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sentenza 9 marzo 1987; Pres. Minniti, Est. Silvestri; Soc. Buitoni (Avv. Guardascione, P.Guerra, M. Nigro) c. Istituto per la ricostruzione industriale (Avv. Savarese, M. S. Giannini,Piccozza), Min. partecipazioni statali, Soc. industrie alimentari riunite (Avv. Sabelli, Punzi,Nicolò), Soc. Co.fi.ma. (Avv. Gaeta, Maronna, Rescigno)Source: Il Foro Italiano, Vol. 110, No. 4 (APRILE 1987), pp. 1259/1260-1275/1276Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23179917 .
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1259 PARTE PRIMA 1260
industriali», aveva «ottenuto, proprio a seguito di tali insedia
menti, un notevole incremento patrimoniale, tant'è che fondi vi
cini» erano «stati contrattati e venduti come terreni edificabili», avrebbe dovuto, con più compiuto e più coerente giudizio, opera re «la necessaria compensazione tra gli asserti danni che si dicono
derivati dall'esistenza in loco dell'opificio» produttivo delle im
missioni «e i vantaggi derivati dallo stesso fatto qual è l'incre
mento di valore dell'immobile che può spuntare prezzi di area
fabbricabile per insediamenti industriali».
Anche questo motivo dell'impugnazione è destituito di fonda
mento giuridico. Invero, la così detta compensazione tra vantag
gio e danno della cui mancata applicazione la ricorrente si duole
(per nessun aspetto riconducibile alla previsione legislativa dell'e
stinzione di coesistenti contrapposte obbligazioni reciproche) è cri
terio, elaborato dagli interpreti, di determinazione dell'oggetto e della misura di una obbligazione risarcitoria o indeterminata, che è ipotizzabile, e per ricevuto principio può ritenersi operante, sol quando il vantaggio e il danno considerati sono egualmente effetti immediati e diretti, di opposta valenza, di una medesima
causa, che, concorrendo e vicendevolmente elidendosi per la cor
rispondente entità, realizzano una situazione finale unitaria che
in se e per se deve essere apprezzata nella sua consistenza patri moniale.
Ciò posto, rileva che nell'esame del caso controverso, operato
appunto con espresso e ad evidenza pertinente riferimento a tale
principio, la corte del merito ha considerato che il mutamento
di destinazione e il conseguente eventuale incremento di valore
del fondo soggetto a immissioni non potevano ritenersi effetti
della utilizzazione del terreno della ricorrente per la costruzione
dell'opificio, e tanto meno delle immissioni di polveri di cemento
da questo opificio emanate, produttive soltanto del danno accer
tato, ma dipendevano invece esclusivamente dalla approvazione, da parte delle competenti autorità amministrative, e dalla concre
ta attuazione, ad opera di una pluralità di imprenditori, di un
ampio programma di nuovi insediamenti industriali nella zona; e sulla base di tali considerazioni ha escluso che al caso ricorresse il presupposto, di comune dipendenza da una medesima causa, della anzidetta compensabilità tra vantaggio e danno.
Così il giudizio impugnato, di merito e per l'intrinseco non
soggetto in questa sede a controllo, appare sorretto da motivazio
ne adeguata e coerente, e conforme a diritto, in quanto corretta
mente per esso sono stati collegati a cause oggettivamente e
soggettivamente diverse e sono stati tenuti in distinta considera
zione i vantaggi conseguiti, da un fondo, nella sua relazione con
il territorio che lo comprende, per la nuova destinazione di que sto alla industrializzazione, rilevante sotto i profili di ordine ge nerale e di pubblico interesse, e i danni dallo stesso fondo subiti
per la specifica destinazione a scopi industriali, produttiva di in
tollerabili immissioni, di altro fondo del medesimo territorio, per
ragioni di privata utilità, nell'ambito di un diretto rapporto tra
i due fondi.
Pertanto deve respingersi anche il secondo motivo dell'impu
gnazione, con il quale, merita comunque osservare, la ricorrente
non formula specifiche censure in ordine alle ragioni date dalla
corte del merito al particolare giudizio, ma si limita a riprodurre in questa sede la tesi difensiva con essa disattesa.
Con il terzo motivo la ricorrente muove alla corte del merito, con riferimento ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c., addebito di viola
zione dell'art. 844 c.c. per avere liquidato l'indennizzo dovuto
per le immissioni in somma pari alla calcolata svalutazione, per esse, del fondo ad esse soggetto, anzi che, secondo richiamato
insegnamento di questa corte, in somma corrispondente alla capi talizzazione del minore reddito del fondo stesso.
Nessuna norma di legge, peraltro, prevede l'attribuzione o fis
sa i criteri di determinazione dell'indennizzo considerato, che sol
tanto per risalente consolidata interpretazione è assunto a
strumento, tra altri, della composizione, commessa al giudice dal
l'art. 844 c.c., del conflitto tra le esigenze della produzione e
le ragioni della proprietà, in caso di immissioni cosi dette indu
striali, che si ritengano consentite quantunque eccedano dai limiti
della normale tollerabilità, quale modo di reintegrare in forma
specifica del diritto di proprietà leso o compresso, mediante pre stazione pecuniaria da ragguagliare per la misura alla riduzione di valore del bene, che di quel diritto è l'oggetto, causata dalle
immissioni. Soltanto per ciò che attiene alla effettiva destinazione dell'in
dennizzo ad assolvere l'anzidetta funzione, pertanto, il giudizio
Il Foro Italiano — 1987.
di sua attribuzione è soggetto a controllo di conformità alla pre visione dell'art. 844; che invece l'adozione di uno piuttosto che
di altro criterio di liquidazione dell'indennizzo che si ritenga do
vuto non può per sé integrare violazione di legge deducibile in
questa sede a norma dell'art. 360, n. 3, c.p.c., e il giudizio al
riguardo è soggetto a controllo di legittimità soltanto sotto diver
si profili, per ciò che attiene alla completezza e coerenza della
giustificazione datavi.
In relazione deve anzitutto osservarsi che il giudizio censurato
con il motivo di ricorso in esame certamente non comporta viola
zione e disapplicazione dell'art. 844 c.c., perché, secondo la chia
rita portata di questa norma, l'indennizzo è stato attribuito a
compenso del sacrificio degli interessi della proprietà imposto per la riconosciuta prevalente rilevanza socio-economica di quelli del
la produzione industriale, ed è stato ragguagliato alla riduzione
di valore del bene inciso dal sacrificio, quale è ad evidenza lo
svilimento del suo prezzo tenuto in considerazione.
A giustificazione poi dell'operato riferimento, per la liquida zione dell'indennizzo, al prezzo del fondo e non alla minore sua
capacità di reddito (di qui al criterio normalmente adottato) la
corte del merito ha considerato che «dal momento che il danno
non ha colpito solamente i frutti delle piante, ma anche l'impian to con scadimento a carattere permanente con abbreviazione del
ciclo di vita delle piante, la capitalizzazione del mancato reddito
non rispecchierebbe la situazione di danno, non comprendendo
quello per la anticipata ricostituzione dell'impianto, da ammor
tizzare in un minore numero di anni». E peraltro, rilevato in re
lazione al criterio prescelto che «l'unico inconveniente deriverebbe
dal fatto che l'agrumeto, in caso di vendita, potrebbe avere una
maggiore valutazione per la eventuale acquisita destinazione in
dustriale» del suolo, la corte del merito ha ancora osservato che
simile «ostacolo si supera determinando la svalutazione senza te
nere conto di detta destinazione, considerando il fondo nella sua
destinazione agricola, come ha fatto il consulente» nominato, e
il parere da questo espresso ha accolto a base della decisione,
per una determinazione dell'indennizzo in misura concretamente
adeguata alla reale situazione di fatto accertata.
Il giudizio impugnato, pertanto, è conforme a diritto, ed è sor
retto da congrua pertinente motivazione, non inficiata da segna lati o riconoscibili errori di diritto o di logica; e conseguentemente il terzo motivo del ricorso deve essere, al pari degli altri già esa
minati, respinto. (Omissis)
CORTE D'APPELLO DI ROMA; sentenza 9 marzo 1987; Pres.
Minniti, Est. Silvestri; Soc. Buitoni (Aw. Guardascione, P.
Guerra, M. Nigro) c. Istituto per la ricostruzione industriale
(Avv. Savarese, M. S. Giannini, Piccozza), Min. partecipa zioni statali, Soc. industrie alimentari riunite (Avv. Sabelli,
Punzi, Nicolò), Soc. Co.fi.ma. (Avv. Gaeta, Maronna, Re
scigno).
CORTE D'APPELLO DI ROMA;
Amministrazione dello Stato e degli enti pubblici — Partecipa zioni statali — IRI — Possesso di azioni SME — Intesa per la cessione — Natura — Fattispecie (D.l. 12 febbraio 1948 n.
51, approvazione del nuovo statuto dell'Istituto per la ricostru
zione industriale, art. 1; 1. 12 agosto 1977 n. 675, provvedi menti per il coordinamento della politica industriale, la
ristrutturazione, la riconversione e lo sviluppo del settore, art.
13).
L'intesa scritta, raggiunta dal presidente dell'IRI con il legale rap
presentante di una società, mediante la quale, dopo le recipro che dichiarazioni di disponibilità alla cessione e al rilievo, a
determinate condizioni, delle azioni SME possedute dall'istitu
to, il primo si impegna a sottoporre, con proprio parere favo
revole, all'approvazione del consiglio di amministrazione
l'operazione e «a richiedere, tempestivamente, all'autorità di
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
governo, l'autorizzazione di legge» non costituisce accordo de
finitivo e vincolante ma puntualizzazione del contenuto del fu turo contratto, perfezionabile subordinatamente alla sussistenza
del presupposto dalle parti individuato, in linea con il potere
di direttiva attribuito dall'art. 13, 3 ° comma, I. 12 agosto 1977
n. 675 in materia di smobilizzi al ministro per le partecipazioni
statali, nell'assenso o nella mancata opposizione del me
desimo. (1)
Motivi della decisione. — (Omissis). 2. - La Buitoni ha formu
lato contro la sentenza impugnata una serie di censure volte a
denunciare gli errori logici e giuridici attinenti ai diversi passaggi attraverso i quali si snoda l'iter argomentativo seguito dal tribu
nale per arrivare alla conclusione relativa alla inesistenza di un
rapporto contrattuale che, in conseguenza del perfezionamento del procedimento negoziale posto in essere dalle parti, possa co
stituire idoneo titolo giustificativo del trasferimento delle azioni
SME-SIDALM realizzato con un contratto definitivo o dell'im
pegno dell'I.R.I., derivante da un contratto preliminare, di cede
re detti titoli di partecipazione.
L'appellante è, anzitutto, insorta contro l'opinione del giudice di primo grado secondo cui l'atto sottoscritto il 29 aprile 1985
non può essere qualificato come contratto concluso da un rap
presentante senza potere successivamente ratificato dal consiglio di amministrazione dell'I.R.I., deducendo che gli argomenti uti
lizzati per sorreggere tale pronuncia negativa risultano errati e
contraddittori per le seguenti ragioni: a) il termine «intese» usato
dalle parti esprime chiaramente l'avvenuto incontro di volontà
su un atto che contiene tutti gli elementi principali e accessori
della cessione delle azioni; b) il prof. Prodi ha agito quale presi dente dell'I.R.I. e ha concluso l'atto del 29 aprile 1985 con la
spendita del nome dell'istituto; c) la consapevolezza da parte dei
contraenti della mancanza di poteri da parte del presidente del
l'I.R.I. non è motivo sufficiente ad escludere la ratifica, la cui
ammissibilità discende dalla disciplina dell'attività contrattuale del
l'I.R.I., in tutto soggetta al regime di diritto privato, e dalla ri
conducibilità alla figura della rappresentanza del rapporto tra
l'organo deliberativo e quello munito della rappresentanza ester
na dell'ente; d) il contenuto della delibera in data 7 maggio 1985
pone chiaramente in luce che l'approvazione dell'atto del 29 apri
le 1985, compiuta dal consiglio di amministrazione, ha natura
di vera e propria ratifica e, in contrario, non può essere addotta
l'asserita necessità della preventiva autorizzazione ministeriale; e)
non è stato tenuto presente che, con la citata delibera, il consiglio
di amministrazione dell'I.R.I. ha dato attuazione alle obbligazio
ni assunte con le pattuizioni del 29 aprile 1985 vertenti su tutte
le condizioni del contratto, comprese quelle relative alle polizze
fideiussorie.
Con l'atto di appello sono stati, poi, sviluppati numerosi rilievi
critici alle argomentazioni della sentenza impugnata con le quali
è stata disattesa anche la costruzione giuridica cui la Buitoni ha
fatto ricorso — in alternativa all'assunto del contratto concluso
da un rappresentante senza potere — per sostenere che la scrittu
ra del 29 aprile 1985 contiene una proposta di acquisto delle azio
ni, che è stata accettata dal presidente dell'I.R.I. con la lettera
del 9 maggio 1985, sulla base della deliberazione adottata il 7
maggio 1985 dal consiglio di amministrazione dell'istituto. In par
(1) Nelle parti motive non riprodotte la corte d'appello ha indicato
le ragioni della ritenuta ammissibilità degli interventi delle società Indu
strie alimentari riunite e Co.fi.ma, esclusi dalla sentenza del tribunale
del 19 luglio 1986 (Foro it., 1986, I, 2284 con nota di richiami), si è
soffermata sul sistema delle partecipazioni statali, che ha riconsiderato
alla luce delle fondamentali Cass. 14 dicembre 1985, nn. (6328 e) 6329,
id., 1985, I, 3091, con nota di richiami, ed ha riconosciuto la possibilità,
negata dai primi giudici, di configurare nella intesa scritta raggiunta dal
presidente dell'I.R.I. con il legale rappresentante della società Buitoni
anche gli estremi di una proposta contrattuale dell'uno all'altro.
La stessa corte, poi, con i rilievi svolti nella parte motiva che si riporta, ha condiviso, sia pure con argomentazioni più articolate di quelle del
tribunale, la tesi, dal medesimo propugnata, della non definitività della
intesa raggiunta dalle parti con la scrittura 29 aprile 1985, utilizzando
anche indicazioni e spunti contenuti nella nota di C. M. Barone, Affare Sme e giurisdizione ordinaria, alla sentenza 25 marzo 1986, n. 2091, id.,
1986, I, 904, resa dalle sezioni unite sui ricorsi per regolamento di giuris dizione a suo tempo proposti dalla società Co.fi.ma.
Il Foro Italiano — 1987.
ticolare l'appellante ha censurato la decisione addebitando al tri
bunale di avere interpretato in modo non corretto e contradditto
rio la sequenza di atti mediante i quali si è perfezionato il
procedimento negoziale e di avere trascurato la valutazione glo bale dell'insieme delle clausole dalle quali univocamente emerge — ad avviso della Buitoni — che essa si è impegnata ad acquista re le azioni e ha avanzato una proposta contrattuale cui ha fatto
seguito l'accettazione dell'altro contraente mediante la delibera
del consiglio di amministrazione e la successiva comunicazione
del presidente dell'I.R.I., costituente esplicazione di volontà con
trattuale.
Infine, il gravame è diretto a contrastare la parte della sentenza
di primo grado che, nell'esame dei rapporti tra l'I.R.I. e il mini
stero delle partecipazioni statali, ha configurato l'assenso del mi
nistro quale presupposto essenziale per la stessa determinazione
della volontà dell'I.R.I. e ha negato che, in mancanza di esso,
l'ente di gestione potesse assumere un definitivo impegno nego ziale. Al riguardo l'appellante ha dedotto che: a) dall'insieme de
gli atti possono trarsi argomenti per affermare che l'autorizzazione
ministeriale non è stata elevata dalle parti a presupposto della
formazione della volontà dell'I.R.I. o a condizione di efficacia
del contratto; b) non esiste norma di legge che richieda il consen
so del ministro per la vendita di partecipazioni da parte dell'I.R.I.;
c) il controllo del ministro sull'I.R.I. e sugli altri enti di gestione è privo di rilevanza esterna; d) il C.i.p.i. ha dichiarato la compa tibilità con gli obiettivi generali delle partecipazioni statali della
privatizzazione del gruppo SME-SIDALM.
A conclusione della disamina delle ampie, complesse e articola
te doglianze sollevate dall'appellante deve preliminarmente osser
varsi che, con i motivi di gravame, la Buitoni ha riproposto la
ricostruzione delle vicende negoziali che hanno dato origine alla
presente controversia prospettando due possibili modalità di svi
luppo della medesima fattispecie contrattuale sulla quale è fonda
ta la pretesa fatta valere in giudizio. Entrambe le ipotesi muovono,
comunque, dalla stessa premessa dell'assoggettabilità dell'attività
negoziale dell'I.R.I. al regime di diritto comune: esse sono, inol
tre, caratterizzate da un identico nucleo da cui prende le mosse
lo svolgimento delle differenti analisi ricostruttive della formazio
ne della fattispecie contrattuale, atteso che le due prospettazioni sono accomunate dal postulare che l'atto del 29 aprile 1985 con
tenga una proposta di contratto della soc. Buitoni (accettata dal
presidente dell'I.R.I., nel primo caso, contestualmente, nel mede
simo atto, e, nel secondo caso, con la comunicazione del 9 mag
gio 1985) e si diversificano per il ruolo e per l'incidenza giuridica attribuita alla delibera del consiglio di amministrazione nell'am
bito del procedimento negoziale (ratifica di un contratto già con
cluso o deliberazione di contrattare subito dopo esternata dal legale
rappresentante). 3. - Per verificare la correttezza dell'impostazione e degli svi
luppi delle linee sottese alle posizioni della Buitoni occorre, in
primo luogo, chiarire quale sia la natura dell'attività dell'I.R.I.
nei rapporti con i terzi e quale disciplina giuridica sia ad essa
applicabile. La sentenza impugnata ha rilevato, in proposito, che la capaci
tà giuridica di diritto privato dell'ente pubblico economico attie ne alla sola qualificazione degli atti con rilevanza esterna, mentre
l'organizzazione interna dell'ente e il procedimento di formazio
ne della volontà sono retti, al pari di quanto avviene per tutti
gli altri enti pubblici, da norme aventi natura pubblicistica. Le proposizioni formulate dal giudice di primo grado richiedo
no talune precisazioni in quanto esse, se intese nella loro portata
generalizzante, appaiono non del tutto puntuali e possono rap
presentare un motivo di deviazione della corretta analisi dei fatti
che concretano il tema di indagine e di decisione.
In questa sede non è evidentemente possibile affrontare il deli
cato compito di procedere ad un completo esame del sistema del
le partecipazioni statali, della posizione assegnata dall'ordinamento
agli enti di gestione nel contesto del governo pubblico dell'econo
mia e delle peculiari connotazioni nelle quali si sostanzia la pub
blicità di tali enti e il rapporto in cui si trovano con lo Stato,
dovendo l'indagine essere necessariamente contenuta nell'ambito
dei profili direttamente attinenti alle questioni influenti sulla de
cisione. Per quanto qui interessa, va sottolineato che, pur non
sussistendo una piena identità di opinioni sul fondamento della
natura pubblica degli enti in esame e sulle implicazioni che ne
conseguono, è tuttavia pressoché unanime in dottrina il convinci
mento che essi operano avvalendosi degli strumenti tipici del di
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1263 PARTE PRIMA 1264
ritto privato mediante lo svolgimento di un'attività integralmente
soggetta al regime comune dei contratti e delle obbligazioni. La ragione giustificativa dell'appartenenza della capacità degli
enti di gestione alla sfera del diritto privato risulta palese sol che
si consideri che la loro essenziale connotazione distintiva consiste
nell'esercizio di un'attività imprenditoriale, diretta alla produzio ne e allo scambio di beni e di servizi, normalmente in regime di concorrenza con gli operatori privati. Tale condizione trova
un esplicito riscontro normativo nell'art. 3 1. 22 dicembre 1956
n. 1589, che, stabilendo che le partecipazioni sono inquadrate in enti autonomi di gestione operanti secondo criteri di economi
cità, sottopone l'azione delle holdings pubbliche al rispetto delle
leggi economiche che governano il mercato all'interno del quale esse esplicano la propria attività istituzionale: il criterio dettato
nel citato art. 3 si traduce, sul piano giuridico, nel completo as
soggettamento alla disciplina che regola i rapporti tra i privati e in una situazione di totale pariteticità, che risulta incompatibile con la titolarità di poteri autoritativi. È stato anche rilevato che
l'attività contrattuale degli enti di gestione non è neppure ricon
ducibile nell'ambito della normativa sui contratti ad evidenza pub blica nei quali la serie negoziale riferibile alla p.a. è accompagnata, in posizione coordinata, da atti amministrativi che condizionano
la validità e l'efficacia del contratto. Inoltre, in sintonia con il
pensiero di autorevole dottrina, è stato ritenuto che la stessa or
ganizzazione degli enti di gestione rientra nell'orbita del diritto
comune, nel senso che la loro struttura è modellata su quella delle persone giuridiche private alle quali fa capo l'esercizio col
lettivo di un'impresa commerciale, sicché è stato conseguenzial mente affermato che anche per disciplinare la propria
organizzazione l'ente non utilizza speciali capacità di diritto pub blico e che gli atti interni in base ai quali si autorganizza, cioè
determina le competenze degli uffici e dei loro titolari e regola la gestione finanziaria o l'amministrazione dei beni, non hanno
carattere di regolamenti, cosi come non sono atti amministrativi
gli atti nei quali le suddette gestioni si estrinsecano. In proposito mette conto sottolineare che sul modulo organizzativo societario
è strutturata anche l'organizzazione interna dell'I.R.I., il cui sta
tuto è stato approvato con d.l. 12 febbraio 1948 n. 51, e che, in particolare, il diverso ambito delle competenze in materia con
trattuale del consiglio di amministrazione e del presidente riflette
quello riscontrabile tra gli organi ai quali è affidata la gestione delle società commerciali: ond'è che la deliberazione di conclude
re il contratto, di pertinenza del consiglio di amministrazione, non costituisce — come nei contratti ad evidenza pubblica —
un provvedimento amministrativo, in funzione permissiva della
legittimazione e con il ruolo di presupposto del contratto, ma
corrisponde all'usuale modo di formazione della volontà dell'en
te, comune a tutte le ipotesi nelle quali, in base alla legge (come nel caso dell'I.R.I.) o allo statuto, sussista una scissione tra pote re deliberativo e potere di rappresentanza. In altri termini, va
riconosciuto che l'attività contrattuale dell'I.R.I. non si discosta dallo schema comune ad ogni società commerciale, secondo cui
la deliberazione del consiglio di amministrazione, formativa della
volontà negoziale, è limitata alla sfera interna e assume rilevanza
esterna solo quando è posta in esecuzione dall'organo rappresen
tativo, che, nei rapporti con i terzi, è l'unico abilitato a dichiara
re la volontà dell'ente.
Una simile configurazione degli enti di gestione delle partecipa zioni statali non è contraddetta dalla circostanza che l'autonomia
di gestione, esplicantensi nella natura privatistica della loro atti
vità e del loro funzionamento, è accompagnata da situazioni di
indubbia valenza pubblicistica attinenti ai rapporti con le autori
tà statali ed esternantisi nei poteri di controllo e di indirizzo fina
lizzati al conseguimento degli interessi di carattere generale che
rappresentano la ragione d'essere dell'azione pubblica nel sistema
economico. In relazione alle opinioni espresse da autorevole e
accreditata dottrina, è giustificato affermare che la presenza di
centri decisionali politici accanto a quelli manageriali, propri del
la struttura organizzativa dell'ente, non altera la disciplina priva tistica che regola il funzionamento e l'attività dell'ente stesso, atteso che l'operatività dei primi è estrinseca agli atti di gestione e negoziali riservati ai secondi, nel senso che, rispetto all'autono mia imprenditoriale di questi ultimi, l'incidenza degli atti posti in essere dalle autorità statali opera su un piano diverso e attiene
al momento delle determinazioni volitive in ordine alle scelte, che
restano, tuttavia, pur sempre soggette, quanto alle modalità di
formazione e di esternazione, alla normativa di diritto comune.
Il Foro Italiano — 1987.
Riservando al successivo sviluppo dell'indagine una più ampia trattazione dei rapporti tra centri di decisione politica e autono
mia degli enti di gestione, occorre sottolineare che le riflessioni
dianzi svolte corrispondono alle posizioni della recente giurispru denza della Suprema corte (sent. 14 dicembre 1985, nn. 6329 e
6328, Foro it., 1985, I, 3091), alla quale si deve una delle più lucide e convincenti analisi ricostruttive del sistema delle parteci
pazioni statali, i cui punti salienti possono essere cosi sintetizzati:
a) detto sistema è strutturato su tre livelli, oltre quello parlamen tare rispondente a funzioni squisitamente politiche: quello gover
nativo, quello degli enti di gestione e quello delle società le cui
azioni appartengono agli enti direttamente o attraverso finanzia
rie di settore; b) rispetto all'attività degli enti pubblici che inqua drano le partecipazioni statali le regole poste dal diritto pubblico non si fondono in un contesto unitario con quelle di diritto pri
vato, sul medesimo piano ai fini della qualificazione giuridica
degli atti posti in essere, e l'attività di gestione imprenditoriale e contrattuale di tali enti è in tutto regolata dal diritto privato, onde il conseguimento degli obiettivi di carattere economico e
sociale che lo Stato si prefigge per mezzo delle partecipazioni è
assicurato dallo svolgimento di attività produttive in forma im
prenditoriale nel rispetto delle leggi economiche e giuridiche del
mercato in cui operano; c) i programmi e le direttive dell'autorità
governativa hanno lo scopo di garantire che i centri operativi del
le partecipazioni statali perseguano gli obiettivi fissati dal potere
politico (parlamento e governo) nell'ambito dell'economia di mer
cato, ma non implicano il distacco dagli istituti giuridici, dai mo
duli organizzativi e dalle tecniche operative di un'attività
privatistica, sui quali il legislatore ha disegnato il modo di essere
e di agire degli enti di gestione, neppure per effetto dei profili di natura pubblicistica inerenti al potere di nomina degli ammini
stratori da parte dell'autorità di governo. 4. - II principio della soggezione dell'attività degli enti di ge
stione alla comune disciplina di diritto privato, condiviso anche
dalla giurisprudenza del Supremo collegio, deve rappresentare il
contesto normativo all'interno del quale deve essere verificata —
senza aprioristiche esclusioni e incompatibilità — la consistenza
delle posizioni argomentative della Buitoni tendenti a dimostrare
che nel caso di specie sussiste un contratto valido ed efficace in
forza del quale l'I.R.I. ha già provveduto alla cessione delle azio
ni SME-SIDALM o si è comunque impegnato a procedere alla
cessione. Le conclusioni dell'indagine sin qui condotta portano anche a dubitare della correttezza della prospettiva interpretativa in cui si è posto il giudice di primo grado quando ha recisamente
negato l'applicabilità delle disposizioni sulla rappresentanza sen
za potere e sulla ratifica di cui agli art. 1398 e 1399 c.c osservan
do che ciò sarebbe precluso dall'ordine delle competenze previsto dalla legge, dalla non delegabilità delle attribuzioni del consiglio di amministrazione, dalla natura e dall'ambito di operatività del
rapporto organico nonché dalla inesistenza di un affidamento tu
telabile. Nessuno degli argomenti richiamati appare convincente.
Per quanto riguarda le considerazioni attinenti al rapporto or
ganico è sufficiente osservare che l'inquadramento nell'istituto della
rappresentanza della relazione esistente tra organo deliberativo
e organo che manifesta all'esterno la volontà dell'ente è ammesso
dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. 14 dicembre
1985, n. 6328 e 6329; 25 marzo 1986, n. 2091, id., 1986, I, 904), onde non è producente il richiamo alle implicazioni sottese al
rapporto di immedesimazione tra organo ed ente. Neppure risul ta conferente l'argomento concernente la non delegabilità delle
competenze del consiglio di amministrazione, in quanto — anche
a voler ritenere operante un divieto nei termini di assolutezza in
dicati dal tribunale (ma la stessa delibera adottata dal consiglio di amministrazione dell'I.R.I. in data 7 maggio 1985 sulla vicen
da in esame, contenendo una delega al presidente, comprova che il divieto non può essere inteso in senso indiscriminatamente pre
clusivo) — l'equazione instaurata tra la non delegabilità delle fun
zioni e l'impossibilità della ratifica non è giustificata da alcuna plausibile ragione logica e giuridica, trattandosi di situazioni col
locate su piani del tutto divergenti e rispondenti ad esigenze com
pletamente distinte. Nessuna pertinenza col problema in discussione
ha, poi, il tema relativo alla tutela dell'affidamento in quanto — come bene ha rilevato la difesa della Buitoni — la consapevo lezza della mancanza di poteri da parte del presidente dell'I.R.I.
(e, quindi, la configurabilità o meno della buona fede) non è
di ostacolo all'applicazione delle norme sulla ratifica, ma può
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
assumere rilevanza soltanto ai fini della responsabilità del rappre sentante senza potere.
Dalle precedenti argomentazioni deve inferirsi che non è ravvi
sabile alcuna incompatibilità logico-giuridica all'utilizzazione del
l'istituto della ratifica nei riguardi di un contratto concluso dal
presidente dell'I.R.I. senza la previa deliberazione del consiglio di amministrazione, ditalché anche tale questione va risolta alla
stregua dei principi dettati dalla normativa di diritto privato, a
proposito dei quali è stato riconosciuto che la ratifica del contrat
to concluso da chi abbia agito in vèste di rappresentante senza
averne i poteri o eccedendo i limiti delle competenze attribuitegli trova applicazione anche nei confronti delle persone giuridiche e degli enti morali (Cass. 21 novembre 1983, n. 6935, id., Rep.
1984, voce Società, nn. 311, 372; 23 febbraio 1983, n. 1397, id., Rep. 1983, voce Rappresentanza nei contratti, n. 9).
Una volta stabilito che l'indagine deve completamente svolgersi
lungo la traccia segnata dalla comune disciplina contrattuale, la
verifica della fondatezza della pretesa azionata dalla Buitoni nel
presente giudizio si risolve in una questione esclusivamente inter
pretativa, occorrendo ricostruire, alla luce dei normali canoni di
ermeneutica contrattuale, quale sia stata la reale portata della
volontà delle parti e, per tale via, accertare se gli altri posti in
essere abbiano dato vita al perfezionamento di un vincolo con
trattuale avente ad oggetto la cessione delle azioni SME-SIDALM.
A tal fine, l'interprete è chiamato ad applicare i criteri dettati
dal codice civile, estensibili anche ai negozi unilaterali, tenendo
presente che non deve limitarsi al senso letterale delle parole usa
te, ma deve valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo al compimento dell'atto (art. 1362), e che le sin
gole clausole devono essere interpretate attribuendo a ciascuna
il senso che risulta dal complesso dell'atto (art. 1363 in riferimen
to all'art. 1324: cfr. Cass. 9 febbraio 1985, n. 1072, id., Rep.
1985, voce Contratto in genere, n. 127). 5. - Definite nei termini indicati le più appropriate e congruenti
linee dell'indagine, è necessario ora riscontrare se i risultati inter
pretativi accolti nella sentenza impugnata resistano o meno alle
numerose critiche mosse dall'appellante per confutare la conclu
sione cui è pervenuto il tribunale nell'escludere che tra l'I.R.I.
e la Buitoni sia stato concluso un contratto definitivo o prelimi nare riguardante la cessione delle partecipazioni azionarie.
È stato rilevato in precedenza che la Buitoni ha dato due di
stinte prospettazioni della vicenda contrattuale, quella della rati
fica di un contratto concluso dal presidente dell'I.R.I. con la
scrittura del 29 aprile 1985 e quella del perfezionamento del pro cedimento negoziale con la lettera del 9 maggio 1985: è stato an
che segnalato che entrambe le ipotesi formulate dalla Buitoni hanno
come presupposto imprescindibile l'esistenza di una proposta di
contratto incorporata nella predetta scrittura, accettata, nel pri mo caso, con la dichiarazione di volontà del presidente dell'I.R.I.
contenuta nello stesso atto e, nel secondo caso, con la citata let
tera del 9 maggio 1985, esternante la volontà di concludere il
contratto espressa dal consiglio di amministrazione con la delibe
ra del 7 maggio 1985.
La sentenza impugnata ha negato che l'atto del 29 aprile 1985
contenga una proposta di contratto avanzata dalla soc. Buitoni
e, in tal modo, ha escluso la sussistenza della premessa da cui
muovono le due diverse costruzioni giuridiche formulate dalla stes
sa Buitoni a dimostrazione dell'esaurimento del procedimento for
mativo del rapporto contrattuale. Il tribunale ha giustificato una
simile conclusione deducendo che le intese del 29 aprile 1985 han
no natura bilaterale e che gli effetti perseguiti sono quelli tipici di una intesa precontrattuale (fissazione dei punti essenziali del
futuro schema negoziale), senza alcuna manifestazione di impe
gno negoziale per le parti, come, del resto, risulterebbe compro vato dal fatto che l'ing. De Benedetti, presidente della Buitoni, ha manifestato, in tale documento, una semplice disponibilità a
procedere al rilievo delle azioni SME.
Le osservazioni formulate dal giudice di primo grado non cor
rispondono ad una corretta ricostruzione dell'atto del 29 aprile 1985 e, in particolare, non possono essere condivise nella parte in cui escludono la configurabilità di una proposta di contratto.
In proposito deve, anzitutto, rilevarsi che dell'esistenza di una
proposta contrattuale riferibile alla Buitoni è dato esplicitamente atto in documenti provenienti dallo stesso I.R.I. e dal ministro
delle partecipazioni statali. Il primo, nella delibera del consiglio di amministrazione del 13 giugno 1985, riprodotta nella lettera
del presidente dell'istituto di pari data, dopo avere ricostruito
Il Foro Italiano — 1987.
in modo completo lo sviluppo delle trattative ha invitato il mini
stro a fissare un nuovo termine per una completa istruttoria e
per la valutazione di tutte le offerte, riferendosi, come emerge
inequivocamente dall'esposizione, anche all'offerta della Buitoni.
Con il decreto 15 giugno 1985, il ministro ha poi disposto che
fossero esaminate in modo ulteriormente approfondito «le offer
te sin qui pervenute, inclusa ovviamente l'offerta Buitoni». Orbe
ne, tenuto conto che l'offerta di acquisto delle partecipazioni SME-SIDALM da parte della Buitoni è espressamente menziona
ta anche nella lettera dell'I 1 ottobre 1985 diretta dall'I.R.I. alla
stessa Buitoni, deve univocamente ritenersi che l'istituto ha rico
nosciuto l'esistenza di una proposta contrattuale, con la conse
guenza che, non esistendo alcun altro atto cui possa farsi risalire
l'offerta, la dichiarazione di volontà, attraverso la quale è stata
esternata la proposta, non può non considerarsi contenuta nel
documento del 29 aprile 1985.
D'altro canto, un simile risultato trova un preciso e convincen
te riscontro logico proprio nella «disponibilità» espressa dall'ing. De Benedetti, nel punto a) della citata scrittura, «di procedere al rilievo delle azioni SME possedute dall'I.R.I. alle condizioni
indicate nei successivi paragrafi, tutti tra loro correlati ed essen
ziali». Tale disponibilità erroneamente è stata ridotta dal tribuna
le al rango di generico intendimento assolutamente privo di valore
impegnativo, anziché essere valutata come precisa manifestazione
di volontà di formulare una specifica offerta di acquisto, senza
tener conto che le parti non avrebbero predisposto un completo e dettagliato articolato contrattuale né avrebbero stabilito termini
estremamente ristretti per il compimento dell'intera operazione se fosse mancata una proposta della Buitoni e se questa si fosse
limitata a manifestare un generico intendimento o un semplice orientamento all'acquisto delle partecipazioni azionarie SME.
Non è neppure conferente il richiamo alla natura bilaterale del
l'atto del 29 aprile 1985 per escludere — come ha fatto il giudice di primo grado — la configurabilità di una proposta della Buito
ni sul rilievo che, poiché questa costituisce una dichiarazione di
volontà unilaterale, non poteva essere inclusa in un'intesa diretta
a definire i punti essenziali del futuro schema negoziale. Il tribu
nale non si è chiesto se fosse davvero incompatibile la coesistenza
della proposta della Buitoni con la figura dell'intesa precontrat tuale: se si fosse posto tale problema, avrebbe dovuto risolverlo
riconoscendo che nessuna contraddizione può essere riscontrata
nella presenza nel medesimo documento dell'offerta di acquisto avanzata da una delle parti e della concordata predisposizione del contenuto del contratto (da concludere contestualmente o da
stipulare in un secondo momento) e che, anzi, è ipotizzabile tra
esse una precisa correlazione, nel senso che la seconda ha un sen
so proprio perché esiste la prima. Ne deriva che, se fossero state
tenute presenti tali considerazioni di indubbia valenza logica, la
sentenza impugnata avrebbe dovuto conseguenzialmente ricono
scere la natura complessa del contenuto dell'atto del 29 aprile
1985, in cui è presente, accanto alle dichiarazioni di volontà rife
ribili ad entrambi i soggetti che l'hanno sottoscritto (ricondotte dal giudice di primo grado nella categoria dell'intesa precontrat tuale o del protocollo di intesa), una vera e propria proposta
espressa dalla Buitoni: quella stessa proposta, cioè, che è stata
designata col termine di offerta di acquisto dal ministro delle par
tecipazioni statali nel decreto del 15 giugno 1985 e dall'I.R.I. nel
la lettera dell'11 novembre 1985 diretta alla Buitoni.
6. - Accertata l'esistenza di una proposta di contratto, occorre
esaminare quello che rappresenta il punto centrale della causa, attorno al quale si fronteggiano, in posizioni nettamente contrap
poste, le tesi delle parti e stabilire se con la scrittura del 29 aprile
1985 si sia o meno perfezionato il procedimento di formazione
del contratto, attraverso l'incontro delle volontà della Buitoni e
dell'I.R.I., costitutivo di effetti traslativi o obbligatori in ordine
alla cessione delle azioni SME. Muovendo dalla impostazione ar
gomentativa sulla quale poggia la tesi difensiva della Buitoni, è
necessario anzitutto decidere se l'analisi del predetto documento
offra elementi sicuri, precisi e univoci per ritenere che in esso
sia contenuta un'unica volontà contrattuale, risultante dalla fu
sione della proposta del presidente della Buitoni con la contestua
le accettazione del presidente dell'I.R.I.: solo dopo avere risolto
in senso affermativo tale questione, dovrà accertarsi se la delibe
ra del consiglio di amministrazione in data 9 maggio 1985 possa
essere o meno interpretata come ratifica, a norma dell'art.
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1267 PARTE PRIMA 1268
1399 c.c., del contratto concluso dal presidente dell'I.R.I. Le parti e — sulla scia di queste — la sentenza impugnata
hanno cercato di individuare la reale natura giuridica dell'atto del 29 aprile 1985 soffermandosi a discutere, con ampie ed elabo
rate argomentazioni, sul significato letterale dei termini usati (in tese, disponibilità, avviso) e sulla completezza o meno del
contenuto del documento sul quale avrebbe dovuto formarsi la
comune intenzione negoziale. Il ricorso a tali strumenti interpretativi non può, però, rappre
sentare un ausilio di per sé risolutivo che possa indirizzare l'inda
gine, in modo inequivocamente definitivo, nell'uno o nell'altro
senso e che possa, quindi, chiarire, al di là di qualsiasi ragionevo le dubbio, l'effettiva portata dell'atto. In particolare, quanto al
termine intese, che figura nella predetta scrittura e che è ripro dotto in molti dei documenti successivi, è sufficiente osservare
che, secondo l'accezione comune, esso può designare tanto —
come sostiene l'appellante — il consenso integrante il nucleo voli
tivo da cui è scaturito un contratto perfezionato in tutte le sue
componenti soggettive ed oggettive quanto — come è stato so
stanzialmente ritenuto dalla sentenza impugnata — un accordo
diretto a concordare il contenuto di un futuro contratto e con
funzione preparatoria e propedeutica rispetto a questo. Non sono neanche producenti le discettazioni sulla completez
za o meno degli elementi inerenti al contenuto delle intese, svi
luppate soprattutto con riferimento alla mancata indicazione delle
garanzie fideiussorie. L'argomento non ha il rilievo decisivo che ad esso hanno ritenuto di attribuire le parti. Se è vero, infatti, che per la costituzione del vincolo contrattuale è normalmente
necessario che l'accordo sia raggiunto su tutti gli elementi, sia
principali che accessori, ossia sul complesso delle clausole che realizzano il regolamento di interessi cui tende l'autonomia delle
parti (cfr. Cass. 15 marzo 1982, n. 1691, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 82; 18 novembre 1970, n. 2443, id., Rep. 1971, voce cit., n. 77; 17 luglio 1968, n. 2589, id., Rep. 1968, voce cit., n. 102) è nondimeno certo che la giurisprudenza ha in più occasioni pre cisato che la determinazione dei soli punti essenziali può essere
sufficiente per la costituzione del rapporto contrattuale qualora, mediante la riserva su altri elementi complementari e sussidiari, le parti abbiano dimostrato di non volere subordinare la conclu
sione del contratto al successivo accordo anche su tali elementi, ritenuti di valore tale da non incidere sulla portata della conven
zione (cfr. Cass. 28 marzo 1980, n. 2051, id., Rep. 1980, voce
cit., n. 69; 2 marzo 1978, n. 1049, id., Rep. 1978, voce cit., n.
68). Pertanto, la completezza o meno delle condizioni contenute
nella scrittura del 29 aprile 1985 non può essere utilizzata come
argomento decisivo per il conseguimento di risultati completa mente sicuri e affidabili, dovendo l'indagine incentrarsi esclusiva
mente sulla ricerca del concreto ed effettivo intento manifestato dalle parti al fine di accertare se queste abbiano voluto realmente
porre in essere il rapporto contrattuale già dal momento della
sottoscrizione del predetto documento oppure se l'intenzione sia stata quella di differire la conclusione del contratto ad una suc
cessiva manifestazione di volontà.
La chiave interpretativa deve essere ricavata dal punto c) del testo delle intese in cui è precisato che «il prof. Prodi si impegna a sottoporre, entro il 7 maggio 1985, con proprio parere favore
vole, all'approvazione del consiglio di amministrazione dell'I.R.I.
l'operazione di cui trattasi, con l'intesa che l'approvazione deve
riguardare l'intera operazione nei termini precisati nel presente documento. Il prof. Prodi si impegna altresì a richiedere, tempe stivamente, all'autorità di governo l'autorizzazione di legge».
L'interpretazione letterale e logica del contenuto del citato punto
c), valutato anche alla luce del comportamento successivo, offre
risultati sufficientemente univoci e concludenti per ricostruire la volontà delle parti nel senso che esse, pur avendo definito com
piutamente — negli altri punti delle intese — le condizioni essen ziali alle quali avrebbe dovuto avere luogo la cessione delle azioni
SME, hanno manifestato l'intenzione di rinviare la conclusione del contratto ad un momento successivo, dopo l'intervento, cioè, della «approvazione del consiglio di amministrazione dell'I.R.I.» e della «autorizzazione di legge» da parte dell'autorità di gover no, considerate quali presupposti che avrebbero dovuto inserirsi nel meccanismo formativo del contratto e avrebbero dovuto ne
cessariamente precedere le dichiarazioni di volontà negoziali e la costituzione del vincolo contrattuale. Una siffatta conclusione, che corrisponde alla lettura più lineare, immediata e convincente del documento, trova inequivoca conferma in precisi dati, di in
II Foro Italiano — 1987.
dubbio valore testuale e logico, a fronte dei quali non può essere
condivisa la diversa analisi ricostruttiva del comportamento delle
parti, ampiamente sviluppata dalla difesa della Buitoni.
Anche se non può aderirsi al punto di vista della difesa del
l'I.R.I., che finisce per togliere qualsiasi valore giuridico alle in
tese del 29 aprile 1985 considerandole una specie di gentlemen's
agreement, è indubbio che il contenuto degli impegni assunti dal
prof. Prodi è costituito da attività meramente strumentali e pale semente preordinate alla conclusione di un futuro contratto aven
te ad oggetto il trasferimento delle azioni SME. La citata scrittura
non offre, invece, il minimo spunto da cui possa arguirsi che
il prof. Prodi abbia inteso vincolare l'istituto, già all'atto della
sottoscrizione del documento, alla cessione delle partecipazioni azionarie: d'altra parte, se così non fosse, risulterebbe del tutto
inspiegabile come possa conciliarsi l'attribuzione al presidente del
l'I. R.I dell'intenzione di porre in essere una dichiarazione di ac
cettazione dell'offerta di acquisto avanzata dalla Buitoni, immediatamente costitutiva del rapporto contrattuale, con l'indi
cazione di adempimenti (sottoposizione all'approvazione del con
siglio di amministrazione, manifestazione del proprio parere favorevole in tale sede, richiesta dell'autorizzazione di legge) tutti
univocamente convergenti nel senso dell'esistenza di un procedi mento negoziale ancora in evoluzione, di cui sono state eviden
ziate le fasi di determinazione della volontà dell'I.R.I. In altri
termini, la più ragionevole e plausibile ricostruzione della portata delle intese conduce inequivocamente a ritenere che i presidenti dei due enti abbiano dato l'avvio alla formazione della fattispecie contrattuale provvedendo — in presenza dell'offerta di acquisto
dell'ing. De Benedetti (punto a) e dell'avviso del prof. Prodi cir
ca la convenienza per l'I.R.I. della cessione delle azioni (punto
b) — a predisporre il contenuto del futuro contratto, mediante
l'articolazione di uno schema (o progetto) definito in tutti gli ele
menti essenziali, sul quale avrebbe dovuto deliberare il consiglio di amministrazione dell'I.R.I. prima dell'autorizzazione governa tiva e della successiva stipulazione del contratto.
L'analisi sin qui svolta porta, dunque, a risultati che sostan
zialmente coincidono con quelli della sentenza impugnata che ha
attribuito alla scrittura del 29 aprile 1985 la funzione di docu
mentare il contenuto che le parti avrebbero trasfuso nel futuro
contratto, secondo modalità di sviluppo delle trattative ben note
alla pratica contrattuale, in ordine alle quali la corte regolatrice ha più volte chiarito che, qualora l'iter delle dichiarazioni pro
gressivamente rese sia stato consacrato per iscritto, occorre accer
tare — con apprezzamento di merito da correlarsi alle particolarità del caso singolo — se lo scritto contenente l'enunciazione degli elementi essenziali del negozio sia stato redatto a documentazio
ne di un accordo reciprocamente vincolante o se, al contrario, sia stato redatto solo in funzione probatoria delle trattative posi tivamente svoltesi fino a quel momento, verificandosi, nel secon
do caso, l'ipotesi della cosiddetta «puntuazione», che lascia
inalterata la facoltà di recesso, salvo il limite della responsabilità
precontrattuale (Cass. 9 marzo 1983, n. 3152, id., Rep. 1983, voce cit., n. 14; relativa ad un caso di puntuazione in materia di vendita di pacchetto azionario da parte delle ferrovie dello Sta
to, subordinata all'emanazione di una legge di autorizzazione:
cfr. altresì Cass. 5 aprile 1982, n. 2092, id., Rep. 1982, voce
cit., n. 124; 20 agosto 1980, n. 4942, id., Rep. 1980, voce cit., n. 68).
La disamina del comportamento delle parti successivo all'atto
del 29 aprile 1985 costituisce la più evidente riprova della circo stanza che la deliberazione del consiglio di amministrazione del
l'I. R.I. e l'autorizzazione governativa sono state assunte quali
presupposti ineliminabili del processo formativo della fattispecie contrattuale.
Per quanto concerne la determinazione dell'organo deliberati
vo dell'istituto, la difesa della Buitoni non ha mai posto in dub bio che essa si identifichi con un elemento indispensabile al
perfezionamento del contratto, anche se sono poi stati delineati
due diversi modi di intendere l'atto emesso dal consiglio di am
ministrazione dell'I.R.I. Di fronte all'alternativa vertente sulla na tura della deliberazione, è senz'altro da escludere che questa abbia
natura di ratifica ex art. 1399 c.c., dal momento che dal suo
contenuto non è enucleabile alcun apprezzabile e significativo ar
gomento da cui possa arguirsi la presenza di un negozio unilate
rale inteso ad integrare un contratto già concluso dal presidente
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dell'I.R.I. in qualità di rappresentante senza potere. Per giustifi care una simile prospettiva interpretativa la difesa dell'appellante ha rilevato che nella premessa della delibera figura la locuzione
«visto il testo delle intese» e che tale espressione rivelerebbe la
volontà del consiglio di amministrazione di far propri gli effetti
di un contratto già perfetto, come risulterebbe anche confermato
dall'adozione delle statuizioni di cui ai punti 2, 3 e 4 (revoca della precedente delibera 19 aprile 1985 di aumento di capitale della società SIDALM, concessione a quest'ultima società di un
finanziamento di trenta miliardi, impegno a cedere e a far cedere
alla S.M.E., entro il 31 maggio 1985, il capitale SIDALM), che
costituirebbero adempimento di obbligazioni assunte in contrat
to. Tali argomenti risultano di estrema fragilità e rappresentano una palese forzatura della reale natura dell'atto adottato dal con
siglio di amministrazione, atteso che il semplice richiamo alle in
tese del 29 aprile 1985 non può essere configurato come
accettazione di una situazione contrattuale definita, sia pure con
efficacia in itinere, ed è perfettamente spiegabile quando si consi
dera che con esso si è inteso individuare l'oggetto di quella che
è stata impropriamente designata come approvazione e che, inve
ce, con una terminologia tecnicamente più appropriata, avrebbe
dovuto essere denominata come deliberazione di contrattare.
Una identica mancanza di apprezzabile concludenza logica va
riscontrata nell'altro argomento tendente a dimostrare che i punti
2, 3 e 4 della delibera costituiscono esecuzione di un rapporto
negoziale già operante: essi devono essere, infatti, ricondotti in
un unico contesto deliberativo, finalizzato alla formazione della
volontà dell'I.R.I. sia in ordine alla cessione delle azioni SME
che riguardano gli altri atti ad essa coordinati e unitariamente
prefigurati come elementi indispensabili per la realizzazione del
l'intera operazione relativa al rilievo delle partecipazioni azionarie.
La qualificazione corretta è, dunque, quella posta a fondamen
to della seconda ipotesi corrispondente — a giudizio della Buito
ni — alle possibili linee di sviluppo del procedimento contrattuale, all'interno delle quali la deliberazione di contrattare ha natura — come per ogni altro ente in cui il potere deliberativo sia sepa rato da quello rappresentativo — di atto di formazione della vo
lontà, con effetti meramente interni, che legittima l'organo munito
di rappresentanza negoziale alla conclusione del contratto.
7. - Chiarito il senso del richiamo all'approvazione del consi
glio di amministrazione dell'I.R.I., fatto dai presidenti dei due
enti nelle intese del 29 aprile 1985, occorre ora esaminare il riferi
mento alla richiesta all'autorità di governo della «autorizzazione
di legge», compiuto dal presidente dell'I.R.I. nel punto c) delle
stesse intese.
Il ruolo necessario di tale autorizzazione nel processo formati
vo della fattispecie contrattuale trova la più eloquente e inconfu
tabile conferma nella lettera con la quale il prof. Prodi ha
comunicato all'ing. De Benedetti l'avvenuta approvazione della
operazione nei termini indicati nell'atto del 29 aprile 1985. Lo
scritto del 9 maggio 1985 è stato a torto qualificato dalla difesa
della Buitoni come mezzo di esternazione della volontà dell'I.R.I.
con cui, secondo il meccanismo fissato dall'art. 1326 c.c., il pro
ponente ha avuto conoscenza dell'accettazione dell'altra parte. Una simile analisi ricostruttiva è smentita, in modo diretto e non
equivoco, dal contenuto della stessa lettera del presidente del
l'I.R.I. in cui è chiarito che l'approvazione è avvenuta «salvo
l'autorizzazione dell'autorità di governo, indicata nel punto c) delle nostre intese del 29 aprile 1985» ed è affermato che è stata
trasmessa «tutta la documentazione al ministro delle partecipa zioni statali per gli adempimenti di sua competenza», con la pre cisazione che «nell'approssimarsi del termine del 10 maggio 1985,
di cui al successivo punto d) di tali intese, e nella ragionevole
consapevolezza che i provvedimenti di competenza del ministro
non potranno essere espressi entro tale data, con la presente le
propongo una consensuale modifica del predetto termine del 10
maggio 1985».
Le espressioni di pregnante e univoco significato usate nel testo
della lettera del 9 maggio 1985 (autorizzazione dell'autorità di
governo, adempimenti e provvedimenti di competenza del mini
stro) precludono qualsiasi diversa soluzione ermeneutica e costi
tuiscono un elemento di puntuale riscontro delle argomentazioni svolte a proposito del valore delle intese raggiunte dai presidenti
della Buitoni e dell'I.R.I. e dell'interpretazione con la quale è
stata attribuita a dette intese la funzione di individuare il conte
II Foro Italiano — 1987.
nuto del futuro contratto e di fissare i modi e i tempi del procedi mento formativo. D'altro canto, che le precisazioni riportate nel
la lettera del presidente dell'I.R.I. siano del tutto rispondenti alla
portata dell'atto del 29 aprile 1985 è indiscutibilmente conferma
to dalla lettera con la quale l'ing. De Benedetti, in riscontro alla
richiesta sopra esaminata, si è dichiarato d'accordo per il prolun
gamento dei termini al 28 maggio 1985, espressamente sollecitato
al fine di consentire l'emanazione dell'autorizzazione dell'autori
tà di governo e dei provvedimenti di competenza del ministro,
come, del resto, ha riconosciuto lo stesso ing. De Benedetti nella
successiva lettera del 10 giugno 1985 («Le preciso altresì di non
avere mai contestato che la proroga sia stata da lei motivata con
la necessità di acquisire un provvedimento ministeriale»).
Risulta, in tal modo, rafforzato il convincimento relativo alla
inesistenza di una definitiva dichiarazione di volontà contrattua
le, sia nelle intese del 29 aprile 1985 che nella lettera del 29 mag
gio 1985, e alla previsione di un iter negoziale in cui
l'autorizzazione governativa risulta inserita tra la deliberazione
del consiglio di amministrazione dell'I.R.I. e la manifestazione
della volontà dell'ente da parte dell'organo munito di rappresen tanza esterna, quale presupposto cui le parti hanno subordinato
la conclusione del contratto. Ulteriori elementi che convalidano
una tale opinione possono essere ricavati dalla lettera indirizzata
in data 26 maggio 1985 dall'ing. De Benedetti al ministro delle
partecipazioni statali, il cui testo inizia nel seguente modo: «In
relazione ai chiarimenti richiestimi anche dal presidente del consi
glio, desidero confermarLe quanto segue che la prego portare all'attenzione del C.i.p.i...... Se tale premessa rivela la consape volezza dell'ing. De Benedetti della necessità dell'intervento del
l'autorità governativa nella formazione della fattispecie
contrattuale, il successivo contenuto della lettera del 26 maggio 1985 rappresenta una chiara dimostrazione a sostegno della tesi,
recepita nella sentenza impugnata, secondo cui detta fattispecie non si era ancora esaurita, ma era tuttora in fase dinamica, tan
t'è che nello stesso documento, la Buitoni ha esposto in quattro
punti una serie di nuove condizioni da sottoporre all'esame del
C.i.p.i. (impegno a non cedere sino al 31 maggio 1990 a società
estere i pacchi azionari di controllo del gruppo SME-SIDALM, linee della strategia di sviluppo, nel settore alimentare, di un'im
presa industriale italiana sui mercati nazionali e internazionali, effettuazione dei necessari volumi di investimenti in raccordo con
il piano degli investimenti già previsto dall'I.R.I. per il settore
alimentare, premesse di sviluppo anche per l'occupazione), con
ciò mostrando di ritenere che le clausole dell'intesa del 24 aprile 1985 potevano essere ancora integrate e che, nonostante la deli
berazione del consiglio di amministrazione e la successiva lettera
in data 9 maggio 1985 del presidente dell'I.R.I., il contratto non
era stato concluso e le parti non erano vincolate.
8. - Verificata la necessità della più volte richiamata autorizza
zione governativa, va posto in risalto che essa potrebbe essere, in ipotesi, configurata non come elemento attinente al momento
di determinazione della volontà dell'ente, ma come condizione
di efficacia del contratto, pattiziamente recepita, o come condi
cio iuris stabilita da una disposizione di legge. Anche se le due diverse possibilità di qualificazione giuridica
conducono al medesimo risultato pratico, venendo a mancare, anche nel secondo caso, la correlazione tra la pretesa della Buito
ni e un rapporto contrattuale produttivo di effettti in cui indivi
duare il titolo giustificativo del trasferimento delle partecipazioni
azionarie, l'inquadramento più attendibile corrisponde a quello che riconduce l'autorizzazione nell'ambito del processo formati
vo della volontà dell'I.R.I. La conclusione, oltre ad essere avva
lorata dai numerosi argomenti, già esaminati, univocamente
sintomatici della direzione dell'intenzione delle parti, è quella mag
giormente rispondente alle linee della normativa vigente. Il tema di indagine postula una lucida e organica analisi siste
matica della struttura delle partecipazioni statali e dei rapporti tra gli enti di gestione, che ne rappresentano il baricentro, e gli
organi statali titolari dei poteri di indirizzo, dei quali si è già fatto cenno nel precedente § 4). La disamina si presenta estrema
mente delicata e complessa vertendo su una materia in via di ra
pida e spesso confusa evoluzione, rispetto alla quale risulta ardua
la praticabilità di un'operazione interpretativa di reductio ad unum
dei numerosi provvedimenti legislativi succedutisi in oltre un cin
quantennio, al punto che un'autorevole dottrina ha segnalato che
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1271 PARTE PRIMA 1272
le numerose questioni ancora aperte derivano dalla mancanza,
nell'ordinamento, di procedure capaci di responsabilizzare i due
centri decisionali, il politico e il manageriale, che legittimamente al tempo stesso esercitano un potere, in modo diretto o indiretto, su tutte le parti del sistema. Occorre, quindi, esaminare la nor
mativa che regola i rapporti tra organi statali ed I.R.I. per accer
tare se, in base al sistema vigente, sia attribuito ai primi un potere di autorizzazione sugli atti del secondo e, in caso affermativo,
per individuare l'effettivo contenuto di un siffatto potere autoriz
zatone e quale collocazione assuma rispetto all'attività negoziale
posta in essere dall'ente di gestione con i terzi.
Con sentenza n. 2091 del 25 marzo 1986 (id., 1986, I, 904), le sezioni unite della Corte suprema di cassazione hanno deciso
il regolamento di giurisdizione sollevato dalla soc. CO.FI.MA.
statuendo che la cognizione della presente vicenda processuale ap
partiene alla giurisdizione del giudice ordinario: nella parte finale
di tale pronuncia, il Supremo collegio ha affermato che «non
esisteva e non esiste disposizione di legge che preveda l'anzidetto
potere di autorizzazione nei confronti dell'I.R.I.» e che resta «im
pregiudicata la questione di merito del se all'esigenza dell'auto
rizzazione ministeriale si debba nella specie riconoscere natura
di condizione pattizia». Le parti hanno a lungo dibattuto gli effetti della pronuncia
sulla giurisdizione rispetto al giudizio di merito, essendosi ampia mente discusso se, alla luce dell'art. 386 c.p.c., debba riconoscer
si o meno valore vincolante alla proposizione relativa alla
inesistenza di una norma che stabilisca la necessità di autorizza
zioni governative per la cessione o il trasferimento di partecipa zioni azionarie.
Premesso che l'art. 386 dispone che «la decisione sulla giurisdi zione è determinata dall'oggetto della domanda e, quando prose
gue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del
diritto e sulla proponibilità della domanda», l'interpretazione più corretta di tale disposizione sembra corrispondere a quella che
fa derivare dalla pronuncia un duplice vincolo per il giudice di
merito riguardante sia la sua giurisdizione, che non può più esse
re rimessa in discussione, sia la qualificazione giuridica dei fatti
della causa compiuta dalla Corte di cassazione, in base al criterio
del c.d. petitum sostanziale, in relazione alla intrinseca consisten
za dell'interesse dedotto nella lite con riferimento alla disciplina
legale della materia. In tale operazione la Corte regolatrice non
si limita, cioè, a prendere atto della prospettazione che la parte dà al proprio interesse, ma accerta se questo debba essere qualifi cato come diritto soggettivo o come interesse legittimo alla stre
gua della normativa applicabile alla controversia.
I precedenti rilievi implicano che il giudice di merito deve atte
nersi alla qualificazione giuridica contenuta nella pronuncia sulla
giurisdizione e che non può, quindi, dissentire dall'interpretazio ne della norma effettuata, ai predetti fini, dalla Corte di cassa
zione. Un simile vincolo non è, tuttavia, riscontrabile nel caso
in esame, in quanto l'enunciazione relativa alla mancanza di una
disposizione di legge che imponga l'autorizzazione ministeriale sulle
cessioni delle partecipazioni azionarie dell'I.R.I. è estranea al de
cisum e costituisce una affermazione in tesi astratta, priva, quin
di, di valore vincolante per il giudice di merito. Invero, nella stessa
sentenza n. 2091/81 è precisato che «quando un soggetto, che
pretenda di avere stipulato con l'ente di gestione un contratto
avente per oggetto l'acquisto di partecipazioni, faccia valere il
diritto soggettivo perfetto nascente da tale contratto avanti al giu dice ordinario, tutte le questioni relative alla esistenza e legittimi tà degli atti amministrativi anzidetti, ed alla conseguente sussistenza
nel negozio dei corrispondenti requisiti di validità o di efficacia, sono questioni di merito (non già di giurisdizione) la cui soluzio ne è appunto rimessa al giudice ordinario munito di giurisdizio ne». Dalla stessa motivazione si evince, quindi, che il problema dell'autorizzazione si traduce, rispetto al rapporto contrattuale
posto a fondamento della domanda proposta dinanzi al giudice
ordinario, in questione attinente alla validità o all'efficacia del
contratto e, in definitiva, in una tipica questione di merito la
cui definizione è istituzionalmente riservata al giudice di merito.
D'altra parte, deve sottolinearsi che nella vicenda in esame il re
golameto di giurisdizione è stato proposto non solo nel giudizio instaurato dinanzi al Tribunale di Roma, ma anche nel giudizio
contemporaneamente pendente dinanzi al T.A.R. del Lazio aven
te ad oggetto l'impugnativa del decreto 15 giugno 1985 del mini
stro per le partecipazioni statali, ond'è che per verificare la
giurisdizione del giudice amministrativo la Corte di cassazione
Il Foro Italiano — 1987.
ha dovuto anche accertare se esista o meno una norma di legge attributiva del potere di autorizzazione nei confronti dell'I.R.I., idoneo a degradare la posizione soggettiva della parte, anche se
tale esame risultava ultroneo ai fini della giurisdizione del giudice ordinario per le ragioni indicate nella stessa motivazione della
sentenza n. 2091/86.
È importante precisare, inoltre, che, nella pronuncia sulla giu
risdizione, il Supremo collegio ha inteso il concetto di autorizza
zione nella accezione tradizionalmente propria del diritto pubblico, come provvedimento amministrativo tipico, di natura discrezio
nale, con funzione permissiva sul compimento di un atto giuridi co o sulla produzione degli effetti di esso, secondo la disciplina
prevista per i contratti della p.a. accompagnati da atti ammini
strativi rilevanti, anche nei confronti dell'altro contraente, come
condizioni di validità o di efficacia. Da tale ottica, risulta corretta l'affermazione contenuta nella
sentenza n. 2091/86 in quanto l'esame della normativa vigente
porta ad escludere l'esistenza di una disposizione di legge che
sottoponga i contratti dell'I.R.I., compresi quelli relativi alla ces
sione di partecipazioni azionarie, ad un'autorizzazione ministe
riale in funzione di presupposto di validità o di condizione di
efficacia. Un provvedimento autorizzativo era esplicitamente previsto dal
l'art. 6 r.d. 24 giugno 1937 n. 905, convertito nella 1. 25 aprile 1938 n. 637, che, nello stabilire le norme per l'organizzazione
permanente dell'I.R.I., disponeva che l'assunzione e la vendita
delle partecipazioni azionarie dovevano essere approvate dal mi
nistro delle finanze, secondo le norme stabilite dallo statuto, se
eccedenti un certo importo, e dal capo del governo, se importanti
acquisto o dismissione di partecipazioni di maggioranza. La disciplina dettata dal citato art. 6 r.d. 905/37 è stata recepi
ta nello statuto dell'I.R.I. approvato con decreto del capo del
governo del 31 dicembre 1937 (G.C/. 25 gennaio 1938, n. 19). Nel nuovo statuto, tuttora in vigore, non è rimasta, però, alcu
na traccia del potere autorizzatorio esplicantesi con le approva zioni riservate al ministro delle finanze e al capo del governo: ne consegue che, essendo stato approvato lo statuto vigente con
un atto avente valore di legge formale (d. leg. 12 febbraio 1948
n. 51), devono intendersi abrogate le disposizioni di cui all'art.
6 r.d. 905/37. Deve altresì escludersi che l'esercizio di un potere di autorizza
zione sia stato attribuito all'autorità governativa dalla 1. 22 di
cembre 1956 n. 1589, con la quale è stato istituito il ministero
delle partecipazioni statali, che ha demandato al nuovo organo le competenze già spettanti alla presidenza del consiglio, al consi
glio dei ministri e ai singoli ministri. La stessa conclusione può ricavarsi dall'esame dell'art. 3 d.p.r. 14 giugno 1967 n. 554, ema
nato in base alla delega contenuta nella 1. 27 febbraio 1967 n.
48, che fa riferimento al potere del ministro per le partecipazioni statali di autorizzare «nei casi previsti dalle disposizioni vigenti» l'assunzione di partecipazioni in nuove società e la cessione o
il trasferimento di partecipazioni azionarie. Come è stato anche
rilevato nella citata sentenza delle sezioni unite, che ha deciso
il regolamento di giurisdizione, la predetta disposizione non ha
creato nuove ipotesi di autorizzazioni ma ha semplicemente fatto
riferimento alle disposizioni all'epoca vigenti, tra le quali nessuna
di esse prescriveva l'autorizzazione per l'acquisto e la cessione
di partecipazioni azionarie da parte dell'I.R.I.: in questo senso
si è pronunciata anche la Corte di conti che, nella relazione al
parlamento sulla gestione finanziaria dell'I.R.I. per l'esercizio 1978, ha affermato che il citato art. 3 d.p.r. n. 554/67 non sancisce
con carattere di generalità il regime della previa autorizzazione
ministeriale nei riguardi degli enti di gestione e che, in particola
re, un simile regime non è operante nei confronti dell'I.R.I. (sez. contr. enti 24 ottobre 1979, n. 1511, id., Rep. 1981, voce Ammi
nistrazione dello Stato, n. 61). 9. - La mancanza di norme che prevedono l'autorizzazione mi
nisteriale come requisito di validità o di efficacia dell'attività ne goziale dell'I.R.I. non può, tuttavia, esaurire la disamina dei
rapporti tra autorità di governo ed I.R.I., con particolare riferi
mento alla cessione di partecipazioni azionarie, dal momento che
numerose disposizioni di legge attribuiscono a dette autorità una
serie di poteri attraverso i quali si realizza l'intervento pubblico nella sfera di azione dell'I.R.I. e degli altri enti di gestione. Si
tratta di poteri il cui esercizio dà vita a situazioni giuridiche non
catalogabili nella tradizionale categoria concettuale delle autoriz
zazioni e non qualificabili tra i requisiti di validità o di efficacia
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
dei contratti posti in essere dagli enti che gestiscono le partecipa zioni statali. Tra le principali devono essere ricordate le seguenti norme: a) l'art. 1, 3° comma, d. leg. 12 febbraio 1948 n. 51, contenente l'approvazione del nuovo statuto dell'I.R.I., stabilisce
che spetta al consiglio dei ministri di stabilire nell'interesse pub blico l'indirizzo generale dell'attività dell'istituto; b) l'art. 4 1.
22 dicembre 1956 n. 1589 dichiara che allo scopo di coordinare
l'azione del ministero delle partecipazioni statali con quella degli altri ministeri interessati, per quanto attiene alla determinazione
delle direttive generali inerenti ai diversi settori controllati dal
ministero, è istituito un comitato permanente composto, oltre che
dal ministro delle partecipazioni statali, dai ministri per il bilan
cio, per il tesoro, per l'industria e il commercio e per il lavoro
e la previdenza sociale; c) l'art. 2 d.p.r. 14 giugno 1967 n. 554
attribuisce al comitato interministeriale per la programmazione economica (C.i.p.e.) i compiti già riservati al comitato dei mini
stri di cui all'art. 4 1. 1589/56, precisando che esso esercita il
potere di verificare la conformità al programma economico na
zionale dei programmi annuali e pluriennali degli enti di gestione, di esaminare le modifiche e lo stato di attuazione, di formulare
direttive generali per l'attuazione dei programmi; d) l'art. 3 cita
to d.p.r. 554/67 (già esaminato per escludere la previsione di un'au
torizzazione ministeriale) stabilisce, tra l'altro, che il ministro delle
partecipazioni statali, nell'esercizio della vigilanza sull'I.R.I., sul
l'ENI e sugli altri enti pubblici controllati, comunica agli enti
le deliberazioni attinenti ai programmi e le direttive generali del
C.i.p.e. ed impartisce le direttive necessarie per la loro situazio
ne; e) l'art. 8 d.p.r. 31 marzo 1971 n. 282 afferma che in relazio
ne alle funzioni di vigilanza esplicate dal ministero delle
partecipazioni statali, gli ispettori hanno il compito di assumere
direttamente presso gli enti pubblici dipendenti, su incarico del
ministro, ogni elemento utile al fine di verificare l'attuazione del
le direttive impartite dal ministero e la puntuale osservanza dei
criteri di economicità di gestione; f) la 1. 12 agosto 1977 n. 675
stabilisce, all'art. 12, 1° comma, che il ministro delle partecipa zioni statali propone all'approvazione del comitato di ministri per il coordinamento della politica industriale (C.i.p.i.), istituito in seno al C.i.p.e., programmi pluriennali di intervento delle impre se a partecipazione statale e, all'art. 13, 3° comma, che il mini
stro per le partecipazioni statali trasmette alla commissione
parlamentare, composta da quindici senatori e quindici deputati nominati dai presidenti delle due camere in rappresentanza pro
porzionale dei gruppi parlamentari, una «relazione illustrativa degli atti ministeriali di indirizzo e delle direttive in ordine all'ingresso di imprese a partecipazione statale in nuovi settori produttivi,
all'acquisizione di imprese e agli smobilizzi».
Da un così ampio e articolato quadro di riferimento normativo
risulta, in modo esplicito, che l'I.R.I. — al pari degli altri enti
di gestione — è destinatario degli indirizzi programmatici espressi dall'autorità di governo attraverso il C.i.p.e., per quanto attiene
alla compatibilità dei suoi programmi annuali e pluriennali con
il programma economico nazionale, e attraverso il C.i.p.i., per ciò che riguarda le linee di politica industriale: nella maggior par te delle disposizioni sopra ricordate, inoltre, il ministro delle par
tecipazioni statali è considerato titolare del potere di direttiva e
il citato art. 13, 3° comma, 1. 12 agosto 1977 n. 675 elenca espres samente gli smobilizzi (cioè le cessioni delle partecipazioni azio
narie relative ad interi settori) tra le materie per le quali sono
operanti le direttive del ministro.
La figura della direttiva rappresenta il frutto dell'elaborazione
dottrinale sviluppatasi — soprattutto con riferimento al sistema
delle partecipazioni statali — da oltre trent'anni, con risultati an
cora in attesa di un organico inquadramento. Tenuto conto delle
posizioni della prevalente dottrina, le direttive possono essere ri
condotte nell'attività di alta amministrazione attraverso la quale l'azione degli enti di gestione viene orientata verso le linee di po litica economica stabilite dagli organi dello Stato muniti del pote re di indirizzo politico (parlamento e governo) e verso il
conseguimento degli obiettivi compatibili con tali linee: la diretti
va è stata, quindi, considerata come l'atto tipico finalizzato al
coordinamento del complesso di interventi in cui si compendia il governo pubblico dell'economia.
Un punto fermo nelle diverse opinioni espresse in dottrina è
costituito dal convincimento che la direttiva non corrisponde al
l'estrinsecazione di un rapporto di subordinazione gerarchica tra
Il Foro Italiano — 1987 Parte I-83.
10 Stato e gli enti di gestione, in quanto questi ultimi sono dotati
di autonomia imprenditoriale, il cui riconoscimento, a livello le
gislativo, scaturisce dall'art. 3 1. 1589/56 secondo cui le parteci
pazioni sono inquadrate in «enti autonomi di gestione operanti secondo criteri di economicità». Dalla posizione autonoma degli enti è stato tratto il corollario che la disposizione che impone 11 rispetto di criteri di economicità funziona anche come limite
del potere di direttiva, nel senso che questa non può tradursi in
ordini o comandi che determinano l'esautoramento dell'autono
mia gestionale e l'abbandono dei criteri di economicità: il che
fa sorgere un problema di delicati equilibri nei rapporti tra livello
politico e livello manageriale e porta senz'altro a riconoscere che
non è rispondente al disegno sotteso alla legislazione vigente una
situazione in cui l'autorità governativa utilizzi, attraverso le di
rettive, gli enti di gestione come strumenti inerti di intervento
sul mercato, come, del resto, non è conforme alle linee del siste
ma una assoluta libertà di azione che conduca detti enti alla scel
ta di fini e di obiettivi divergenti da quelli fissati dal polo politico, nell'unica sede, cioè, che è istituzionalmente legittimata alla valu
tazione degli interessi generali da perseguire mediante la gestione delle partecipazioni statali.
Le considerazioni testé esposte spiegano la ragione per cui il
contenuto prescrittivo alle direttive attiene principalmente alla in
dividuazione dei fini e, anche se talora può riguardare i mezzi
e le modalità dell'attività degli enti, non può assumere una speci ficità tale da elidere la possibilità di una loro autonoma determi
nazione nell'esercizio della gestione imprenditoriale e da assumere
la concretezza del singolo atto di gestione o negoziale (cfr. Cass.
14 dicembre 1985, n. 6329, id., 1985, I, 3091). Il tema più dibattuto è quello relativo al carattere vincolante
o meno delle direttive: in dottrina si riscontra una varietà di posi zioni che spaziano dalla tesi secondo cui la direttiva non crea
nell'ente l'obbligo di conformarvisi, ma semplicemente quello di
tenerne conto e di non discostarsene senza un motivo plausibile, alla tesi che configura la direttiva come la risultante di un proces so di codeterminazione e a quella che ad essa attribuisce una sor
ta di obbligatorietà intermedia fra l'ordine e il consiglio. In sintonia con i più recenti indirizzi della dottrina e con l'o
rientamento espresso dalla Suprema corte, va riconosciuto il ca
rattere vincolante delle direttive osservando che una simile
connotazione, oltre a corrispondere ad una esigenza coessenziale
alla effettività della funzione di indirizzo, che resterebbe vanifi
cata se non fosse accompagnata dall'obbligo per il destinatario
di conformarvisi, è comprovata da tutte quelle norme di legge, e in particolare dal menzionato art. 8 d.p.r. 31 marzo 1971 n.
282, che attribuiscono al ministero per le partecipazioni statali
specifici poteri di controllo in merito all'attuazione delle direttive
(cfr. Cass. 14 dicembre 1985, n. 6329). Va posto in luce un ulteriore profilo influente sulla definizione
della presente controversia, sottolineando il peculiare ambito di
operatività delle direttive, la cui rilevanza è limitata alla sfera
dei rapporti tra le autorità governative e gli enti di gestione, sen
za alcuna diretta incidenza sull'attività negoziale posta in essere
da questi ultimi secondo le regole proprie del diritto comune.
In altri termini, le direttive esplicano i propri effetti nel momento
della formazione della volontà degli enti, orientando le determi
nazioni dell'autonomia tecnico-imprenditoriale in direzioni con
gruenti con i fini di pubblico interesse, ma non condizionano la
validità e l'efficacia dell'attività contrattuale, come ha chiaramente
riconosciuto il Supremo collegio nella più volte citata sentenza
n. 6329/85 in cui è precisato che i programmi governativi e le
direttive ministeriali non sono elementi costitutivi degli atti di ge stione o negoziali, concorrenti assieme agli elementi regolati dal
diritto privato, a differenza di quanto previsto per i contratti ad
evidenza pubblica. 10. - Deve rilevarsi, a questo punto, che sussistono numerosi
elementi precisi e concludenti per affermare che l'espressione «au
torizzazione di legge», che figura nel testo delle intese del 29 aprile
1985, è stata usata dalle parti per indicare il potere di direttiva
spettante al ministro delle partecipazioni statali per le cessioni
che nel ricordato art. 13, 3° comma, 1. 12 agosto 1977 n. 675
sono designate col termine di smobilizzo.
Un primo argomento, di inequivoca valenza ermeneutica, può essere ricavato dal testo della delibera del consiglio di ammini
strazione dell'I.R.I. del 7 maggio 1985, nella cui premessa ricorre
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1275 PARTE PRIMA 1276
la seguente precisazione: «viste le disposizioni vigenti sul tema
dei rapporti di informazione con il ministro delle partecipazioni statali». Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della Bui
toni, l'espressione contenuta nella delibera è particolarmente si
gnificativa ed illuminante, in quanto l'esistenza di un obbligo di
informazione e di comunicazione è esplicitamente affermata nella
circolare n. 784 in data 28 aprile 1983 col quale il ministro per le partecipazioni statali ha stabilito la nuova disciplina dei rap
porti di informativa e di intervento in tema di iniziativa degli enti di gestione. Tale circolare ha abrogato quella precedente, emessa dallo stesso ministro in data 29 aprile 1975, che aveva
assoggettato alla preventiva autorizzazione una serie di operazio ni tra le quali è indicata anche la cessione di partecipazioni azio
narie, chiarendo che con le nuove istruzioni, tendenti anche al
rispetto del principio della economicità delle gestioni e dell'auto
nomia degli enti, questi sono tenuti a comunicare previamente il compimento di taluni atti di gestione, compresi quelli che im
portano l'acquisto e la cessione di partecipazioni azionarie, in
misura tale da modificare la posizione di controllo nelle società, 0 smobilizzi tali da modificare sostanzialmente i programmi ap
provati. Il contenuto della previa comunicazione deve riguardare 1 motivi, le finalità e le modalità delle operazioni e la loro inci
denza in termini economico-finanziari, nonché la coerenza e la
congruenza con gli obiettivi contenuti nei programmi e, ove emessi, con gli atti di indirizzo politico. Va sottolineato, peraltro, che
l'obbligo di informazione non è fine a se stesso, ma è specifica mente finalizzato all'esercizio dei poteri di direttiva spettante al
ministro, il quale — come è stabilito nella circolare del 1983 —
«potrà esprimere proprie osservazioni, delle quali gli enti di ge stione dovranno tener conto ai fini dell'assunzione delle definiti
ve determinazioni» e, occorrendo, potrà formulare richieste
interlocutorie di chiarimenti che non potranno comunque supera re l'ulteriore termine di venti giorni. Tale disciplina dimostra che
l'intervento della direttiva precede le «definitive determinazioni»
degli enti di gestione ed è, quindi, anteriore al perfezionamento delle fattispecie costitutive degli impegni contrattuali, come è sta
to esplicitamente confermato con la circolare del 19 ottobre 1984
con cui è stato chiarito che le comunicazioni ed informazioni de
vono essere compiute prima della formalizzazione di intese, di
accordi e di trattative.
Il riferimento ai «rapporti di informazione con il ministro delle
partecipazioni statali», inserito nella premessa della delibera del
consiglio di amministrazione dell'I.R.I., deve essere quindi, inter
pretato in stretta coordinazione con la circolare del 1983, che
non si limita a stabilire un obbligo di comunicazione, ma attri
buisce al ministro la facoltà di esprimere proprie osservazioni delle
quali gli enti di gestione devono tener conto prima di porre in
essere contratti comportanti smobilizzi. D'altra parte, che questa
rappresenti la corretta chiave di lettura del termine «autorizzazio
ne di legge» è comprovato dal contenuto della successiva delibera
del 13 giugno 1985 e della lettera di pari data del presidente del
l'I.R.I. col quale è stato prospettato al ministro «il dubbio che
la mancanza di espresse determinazioni della S.V. possa rendere
ipotizzabile l'applicabilità, nella specie, della figura del provvedi mento di autorizzazione tacita (c.d. «silenzio-assenso»), con la
conseguenza che la Buitoni, decorsi venti giorni dal precedente
fonogramma del 27 maggio 1985, e vale a dire trascorso inutil
mente il 16 giugno 1985, potrebbe invocare un intervenuto perfe zionamento dell 'iter autorizzativo».
11.- Alla luce di tutte le argomentazioni sin qui svolte, posso no trarsi conclusioni sufficientemente sicure e convincenti, rile
vando che nelle intese del 29 aprile 1985 la previsione dell'autorizzazione governativa, oltre a riflettere le linee della di
sciplina vigente e, in particolare, dell'art. 13, 3° comma, 1. 675/77
che menziona espressamente gli atti ministeriali di indirizzo e le
direttive in ordine agli smobilizzi, ha avuto la specifica funzione
di rendere rilevanti, sul procedimento di formazione della fatti
specie contrattuale, anche le determinazioni dell'autorità di go
verno, il cui campo di azione altrimenti, in caso cioè di mancata
inserzione nel contenuto delle intese, avrebbe conservato una di
mensione meramente interna, nei soli confronti dell'I.R.I. e sen
za alcuna influenza sul rapporto con la Buitoni in via di
costituzione.
Una volta accertato che le parti hanno delineato un meccani
smo contrattuale in modo tale da elevare le determinazioni mini
li. Foro Italiano — 1987.
steriali a presupposto imprenscindibile della definitiva manifesta
zione della volontà negoziale, deve inevitabilmente riconoscersi
che nel caso in esame la fattispecie non è stata portata a compi
mento, secondo le peculiari modalità procedimentali prefigurate nelle intese raggiunte dai presidenti della Buitoni e dell'I.R.I., i quali avevano previsto l'intervento di un atto qualificato come
autorizzazione, esprimente l'assenso o la non opposizione dell'au
torità governativa all'operazione di smobilizzo delle partecipazio ni statali dal settore dell'industria alimentare, e avevano
subordinato la conclusione del contratto alla sussistenza di tale
presupposto. Né vale obiettare — come ha fatto la difesa della Buitoni —
che il presupposto dell'autorizzazione governativa dovrebbe con
siderarsi verificato a seguito della delibera adottata il 27 maggio 1985 dal C.i.p.i. che ha ritenuto compatibile la sostanziale fuo
riuscita delle partecipazioni statali dal settore alimentare con gli obiettivi generali delle partecipazioni stesse. L'assunto non può essere condiviso per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, va rilevato che l'ottica da cui il C.i.p.i. ha valutato l'operazione di smobilizzo è quella della rispondenza alle linee generali di poli tica economica e che, da tale angolazione, lo stesso comitato in
terministeriale ha impegnato il ministro delle partecipazioni statali
«affinché, nel rilasciare il proprio benestare alla cessione a priva ti della SME e della SIDALM, impartisca direttive contestuali
all'I.R.I. perché siano assunti dalla controparte i seguenti impe
gni...»; ne consegue che, quand'anche le parti avessero fatto rife
rimento alla sola delibera del C.i.p.i., l'esercizio del potere di
direttiva da parte del ministro avrebbe comunque acquistato rile
vanza quale strumento di attuazione della deliberazione di detto
comitato. Inoltre, è stato in precedenza ampiamente illustrato che
con il richiamo all'autorizzazione di legge le parti hanno inteso
riferirsi proprio ad un atto emesso dal ministro, tant'è che il pre sidente dell'I.R.I. chiese — ed ottenne dal presidente della Buito
ni — una proroga del termine per consentire al ministro di adottare
i «provvedimenti di competenza» (v. lettere del 9 maggio 1985). Va segnalato, infine, che non ha alcuna influenza sulla defini
zione della presente controversia il riconoscimento dell'eventuale
illegittimità del decreto del 15 giugno 1985 con cui il ministro
delle partecipazioni statali, a modifica della circolare n. 784 del
28 aprile 1983, ha eliminato i termini in essa previsti e ha dispo sto la sospensione di ogni provvedimento di competenza ministe
riale ed ogni assentimento ad atti dell'I.R.I. in ordine alla proposta di cessione del pacchetto azionario SME-SIDALM, indicando le
modalità dell'ulteriore corso delle trattative con i diversi offerenti
e taluni da tenere presente nella scelta. Invero, anche se tale prov vedimento dovesse risultare illegittimo, dovrebbero essere mante
nute ugualmente ferme le conclusioni relative alla inesistenza del
vincolo contrattuale sul quale è stata fondata la pretesa azionata
dalla Buitoni, dal momento che la pronuncia giudiziale non può sostituire l'atto dell'autorità governativa né produrre effetti equi valenti a quello della fattispecie. La mancata conclusione del con
tratto potrebbe, tutt'al più, dare origine ad una responsabilità
precontrattuale ex art. 1337 c.c., che, però, nel caso in esame
non ha formato oggetto della domanda.
In definitiva, il mancato esaurimento del procedimento nego ziale non può non portare al rigetto dell'appello e alla conferma
della sentenza impugnata, che ha correttamente negato l'esistenza
di un titolo contrattuale idoneo a giustificare l'accoglimento della
domanda della Buitoni. (Omissis)
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