Sentenza 9 luglio 1963, n. 125 (Gazzetta ufficiale 13 luglio 1963, n. 187); Pres. Ambrosini P.,Rel. Fragali; imp. Valtellini e altri; interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato Chiarotti)Source: Il Foro Italiano, Vol. 86, No. 9 (1963), pp. 1867/1868-1869/1870Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23152843 .
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1867 PARTE PRIMA 1868
singoli decreti di esproprio delle prescrizioni relative alle
zone territoriali fissate da decreti delegati configura an
ch'esso un vizio di incostituzionalità, in quanto si risolve in
una violazione della legge di delegazione, perchè questa, deferendo ad altro atto con forza di legge la determinazione
dell'ambito entro cui gli enti di riforma avrebbero potuto
esplicare là loro attività, ha conferito alla medesima carat
tere definitivo e vincolante pei singoli decreti espropriativi. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 9
legge il. 841 del 1950, nella considerazione che il termine da
esso fissato per la presentazione della domanda di conser
vazione del terzo residuo da parte dei proprietari espro
priati è stato fatto decorrere da una data alla quale non era
stato ancora pubblicato il piano particolareggiato definitivo
dei terreni da scorporare. Il motivo è fondato. Infatti risulta dagli atti, e non è
contestato, che nella specie i piani particolareggiati riguar danti i terreni di proprietà dei Granatiere, quali erano stati
pubblicati il 27-31 dicembre 1951, comprendevano una su
perficie da scorporare per complessivi ettari 103, 85, 81.
Tali piani vennero successivamente modificati, apportandosi una notevole riduzione della superficie predetta, ma, senza
che si procedesse a nuova pubblicazione, si fece luogo all'ema
nazione dei decreti di esproprio n. 3473 e n. 3474 in data 27
dicembre 1952. In questa situazione il termine del 5 aprile
1952, che era stato fissato per la produzione della domanda
poi terzo residuo e del relativo piano dettagliato di trasfor
mazione, dalla Sezione speciale per la riforma fondiaria di
Bari con nota in data 31 dicembre 1951 non poteva rite
nersi idoneo a determinare la decadenza dal diritto, non
essendo allora intervenuta nessuna determinazione defi
nitiva in ordine all'entità dello scorporo, e risultando te
stualmente che il riferimento alla consistenza catastale del
terzo residuo ed alle direttive di massima per la tiasforma
ziòne era stato fatto dalla Sezione stessa tenendo presenti i piani particolareggiati pubblicati il 27 dicembre dello stesso
anno 1951.
Infatti è chiaro che il termine di sessanta giorni pre scritto dall'art. 9 della citata legge n. 841 deve farsi decor
rere dalla data di pubblicazione di quello stesso piano parti
colareggiato che poi è assunto a contenuto del decreto di
espropriazione. Nel caso che il progetto di piano venga, prima della sua approvazione, a subire delle modifiche in ordine
alla quantità e qualità dei terreni ritenuti suscettibili di
espropriazione, si rende necessario procedere ad una nuova
pubblicazione del medesimo, e solo da quest'ultima può farsi decorrere il termine per la presentazione della richiesta
di conservazione dei terreni costituenti il terzo. Non è dub
bio che la redazione del piano dettagliato delle opere da
eseguire per la trasformazione e l'appoderamento dei ter
reni medesimi, il quale deve, a pena di decadenza, accompa
gnare la richiesta stessa, presupponga necessariamente la
conoscenza della estensione dei terreni compresi nel progetto <li esproprio, nonché della loro localizzazione e natura, cioè
di tutti quegli elementi cui il piano medesimo deve adeguarsi. L'Avvocatura dello Stato ha eccepito che la censura di
cui all'ordinanza non può essere elevata sul piano costitu
zionale poiché la deliberazione di considerare i proprietari
espropriati rinunciatari al beneficio della conservazione
del terzo residuo per tardività della loro domanda rispetto al predetto termine del 5 aprile 1952 era stata presa con
provvedimento di un'autorità amministrativa, quale la
Presidenza della Sezione speciale di riforma, regolarmente comunicata agli interessati, e contro di essa si sarebbero do
vuti esperire i rimedi consentiti contro gli atti ammini
strativi lesivi di diritti o interessi legittimi. Tale eccezione
non può però essere attesa poiché compete alla Corte sin
dacare l'osservanza delle condizioni poste dalla legge dele
gante per il valido esercizio del potere di disporre mediante
atti con forza di legge la espropriazione dei terreni soggetti a "riforma.
Non contraddicono a tale principio le sentenze nn. 59 e
63 del 1957 (Foro it., 1957, I, 945 e 1363) invocate dall'Av
vocatura poiché con esse la Corte ha escluso che l'omissione
di alcune operazioni da parte degli enti di riforma (e preci samente la predisposizione del programma di trasformazione
fondiaria di tutti i territori ritenuti suscettibili di trasforma
zione, ai sensi dell'art. 3 legge stralcio, clie nulla ha che fare con il piano particolareggiato relativo ai singoli terreni sog getti a scorporo) preliminari alla emanazione dei decreti di
esproprio, potesse incidere sulla legittimità di questi, e ciò nella considerazione che la legge delegante non le considera necessarie alla valida formazione dei medesimi.
Poiché la domanda di conservazione di una parte dei terreni riguardava entrambi i piani particolareggiati, l'ec cesso di delega rilevato incorso invalida tutti e due i decreti
presidenziali. Per questi motivi, dichiara : la illegittimità costituzionale
del decreto del Presidente della Kepubblica 27 dicembre 1952 n. 3473 (pubblicato nel supplemento ordinario n. 3 della Gazzetta uff. del 19 gennaio 1953, n. 14) in relazione
agli art. 1, 4 e 13 della legge 21 ottobre 1950 n. 841 e art. 1, n. 3, del decreto pres. 7 febbraio 1951 n. 67, con riferimento all'art. 76 della Costituzione, in quanto ha incluso nei terreni dei quali ha disposto l'esproprio particelle facenti parte di territori non suscettibili di trasformazione fondiaria ; la
illegittimità costituzionale del predetto decreto pres. n. 3473 e di quello n. 3474, come sopra pubblicato, in relazione agli art. 3 e 4 legge 12 maggio 1950 n. 230 e art. 1, 8, 9 legge 21 ottobre 1950 n. 841, con riferimento agli art. 76, 77, 1°
comma, Costituzione, in quanto essi hanno dichiarato la de cadenza dei proprietari espropriati dal beneficio della con servazione del terzo residuo senza che si fosse proceduto alla
previa pubblicazione dei piani particolareggiati modificati.
CORTE COSTITUZIONALE.
Sentenza 9 luglio 1963, n. 125 (Gazzetta ufficiale 13 luglio 1963, n. 187) ; Pres. Ambrosini P., Rei. Fragali ;
imp. Valtellini e altri ; interv. Pres. Cons, ministri
(Avv. dello Stato Chiakotti).
Sicurezza pubblica —- Apparecchi automatici] «1 i
puro trattenimento — Licenza per l'uso in luoghi
pubblici — Incostituzionalità della normativa (Costi tuzione della Repubblica, art. 41 ; r. d. 18 giugno 1931 n. 773, t. u. delle leggi di p. s., art. 110).
Sono incostituzionali le disposizioni, contenute negli ultimi
comma dell'art. 110 t. u. delle leggi di p. s. (approvato con r. decreto 18 giugno 1931 n. 773), nella parte, in cui
fanno divieto di concedere licenze per l'uso, nei luoghi
pubblici o aperti al pubblico, di apparecchi o di congegni automatici di puro trattenimento, senza cioè alcuna pos sibilità di far luogo a giuoco o a scommesse, in riferimento all'art, il della Oostituzione (1).
La Corte, ecc. — Gli ultimi tre comma dell'art. 110
t. u. delle leggi di p. s., che sono oggetto del dubbio proposto dal Pretore di Rovato, vietano di concedere licenze per l'uso, nei locali pubblici o aperti al pubblico, di apparecchi o congegni automatici da giuoco o da trattenimento di qual siasi specie.
L'Avvocatura dello Stato sostiene che le norme predette
riguardano soltanto i giuochi automatici di azzardo ; ma
l'assunto non è accoglibile. Infatti la formula usata dalla legge non ammette ecce
zioni, perchè nella proibizione include espressamente « qual siasi specie » di apparecchi o congegni ; con il che, non sol tanto viene negata ogni distinzione fra tipi meccanici, ma
altresì viene respinta ogni differenza che faccia capo ai caratteri del giuoco o del trattenimento cui gli oggetti
(1) Il testo dell'ordinanza 10 ottobre 1962 del Pretore di Rovato è riportato su Le Leggi, 1962, 1871.
Sull'art. 110 Cost., cons. Pret. Palermo 25 febbraio 1963, in questo volume, II, 174, con nota di richiami, cui adde Skt.t.akoi.i. in Giusi, pen., 1962,rII,r528 ; Pannain, Galateria, Sansone. in Rass. giur. del giuoco, 1962, I, 7, 33.
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1869 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 1870
sono destinati e vengono compresi nel divieto pure i mec canismi che non dànno luogo ad azzardo.
Il giuoco d'azzardo e l'attività diretta ad agevolarlo sono puniti da una norma del codice penale (art. 718) ; e ciò include di per sè la proibizione di rilasciare licenze per il loro svolgimento quale che sia il mezzo adoperato. Una norma della legge di p. s. che avesse espresso quel divieto sarebbe stata inutile ; ed infatti, nella tabella prevista dal 1° comma del citato art. 110, i giuochi d'azzardo debbono essere semplicemente elencati senza alcun riferimento ad un divieto.
Si aggiunga che, là dove il testo unico predetto ha rite
nuto che dovesse distinguersi giuoco da giuoco, ha deferito i poteri necessari all'autorità amministrativa ; come è nel caso di giuochi che, pur non essendo d'azzardo, l'autorità
ritenga di proibire nel pubblico interesse (art. 110, 1°
comma, già menzionato). Il divieto posto dalle norme richiamate dal Pretore di
Rovato, come afferma la Relazione ministeriale al t. u. delle leggi di p. s., è frutto della esperienza compiuta nel
tempo anteriore ; quando cioè era consentito dar licenza
per l'uso di apparecchi che lasciavano largo margine alla
abilità del giocatore. Questa esperienza, secondo la Rela
zione predetta, aveva dimostrato che, in pratica, gli appa recchi o escludevano l'influenza dell'abilità del giocatore o
non davano preponderante rilevanza a tale abilità, onde il
giuoco era sempre del tutto aleatorio ; l'uso di quegli appa recchi era stato poi fonte di inconvenienti di qualche impor tanza anche nei riguardi dell'ordine pubblico, e la Relazione, in tal modo, faceva chiara allusione ad alcune forme di de
linquenza che avevano accompagnato la diffusione del nuovo mezzo di giuoco, sia pure in altri Stati, provocando un par ticolare allarme sociale, e si riferiva, non meno chiaramente, alla morbosa spinta al vizio e all'ozio che quegli apparecchi erano suscettibili di determinare. Si aggiunga che l'uso
di essi aveva fatto sviluppare le scommesse ; vale a dire
una attività espressamente inibita nelle sale da biliardo o
da giuoco (2° comma del citato art. 110). Il divieto del quale si discute ha radici quindi in esi
genze sociali : non favorire il giuoco puramente aleatorio, anche se non d'azzardo nel senso accolto dal codice penale ;
prevenire reati ; tutelare le libertà cui accenna l'art. 41
della Costituzione, messe in pericolo dal diffondersi di quei reati ; impedire che la dignità umana ricevesse offesa dallo
sterile impiego della autonomia individuale. Un'attività eco
nomica come quella di produzione, di commercio o di no
leggio degli apparecchi di cui si tratta, può peraltro rice
vere tutela dalla legge soltanto se l'utilizzazione di questi non favorisce tendenze antisociali ; e la legge, ritenendo che
inclinazioni del genere sarebbero state agevolate dall'uso
di quegli apparecchi nei locali pubblici o aperti al pubblico, ha operato con criteri razionali, perchè ha imposto il di
vieto dopo aver giudicato negativa l'esperienza del sistema
anteriore, fondato sulla licenza.
Non si può asserire pertanto che le norme denunziate
oltrepassino il limite che l'art. 41 della Costituzione con
sente di porre all'iniziativa privata ; si può anzi affermare
che esse tendono ad impedire che l'iniziativa stessa si svolga in contrasto con quell'utilità sociale a cui l'articolo predetto rimanda. È la moralità pubblica che si è intesa salvaguardare con le norme denunziate ; è il potere di prevenire i reati che
si è inteso con queste esercitare.
Le norme predette limitano, non proibiscono, la produ zione, il commercio o il noleggio degli apparecchi conside
rati, perchè il divieto, come bene osserva l'Avvocatura dello
Stato, non riguarda i locali privati nè quelli non aperti al
pubblico ; onde in esse si può riscontrare il fine di un coordi
namento della libertà economica con le esigenze sociali, non
quello della soppressione di quella libertà.
Le considerazioni esposte non possono però in tutto
applicarsi agli apparecchi o congegni da trattenimento, che
le disposizioni denunziate comprendono nel divieto.
Rispondono alle premesse della proibizione solo quegli
apparecchi o quei congegni che subordinano lo svago alla
loro utilizzazione come mezzo di giuoco o di scommesse ;
non gli altri che offrono soltanto svago o divertimento, e
cioè che in nessun caso possono stimolare attività ripro vevoli.
Nel decreto pres. 1° marzo 1961 n. 121, che approva il t. u. delle leggi sulle concessioni governative, al n. 76, § IY, della tabella allegata, si prevede una tassa di licenza
per tenere e fare funzionare elettrogrammofoni a gettone in
alberghi, pensioni ed esercizi pubblici. Ma tale previsione, se pure non si fosse informata a finalità esclusivamente
fiscali, non eliminerebbe il divieto per quegli altri diversi meccanismi che dànno una onesta ricreazione non collegata a giuochi o scommesse.
Per questi motivi, dichiara la illegittimità costituzio nale delle disposizioni contenute negli ultimi tre comma del l'art. 110 t. u. delle leggi di p. s. approvato con r. decreto 18 giugno 1931 n. 773, in riferimento all'art. 41 della Costi
tuzione, nella parte in cui fanno divieto di concedere licenze
per l'uso, nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, di appa recchi o di congegni automatici di puro trattenimento, senza alcuna possibilità di dar luogo a giuoco o a scommesse.
CORTE COSTITUZIONALE.
Sentenza 4 luglio 1963, n. 114 (Gazzetta ufficiale 6 luglio 1963, n. 180) ; Pres. Ambrosini P., Rei. Branca ;
Lollobrigida e Skofio (Avv. Adonnino) c. Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Latina (Avv. dello Stato AgrÒ) ; interv. Pres. Cons, ministri.
Esazione — Iscrizione provvisoria dei redditi — Que stione di costituzionalità infondala (Costituzione della Repubblica, art. 76, 77 ; d. pres. 29 gennaio 1958 n. 645, t. u. sulle imposte dirette, art. 175).
È infondata la questione di costituzionalità dell'art. 175
decreto pres. 29 gennaio 1958 n. 645 (t. u. sulle imposte dirette), recante norme sull'iscrizione provvisoria dei
redditi, in relazione agli art. 49 della legge 11 gennaio 1951 n. 25, e 63 della legge 5 gennaio 1956 n. 1, e in rife rimento agli art. 76 e 77 della Costituzione. (1)
La Corte, eco. — Le due cause, avendo ad oggetto la
medesima questione di legittimità costituzionale, sono state
discusse congiuntamente e devono essere decise con unica sentenza.
Si denuncia l'art. 175 decreto pres. 29 gennaio 1958
n. 645 t. u. delle leggi sulle imposte dirette, perchè esso
avrebbe reso obbligatoria per gli uffici delle imposte quel l'iscrizione provvisoria che era invece facoltativa secondo la legislazione precedente (art. 109 r. decreto 11 luglio 1907 n. 560) : innovazione che, a parere del giudice di rin
vio e dslla parte privata, non era consentita dalla legge
delegante (spec. art. 63 legge 5 gennaio 1956 n. 1). La questione è infondata : non è esatto che, secondo la
legislazione anteriore al 1958, gli uffici finanziari avessero la facoltà, e non l'obbligo, di iscrivere nei ruoli l'imposta
corrispondente ad un reddito contro il cui accertamento il contribuente avesse ricorso da più di 60 giorni.
Infatti la norma denunciata (art. 175 t. u.) e quella pre esistente (art. 109 r. decreto 1907 n. 560) si esprimono in
termini analoghi (« iscrive », « sono iscritte ») : perciò, se la prima contiene un obbligo di iscrizione, deve ritenersi
che la seconda facesse altrettanto.
Inoltre l'art. 109 r. decreto 1907 n. 560 era norma di
attuazione dell'art. 58 t. u. 24 agosto 1877 n. 4021, e questo era esplicito nello stabilire che i ruoli dovevano essere for
mati « con i redditi nuovi od aumenti risultanti. . . dalle
(1) L'ordinanza 28 novembre 1961 della Commissione pro vinciale delle imposte dirette di Latina è massimata in questo volume, III, 48.
Sull'art. 175 Cost., cons, la circolare 18 dicembre 1959, n.
84 del Ministro delle finanze, riportata da Guidi, in Dir. e
pratica trib., 1960, I, 175.
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