+ All Categories
Home > Documents > Sentenza 9 giugno 1961; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Jachia ed altri (Avv. Jachia) c....

Sentenza 9 giugno 1961; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Jachia ed altri (Avv. Jachia) c....

Date post: 31-Jan-2017
Category:
Upload: phamthuy
View: 217 times
Download: 4 times
Share this document with a friend
4
Sentenza 9 giugno 1961; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Jachia ed altri (Avv. Jachia) c. Fall. I.c.e.m. (Avv. Volonteri) Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 4 (1962), pp. 793/794-797/798 Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARL Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23150454 . Accessed: 25/06/2014 04:39 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Il Foro Italiano. http://www.jstor.org This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 04:39:07 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
Transcript
Page 1: Sentenza 9 giugno 1961; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Jachia ed altri (Avv. Jachia) c. Fall. I.c.e.m. (Avv. Volonteri)

Sentenza 9 giugno 1961; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Jachia ed altri (Avv. Jachia) c.Fall. I.c.e.m. (Avv. Volonteri)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 4 (1962), pp. 793/794-797/798Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150454 .

Accessed: 25/06/2014 04:39

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

.

Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.

http://www.jstor.org

This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 04:39:07 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 2: Sentenza 9 giugno 1961; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Jachia ed altri (Avv. Jachia) c. Fall. I.c.e.m. (Avv. Volonteri)

793 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 794

I Si & sõpra detto ehe non constano a questa Corte prece

denti specifici sul punto controverso : ritiene questo Collegio ehe il proprio apprezzamento negativo sulla questione con

troversa sia aderente al nuovo sistema prooessuale instaurato

dal codioe vigente e alia elaborazione giurisprudenziale vin

colata alle norme del diritto positivo, quali in particolare

emergono a regolamentazione dell'istituto in esame dagli art. 392, 393, 394 cod. proc. civile.

La Corte suprema, con sentenza 12 dicembre 1955, n.

3858 (Foro it., Rep. 1955, voce Einvio civ., n. 31), fis

sando i limiti di ammissibilitä di prove e documenti nuovi

nel giudizio di rinvio, ha stabilito che : «davanti al giudice di rinvio le parti rimesse per ottenere una nuova sentenza

in luogo di quella cassata dovranno limitarsi a riproporre la controversia nello stato di istruzione anteriore alia sen

tenza cassata, non essendo consentita alcuna innovazione

alio stato della controversia che giunge al giudice di rinvio

ad istruzione chiusa . . . ».

Nella motivazione della sentenza ha scritto : «La for

mulazione letterale dell'art. 399 cod. proc. civ., nei suoi tre

distinti comma, contiene una disciplina organica autonoma

e completa del giudizio di rinvio, che esclude il ricorso ad

altre norme, la coordinazione con altre disposizioni di ca

rattere generale : soltanto la prima parte fa richiamo alle

ordinarie regole stabilite per il procedimento davanti al

giudice al quale la causa e rimessa, laddove i due capoversi

successivi, avvertendo che le parti conservano le posizioni che aveva.no nella precorsa udienza di remissione della causa

al collegio, limitano quel richiamo. L'impostazione della

causa deve nel giudizio di rinvio rimanere quella che era nella

fase precedente : il divieto di nuove conclusioni impedisce di adottare conclusioni diverse da quelle che costituiscono

il petitum nel giudizio definito con la sentenza di annulla

inento e di mutare la causa petendi ove siffatta immutazione

determini mutamento del tema litigioso ». Successivamente,

con sentenza 25 marzo 1960, n. 629 (Foro it., 1960, I, 961), la Corte suprema, stabilendo il principio della impossibi lity nel giudizio di rinvio della modificazione dei termini

oggettivi della controversia, ha ribadito che, in base al

sistema del diritto positivo, il giudizio di rinvio appare come un processo chiuso destinato esclusivamente alia

nuova statuizione del giudice di merito in sostituzione di

quella cassata.

Ritiene la Corte, sulla scorta dell'insegnamento del Su

premo collegio, 1'impossibility del richiamo ai principi gene rali dell'intervento in causa, per affermare la possibility

dell'mtervento in sede di rinvio, tenuto conto che tale isti

tuto 6 regolato con uno schema rigido che non consente

interpretazioni analogiche ed estensive. Ne va taciuto che il

principio della immutability della domanda proprio del

giudizio di rinvio sarebbe nella specie violato sotto il profilo

soggettivo. Nel testo dell'ult. comma dell'art. 394 cod. proc. civ.,

per cui «le parti non possono prendere conclusioni diverse

da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sen

tenza cassata, salvo che la necessity di nuove conclusioni

non sorga dalla sentenza di cassazione », si e ritenuto in

dottrina trovare un temperamento al principio della inam

missibility dell'intervento del terzo nel giudizio di rinvio :

si & detto che il novum nel giudizio di rinvio fe in funzione

della sentenza cassata, e cosi anche la novity di persone ;

se nel giudizio di rinvio le parti conservano la posizione che

avevano nel precedente processo, e quindi se il precedente

procedimento era in fase di appello, la posizione delle parti

e le relative preclusioni saranno quelle del giudizio di ap

pello. L'intervento potry quindi consentirsi solo con le re

gole proprie del giudizio di appello, in relazione perõ alla

sentenza cassata, e quindi esso dovry limitarsi ai terzi

che potrebbero fare opposizione, ma soltanto se l'interesse

all'intervento nasce dalla sentenza di cassazione : non puõ

quindi essere concesso di intervenire a terzi, che avrebbero

potuto farlo nel giudizio di appello antecedentemente alia

pronunzia della sentenza cassata.

Ma neanche sotto il profilo suddetto, nella specie la Soc.

Aedes sarebbe legittimata all'intervento e ciõ per l'ovvio

rilievo che dalla sentenza della Corte di cassazione che, an

nullando la sentenza della Corte di Milano, ha rimesso la

causa a questa Corte, non nasce per essa Societa un interesse

all'intervento : detta sentenza escludendo clie la Soc. Mar

visa avesse in base ad un valido rapporto traslativo acqui stato i diritti della Aedes e negando conseguentemente alla Soe. Marvisa la legittimazione ad agire per la tutela

di diritti ad essa non spettanti, non ha alcun diritto dalla

Aedes, determinando l'insorgenza di un interesse nellastessa

tale da legittimare un suo intervento in causa ; diversa sa

rebbe la soluzione ove la sentenza di cassazione avesse ri

conosciuto alia Marvisa la titolaritä di diritti propri della

Aedes, poiche in tal caso sorgerebbe l'interesse di quest'ul tima ad intervenire nel giudizio a tutela e riparazione del

suo diritto leso.

Per le considerazioni sopra svolte deve escludersi la pos sibilitä dell'intervento della Soc. coop. Aedes in questo

giudizio. Le conseguenze che vanno tratte in diritto da quanto

premesso sono le seguenti: inammissibilita dell'intervento

della Soc. coop. Aedes : difetto di legittimazione attiva

della Soc. per az. Marvisa, priva a qualsiasi titolo del di

ritto fatto valere in giudizio. Per questi motivi, ecc.

CORTE D'APPELLO DI MILANO.

Sentenza 9 giugno 1961 ; Pres. Bevedicenti P., Est. Della

Valle ; Jachia ed altri (Aw. Jachia) c. Fall. I.c.e.m.

(Aw. Volonteri).

Fallimento — Delegazione di pagamento perfezionata

prima del fallimento del delegante — Eseeuzione

suecessiva — Opponihilita alia massa (Cod. civ., art. 1269, 1723 ; r. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 78).

Sono opponibili ai creditori del delegante i pagamenti effet tuati dal delegato pur dopo la dichiarazione di fallimento del delegante medesimo. (1)

La Corte, ecc. — Muovendo dal rilievo che nell'accordo, intervenuto il 15 gennaio 1954 tra la failita I.c.e.m. e la

(1) Nei precisi termini della massima non risultano pre cedents

I/Si sentenza Cass. 16 ottobre 1959, n. 2885 (Foro it., 1959,

I, 1838), richiamata in motivazione, aveva ritenuto applicabile l'art. 78 legge fall., che prevede il fallimento di una delle parti come causa di scioglimento del contratto di conto corrente, di mandato e di commissione, ad un caso di delegazione di paga

mento, mediante sconto di cambiale tratta non accettata, per fezionata prima della dichiarazione di fallimento del traente, con la conseguenza che il pagamento successivamente effettuato

era stato dichiarato inopponibile alia massa. Nel senso che il

fallimento del mandante estingua il mandato conferito in rem

pro-priam o nell'interesse anche di terzi, in virtü dell'art. 1723

cod. civ., che la sentenza in esame ha ritenuto applicabile anche

alia delegazione di pagamento, v. Trib. Milano 28 marzo 1960,

id., 1961, I, 372, con nota di richiami.

In dottrina, sugli argomenti trattati in sentenza, cfr.

Giacobbe, Mandato nell'interesse anche del mandatario o di terzi

e fallimento del mandante, in Giust. civ., 1960, I, 1673 ; Provin

cial]:, Mannale di diritto fallimentare, I, pag. 650, il quale ritiene

incompatibile l'art. 1723 cod. civ. con la natura e le finalitä.

del fallimento ; Bonelli, Del fallimento, I, pag. 260, secondo cui

le delegazioni di pagamento accettate, in quanto hanno l'effetto

di separare definitivamente e validamente, anche di fronte ai

terzi, di diritto se non di fatto, una qualche attivitä dal patri monio del fallito, sono vincolative per la massa, salvo l'eventuale

esperimento dell'azione revocatoria. Per la differenza, accennata in motivazione, tra delegazione

di pagamento e cessione di credito, v. Cass. 10 agosto 1960,

n. 2354, Foro it., 1960, I, 1689 (eitata nel testo), nonchä, sulla

delegazione come negozio unico con tre soggetti e per l'analisi

dei rapporti sottostanti, Cass., 9 ottobre 1958, n. 3178, id.,

1959, I, 400 (pure eitata nel testo).

Il Foro Itauano — Volume LX XXV — Parte 1-51.

This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 04:39:07 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 3: Sentenza 9 giugno 1961; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Jachia ed altri (Avv. Jachia) c. Fall. I.c.e.m. (Avv. Volonteri)

PARTE PRIMA

Societä linificio e canapificio nazionale mancava «1'esplicita designazione da parte della delegante ai propri creditori del nuoyo debitore, nonche 1'obbligazione di costui nei con fronti dei creditori della delegante », i primi Giudiei dissero ehe nella specie si era di fronte, non giä ad una « delegazione di pagamento », ma ad una vera e propria «cessione di credito », revocabile, quale mezzo anormale di pagamento, a norma dell'art. 67, n. 2, legge fall., e, dato atto ehe il Linificio non si era affatto curato di liberarsi dalla presun zione di scientia decoctionis posta dalla legge a suo carico, accolsero pertanto la domanda dell'attrice curatela, con

dannando, di conseguenza, sia il Linificio solvens sia gli altri convenuti accipientes a « restituire » la somma versata dal primo a questi ultimi in dipendenza del suddetto ac cordo. (Omissis)

Accolto pertanto l'appello proposto dallo Jachia con la conseguente condanna dell'appellante curatela alia rifu sione delle spese tutte di giudizio, la Corte ritiene che del

pari meritevole di accoglimento sia la impugnazione pro dotta dal Linificio.

Giova anzitutto premettere che l'impostazione data dal Tribunale al problema sottopostogli non 6 assolutamente da

condiyidere, in quanto 6 troppo semplicistica, oltre che

incompleta, nelle sue linee essenziali. La questione, che nella specie si poneva, non era, infatti, soltanto quella intesa a stabilire se nell'accordo negoziale intervenuto tra la failita I.c.e.m. ed il Linificio si dovesse ravvisare una dele

gazione di pagamento, piuttosto che non una cessione di

credito, ma era anche e soprattutto quella rivolta ad accer tare quale efficacia dovesse attribuirsi al pagamento ese

guito dal Linificio successivamente bensi alia dichiarazione di fallimento della delegante, ma in forza di un mandato a lui conferito antecedentemente a tale dichiarazione, e da lui accettato : il che vuol dire, in altri termini, che al Tribunale veniva posto, non solo il problema della identi ficazione dell'atto negoziale, ma anche quello della deter minazione degli effetti derivati dalla intervenuta dichiara zione di fallimento sulla validitä ed operativitä del mandato conferito e accettato prima del fallimento, ma eseguito dal mandatario a fallimento della mandante dichiarato.

Il Tribunale, cui e evidentemente sfuggito questo deli cato aspetto del problema, si e limitato a dire che nella

specie si trattava di cessione di credito e non di delegazione di pagamento, e, in base a questo solo rilievo (dopo aver richiamato il carattere di « mezzo anormale di pagamento » che la cessione di credito riveste), ha accolto la domanda di revoca proposta dalla curatela ai sensi dell'art. 67, n. 2, legge fall., senza nemmeno avvertire che, col parlare di

obbligo di «restituzione » nei confronti del solvens Lini

ficio, incorreva in una manifesta impropriety di linguaggio, giacche non di «restituzione», avrebbe, se mai, dovuto

parlare, presupponendo questa una precedente «perce zione », ma di « rinnovazione di pagamento » quale conse

guenza della inefficacia liberatoria di quello precedente mente eseguito.

Senonche non si trattava di cessione ; che, se avesse con maggior cura esaminato l'accordo del 15 gennaio 1954, si sarebbe certamente accorto il Tribunale che, contraria mente a quanto scritto in sentenza, non mancava in esso, ne «l'esplicita designazione da parte della delegante ai suoi creditori del nuovo debitore», ne «l'obbligazione di costui nei confronti dei creditori della delegante », dal momento che tutti i partecipanti, delegante, delegato e delegatari, lo avevano sottoscritto «per accettazione», dando cosi vita a quel rapporto unitario trilatero che, nettamente

distinguendosi dalla « cessione di credito », che e rapporto a due, tra cedente e cessionario, costituisce, secondo l'opi nione generalmente seguita (ben pochi consensi raccoglie infatti attualmente la contraria teoria cosiddetta « atomi stica », che costruisce il negozio delegatorio, come un atto unilaterale del delegante seguito da un rapporto autonomo costituito tra delegato e delegatario), la caratteristica ed al

tempo stesso l'essenza della delegatio solvendi (in tal senso cfr. Cass. 10 agosto 1960, n. 2354, Foro it., 1960, I, 1689 ; e 9 ottobre 1958, n. 3178, id., 1959, I, 400).

Ma il problema non 6 tutto qui, giacche a complicarne

la soluzione sta nella specie la circostanza, non molto fre

quente a verificarsi, che successivamente alia emanazione deWiussum da parte della mandante (clie l'atto delegatorio ponga in essere un rapporto di mandato 6 ormai opinione comunemente accolta dopo che 6 stata abbandonata l'op posta teoria, che ravvisava in esso una semplice « autoriz zazione », in forza della quale il delegato acquistava la fa coltä di dare ad altri, coi medesimi effetti, ciõ che avrebbe dovuto dare al delegante), la delegante I.c.e.in., prima clie a detto iussum fosse data pratica esecuzione da parte del

delegato Linificio, e cioe che fosse realizzato il rapporto da esso deriyante, e stata dicbiarata failita, con tutte le

conseguenze che tale dichiarazione postula (art. 42). Lasciando da parte la situazione di quei conyenuti

accipientes che, come il Palmizio, il Magno ed il Kiva, hanno prestato acquiescenza alia pronuncia che li ha dichia rati tenuti a restituire alia curatela le somme ayute dal Linificio e nei confronti del quali non e piu consentito, vietandolo il giudicato, porre in discussione il problema dei limiti dell'azione spettante alia curatela, 6 chiaro pertanto che, cosi stando le cose, ayrebbe dovuto il Tribunale spin gere la sua indagine su due piani convergenti onde stabi lire se e fino a qual punto fosse da ritenersi liberatorio verso la massa il pagamento effettuato dal Linificio.

La prima indagine era ovviamente quella intesa a co

gliere l'intrinseca natura dell'atto delegatorio al fine di stabilire correlativamente se fosse o non ad esso applicabile l'art. 78 legge fall., che prevede « il fallimento di una delle

parti» come causa di scioglimento del contratto di conto

corrente, di mandato e di commissione. Una volta risolto affermativamente questo primo que

sito, avrebbe dovuto il Tribunale affrontarne poi un se

condo, onde accertare se nella specie dovesse o non trovare

applicazione la norma dell'art. 1723, capo v., cod. civ., secondo la quale « il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi non si estingue per la morte o

per la sopravvenuta incapacity del mandante ». A tale indagine accingendosi ora, la Corte pensa che

sulla generica appartenenza dell'atto delegatorio al piu vasto genus del mandato non si possa nutrire alcun ragio nevole dubbio, essendo innegabile clie 1 'iussum rivolto al

delegato di eseguire ad un terzo il pagamento di un deter minate debito integra in effetti, con esso identificandosi, quel conferimento di incarico che, secondo la nozione accolta nel

vigente codice, costituisce la vera essenza del mandato. Piuttosto contrastata & invece la soluzione dell'altro

quesito circa la possibility di ritenere compreso nel mandato, di cui e cenno nell'art. 78 legge fall., anche l'atto delegatorio di cui all'art. 1269 cod. civ., sostenendosi da una certa cor rente dottrinaria che i due atti non siano tra loro assimila

bili, ai particolari effetti previsti nel cit. art. 78, stante la

mancanza, nel secondo di essi, di quell'intuitus personae che nel mandato per cosl dire tipico 6 invece immancabil mente presente. Ma il rilievo non regge su solida base non essendovi alcun serio motivo per credere che, parlando gene ricamente di « mandato », abbia inteso il legislatore rife rirsi alia fattispecie tipica, considerata nel suo aspetto di

species piuttosto che non come genus, e dovendosi, al con

trario, riconoscere che le stesse ragioni che giustificano lo

scioglimento del contratto rispetto al negozio «tipico » di

mandato, restrittivamente inteso, militano anche rispetto alia delegazione, identico essendo il contenuto sostanziale dell'uno e dell'altro istituto ed a nulla rilevando che l'uno si esaurisca il piu delle volte in un contratto bilaterale, mentre il secondo si atteggi costantemente come rapporto trilatero.

Si puõ quindi tenere per fermo (in conformity di quanto e stato affermato di recente dalla Suprema corte regolatrice con sentenza 16 ottobre 1959, n. 2885, Foro it., 1959, I, 1838) che nella disposizione dell'art. 78 va ricompresa anche l'ipotesi della delegazione di pagamento fatta dal

fallito, rientrando essa nell'ampio genus del mandato inteso in senso lato.

Ma la riconosciuta applicability dell'articolo predetto (e si passa cosi alia seconda indagine che la soluzione della lite impone) non implica che tutti gli atti posti in essere dal delegato, successivamente al fatto giuridico suscettib le

This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 04:39:07 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions

Page 4: Sentenza 9 giugno 1961; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Jachia ed altri (Avv. Jachia) c. Fall. I.c.e.m. (Avv. Volonteri)

797 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 798

di assurgere a causa di scioglimento del negozio delegatorio, debbano sempre ed indistintamente ritenersi ineffioaci ed

inopponibili come tali ai mandante, giacche, ad evitare taie conseguenza, sta il disposto dell'art. 1723, il quale sta bilisce ehe «il mandato conferito anclie nell'mteresse del mandatario o di terzi non si estingue per la morte o per la

soprawenuta inoapaoitä del mandante ».

Vero e ehe si k> talvolta sostenuto da piu parti ehe taie norma sarebbe inapplieahile rispetto all'art. 78, e ehe taie tesi si e eeroato di sorreggere, osservando ehe nel suddetto artieolo non 6 prevista alcuna eccezione ai principio gene rate dello scioglimento del mandato e ehe, d'altra parte, il fallito non puõ qualificarsi un vero e proprio «incapace » ; ma ne l'una ne l'altra argomentazione regge ad una serena

critica, giacche, quanto alla prima, e sufficiente a metterne inrisaltol'inoonsistenza di considerare ehe non vi e aleuna

ragione logica per ritenere ehe i principi dettati dal codice civile in materia di mandato non debbano e non possano

applicarsi anclie in tema di mandato dato ai fallito e da costui conferito ad altri, quasi ehe fossero incompatibili eon le norme ehe regolano la procedura concorsuale, e,

quanto alla seconda, ehe di fronte alla dizione dell'art. 42

legge fall, e assolutamente arbitrario tentare di restringere la sfera dei poteri dispositivi di eui il fallito e costretto a

subire la perdita per effetto dello status in eui la dichiara

zione di dissesto lo pone. La impossibilitä logico-giuridica di ritenere ehe, nel di

sciplinare lo scioglimento del mandato quale conseguenza del fallimento del mandante o del mandatario, si sia voluto

preseindere dalle norme generali ehe regolano 1'estinzione del mandato, ponendo eccezioni e deroghe in determinati casi meritevoli di particolare considerazione, porta a disat tendere l'interpretazione restrittiva ehe dell'art. 78 6 stata

proposta ed a considerare come causa impeditiva della

estinzione del mandato, in caso di morte o di soprawenuta

incapacity del mandante, 1'interesse ehe il mandatario o i

terzi possono avere a ehe il mandato abbia intera la sua

pratica realizzazione. (Sull'applicabilitä dell'art. 1723 cod.

civ. ai caso del fallimento del mandante, efr. Cass. 5 no

vembre 1959, n. 3284, Foro it., 1960, I, 228). Nella specie, 1'interesse dei terzi a tale realizzazione e

fuor di dubbio, risultando dall'accordo del 15 gennaio 1954

ehe il delegato Linificio, con 1'accettare Viusswm, delega torio impartitogli dalla creditrice I.c.e.m., venne ad obbli

garsi direttamente nei confronti dei terzi creditori di questa ultima, ehe ottennero in tal modo una ulteriore e piu forte

tutela per il loro eredito originario. Nonostante 1'intervenuto fallimento 1'atto delegatorio

conservõ pertanto la sua piena efficienza giuridica : il ehe

importa ehe il Linificio assolse validamente la sua obbli

gazione, conseguendo, eol pagamento fatto, la definitiva

liberazione dal debito originario. Ben diverso problema avrebbe dovuto ancora la Corte

risolvere qualora, ai fine di sentir compensato ai sensi del

l'art. 56 legge fail. il eredito concorsuale sorto in suo favore

dalla esecuzione del mandato eol preesistente suo debito verso la failita, si fosse fatto il Linificio ad invocare in suo favore la norma dell'art. 1729 cod. civ., ehe stabilisce, come si sa, la piena validitä, nei confronti del mandante o

dei suoi eredi, degli atti ehe il mandatario ha compiuto

prima di conoscere 1'estinzione del mandato.

Ma 1'accertata sussistenza della causa impeditiva, di eui

si h, detto, ha evidentemente sconsigliato all'appellante di

appoggiarsi ad una tesi ehe, accolta legislativamente in

G-ermania e sostenuta presso di noi da un'autorevole cor

rente dottrinaria, sembra assai difficilmente sostenibile alio

stato attuale della nostra legislazione, stante la divergenza del sistema fallimentare italiano rispetto a quello tedesco

e attesa la presunzione iwris et de iure di generale cono

scenza, ehe viene di solito ricollegata (pur non mancando

in dottrina qualche voce di dissenso) alla pronuncia della

sentenza dichiarativa di fallimento.

L'appello deve essere pertanto accolto con la condanna

della euratela appellata alla rifusione in favore del Linificio

delle spese tutte dei due gradi del giudizio. Per questi motivi, ecc.

GORTE D'APPELLO DI TORINO.

Sentenza 5 maggio 1961 ; Pres. Piazzese P., Est. Diez, P. M. Antonioletti (conol. parz. diff.) ; Riseria Yignola (Aw. Cappa) c. Eomano (Aw. EoSetti).

Lavoro (rapporfo) —

Computo delle indcnnit ä di

preavviso di anzianitä — Clausola di contratto collettivo postcorporativo comprensiva dei rim borsi di spese — Validifä — timiti (Cod. civ., art. 2121).

il valida, perche piil favorevole ai lavoratori, la clausola di contratto collettivo postcorporativo, che, in difformita del I'art. 2121 cod. civ., impone di computare, ai fini del cal colo delle indennitä di preavviso e di anzianitä, anche i

rimborsi di spese, che abbiano carattere continuativo e

siano di ammontare determinato (nella specie trattavasi di

indennitä vitto e alloggio). (1)

La Corte, eoo. — (Omissis). La seconda configurazione

della censura attiene all'avere il Tribunale fatto rientrare nella « retribuzione mensile » del Eomano anche le lire 52.000

mensili, che avevagli riconosciuto dovute per «indennitä vitto e alloggio », ora ridotte a sole lire 36.000 mensili, in virtu del capo giä dalla Corte deciso in tal senso.

Copiosa b la mole delle critiche che l'appellante ha svolto in proposito, ma la Corte stima necessario, anzitixtto, porre in rilievo le due previsioni in materia del codice civile e del contratto collettivo 18 luglio 1952, concernente il perso nale dell'industria risiera, notando che esse non presentano una dizione identica. Mentre infatti e risaputo che l'art. 2121, 1° comma, cod. civ., recita : « . . . calcolarsi computando . . .

ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclu

sione di quanto h corrisposto a titolo di rimborso di spese », il quarto alinea della lett. c) dell'esaminato art. 32 con

tratto collettivo, suona : « agli effetti del presente articolo

sono compresi, nella retribuzione, oltre le provvigioni, ecc.

anche gli altri elementi costitutivi della retribuzione, aventi carattere continuativo e che siano d'ammontare

determinato » ; ne e riportata l'importante esclusione fatta dal codice civile riguardo ai «rimborsi delle spese» (del

lavoratore). Eimborsi i quali pure si possono verificare, in pratica, come reiterantisi in una serie cronologica con

tinuativa (ad esempio, tutti i giorni l'imprenditore risente

la necessitä di inviare il dipendente a far commissioni

fuori del comune, cagionandogli la necessity di pranzar fuori, ecc.).

Se, pertanto, e altrettanto autorevole che esatta quella

dottrina, secondo cui, dal concetto di compenso (e, quindi, dalla comprensione del computo della indennitä d'anzia

nitä giusta il 1° comma dell'art. 2121), esorbita quel che

al lavoratore venga dato, non affinchö ne tragga o ne

põssa trarre fonte di guadagno, bensi ai fini d'indenniz

zarlo di una impensata, casuale, contingente perdita sorta

(1) Sia nella sentenza 14 dicembre 1960, n. 3246 (Foro it.,

Rep. 1960, -voce Lavoro (rapporto), nn. 371-376 ; Giur. it., 1961, I, 1, 288, con osservazioni critiche di Ardau), alcuni passi della cui motivazione sono riportati nella presente pronuncia, sia nella

precedente sentenza 13 maggio 1960, n. 1149 (Foro it1961, I, 103, con nota di richiami, cui adde Ardau. in Giur. it., 1960, I, 1, 762), la Cassazione, al fine di computare, nel calcolo della indennitä, di preavviso e di anzianitä, 1'indennitä di cassa corri

sposta ai bancari, ed entro certi limiti, l'indennita, « concorso

spese tram », nel primo caso, e l'indennita di «fuori residenza »

e di «trasferta», corrisposta mensilmente al lavoratore, nel

secondo caso, si e fondata sulla premessa che l'esclusione dal

computo, sancita neH'art. 2121, non & applicabile « quando il

rimborso sia riferito, non alia spesa che il lavoratore e chiamato a sostenere nella prestazione di lavoro, bensi alia spesa che egli deve, in ogni caso, affrontare per mettersi in grado di fornire il proprio lavoro » (cosi la sentenza n. 1149 del 1960) ; la Corte

d'appello di Torino affianca a questa argomentazione l'altra, basata sul carattere della clausola del contratto postcorpora tivo, piü favorevole al lavoratore della disciplina contenuta nel 1° comma deirart. 2121.

This content downloaded from 91.229.248.152 on Wed, 25 Jun 2014 04:39:07 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions


Recommended