costruzioni» ed «altre ope re», fa chiaramente riferimento ad edifici e manufatti di ogni genere e tipo, in quest'ultimi evidentemente comprese le opere di urbanizzazione.
Sulla sua scorta, pertanto, appare lecita l'affermazione che so
no suscettibili di sanatoria tutte le opere che comportano «tras formazione urbanistica ed edilizia del territorio», e quindi anche le opere di urbanizzazione.
A conferma della ammissione anche per tali ultime opere ai
benefici della legge più sopra menzionata, va rilevato che: 1) l'art.
35, 7° comma, prevede per le costruzioni ed altre opere realizzate nei comprensori non regolarmente lottizzati la necessità per otte nere la sanatoria dell'impegno di partecipare pro quota agli oneri di urbanizzazione in sede di stipula della convenzione; 2) l'art.
38, 2° comma, prevede come effetto della intera corresponsione dell'oblazione la estinzione anche del reato di lottizzazione abusi
va, che, come è noto, si perfeziona, appunto, anche con la realiz
zazione di opere di urbanizzazione.
Tanto rilevato, devesi osservare che con il preciso ed univoco riferimento alle «opere» «ultimate» entro il 1° ottobre 1983 il
legislatore sembra aver incluso tra i soggetti ammessi a consegui re il titolo in sanatoria previo pagamento dell'oblazione ed a poi beneficiare della estinzione del reato solo quelli che risultano im
putati del reato di lottizzazione abusiva consumato mediante la esecuzione di opere di urbanizzazione e non anche quelli che, come nella specie, risultano imputati del reato di lottizzazione abusiva perfezionatosi mediante il compimento di attività mera mente negoziali (vendita del terreno frazionato in lotti).
Per il reato eseguito con siffatte ultime modalità, la legge non sembra aver dettato, nemmeno implicitamente, alcuna disposizio ne, con ciò confermando la sua esclusione dai benefici in questione.
Del resto, ipotizzando anche che la lottizzazione c.d. negoziale possa esservi stata compresa, sorgerebbe poi l'ostacolo, che ap pare insuperabile, di determinare la somma da versare a titolo di oblazione, dato che la «tabella» allegata alla legge fa esclusivo riferimento ad «opere», ad «interventi» e a «modalità di esecu zione non valutabili in termini di superficie o di volume», le qua li ultime, in particolare, presuppongono che un manufatto sia stato pur sempre realizzato.
Se tutto quanto sinora osservato è esatto, le norme soprari chiamate appaiono in contrasto con l'art. 3 Cost., dato che le due condotte più sopra descritte risultano, senza alcun ragione vole motivo, differentemente disciplinate.
Anzi, per vero, si verifica che per l'ipotesi di lottizzazione abu siva mediante la esecuzione di opere risultano previste la sospen sione del procedimento penale, la oblazione, la sanatoria e l'estinzione del reato, al contrario dell'ipotesi di lottizzazione abu siva negoziale, certamente più lieve, atteso che non comporta una
compromissione di fatto della programmazione territoriale. La questione, per le ragioni esposte, non può considerarsi non
manifestamente infondata.
È, poi, certamente rilevante in quanto dall'esito di essa dipen de se il procedimento in questione debba o meno considerarsi
sospeso di diritto, con possibilità da parte degli imputati di usu fruire della sanatoria e dei conseguenti ulteriori benefici, e se, addirittura, debba essere dichiarata la estinzione del reato per prescrizione.
Per questi motivi, visto l'art. 23 1. 11 marzo 1953 n. 87, dichia ra rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli art. 31, 34, 35, 38 e 44 1. n. 47 del 28 febbraio 1985 e successive modifi
che, nella parte in cui non prevedono i benefici ivi contemplati, e in motivazione indicati, anche per chi è imputato del reato di lottizzazione abusiva consumato mediante il solo compimento di attività negoziale; (omissis)
PRETURA DI MILANO; sentenza 9 aprile 1986; Giud. Castel
li; imp. Fabiani ed altro.
PRETURA DI MILANO;
Misure di prevenzione — Disciplina dell'appalto e del subappalto di opere riguardanti la p.a. — Concessioni amministrative —
Inapplicabilità (L. 13 settembre 1982 n. 646, disposizioni in
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GIURISPRUDENZA PENALE
materia di misure e prevenzione di carattere patrimoniale ed
integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956 n. 1423, 10 febbraio 1962 n. 57 e 31 maggio 1965 n. 575; istituzione di una commis
sione parlamentare sul fenomeno della mafia, art. 21).
Posto che il concessionario di pubblici servizi non può essere equi
parato all'appaltatore di opere riguardanti la p.a. (unico sog
getto destinatario della normativa), la mancata richiesta da parte del primo dell'autorizzazione prevista dalle norme per la ces
sione in subappalto della realizzazione di opere già appaltate non integra il reato di cui all'art. 21 l. 13 settembre 1982 n.
646, cosi come modificato ed integrato dall'art. 4 l. 23 dicem
bre 1982 n. 936 e dall'art. 1 l. 12 ottobre 1982 n. 726. (1)
Con rapporto 13 giugno 1984 la prefettura di Frosinone de
nunciava alla locale procura della repubblica i responsabili della
Italcogim s.p.a. e della IGAM s.n.c., poi identificati in Fabiani
Domenico e Ruggeri Luigi, per avere il primo dato e l'altro preso il subappalto per la realizzazione dell'impianto per la distribuzio
ne del gas metano per usi civili del comune di Isola del Liri, senza avere chiesto l'autorizzazione prevista dall'art. 21 1. 13 set
tembre 1982 n. 646.
Gli atti venivano trasmessi per competenza alla Pretura di Sora
e, quindi, a seguito di sentenza 11 novembre 1985, alla Pretura
di Milano, ritenuta territorialmente competente dato che il con
tratto tra la Italcogim e la IGAM venne stipulato in Milano.
Il procedimento veniva chiamato all'udienza del 9 aprile 1986
in cui Fabiani non compariva, nonostante la regolare citazione, e veniva dichiarato contumace, mentre Ruggeri veniva interroga to. P.m. e difesa concludevano come da separato verbale.
La difesa degli imputati ed in particolare di Fabiani, hanno
sostenuto con due ponderose memorie ed in sede di discussione
orale, l'inapplicabilità nel caso del citato e contestato art. 21.
In particolare la difesa afferma che: deve escludersi l'applicabili tà del menzionato disposto legislativo alle concessioni, tra cui rien
tra indubbiamente l'atto intervenuto tra la società Italcogim e
(1) Per precedenti applicativi cfr. Pret. Milano 21 giugno 1985, Foro
it., 1986, II, 49, e Pret. Milano 3 ottobre 1985, ibid., 48 (quest'ultima nel senso della inapplicabilità dell'art. 21 1. n. 646/82 in presenza di un
errore incolpevole), con nota di Fiandaca. Per quanto la formulazione dell'art. 21 1. n. 646/82 abbia dato luogo
a tutta una serie di questioni interpretative e pratico-applicative che inve
stono la struttura del reato, la determinazione dei concetti rispettivi di
opere riguardanti la p.a., di appalto, subappalto e cottimo, l'elemento
soggettivo e infine i profili sanzionatori (cfr. Fiandaca, cit.), con riferi
mento allo specifico problema dell'individuazione dei destinatari della nor
ma incriminatrice la dottrina e la giurisprudenza hanno assunto una
posizione unitaria alla quale si adegua la decisione in epigrafe. Già il dato testuale offre indicazioni precise. Infatti, usando l'espres
sione «concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in
parte, le opere appaltate, il legislatore fa riferimento a tutte le possibili forme di subentro di terzi nella esecuzione di opere già appaltate dalla
p.a., mentre il soggetto che deve attivarsi è identificato esclusivamente in chi abbia in appalto opere riguardanti la p.a.
Ora, se è possibile che si realizzi una coincidenza di contenuto tra il
rapporto di appalto — negozio di diritto privato — e la concessione am ministrativa — provvedimento di diritto pubblico —, rimangono però
sempre ben distinte le posizioni rispettive dell'appaltatore e del concessio
nario, sicché non si può pervenire ad una equipazione degli stessi. Come è riconosciuto dalla dottrina amministrativa (cfr., oltre le tratta
zioni contenute nei manuali, Silvestri, Concessione amministrativa, voce dell' Enciclopedia del diritto, Milano, 1961, VIII, 370), dalla concessione di pubblici servizi sorge per il concessionario un diritto avente per conte
nuto la facoltà di esercitare funzioni e servizi di cui l'ente pubblico è
titolare e che di solito esercita direttamente. In virtù del provvedimento amministrativo il concessionario viene investito dell'esercizio di poteri e
funzioni proprie dell'amministrazione concedente, che sostituisce nell'e
spletamento di un compito di carattere pubblico. L'identificazione del concessionario con l'ente competente al rilascio
delle autorizzazioni spiega perché non sia necessaria alcuna richiesta alla
p.a. per la cessione della realizzazione delle opere già affidata al conces
sionario. Il rapporto peraltro si configura come primo appalto e non come su
bappalto, non abbisognando — a norma di legge — di alcuna autoriz
zazione. Ove sussista un divieto legislativo alla cessione di una concessione am
ministrativa resta salva la facoltà della p.a. di revocare la concessione
per inosservanza di tale divieto.
In relazione agli obiettivi politico-criminali perseguiti dalle norme incri
minative in questione, cfr. Fiora, in Legislazione pen., 1983, 340.
Il Foro Italiano — 1987.
il comune di Isola del Liri; la stessa lettera dell'art. 21 1. n. 646,
dato l'espresso riferimento all'appalto di opere riguardanti la p.a.,
già di per sé esclude qualsiasi riferimento ai concessionari di pub blici servizi; nessuna autorizzazione è dovuta dall'amministrazio
ne concedente al concessionario in relazione a contratti di appalto
stipulati da quest'ultimo in quanto viene investito, tramite la so
stituzione operata dallo stesso provvedimento di concessione, del
l'esercizio di poteri e funzioni pubbliche che sono proprie dell'amministrazione concedente.
In termini di fatto è indubbio che il contratto 8 febbraio 1980
costituiva una concessione di pubblico servizio, avente per ogget to «il diritto di impiantare ed esercitare in tutto il territorio co
munale una rete di condutture per distribuire gas metano», con
l'abituale clausola che limita la durata della concessione ad un
certo periodo (nel caso 29 anni) e che alla scadenza il comune
entrerà in possesso dell'impianto iniziale a titolo gratuito. Il problema che si viene quindi a porre è di ricostruzione inter
pretativa della norma. Il che presenta indubbie difficoltà viste
le stesse diverse tesi avanzate da qualificati organi pubblici in
materia. Come si evince dall'utilissima rassegna di pareri, circo
lari e istruzioni contenuti nella memoria difensiva del 4 aprile 1986 l'individuazione dei destinatari della norma di cui all'art.
21 è stata al centro di un serrato dibattito, nel cui ambito comun
que nessuno ha ritenuto di poter includere il concessionario di
pubblico servizio nei soggetti tenuti a richiedere l'autorizzazione
antimafia.
Estremamente significativa è in merito la circostanza che pareri e note della presidenza del consiglio del ministri, del ministero
degli interni, del ministero dei lavori pubblici auspicavano tutti
un ricorso allo strumento legislativo per portare chiarezza ed esten
dere l'ambito di applicazione dell'art. 21.
Va comunque sottolineata la già lata dizione e portata della
norma sia nell'individuarne i destinatari (chiunque abbia in ap
palto opere riguardanti la p.a.), sia nella delineazione del com
portamento vietato («concede anche di fatto in subappalto o a
cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse, senza l'autorizzazio
ne dell'autorità competente»).
Scopo dell'articolo è evidentemente combattere l'infiltrazione
e la gestione mafiosa nell'edilizia e negli appalti pubblici, sotto
ponendoli ad un controllo della p.a. appaltante attraverso un ap
posito controllo. Lo stesso legislatore ha comunque posto dei limiti, che possono far apparire insoddisfacente ed inefficace la soluzio
ne adottata rispetto ai fini proposti, ma che non consentono, per la stessa natura penale della norma, interpretazioni analogiche. Cosi è stato con la limitazione alle opere riguardanti la p.a., cosi
è per i destinatari che devono necessariamente essere appaltatori e non titolari di altri rapporti.
La stessa formulazione della norma è indicativa al riguardo. Mentre per quanto riguarda il rapporto tra amministrazione com
mittente e appaltatore l'articolo si limita a parlare di «avere in
appalto», per quanto concerne i subrapporti conseguenti viene
fatta menzione, con un'ampia circonlocuzione, di qualsiasi for
ma di concessione dell'opera. Tale differenza nella stessa lettera della legge non consente le
interpretazioni estensive auspicate nella circolare 8 giugno 1983
n. 1/2439 del ministero di grazia e giustizia, laddove sostiene che
per appalto vanno intese anche tutte le concessioni.
Se difatti è vero che «dottrina e giurisprudenza hanno chiarito
da tempo che, quando una norma incriminatrice fa ricorso a termi
ni mutuati da altri settori dell'ordinamento, questi non vanno rece
piti necessariamente con il loro significato originario, ma assumono
una loro autonomia e possono quindi essere intesi in modo diver
so» (circolare del ministero di grazia e giustizia citata), ciò può va
lere per recepire, anziché il significato tecnico di un termine, il suo
valore comune, come esattamente rilevato dalla difesa.
Ma ciò comporta che debbono ritenersi assoggettati alla norma
tutti quei rapporti in cui, indipendentemente dal nomen iuris, sia
ravvisabile quell'elemento tipico dell'appalto dato dall'obbligo di
prestare un risultato contro un corrispettivo. Da quest'ottica di
scende che la distinzione tra appalti e concessioni, al di là delle
pur ineccepibili distinzioni tra diversi istituti, non è probante, ben
potendosi avere un provvedimento autoritarivo di diritto pubbli co (la concessione, appunto) che si sovrapponga ad un negozio
di diritto privato ben identificabile come appalto. Tale visione può oggi essere stata superata dalla più recente
dottrina, che riconduce a fenomeno unitario l'istituto della con
cessione, ma risponde, appunto, al significato comune attribuito
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PARTE SECONDA
al termine appalto, alla stessa necessità di guardare alla funzione
e alla dislocazione attribuiti all'art. 21 e all'esigenza di non arre
starsi di fronte alla apparenza dei rapporti, ma di guardare la loro
effettiva sostanza. Tali considerazioni portano a ritenere applica bile la norma contestata a tutti quei rapporti che, indipendentemente dal nomen iuris, presentino le caratteristiche tipiche dell'appalto.
E nel caso è indubbio che nel contratto tra Italcogim e comune
di Isola del Liri vi fossero tali elementi: la realizzazione dell'impianto di distribuzione del gas metano contro il corrispettivo dato dalla
stessa distribuzione e gestione dell'impianto per un certo numero
di anni. Non a caso l'incarico poi attribuito dalla Italcogim alla IGAM
è un appalto tipico, consistendo nei lavori edili di posa della rete
gas nel territorio comunale.
La differenza esistente tra appalti, negozio di diritto privato, e
concessioni, atto amministrativo, viene invece ad essere determinante
e convincente per individuare il destinatario tenuto a chiedere l'au
torizzazione.
Secondo la dottrina amministrativa con la concessione la p.a. af
fida ad un altro soggetto l'esercizio di un servizio pubblico, senza
corrispondergli alcun corrispettivo, ma autorizzandola a far propri i proventi dell'esercizio. In tal modo l'ente sostituisce a sé un altro
nell'espletamento di un compito di carattere pubblico che rientra
nelle sue funzioni. Il concessionario surroga quindi la p.a., di cui
svolge funzioni di ausiliare e viene investito, tramite la sostituzione
operata, dell'esercizio di poteri e funzioni pubbliche che sono pro
prie dell'amministrazione concedente.
Il concessionario viene in tal modo ad identificarsi con la stessa
stazione appaltante cui sarebbe attribuito il compito di rilasciare le
autorizzazioni prescritte. Giustamente ciò ha sollevato dubbi, per la stessa natura privata del soggetto e per la discrezionalità ammi
nistrativa che in tal modo gli verrebbe riconosciuta, ma è la stessa
funzione pubblica esercitata che porta a far ricadere tale onere sul
concessionario. Del resto in tal senso era già, sia pure con riferi
mento ad altri poteri, la previgente giurisprudenza (vedi Cass. 6 di
cembre 1978, n. 5766, Foro it., Rep. 1978, voce Opere pubbliche, n. 30).
Nel caso comunque il problema del soggetto cui spetti rilasciare
l'autorizzazione non va neppure posto in quanto se all'Italcogim
vengono riconosciuti per delega i poteri spettanti all'amministra
zione comunale, essa viene cosi a rappresentare la stazione appal tante e il rapporto instaurato con la IGAM si configura come primo
appalto e non come subappalto, non abbisognando quindi di auto
rizzazione alcuna. Il problema si porrebbe, invece, per eventuali ul
teriori subcontratti tra la IGAM e terzi.
La difesa ha esattamente fatto notare, tra l'altro, che accogliere tali tesi non significa abbandonare la prevenzione antimafia: altre
norme (l'art. 10 e l'art. 10 quinquies 1. 31 maggio 1965 n. 575) im
pongono anche ai concessionari l'acquisizione del certificato pre fettizio relativo alle imprese subappaltatoci e puniscono l'affidamento dell'appalto, subappalto o cottimo ad impresa deca
duta, sospesa, non iscrivibile nell'albo dei costruttori.
Anche dal punto di vista sistematico e di coordinamento con le
altre disposizioni in materia, la tesi difensiva che esclude i conces
sionari dai destinatari del precetto di cui all'art. 21 va quindi accolta.
Tali considerazioni portano a mandare assolti entrambi gli im
putati perché il fatto non sussiste.
PRETURA DI SASSARI; sentenza 28 febbraio 1986; Giud. So
ro; imp. Marras ed altro.
PRETURA DI SASSARI;
Circolazione stradale — Affidamento di veicolo a persona sprov vista materialmente di patente di guida — Reato — Esclusione
(D.p.r. 15 giugno 1959 n. 393, t.u. delle norme sulla circolazio
ne stradale, art. 80).
Non è configurabile il reato di incauto affidamento di veicolo
allorché l'affidatario, pur materialmente sprovvisto di patente abbia già superato gli esami di guida. (1)
(1) In termini cfr. Pret. Mirandola 25 maggio 1984, Foro it., 1985, II, 197, con nota di richiami, secondo cui il proprietario del veicolo do vrebbe comunque rispondere, in qualità di concorrente o cooperatore col
poso, dell'illecito amministrativo commesso dal conducente.
Il Foro Italiano — 1987.
In seguito a verbale di contravvenzione della polizia stradale
di Sassari in data 5 gennaio 1985 Marras Sergio e Marras Gio
vanni sono stati citati in giudizio con l'imputazione specificata ciascuno in rubrica. Al dibattimento, celebrato in contumacia di
Marras Sergio, ritualmente citato e non comparso dopo l'esauri
mento della fase istruttoria e le conclusioni di p.m. e difesa ritie
ne il giudicante sia conforme a giustizia mandare assolti entrambi
i prevenuti con ampia formula.
Difatti attraverso l'esibizione della patente di guida n.
65P112590V rilasciata a Marras Sergio dal prefetto di Sassari
in data 12 dicembre 1984 si è potuto accertare che il medesimo
sin dal favorevole superamento degli esami in data 24 ottobre
e 23 novembre 1984 era abilitato alla guida, seppure al momento
del controllo in data 6 dicembre 1984'non aveva ancora material
mente il documento che ciò attestava.
Nel fatto pertanto ricorre una semplice violazione amministra
tiva (art. 80, 15° comma, d.p.r. n. 292/59) e non penale, e per tale motivo gli atti andranno tramessi alla locale prefettura.
Peraltro tale circostanza consente di escludere anche la respon sabilità del coimputato Marras Giovanni che affidò o consentii
la guida della moto a persona che era sprovvista materialmente
del documento di guida, ma per il codice della strada abilitato
a condurre mezzi.
È noto al giudicante che parte della giurisprudenza ritiene che
l'affidatario risponda anche in simili ipotesi del reato; peraltro un'attenta lettura della norma che non si fermi al dato formale
dell'incriminazione di chi affidi un mezzo a persona sprovvista di patente, ma, in conformità alla evoluzione del diritto penale ed alla ricerca in ogni norma incriminatrice della lesione di un
reale interesse penalmente tutelabile, legga la norma: come la per sona non abilitata a condurre mezzi, conduce all'interpretazione fornita. Daltronde sarebbe da un lato quantomeno strano e poco conforme a giustizia che l'autore dell'illecito principale (colui che
ha circolato senza essere ancora in possesso del documento) vada
esente da pena ed invece colui che è imputato della violazione
per cosi dire secondaria sia punito con sanzione penale e con
l'obbligatoria confisca del mezzo. Inoltre il disvalore dell'incrimi
nazione nasce dal pericolo che a circolare per la strada siano per sone che, per non aver superato o sostenuto i prescritti esami, non siano state giudicate idonee a condurre mezzi meccanici pu nendo anche chi ciò consente: pericolo dell'incolumità degli uten
ti della strada che almeno formalmente non ricorre dopo il positivo
superamento degli esami teorici e pratici all'esito dei quali si è
dichiarati idonei alla guida.
Peraltro, la sentenza in epigrafe si discosta in parte dall'/te/- argomen tativo adottato nel precedente citato, laddove l'inconfigurabilità del reato di incauto affidamento nel caso di specie viene dedotta da un'interpreta zione in chiave sostanziale della normativa. Ed invero, sarebbe soprattut to la ratio della tutela, insieme a ragioni di giustizia sostanziale, a far escludere l'applicabilità della sanzione penale: in primo luogo, l'affida mento del veicolo a persona comunque abilitata alla guida non potrebbe considerarsi sostanzialmente incauto e quindi fonte di pericolo, in secon do luogo non sarebbe conforme a giustizia sottoporre a sanzione penale la condotta accessoria (l'affidamento del veicolo), allorché la condotta
principale (la guida senza patente) sia sanzionata in via amministrativa. Nel senso dell'esclusione del reato è altresì orientata la dottrina preva
lente: cfr. Cesari, L'istituto dell'incauto affidamento, in Nuovo dir., 1982, 27; Fattori, Affidamento incauto di veicolo a conducente privo di pa tente il quale abbia sostenuto favorevolmente l'esame, in Riv. giur. circo laz. e trasp., 1976, 743.
Ancorata, invece, ad un'interpretazione letterale della normativa, la Cassazione si è più volte pronunciata, in riferimento ad analoghe ipotesi, nel senso della sussistenza del reato di incauto affidamento: cfr. sent. 9 marzo 1978, Nanna, Foro it., Rep. 1978, voce Circolazione stradale, n. 211; 21 ottobre 1977, Magnani, ibid., n. 212; 27 febbraio 1976, Man
dressi, id., Rep. 1977, voce cit., n. 915.
Peraltro, posto che la Corte costituzionale ha ritenuto prima infondata
(v. sent. 7 luglio 1976, n. 161, id., 1976, I, 2762), poi manifestamente infondata (v. ord. 18 luglio 1983, n. 220, id., Rep. 1984, voce cit., n.
134; sent. 26 luglio 1979, n. 91 id., 1980, I, 16; ord. 10 maggio 1978, n. 61, id., Rep. 1978, voce cit., n. 208) la questione di legittimità costitu
zionale, in riferimento agli art. 3 e 27 Cost., della normativa che sottopo ne allo stesso regime sanzionatorio l'incauto affidamento di veicolo a
persona non munita di patente, sia che questa abbia o non abbia supera to gli esami di guida, sembra spettare al legislatore un adeguamento della normativa al fine di depenalizzare l'illecito del proprietario del veicolo come già la 1. 14 febbraio 1974 n. 62 ha fatto nei confronti del corrispon dente illecito del conducente (v. G.A. Conte, Depenalizzazione parziale dell'art. 80 cod. stradale e riflessi sull'istruzione alla guida e sull'incauto affidamento di veicolo, in Arch, circolaz., 1980, 609 s.).
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