sentenza 9 dicembre 2003; Giud. Montagni; imp. LeonidouSource: Il Foro Italiano, Vol. 127, No. 5 (MAGGIO 2004), pp. 313/314-315/316Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23199348 .
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GIURISPRUDENZA PENALE
stratura (in data 25 gennaio 2002) dà atto delle differenti valuta
zioni formulate dai magistrati intervenuti nel procedimento do
po il dott. Corsini e afferma l'irrilevanza disciplinare delle deci
sioni di quest'ultimo, solo perché frutto di apprezzamento di
screzionale.
Per contro non appare conculcabile il diritto del giornalista di
riportare le eventuali differenti decisioni dei magistrati e di sot
toporle ad apprezzamento critico nei limiti della continenza.
Lara Sirignano altro non fa nell'articolo in questione che
stigmatizzare il merito del provvedimento, sottolineando in par ticolare come siano risultate non convenienti e non condivise le
scelte del dott. Corsini; e ciò fa in base all'apprezzamento di
screzionale di altri giudici che andarono di contrario avviso al
l'orientamento dell'odierna persona offesa.
La particolare coloritura giornalistica di talune espressioni è
volta solo a vivacizzare la narrazione delle vicende senza trava
licare i limiti di continenza: dire che il dott. Corsini abbia «cal
deggiato» la proposta di liquidazione dei soci, corrisponde di
fatto a descrivere un comportamento che obiettivamente sposò la decisione di questi ultimi, anche disattendendo le contrarie
valutazioni dell'amministratore giudiziario; dire che i magistrati della sezione misure di prevenzione e l'amministratore giudizia rio siano rimasti «di stucco» dinanzi alle decisioni del dott. Cor
sini comporta un'agevole deduzione sui sentimenti e le rifles
sioni che condussero tali soggetti a determinazioni ben diverse
da quelle dell'odierna persona offesa.
Che la vicenda fu poi segnalata al Csm, al pari di altre, dai
colleghi del dott. Corsini è un fatto che si ricava autonoma
mente proprio dal procedimento disciplinare a suo carico e che
ha avuto ben più ampia pubblicità. Va infine rilevato che l'articolo segnala due fatti considerati
inquietanti: il primo è appunto la possibilità che lo scioglimento della Raffaello finisse per sottrarre beni alla confisca; tale pos sibilità risulta dalle stesse successive decisioni dei magistrati che hanno proceduto dopo il dott. Corsini e non si può certo fare
colpa alla giornalista di averla ritenuta condivisibile. Il secondo
fatto segnalato è la disponibilità del piano di scissione da parte di Buscemi prima dell'effettiva pubblicizzazione; anch'esso ap
pare obiettivamente meritevole di sottolineatura (la sua corri
spondenza al vero non è smentita dagli atti) e la conoscenza di
una tale grave circostanza appare conforme al pubblico interes
se. L'articolo non stabilisce alcun esplicito legame tra questo fatto e il comportamento del dott. Corsini; essi sono riferiti nello
svolgimento della narrazione di tutte le vicende inerenti l'inda
gine sulla società Raffaello.
Quanto ai connotati insinuanti dello stile della rappresenta zione dei fatti, nonché all'ottica persecutoria che sarebbe dimo
strata dal precedente articolo della Sirignano pubblicato sulla
rivista Micromega, il g.u.p. osserva che mentre i contenuti di
quest'ultimo sin dal titolo («Edoardo Corsini da Montelepre») rivelano una chiara tesi degli autori, evidentemente volta a de
scrivere il magistrato come persona assai accomodante con una
certa categoria di imputati o di parti, lo stesso non può dirsi per l'articolo di cui all'odierna imputazione.
Il «pezzo» pubblicato dal Giornale di Sicilia si limita a se gnalare, come si è visto, fatti conformi al vero e di interesse ge nerale e a sottolinearne la singolarità; la correlazione instaurata
tra di essi — meramente tematica e cronologica — non appare
tendenziosa, ma lascia aperta ogni valutazione del lettore; non
sono stati taciuti altri fatti di analogo rilievo, tale non potendo essere il provvedimento della sezione disciplinare già sopra ci
tato, che peraltro non entrava nel merito della fondatezza delle
valutazioni e che in ogni caso aveva prosciolto il dott. Corsini
solo in relazione ad alcune contestazioni, mentre aveva inteso
irrogare provvedimenti a suo carico per altre condotte denun
ciate unitamente a quella di cui si occupava l'articolo in que stione.
Tutti questi argomenti, di immediata evidenza, conducono
questo g.u.p. a ritenere che la condotta della Sirignano sia ri
conducibile all'esercizio del diritto di cronaca e di critica gior nalistica.
Ne consegue che la stessa non è punibile ai sensi dell'art. 51
c.p.
Consegue altresì che non è sostenibile in dibattimento nean
che l'accusa di omesso controllo da parte del direttore respon sabile del Giornale di Sicilia, Giovanni Pepi, stante la liceità dei
contenuti dell'articolo pubblicato dal suddetto quotidiano.
Il Foro Italiano — 2004.
TRIBUNALE DI FORLÌ; sentenza 9 dicembre 2003; Giud.
Montagni; imp. Leonidou.
TRIBUNALE DI FORLÌ;
Omicidio e lesioni personali colpose — Omicidio colposo —
Responsabilità del medico-chirurgo per omesso impedi mento della morte di un paziente — Reato — Esclusione —
Fattispecie (Cod. pen., art. 40, 589; cod. proc. pen., art. 425).
Va pronunciata sentenza di non luogo a procedere perché il
fatto non sussiste, in relazione all'accusa di omicidio colpo so, nei confronti del medico che abbia omesso di prescrivere
tempestivamente ad una paziente, pur in presenza di sintomi
indicativi della possibile insorgenza di un tumore al seno, un
esame mammografico, con conseguente ritardo nella diagnosi e nell'inizio della terapia, allorché residui un insuperabile dubbio sulla efficacia condizionante della condotta omissiva
addebitata rispetto alla morte della paziente successivamente
verificatasi. (1)
( 1 ) La sentenza in epigrafe intende, per sua espressa ammissione, fa re concreta applicazione dei rigorosi principi fissati, in materia di ac certamento del nesso di causalità nei reati omissivi impropri e in parti colare nei casi di responsabilità medica, da Cass., sez. un., 10 luglio 2002, Franzese, Foro it., 2002, II, 601, con nota di Di Giovine, che co stituisce in atto il punto di arrivo di un lungo travaglio giurispruden ziale.
Al sanitario si imputava nel caso di specie di non avere tempestiva mente richiesto un controllo mammografico, unico strumento diagno stico idoneo a svelare l'insorgenza di un tumore al seno, fin dal mo mento in cui la paziente aveva lamentato un anomalo indurimento di
quest'ultimo, vale a dire un sintomo indicativo della possibile esistenza della suddetta patologia.
Accertato, sulla base delle indicazioni fornite dal collegio peritale: che l'effettuazione tempestiva di una mammografia difficilmente avrebbe consentito, già all'epoca dell'insorgenza dei primi sintomi, di individuare l'esistenza di un tumore; che il ritardo nell'avvio della cor retta terapia non aveva avuto influenza determinante sul decorso del
male; che la morte della paziente si era comunque verificata dopo un
periodo di tempo pari alla speranza di vita del 58,7 per cento dei pa zienti che si trovino nelle stesse condizioni, anche se tempestivamente sottoposti a intervento; e infine che il ritardo diagnostico aveva deter minato una perdita di probabilità di sopravvivenza oltre tale periodo solo del 15-20 per cento, il giudice conclude nel senso della sussistenza di un insuperabile dubbio sulla ipotesi che l'evento dannoso potesse es sere scongiurato o anche solo posticipato ponendo in essere la condotta doverosa omessa, la quale non potrebbe pertanto essere considerata condizione necessaria dell'evento.
Di conseguenza, all'esito dell'udienza preliminare, ritenendo assente
ogni margine per poter sostenere efficacemente l'accusa in giudizio, il
g.u.p. ha pronunciato nei confronti dell'imputato sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, ai sensi dell'art. 425, 3° com
ma, c.p.p. Sembra alquanto evidente, in proposito, il riferimento impli cito a Cass., sez. un., 10 luglio 2002, cit., laddove si afferma che «l'in
sufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella
produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'i
potesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio». Nella giurisprudenza di merito, per un caso di assoluzione di un pri
mario ospedaliero dall'accusa di omicidio colposo — in relazione alla morte di due pazienti seguita ad alcune diagnosi errate — come conse
guenza dell'adozione di un modello rigoroso di accertamento del nesso causale che rifugge dal ricorso a giudizi genericamente probabilistici, v. già Pret. Roma 26 settembre 1997, id.. 1999, II, 268, con nota di ri
chiami, e ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali. Per un caso di erronea interpretazione dei risultati di un esame
mammografico incompleto e di omessa prescrizione di ulteriori accer tamenti ad opera di un medico radiologo ospedaliero — con conse
guente decesso di una paziente affetta da carcinoma duttale al seno —, deciso invece dal giudice di merito nel senso della sussistenza della re
sponsabilità penale per omicidio colposo, v. Pret. Ascoli Piceno-San Benedetto del Tronto 2 ottobre 1999, id., 2000, II, 511, con nota di
Fiandaca, il quale rilevava come nel caso di specie il giudice, pur avendo affermato in astratto di voler adottare un modello rigoroso di
spiegazione causale, non sembrasse però aver tenuto fede a tale propo sito e avesse finito in concreto per ricadere nell'utilizzo di schemi di ti
po probabilistico (aumento o mancata diminuzione del rischio). Per un caso di omessa diagnosi di carcinoma al seno e omessa pre
scrizione di ulteriori esami strumentali ancora da parte di un medico
radiologo ospedaliero, anch'esso deciso dal giudice di merito nel senso della sussistenza del reato di lesioni personali colpose in danno della
paziente, ma stavolta in conseguenza dell'adozione esplicita di un mo dello di accertamento del nesso causale meno rigoroso, v. infine Pret.
Modena-Carpi 7 giugno 1999, ibid., 202, con nota di Genovese, e ivi ulteriori richiami giurisprudenziali.
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PARTE SECONDA
Fatto e diritto. — All'udienza preliminare del giorno 9 di
cembre 2003, verificata la rituale costituzione delle parti, si da
va corso alla discussione ex art. 421 c.p.p. Giova, primariamente, ripercorrere i termini della vicenda
processuale che vede oggi imputato Alexandras Leonidou per omicidio colposo in danno della paziente Pasini Rosanna.
In data 13 febbraio 2002 il p.m. in sede emetteva decreto di
citazione a giudizio dell'imputato Leonidou, medico-chirurgo
specialista in oncologia, per avere colposamente cagionato le
sioni gravi in danno di Pasini Rosanna, negli esatti termini di
cui al capo di imputazione. All'udienza dibattimentale del 13 febbraio 2003, avanti al
Tribunale di Forlì, sezione distaccata di Cesena — all'esito del
l'esame del collegio dei periti già incaricati, nelle forme dell'in
cidente probatorio, di censire la condotta del sanitario Leonidou,
posto pure mente al fatto che in data 5 dicembre 2002 era inter
venuta la morte della parte offesa — il p.m. procedeva alla
contestazione del reato previsto e punito dall'art. 589 c.p., se
condo la formulazione dettata a verbale.
Il giudice ordinava quindi la regressione degli atti, per la ce
lebrazione dell'udienza preliminare, tenuto conto dei limiti
edittali della nuova imputazione in addebito.
Tanto premesso è dato procedere all'esame del merito della vicenda che occupa.
Si imputa al sanitario che aveva da anni in cura Rosanna Pa
sini di non avere tempestivamente richiesto un controllo mam
mografico, unico test clinico ritenuto idoneo al fine diagnostico specifico; in assunto accusatorio tale accertamento avrebbe, in
fatti, consentito di diagnosticare l'insorgenza del tumore già dal momento in cui la paziente ebbe a lamentare un primo anomalo indurimento del seno, giugno del 1997, di sottoporre la donna
ad un trattamento chemioterapico e quindi all'inevitabile inter
vento di mastectomia in epoca antecedente al primo semestre del 1998, e finalmente di scongiurare il decesso della paziente occorso in data 5 dicembre 2002.
L'esame delle dichiarazioni rese dalla stessa paziente, del l'elaborato peritale, delle trascrizioni dell'incidente probatorio celebrato in data 23 aprile 1999 e delle trascrizioni relative al successivo esame dei periti avvenuto nel corso dell'udienza di battimentale celebrata dal giudice monocratico di Cesena, di cui si è detto, sono le evenienze che compongono il patrimonio di conoscenza al quale attingere per la valutazione che occupa.
I termini dell'odierna imputazione — omicidio colposo omis
sivo improprio —
impongono di procedere, in primo luogo, al l'esame della sussistenza dell'elemento obiettivo del reato; in tale ambito ricostruttivo, occorre verificare se sussista un nesso di riferibilità materiale, tra la condotta omissiva posta in essere
dall'imputato e l'evento hic et nunc verificatosi.
Quindi, se del caso, si darà corso all'esame dei profili colposi rinvenibili nella condotta omissiva del sanitario.
Al fine di cogliere appieno la portata delle indicazioni tecni che fornite dal collegio peritale, appare necessario esaminare, oltre al testo dell'elaborato depositato, il tenore delle dichiara zioni rese oralmente, nell'udienza di discussione dell'incidente
probatorio. Come detto, si addebita al sanitario di non avere richiesto
l'esame mammografico nel momento in cui la paziente lamen tava un indurimento anomalo del seno (giugno 1997).
Occorre pertanto verificare se il comportamento alternativo che si assume dovuto — l'effettuazione tempestiva dell'accer tamento diagnostico di elezione — avrebbe scongiurato il veri ficarsi dell'exitus. Altrimenti detto: occorre procedere, secondo il metodo di ricostruzione controfattuale della sequenza causale, alla sostituzione del segmento omissivo della condotta tenuta dal sanitario (mancata effettuazione della mammografia) con il
comportamento dovuto; e domandarsi, sulla base degli elementi di conoscenza offerti dalla c.d. legge di copertura, cioè a dire sulla base delle regole scientifiche che disciplinano il tipo di fe
nomeno, se una diversa condotta del sanitario avrebbe inciso sulla utilità terapeutica dei trattamenti ai quali la Pasini venne di
poi sottoposta, e quindi scongiurato ovvero posticipato il deces so della paziente (sul punto lo scrivente si riporta, per condivise
ragioni, all'insegnamento espresso dalla corte regolatrice con sentenza 10 luglio 2002, Franzese, Foro it., 2002, II, 601).
Tanto premesso, al fine di valutare il rapporto di utilità dia
gnostica della mammografia, occorre in primo luogo domandar si: a) se sia dato ritenere che all'epoca in cui la paziente la mentò i primi sintomi di indurimento del seno (giugno 1997) il tumore si fosse già sviluppato; b) se l'effettuazione di una
mammografia nel mese di giugno del 1997 avrebbe consentito, e con quale probabilità, di diagnosticare la malattia.
Il Foro Italiano — 2004.
Sul punto il dott. Di Maggio ha riferito: — che i sintomi av
vertiti dalla paziente sono da ricollegare ad una semplice ma
stopatia, che all'epoca affliggeva la Pasini; — che in considera
zione del tipo di tumore, alquanto aggressivo, non è dato ritene
re con certezza che nel mese di giugno 1997 la massa fosse già
presente o comunque riscontrabile strumentalmente, e ciò nep
pure con l'effettuazione di mammografia. Mette conto rilevare che il dott. Di Maggio, incalzato dalla
difesa che chiedeva se la mammografia avrebbe consentito di
rilevare il tumore, ha avuto modo di ribadire che l'effettuazione
di una mammografia nel mese di giugno 1997 difficilmente
avrebbe consentito l'individuazione di una lesione neoplastica. L'assunto risulta espresso con la frase che, per la valenza icasti
ca, si riporta testualmente: «... se l'avessi fatta io [la mammo
grafia] forse sì, se l'avesse fatta un altro forse no».
Oltre a ciò, il dott. Di Maggio ha chiarito che, in considera
zione del tipo di tumore, il ritardo nella effettuazione della dia
gnosi (stimato in circa sei mesi) ed il conseguente ritardo ri
spetto all'inizio della terapia d'elezione, non risultano evenien
ze di molto significative nella risposta terapeutica specifica. Il
perito ha, sul punto, dichiarato: «... statisticamente le dimensio
ni [del tumore] mi possono dire che quel numero di mesi [di ri
tardo] non sia stato determinante».
Al riguardo si deve anche rilevare che il decesso della paziente risulta intervenuto in prossimità dello scadere del quinquennio,
rispetto all'inizio della terapia aggressiva, e cioè in uno spazio
temporale che connota la speranza di vita del 50 per cento dei
pazienti nell'ambito delle neoplasie trattate chirurgicamente. Nel corso dell'udienza dibattimentale il dott. Rago ha offerto
sul punto alcuni indici statistici, rilevando che in considerazione
della natura particolarmente aggressiva della neoplasia che ave
va affetto la donna, è dato stimare una speranza di vita, a cinque anni dall'intervento, nell'ordine del 58,7 per cento.
Il perito ha pure chiarito che il ritardo nella diagnosi può ave re determinato una perdita di probabilità di sopravvivenza oltre i
cinque anni, nell'ordine del 15-20 per cento.
Orbene, le indicazioni tecnico-scientifiche espresse dal colle
gio peritale, pure parametrate ai dati anamnestici forniti dalla
parte offesa, non consentono di ritenere che la realizzazione da
parte del medico della condotta doverosa avrebbe impedito la
verificazione dell'evento.
Si ritiene cioè che la legge scientifica di copertura, in rap
porto alla natura particolarmente aggressiva del tumore in og
getto, non consenta di addivenire ad una utile ricostruzione
controfattuale. Si registrano, infatti, margini di grave incertezza, in punto alla stessa sussistenza della massa tumorale, all'epoca in cui, secondo l'assunto accusatorio, il medico avrebbe dovuto diversamente determinarsi.
Oltre a ciò, sempre con riguardo a tale momento, i periti non
danno alcuna certa indicazione sul fatto che l'analisi strumen
tale d'elezione (mammografia) avrebbe consentito di diagnosti care la malattia, tenuto anche conto del processo infiammatorio in atto (mastopatia).
Ed infine, i periti ci dicono che, in ogni caso, la paziente avrebbe dovuto sottoporsi all'intervento chirurgico di mastec tomia e che la speranza di vita dei pazienti sottoposti a tali trat
tamenti, nel 50 per cento dei casi, non supera i cinque anni di vita dall'intervento.
Ritiene conclusivamente lo scrivente che l'analisi dell'incarto
processuale non consenta di ritenere che una diversa condotta da
parte del Leonidou avrebbe scongiurato il tragico evento, ovve ro lo avrebbe significativamente posticipato.
Anche attingendo ai dati numerologici espressi a più riprese dal collegio peritale, di cui si è dato analiticamente conto, con
riguardo alla percentuale di pazienti che sopravvivono oltre i
cinque anni dall'intervento, non è dato ritenere con alto grado di
probabilità logica che la condotta omissiva del medico curante sia stata condizione necessaria dell'evento lesivo in concreto verificatosi.
Residua pertanto un insuperabile dubbio, sulla efficacia condi zionante della condotta omissiva in addebito, rispetto ali'exitus.
Ai fini che interessano nella presente fase processuale, è dato ritenere che il quadro probatorio acquisito (e non altrimenti in
tegrabile) sia insufficiente per sostenere l'accusa in giudizio, e ciò con specifico riguardo alla dimostrazione di sussistenza de
gli elementi obiettivi della fattispecie di reato in iscrizione. Per le spiegate ragioni lo scrivente è assolto dall'obbligo di
censire gli eventuali profili ascrivibili a colpa nella condotta omissiva del sanitario.
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