Sentenza 9 giugno 1961; Pres. Benedicenti P., Est. Della Valle; Jachia ed altri (Avv. Jachia) c.Fall. I.c.e.m. (Avv. Volonteri)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 4 (1962), pp. 793/794-797/798Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150454 .
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793 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 794
I Si & sõpra detto ehe non constano a questa Corte prece
denti specifici sul punto controverso : ritiene questo Collegio ehe il proprio apprezzamento negativo sulla questione con
troversa sia aderente al nuovo sistema prooessuale instaurato
dal codioe vigente e alia elaborazione giurisprudenziale vin
colata alle norme del diritto positivo, quali in particolare
emergono a regolamentazione dell'istituto in esame dagli art. 392, 393, 394 cod. proc. civile.
La Corte suprema, con sentenza 12 dicembre 1955, n.
3858 (Foro it., Rep. 1955, voce Einvio civ., n. 31), fis
sando i limiti di ammissibilitä di prove e documenti nuovi
nel giudizio di rinvio, ha stabilito che : «davanti al giudice di rinvio le parti rimesse per ottenere una nuova sentenza
in luogo di quella cassata dovranno limitarsi a riproporre la controversia nello stato di istruzione anteriore alia sen
tenza cassata, non essendo consentita alcuna innovazione
alio stato della controversia che giunge al giudice di rinvio
ad istruzione chiusa . . . ».
Nella motivazione della sentenza ha scritto : «La for
mulazione letterale dell'art. 399 cod. proc. civ., nei suoi tre
distinti comma, contiene una disciplina organica autonoma
e completa del giudizio di rinvio, che esclude il ricorso ad
altre norme, la coordinazione con altre disposizioni di ca
rattere generale : soltanto la prima parte fa richiamo alle
ordinarie regole stabilite per il procedimento davanti al
giudice al quale la causa e rimessa, laddove i due capoversi
successivi, avvertendo che le parti conservano le posizioni che aveva.no nella precorsa udienza di remissione della causa
al collegio, limitano quel richiamo. L'impostazione della
causa deve nel giudizio di rinvio rimanere quella che era nella
fase precedente : il divieto di nuove conclusioni impedisce di adottare conclusioni diverse da quelle che costituiscono
il petitum nel giudizio definito con la sentenza di annulla
inento e di mutare la causa petendi ove siffatta immutazione
determini mutamento del tema litigioso ». Successivamente,
con sentenza 25 marzo 1960, n. 629 (Foro it., 1960, I, 961), la Corte suprema, stabilendo il principio della impossibi lity nel giudizio di rinvio della modificazione dei termini
oggettivi della controversia, ha ribadito che, in base al
sistema del diritto positivo, il giudizio di rinvio appare come un processo chiuso destinato esclusivamente alia
nuova statuizione del giudice di merito in sostituzione di
quella cassata.
Ritiene la Corte, sulla scorta dell'insegnamento del Su
premo collegio, 1'impossibility del richiamo ai principi gene rali dell'intervento in causa, per affermare la possibility
dell'mtervento in sede di rinvio, tenuto conto che tale isti
tuto 6 regolato con uno schema rigido che non consente
interpretazioni analogiche ed estensive. Ne va taciuto che il
principio della immutability della domanda proprio del
giudizio di rinvio sarebbe nella specie violato sotto il profilo
soggettivo. Nel testo dell'ult. comma dell'art. 394 cod. proc. civ.,
per cui «le parti non possono prendere conclusioni diverse
da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sen
tenza cassata, salvo che la necessity di nuove conclusioni
non sorga dalla sentenza di cassazione », si e ritenuto in
dottrina trovare un temperamento al principio della inam
missibility dell'intervento del terzo nel giudizio di rinvio :
si & detto che il novum nel giudizio di rinvio fe in funzione
della sentenza cassata, e cosi anche la novity di persone ;
se nel giudizio di rinvio le parti conservano la posizione che
avevano nel precedente processo, e quindi se il precedente
procedimento era in fase di appello, la posizione delle parti
e le relative preclusioni saranno quelle del giudizio di ap
pello. L'intervento potry quindi consentirsi solo con le re
gole proprie del giudizio di appello, in relazione perõ alla
sentenza cassata, e quindi esso dovry limitarsi ai terzi
che potrebbero fare opposizione, ma soltanto se l'interesse
all'intervento nasce dalla sentenza di cassazione : non puõ
quindi essere concesso di intervenire a terzi, che avrebbero
potuto farlo nel giudizio di appello antecedentemente alia
pronunzia della sentenza cassata.
Ma neanche sotto il profilo suddetto, nella specie la Soc.
Aedes sarebbe legittimata all'intervento e ciõ per l'ovvio
rilievo che dalla sentenza della Corte di cassazione che, an
nullando la sentenza della Corte di Milano, ha rimesso la
causa a questa Corte, non nasce per essa Societa un interesse
all'intervento : detta sentenza escludendo clie la Soc. Mar
visa avesse in base ad un valido rapporto traslativo acqui stato i diritti della Aedes e negando conseguentemente alla Soe. Marvisa la legittimazione ad agire per la tutela
di diritti ad essa non spettanti, non ha alcun diritto dalla
Aedes, determinando l'insorgenza di un interesse nellastessa
tale da legittimare un suo intervento in causa ; diversa sa
rebbe la soluzione ove la sentenza di cassazione avesse ri
conosciuto alia Marvisa la titolaritä di diritti propri della
Aedes, poiche in tal caso sorgerebbe l'interesse di quest'ul tima ad intervenire nel giudizio a tutela e riparazione del
suo diritto leso.
Per le considerazioni sopra svolte deve escludersi la pos sibilitä dell'intervento della Soc. coop. Aedes in questo
giudizio. Le conseguenze che vanno tratte in diritto da quanto
premesso sono le seguenti: inammissibilita dell'intervento
della Soc. coop. Aedes : difetto di legittimazione attiva
della Soc. per az. Marvisa, priva a qualsiasi titolo del di
ritto fatto valere in giudizio. Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI MILANO.
Sentenza 9 giugno 1961 ; Pres. Bevedicenti P., Est. Della
Valle ; Jachia ed altri (Aw. Jachia) c. Fall. I.c.e.m.
(Aw. Volonteri).
Fallimento — Delegazione di pagamento perfezionata
prima del fallimento del delegante — Eseeuzione
suecessiva — Opponihilita alia massa (Cod. civ., art. 1269, 1723 ; r. d. 16 marzo 1942 n. 267, disciplina del fallimento, art. 78).
Sono opponibili ai creditori del delegante i pagamenti effet tuati dal delegato pur dopo la dichiarazione di fallimento del delegante medesimo. (1)
La Corte, ecc. — Muovendo dal rilievo che nell'accordo, intervenuto il 15 gennaio 1954 tra la failita I.c.e.m. e la
(1) Nei precisi termini della massima non risultano pre cedents
I/Si sentenza Cass. 16 ottobre 1959, n. 2885 (Foro it., 1959,
I, 1838), richiamata in motivazione, aveva ritenuto applicabile l'art. 78 legge fall., che prevede il fallimento di una delle parti come causa di scioglimento del contratto di conto corrente, di mandato e di commissione, ad un caso di delegazione di paga
mento, mediante sconto di cambiale tratta non accettata, per fezionata prima della dichiarazione di fallimento del traente, con la conseguenza che il pagamento successivamente effettuato
era stato dichiarato inopponibile alia massa. Nel senso che il
fallimento del mandante estingua il mandato conferito in rem
pro-priam o nell'interesse anche di terzi, in virtü dell'art. 1723
cod. civ., che la sentenza in esame ha ritenuto applicabile anche
alia delegazione di pagamento, v. Trib. Milano 28 marzo 1960,
id., 1961, I, 372, con nota di richiami.
In dottrina, sugli argomenti trattati in sentenza, cfr.
Giacobbe, Mandato nell'interesse anche del mandatario o di terzi
e fallimento del mandante, in Giust. civ., 1960, I, 1673 ; Provin
cial]:, Mannale di diritto fallimentare, I, pag. 650, il quale ritiene
incompatibile l'art. 1723 cod. civ. con la natura e le finalitä.
del fallimento ; Bonelli, Del fallimento, I, pag. 260, secondo cui
le delegazioni di pagamento accettate, in quanto hanno l'effetto
di separare definitivamente e validamente, anche di fronte ai
terzi, di diritto se non di fatto, una qualche attivitä dal patri monio del fallito, sono vincolative per la massa, salvo l'eventuale
esperimento dell'azione revocatoria. Per la differenza, accennata in motivazione, tra delegazione
di pagamento e cessione di credito, v. Cass. 10 agosto 1960,
n. 2354, Foro it., 1960, I, 1689 (eitata nel testo), nonchä, sulla
delegazione come negozio unico con tre soggetti e per l'analisi
dei rapporti sottostanti, Cass., 9 ottobre 1958, n. 3178, id.,
1959, I, 400 (pure eitata nel testo).
Il Foro Itauano — Volume LX XXV — Parte 1-51.
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PARTE PRIMA
Societä linificio e canapificio nazionale mancava «1'esplicita designazione da parte della delegante ai propri creditori del nuoyo debitore, nonche 1'obbligazione di costui nei con fronti dei creditori della delegante », i primi Giudiei dissero ehe nella specie si era di fronte, non giä ad una « delegazione di pagamento », ma ad una vera e propria «cessione di credito », revocabile, quale mezzo anormale di pagamento, a norma dell'art. 67, n. 2, legge fall., e, dato atto ehe il Linificio non si era affatto curato di liberarsi dalla presun zione di scientia decoctionis posta dalla legge a suo carico, accolsero pertanto la domanda dell'attrice curatela, con
dannando, di conseguenza, sia il Linificio solvens sia gli altri convenuti accipientes a « restituire » la somma versata dal primo a questi ultimi in dipendenza del suddetto ac cordo. (Omissis)
Accolto pertanto l'appello proposto dallo Jachia con la conseguente condanna dell'appellante curatela alia rifu sione delle spese tutte di giudizio, la Corte ritiene che del
pari meritevole di accoglimento sia la impugnazione pro dotta dal Linificio.
Giova anzitutto premettere che l'impostazione data dal Tribunale al problema sottopostogli non 6 assolutamente da
condiyidere, in quanto 6 troppo semplicistica, oltre che
incompleta, nelle sue linee essenziali. La questione, che nella specie si poneva, non era, infatti, soltanto quella intesa a stabilire se nell'accordo negoziale intervenuto tra la failita I.c.e.m. ed il Linificio si dovesse ravvisare una dele
gazione di pagamento, piuttosto che non una cessione di
credito, ma era anche e soprattutto quella rivolta ad accer tare quale efficacia dovesse attribuirsi al pagamento ese
guito dal Linificio successivamente bensi alia dichiarazione di fallimento della delegante, ma in forza di un mandato a lui conferito antecedentemente a tale dichiarazione, e da lui accettato : il che vuol dire, in altri termini, che al Tribunale veniva posto, non solo il problema della identi ficazione dell'atto negoziale, ma anche quello della deter minazione degli effetti derivati dalla intervenuta dichiara zione di fallimento sulla validitä ed operativitä del mandato conferito e accettato prima del fallimento, ma eseguito dal mandatario a fallimento della mandante dichiarato.
Il Tribunale, cui e evidentemente sfuggito questo deli cato aspetto del problema, si e limitato a dire che nella
specie si trattava di cessione di credito e non di delegazione di pagamento, e, in base a questo solo rilievo (dopo aver richiamato il carattere di « mezzo anormale di pagamento » che la cessione di credito riveste), ha accolto la domanda di revoca proposta dalla curatela ai sensi dell'art. 67, n. 2, legge fall., senza nemmeno avvertire che, col parlare di
obbligo di «restituzione » nei confronti del solvens Lini
ficio, incorreva in una manifesta impropriety di linguaggio, giacche non di «restituzione», avrebbe, se mai, dovuto
parlare, presupponendo questa una precedente «perce zione », ma di « rinnovazione di pagamento » quale conse
guenza della inefficacia liberatoria di quello precedente mente eseguito.
Senonche non si trattava di cessione ; che, se avesse con maggior cura esaminato l'accordo del 15 gennaio 1954, si sarebbe certamente accorto il Tribunale che, contraria mente a quanto scritto in sentenza, non mancava in esso, ne «l'esplicita designazione da parte della delegante ai suoi creditori del nuovo debitore», ne «l'obbligazione di costui nei confronti dei creditori della delegante », dal momento che tutti i partecipanti, delegante, delegato e delegatari, lo avevano sottoscritto «per accettazione», dando cosi vita a quel rapporto unitario trilatero che, nettamente
distinguendosi dalla « cessione di credito », che e rapporto a due, tra cedente e cessionario, costituisce, secondo l'opi nione generalmente seguita (ben pochi consensi raccoglie infatti attualmente la contraria teoria cosiddetta « atomi stica », che costruisce il negozio delegatorio, come un atto unilaterale del delegante seguito da un rapporto autonomo costituito tra delegato e delegatario), la caratteristica ed al
tempo stesso l'essenza della delegatio solvendi (in tal senso cfr. Cass. 10 agosto 1960, n. 2354, Foro it., 1960, I, 1689 ; e 9 ottobre 1958, n. 3178, id., 1959, I, 400).
Ma il problema non 6 tutto qui, giacche a complicarne
la soluzione sta nella specie la circostanza, non molto fre
quente a verificarsi, che successivamente alia emanazione deWiussum da parte della mandante (clie l'atto delegatorio ponga in essere un rapporto di mandato 6 ormai opinione comunemente accolta dopo che 6 stata abbandonata l'op posta teoria, che ravvisava in esso una semplice « autoriz zazione », in forza della quale il delegato acquistava la fa coltä di dare ad altri, coi medesimi effetti, ciõ che avrebbe dovuto dare al delegante), la delegante I.c.e.in., prima clie a detto iussum fosse data pratica esecuzione da parte del
delegato Linificio, e cioe che fosse realizzato il rapporto da esso deriyante, e stata dicbiarata failita, con tutte le
conseguenze che tale dichiarazione postula (art. 42). Lasciando da parte la situazione di quei conyenuti
accipientes che, come il Palmizio, il Magno ed il Kiva, hanno prestato acquiescenza alia pronuncia che li ha dichia rati tenuti a restituire alia curatela le somme ayute dal Linificio e nei confronti del quali non e piu consentito, vietandolo il giudicato, porre in discussione il problema dei limiti dell'azione spettante alia curatela, 6 chiaro pertanto che, cosi stando le cose, ayrebbe dovuto il Tribunale spin gere la sua indagine su due piani convergenti onde stabi lire se e fino a qual punto fosse da ritenersi liberatorio verso la massa il pagamento effettuato dal Linificio.
La prima indagine era ovviamente quella intesa a co
gliere l'intrinseca natura dell'atto delegatorio al fine di stabilire correlativamente se fosse o non ad esso applicabile l'art. 78 legge fall., che prevede « il fallimento di una delle
parti» come causa di scioglimento del contratto di conto
corrente, di mandato e di commissione. Una volta risolto affermativamente questo primo que
sito, avrebbe dovuto il Tribunale affrontarne poi un se
condo, onde accertare se nella specie dovesse o non trovare
applicazione la norma dell'art. 1723, capo v., cod. civ., secondo la quale « il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi non si estingue per la morte o
per la sopravvenuta incapacity del mandante ». A tale indagine accingendosi ora, la Corte pensa che
sulla generica appartenenza dell'atto delegatorio al piu vasto genus del mandato non si possa nutrire alcun ragio nevole dubbio, essendo innegabile clie 1 'iussum rivolto al
delegato di eseguire ad un terzo il pagamento di un deter minate debito integra in effetti, con esso identificandosi, quel conferimento di incarico che, secondo la nozione accolta nel
vigente codice, costituisce la vera essenza del mandato. Piuttosto contrastata & invece la soluzione dell'altro
quesito circa la possibility di ritenere compreso nel mandato, di cui e cenno nell'art. 78 legge fall., anche l'atto delegatorio di cui all'art. 1269 cod. civ., sostenendosi da una certa cor rente dottrinaria che i due atti non siano tra loro assimila
bili, ai particolari effetti previsti nel cit. art. 78, stante la
mancanza, nel secondo di essi, di quell'intuitus personae che nel mandato per cosl dire tipico 6 invece immancabil mente presente. Ma il rilievo non regge su solida base non essendovi alcun serio motivo per credere che, parlando gene ricamente di « mandato », abbia inteso il legislatore rife rirsi alia fattispecie tipica, considerata nel suo aspetto di
species piuttosto che non come genus, e dovendosi, al con
trario, riconoscere che le stesse ragioni che giustificano lo
scioglimento del contratto rispetto al negozio «tipico » di
mandato, restrittivamente inteso, militano anche rispetto alia delegazione, identico essendo il contenuto sostanziale dell'uno e dell'altro istituto ed a nulla rilevando che l'uno si esaurisca il piu delle volte in un contratto bilaterale, mentre il secondo si atteggi costantemente come rapporto trilatero.
Si puõ quindi tenere per fermo (in conformity di quanto e stato affermato di recente dalla Suprema corte regolatrice con sentenza 16 ottobre 1959, n. 2885, Foro it., 1959, I, 1838) che nella disposizione dell'art. 78 va ricompresa anche l'ipotesi della delegazione di pagamento fatta dal
fallito, rientrando essa nell'ampio genus del mandato inteso in senso lato.
Ma la riconosciuta applicability dell'articolo predetto (e si passa cosi alia seconda indagine che la soluzione della lite impone) non implica che tutti gli atti posti in essere dal delegato, successivamente al fatto giuridico suscettib le
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797 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 798
di assurgere a causa di scioglimento del negozio delegatorio, debbano sempre ed indistintamente ritenersi ineffioaci ed
inopponibili come tali ai mandante, giacche, ad evitare taie conseguenza, sta il disposto dell'art. 1723, il quale sta bilisce ehe «il mandato conferito anclie nell'mteresse del mandatario o di terzi non si estingue per la morte o per la
soprawenuta inoapaoitä del mandante ».
Vero e ehe si k> talvolta sostenuto da piu parti ehe taie norma sarebbe inapplieahile rispetto all'art. 78, e ehe taie tesi si e eeroato di sorreggere, osservando ehe nel suddetto artieolo non 6 prevista alcuna eccezione ai principio gene rate dello scioglimento del mandato e ehe, d'altra parte, il fallito non puõ qualificarsi un vero e proprio «incapace » ; ma ne l'una ne l'altra argomentazione regge ad una serena
critica, giacche, quanto alla prima, e sufficiente a metterne inrisaltol'inoonsistenza di considerare ehe non vi e aleuna
ragione logica per ritenere ehe i principi dettati dal codice civile in materia di mandato non debbano e non possano
applicarsi anclie in tema di mandato dato ai fallito e da costui conferito ad altri, quasi ehe fossero incompatibili eon le norme ehe regolano la procedura concorsuale, e,
quanto alla seconda, ehe di fronte alla dizione dell'art. 42
legge fall, e assolutamente arbitrario tentare di restringere la sfera dei poteri dispositivi di eui il fallito e costretto a
subire la perdita per effetto dello status in eui la dichiara
zione di dissesto lo pone. La impossibilitä logico-giuridica di ritenere ehe, nel di
sciplinare lo scioglimento del mandato quale conseguenza del fallimento del mandante o del mandatario, si sia voluto
preseindere dalle norme generali ehe regolano 1'estinzione del mandato, ponendo eccezioni e deroghe in determinati casi meritevoli di particolare considerazione, porta a disat tendere l'interpretazione restrittiva ehe dell'art. 78 6 stata
proposta ed a considerare come causa impeditiva della
estinzione del mandato, in caso di morte o di soprawenuta
incapacity del mandante, 1'interesse ehe il mandatario o i
terzi possono avere a ehe il mandato abbia intera la sua
pratica realizzazione. (Sull'applicabilitä dell'art. 1723 cod.
civ. ai caso del fallimento del mandante, efr. Cass. 5 no
vembre 1959, n. 3284, Foro it., 1960, I, 228). Nella specie, 1'interesse dei terzi a tale realizzazione e
fuor di dubbio, risultando dall'accordo del 15 gennaio 1954
ehe il delegato Linificio, con 1'accettare Viusswm, delega torio impartitogli dalla creditrice I.c.e.m., venne ad obbli
garsi direttamente nei confronti dei terzi creditori di questa ultima, ehe ottennero in tal modo una ulteriore e piu forte
tutela per il loro eredito originario. Nonostante 1'intervenuto fallimento 1'atto delegatorio
conservõ pertanto la sua piena efficienza giuridica : il ehe
importa ehe il Linificio assolse validamente la sua obbli
gazione, conseguendo, eol pagamento fatto, la definitiva
liberazione dal debito originario. Ben diverso problema avrebbe dovuto ancora la Corte
risolvere qualora, ai fine di sentir compensato ai sensi del
l'art. 56 legge fail. il eredito concorsuale sorto in suo favore
dalla esecuzione del mandato eol preesistente suo debito verso la failita, si fosse fatto il Linificio ad invocare in suo favore la norma dell'art. 1729 cod. civ., ehe stabilisce, come si sa, la piena validitä, nei confronti del mandante o
dei suoi eredi, degli atti ehe il mandatario ha compiuto
prima di conoscere 1'estinzione del mandato.
Ma 1'accertata sussistenza della causa impeditiva, di eui
si h, detto, ha evidentemente sconsigliato all'appellante di
appoggiarsi ad una tesi ehe, accolta legislativamente in
G-ermania e sostenuta presso di noi da un'autorevole cor
rente dottrinaria, sembra assai difficilmente sostenibile alio
stato attuale della nostra legislazione, stante la divergenza del sistema fallimentare italiano rispetto a quello tedesco
e attesa la presunzione iwris et de iure di generale cono
scenza, ehe viene di solito ricollegata (pur non mancando
in dottrina qualche voce di dissenso) alla pronuncia della
sentenza dichiarativa di fallimento.
L'appello deve essere pertanto accolto con la condanna
della euratela appellata alla rifusione in favore del Linificio
delle spese tutte dei due gradi del giudizio. Per questi motivi, ecc.
GORTE D'APPELLO DI TORINO.
Sentenza 5 maggio 1961 ; Pres. Piazzese P., Est. Diez, P. M. Antonioletti (conol. parz. diff.) ; Riseria Yignola (Aw. Cappa) c. Eomano (Aw. EoSetti).
Lavoro (rapporfo) —
Computo delle indcnnit ä di
preavviso di anzianitä — Clausola di contratto collettivo postcorporativo comprensiva dei rim borsi di spese — Validifä — timiti (Cod. civ., art. 2121).
il valida, perche piil favorevole ai lavoratori, la clausola di contratto collettivo postcorporativo, che, in difformita del I'art. 2121 cod. civ., impone di computare, ai fini del cal colo delle indennitä di preavviso e di anzianitä, anche i
rimborsi di spese, che abbiano carattere continuativo e
siano di ammontare determinato (nella specie trattavasi di
indennitä vitto e alloggio). (1)
La Corte, eoo. — (Omissis). La seconda configurazione
della censura attiene all'avere il Tribunale fatto rientrare nella « retribuzione mensile » del Eomano anche le lire 52.000
mensili, che avevagli riconosciuto dovute per «indennitä vitto e alloggio », ora ridotte a sole lire 36.000 mensili, in virtu del capo giä dalla Corte deciso in tal senso.
Copiosa b la mole delle critiche che l'appellante ha svolto in proposito, ma la Corte stima necessario, anzitixtto, porre in rilievo le due previsioni in materia del codice civile e del contratto collettivo 18 luglio 1952, concernente il perso nale dell'industria risiera, notando che esse non presentano una dizione identica. Mentre infatti e risaputo che l'art. 2121, 1° comma, cod. civ., recita : « . . . calcolarsi computando . . .
ogni altro compenso di carattere continuativo, con esclu
sione di quanto h corrisposto a titolo di rimborso di spese », il quarto alinea della lett. c) dell'esaminato art. 32 con
tratto collettivo, suona : « agli effetti del presente articolo
sono compresi, nella retribuzione, oltre le provvigioni, ecc.
anche gli altri elementi costitutivi della retribuzione, aventi carattere continuativo e che siano d'ammontare
determinato » ; ne e riportata l'importante esclusione fatta dal codice civile riguardo ai «rimborsi delle spese» (del
lavoratore). Eimborsi i quali pure si possono verificare, in pratica, come reiterantisi in una serie cronologica con
tinuativa (ad esempio, tutti i giorni l'imprenditore risente
la necessitä di inviare il dipendente a far commissioni
fuori del comune, cagionandogli la necessity di pranzar fuori, ecc.).
Se, pertanto, e altrettanto autorevole che esatta quella
dottrina, secondo cui, dal concetto di compenso (e, quindi, dalla comprensione del computo della indennitä d'anzia
nitä giusta il 1° comma dell'art. 2121), esorbita quel che
al lavoratore venga dato, non affinchö ne tragga o ne
põssa trarre fonte di guadagno, bensi ai fini d'indenniz
zarlo di una impensata, casuale, contingente perdita sorta
(1) Sia nella sentenza 14 dicembre 1960, n. 3246 (Foro it.,
Rep. 1960, -voce Lavoro (rapporto), nn. 371-376 ; Giur. it., 1961, I, 1, 288, con osservazioni critiche di Ardau), alcuni passi della cui motivazione sono riportati nella presente pronuncia, sia nella
precedente sentenza 13 maggio 1960, n. 1149 (Foro it1961, I, 103, con nota di richiami, cui adde Ardau. in Giur. it., 1960, I, 1, 762), la Cassazione, al fine di computare, nel calcolo della indennitä, di preavviso e di anzianitä, 1'indennitä di cassa corri
sposta ai bancari, ed entro certi limiti, l'indennita, « concorso
spese tram », nel primo caso, e l'indennita di «fuori residenza »
e di «trasferta», corrisposta mensilmente al lavoratore, nel
secondo caso, si e fondata sulla premessa che l'esclusione dal
computo, sancita neH'art. 2121, non & applicabile « quando il
rimborso sia riferito, non alia spesa che il lavoratore e chiamato a sostenere nella prestazione di lavoro, bensi alia spesa che egli deve, in ogni caso, affrontare per mettersi in grado di fornire il proprio lavoro » (cosi la sentenza n. 1149 del 1960) ; la Corte
d'appello di Torino affianca a questa argomentazione l'altra, basata sul carattere della clausola del contratto postcorpora tivo, piü favorevole al lavoratore della disciplina contenuta nel 1° comma deirart. 2121.
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