sentenza 9 luglio 1993, n. 310 (Gazzetta ufficiale, 1 a serie speciale, 21 luglio 1993, n. 30); Pres.Casavola, Est. Mengoni; Faimali (Avv. Onida) c. Ceccarelli; interv. Pres. cons. ministri. Ord.Pret. Piacenza 17 novembre 1992 (G.U., 1 a s.s., n. 9 del 1993)Source: Il Foro Italiano, Vol. 116, No. 11 (NOVEMBRE 1993), pp. 2989/2990-2991/2992Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23188217 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
11 (norme per l'applicazione delle sanzioni amministrative pe cuniarie in materia di igiene e sanità pubblica, vigilanza sulle
farmacie e polizia veterinaria), nella parte in cui individua qua le organo competente all'esercizio delle funzioni di cui alla 1.
reg. 2 dicembre 1982 n. 45 (norme per l'applicazione delle san
zioni amministrative pecuniarie di competenza della regione o di enti da essa individuati, delegati o subdelegati), il sindaco
del comune nel cui territorio la violazione è stata accertata, an
ziché il sindaco del comune in cui la violazione è stata commessa.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 9 luglio 1993, n. 310
(<Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 21 luglio 1993, n. 30); Pres. Casavola, Est. Mengoni; Faimali (Avv. Onida) c. Cec
carelli; interv. Pres. cons, ministri. Ord. Pret. Piacenza 17
novembre 1992 (G.U., la s.s., n. 9 del 1993).
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad abitazione — Equo canone — Limiti temporali di applicabilità — Sop
pressione — Questione inammissibile di costituzionalità (Cost., art. 3, 42; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 12; d.l. 13 settembre 1991 n. 299, disposizioni concernenti l'applicazione nell'anno 1991 dell'im
posta comunale sull'incremento di valore degli immobili di
cui all'art. 3 d.p.T. 26 ottobre 1972 n. 643, i versamenti dovu
ti a seguito delle dichiarazioni sostitutive in aumento del red
dito dei fabbricati e l'accertamento di tali redditi, nonché al
tre disposizioni tributarie urgenti, art. 1; 1. 18 novembre 1991
n. 363, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 13
settembre 1991 n. 299, art. unico).
È inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legitti mità costituzionale dell'art. 1, 10° comma, d.l. 13 settembre
1991 n. 299, convertito in l. 18 novembre 1991 n. 363, che
ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 12 l. 27 luglio 1978 n.
392, il quale prevedeva l'applicabilità del regime di equo ca
none, per le locazioni di immobili urbani ad uso di abitazio ne, solo «fino all'attuazione della riforma del catasto edilizio
urbano», in riferimento agli art. 3 e 42 Cost. (1)
(1) Secondo il Pretore di Piacenza, la cui ordinanza di rimessione
è riportata in Rass. equo canone, 1992, 393 e Arch, locazioni, 1992, 742, la norma impugnata ha di fatto prodotto, in connessione con i
nuovi estimi catastali introdotti con i d.m. 20 gennaio 1990 e 27 settem bre 1991, «un doppio regime di valorizzazione degli immobili, secondo 11 quale eli fini fiscali la stima di base risulta assai più elevata di quanto non sia ai fini locativi . . .», dando cosi luogo ad una «ingiusta, ecces
siva e palese mortificazione della proprietà», nonché ad una palese di
scriminazione «tra coloro che occupano abitazioni di proprietà e inqui lini». Quanto alla rilevanza della sollevata questione di costituzionalità, ad avviso del giudice a quo sarebbe «evidente che, ove sussistesse anco
ra il comma abrogato dall'art. 12 [1. 392/78], in ragione della radicale revisione delle rendite catastali operate a far tempo dal 1° gennaio 1991 . . ., tutte le norme di determinazione del canone legale dovrebbe
ro considerarsi decadute, in particolare quelle che stabiliscono il c.d.
valore locativo», con conseguente «accoglimento della domanda del ri corrente».
Senonché, come si precisa nella narrativa dell'ordinanza di rimessio
ne, nella specie la domanda, proposta dal locatore, era diretta ad otte
nere la rideterminazione del canone legale, in seguito alla revisione in
aumento delle rendite catastali, «ai sensi degli art. 12 e 13 1. n. 392
del 1978, applicando la percentuale del 3,85 non già sul valore locati
vo .. . bensì sulla rendita catastale moltiplicata per 100». Ed allora
appare evidente la contraddizione insita nell'iter argomentativo del giu dice a quo, puntualmente rilevata dalla Corte costituzionale: se infatti, come postulato dal giudice rimettente, vigendo l'ultimo comma dell'art.
12 1. 392/78, tutte le norme in tema di determinazione dell'equo canone
fossero da ritenere ormai decadute, in seguito alla attuazione del nuovo
catasto edilizio urbano, verrebbe meno la esistenza stessa di una «misu
II Foro Italiano — 1993.
Diritto. — 1. - Il Pretore di Piacenza ha sollevato, in riferi
mento agli art. 3 e 42 Cost., questione di legittimità costituzio
nale dell'art. 1, 10° comma, d.l. 13 settembre 1991 n. 299, con
vertito nella 1. 18 novembre 1991 n. 363. La norma impugnata ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 12 1. 27 luglio 1978 n.
392, che limitava l'applicabilità delle modalità di determinazio ne dell'equo canone degli immobili locati ad uso di abitazione,
previste nei commi precedenti, «fino all'attuazione della rifor
ma del catasto edilizio urbano».
2. - La questione è inammissibile per difetto di rilevanza.
La rilevanza è affermata dal giudice rimettente con la seguen te motivazione: «è evidente che ove sussistesse ancora il comma
abrogato dall'art. 12, in ragione della radicale revisione delle
rendite catastali operata a far tempo dal 1° gennaio 1991, con
evidente aggiornamento delle stesse mediante adeguamento, e
a volte superamento, del valore di mercato, che non può consi
derarsi revisione a tutti gli effetti, tutte le norme di determina
zione del canone legale dovrebbero considerarsi decadute, in par ticolare quelle che stabiliscono il c.d. valore locativo. Ne conse
guirebbe l'accoglimento della domanda del ricorrente».
Si potrebbe osservare anzitutto che, ove tutte le norme di
determinazione del canone legale dovessero considerarsi deca
dute, e dunque anche il 2° comma dell'art. 12 1. n. 392 del
1978, non si vede come la domanda del ricorrente potrebbe es
sere accolta nei termini del petìtum formulato nel ricorso, il
quale mira a ottenere il ricalcolo del canone di locazione «ai
sensi degli art. 12 e 13 1. n. 392 del 1978, applicando la percen tuale del 3,85, non già sul valore locativo, ottenuto dal prodot to della superficie convenzionale per il costo unitario di produ
zione, bensì' sulla rendita catastale moltiplicata per 100».
ra legale» del canone; sicché non si vede come la domanda del locatore, nei termini suddetti, potrebbe trovare accoglimento, anche in ipotesi di reviviscenza del predetto art. 12, ultimo comma.
A parte ciò, la corte osserva che le premesse da cui muove la valuta zione di rilevanza della questione di costituzionalità operata dal giudice a quo (premesse, peraltro, «lasciate dall'ordinanza del tutto carenti di
fondamento argomentativo») sono, almeno in parte, insostenibili. Ed
invero, anzitutto non è affatto pacifico (neppure nel caso che la norma
per ipotesi dichiarata incostituzionale sia esclusivamente ed espressa mente abrogatrice) che la dichiarazione di illegittimità della norma im
pugnata comporti la reviviscenza di quella abrogata (sul tema cfr., da
ultimo, Corte cost. 18 marzo 1992, n. 106, Foro it., 1992, I, 1331 e
Giur. it., 1992, I, 1, 1836, con nota di A. Giorgis, Uno spunto in
tema di tutela costituzionale dei diritti sociali e reviviscenza delle norme
illegittimamente abrogate)', sicché, nella specie non è detto che l'acco
glimento della questione di costituzionalità produrrebbe la reviviscenza dei limiti temporali di applicabilità delle disposizioni sull'equo canone stabiliti originariamente dall'art. 12 1. 392/78.
In secondo luogo — argomenta la corte — il Pretore di Piacenza
postula che la revisione delle rendite catastali operata dai d.m. 20 gen naio 1990 e 27 settembre 1991 costituisca la «riforma del catasto edili zio urbano», cui faceva riferimento l'ultimo comma dell'art. 12 1. 392/78; ma tale convinzione è sicuramente errata, non essendo prevista un'ope razione essenziale perché possa parlarsi di riforma del catasto edilizio, come la revisione del classamento degli immobili, e d'altra parte la tesi sostenuta dal giudice rimettente è ora chiaramente contraddetta dalla
previsione dell'art. 2, 1° comma, d.l. 16/93, convertito nella 1. 75/93
(il testo del d.l. coordinato con la legge di conversione è riportato in Le leggi, 1993, II, 166), che attribuisce carattere provvisorio alle tariffe e alle rendite determinate dai decreti ministeriali dianzi citati. Sui nuovi estimi catastali delle unità immobiliari urbane, v. Tar Lazio, sez. II, 6 maggio 1992, n. 1184, Foro it., 1992, III, 273, con osservazioni di
M. Annecchino; Comm. trib. I grado Pisa 18 giugno 1992, ibid., 421; Corte cost. 19 gennaio 1993, n. 9, id., 1993, I, 666; e, da ultimo, Comm.
trib. II grado Venezia, ord. 10 giugno 1993, ibid., Ill, 545 (che ha
sollevato la questione di costituzionalità, sotto svariati profili, dell'art.
2 d.l. 16/93, convertito in 1. 75/93, nella parte in cui dispone che «fino alla data del 31 dicembre 1993 restano in vigore e continuano ad appli carsi le tariffe d'estimo e le rendite già determinate in esecuzione del
d.m. 20 gennaio 1990»). In precedenza, la Corte costituzionale (ord. 30 novembre 1988, n.
1048, id., 1989, I, 613, con nota di richiami di D. Piombo) aveva di
chiarato manifestamente inammissibile, trattandosi di incidere su scelte
discrezionali riservate al legislatore, la questione di costituzionalità del l'art. 14 (recte, 12) 1. 392/78, nella parte in cui non consente che il
canone delle locazioni abitative possa superare il 3,85% del costo di
produzione dell'immobile. Circa la disciplina sui «patti in deroga» alla normativa c.d. dell'equo
canone, introdotta dalla legge di conversione del d.l. 333/92, v., da
ultimo, Corte cost. 21 luglio 1993, n. 323, id., 1993, I, 2761.
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2991 PARTE PRIMA 2992
A parte questo primo rilievo, la protasi della motivazione te
sté riferita implica due premesse lasciate dall'ordinanza del tut to carenti di fondamento argomentativo, e precisamente: a) la
dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impu
gnata comporterebbe la reviviscenza della norma abrogata; b) la revisione «radicale» delle rendite catastali, operata dai decre ti ministeriali 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, attua la
riforma del catasto edilizio urbano e quindi, se rivivesse l'ulti
mo comma dell'art. 12 della legge sull'equo canone, determine
rebbe la sopravvenienza del termine finale di efficacia di tale
disciplina, ivi previsto. Impregiudicata la premessa sub a), che non è pacifica nem
meno nel caso in cui la norma per ipotesi colpita da una senten
za di illegittimità costituzionale è esclusivamente ed espressa mente abrogatrice, la seconda premessa era insostenibile già al
l'epoca dell'ordinanza di rimessione, considerato che il decreto
del ministro delle finanze 20 gennaio 1990 non prevede un'ope razione essenziale perché si possa parlare di riforma del catasto edilizio urbano, cioè la revisione del classamento degli immobili
(cfr. art. 9 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 604). Essa è ora chiara
mente contraddetta dall'art. 2, 1° comma, d.l. 23 gennaio 1993
n. 16, convertito nella 1. 24 marzo 1993 n. 75, che attribuisce
carattere provvisorio fissando limiti temporali di applicabilità, alle tariffe e alle rendite determinate dai citati decreti ministe
riali, in attesa della «revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d'estimo, delle rendite delle unità immobiliari urba
ne e dei criteri di classamento».
L'infondatezza della premessa sub b) esclude la rilevanza del
la sollevata questione, che pertanto va dichiarata inammissibile.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara inammissi bile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, 10° com
ma, d.l. 13 settembre 1991 n. 299 (disposizioni concernenti l'ap
plicazione nell'anno 1991 dell'imposta comunale sull'incremen
to di valore degli immobili di cui all'art. 3 d.p.r. 26 ottobre
1972 n. 643, i versamenti dovuti a seguito delle dichiarazioni
sostitutive in aumento del reddito dei fabbricati e l'accertamen to di tali redditi, nonché altre disposizioni tributarie urgenti), convertito nella 1. 18 novembre 1991 n. 363, sollevata, in riferi
mento agli art. 3 e 42 Cost., dal Pretore di Piacenza con l'ordi
nanza in epigrafe.
CORTE COSTITUZIONALE; sentenza 5 maggio 1993, n. 217
(Gazzetta ufficiale, la serie speciale, 12 maggio 1993, n. 20); Pres. Casavola, Est. Guizzi; imp. Tocci, Barile. Ord. G.i.p. Trib. mil. La Spezia 9 luglio e 2 aprile 1992 (G.U., la s.s., n. 43 del 1992).
Competenza e giurisdizione penale — Reati di assenza dal servi zio militare — Competenza del tribunale militare del luogo di volontaria costituzione dell'imputato — Questione infon
data di costituzionalità (Cost., art. 3, 25, 97; cod. pen. mil.
pace, art. 274).
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
274, 2° comma, c.p. mil. pace, nella parte in cui prevede che, in caso di volontaria costituzione dell'imputato di uno
dei reati di assenza dal servizio, la competenza a conoscere
del fatto appartenga al tribunale militare del luogo della vo
lontaria costituzione, interpretandosi quest'ultima espressione come effettiva assunzione o riassunzione del servizio presso il corpo militare di appartenenza, indipendentemente dall'esi
stenza di un provvedimento di coercizione personale a carico
del militare inquisito, in riferimento agli art. 3, 25, 1° com
ma, e 97 Cost. (1)
(1) Sull'art. 274, 2° comma, c.p. mil. pace, v. Cass. 28 febbraio 1992, Fontana Acquoso, Foro it., Rep. 1992, voce Competenza penale, n.
Il Foro Italiano — 1993.
Diritto. — 1. - La corte è chiamata ad esaminare, in riferi
mento agli art. 97, 25, 2° comma, e 3 Cost, la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 274, 2° comma, c.p. mil. pace nella parte in cui prevede che, in caso di volontaria costituzione
dell'imputato di uno dei reati di assenza dal servizio, la compe tenza a conoscere del fatto appartenga al tribunale militare del
luogo della volontaria costituzione, interpretandosi quest'ulti ma espressione come effettiva assunzione, o riassunzione, del
servizio presso il corpo militare di appartenenza, indipendente mente dall'esistenza d'un provvedimento di coercizione perso nale a carico del militare inquisito.
76, la quale, tenuto conto del fatto che l'interesse leso dal reato di allontanamento illecito è costituito dalla presenza del militare presso uno specifico reparto determinato dall'amministrazione militare, ha ri tenuto che la presentazione presso un reparto o ente diverso da quello di appartenenza non è idonea a determinare la cessazione della perma nenza del reato né può essere equiparata alla «volontaria presentazio ne» prevista dall'art. 274 c.p. mil. pace; Cass. 7 marzo 1988, Serrano, id., Rep. 1989, voce cit,, n. 59.
Corte cost. 12 giugno 1992, n. 269, che ha dichiarato infondata la
questione di costituzionalità dell'art. 20 c.p.c. sul foro facoltativo in tema di obbligazioni, leggesi id., 1993, I, 712, con nota di richiami, cui adde, sul principio del giudice naturale, Romboli, Teoria e prassi del principio di precostituzione del giudice, in Giur. costit., 1992, 3244.
* * *
Precostituzione del giudice e limiti al potere di scelta ad opera della
parte di fronte ad una Corte costituzionale incredibilmente distratta.
1. - La decisione in epigrafe ed altra di circa un anno precedente, più volte richiamata in motivazione dalla prima, hanno affrontato un
aspetto particolare attinente alla garanzia della precostituzione per leg ge del giudice, sancita dall'art. 25, 1° comma, Cost. Più specificamente l'aspetto relativo ai limiti entro cui può, alla luce di quel principio, riconoscersi alla parte di un processo la possibilità di influire sulla de terminazione del giudice competente a giudicarla.
Nel decidere su questo, che può giustamente ritenersi un profilo di
importanza secondaria per la realizzazione dei valori costituzionali sot tesi alla garanzia costituzionale in discorso, la Corte costituzionale ha svolto alcune argomentazioni e fatto affermazioni che sembra il caso di sottolineare, sia con riferimento specifico ai casi de quibus, sia più in generale per l'interpretazione del significato e della portata dell'art.
25, 1° comma, Cost. Con la sent. 217/93 la corte ha esaminato e deciso la questione di
costituzionalità dell'art. 274, 2° comma, c.p. mil. pace, il quale preve de, per i reati di assenza dal servizio, che qualora l'imputato si costitui sca volontariamente, la competenza a conoscere del fatto spetti al tribu nale del luogo dove è avvenuta la volontaria costituzione. Tale disposi zione, ad avviso del giudice a quo, sarebbe in presunto contrasto con la precostituzione del giudice ad opera della legge in quanto, ricono scendo all'imputato la facoltà di costituirsi volontariamente presso un
qualsiasi reparto, verrebbe a riconoscere allo stesso la possibilità di sce
gliersi il giudice che lo giudicherà. Le affermazioni contenute in questa pronuncia da evidenziare paiono
essere le seguenti: A) la conformità con il principio del giudice naturale di una legge
che «elevi a criterio di radicamento della competenza un'attività del
l'imputato»; B) la garanzia della precostituzione del giudice «nulla ha da vedere
con la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio»;
C) l'esclusione della violazione dell'art. 25, 1° comma, Cost, in quanto la «scelta» dell'imputato «se consente d'individuare l'ufficio giudiziario ove s'incardinerà il procedimento, non per questo consente la scelta del magistrato che in quel processo promuoverà l'azione penale o lo
giudicherà». La decisione 269/92 ha invece esaminato, per la prima volta in modo
specifico, la questione di costituzionalità di una disposizione sulla cui conformità al principio di precostituzione del giudice la dottrina si era
interrogata varie volte all'indomani della sentenza costituzionale n. 88 del 1962 che apri nuove prospettive applicative per la garanzia del giu dice naturale precostituito per legge. Si tratta dell'art. 20 c.p.c. il quale consente all'attore di adire il convenuto alternativamente, a propria li bera scelta, nel luogo in cui l'obbligazione è sorta oppure in quello in cui l'obbligazione stessa deve eseguirsi. Anche in questa ipotesi il
sospetto di incostituzionalità di tale disposizione derivava dalla possibi le lesione della riserva di legge in materia di determinazione della com
petenza del giudice, data la libertà di scelta riconosciuta all'attore.
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