Sentenza 9 settembre 1960; Pres. Gionfrida P., Est. Giglio; Finanze c. CasalicchioSource: Il Foro Italiano, Vol. 84, No. 5 (1961), pp. 861/862-863/864Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151779 .
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861 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 862
fondo dominante, limitato e subordinato, e dalla strumen
talità della utilizzazione del fondo servente. Niun dubbio poi che tal servitù abbia il suo regolamento
giuridico nelle norme dettate, per le servitù in genere, nel codice di diritto civile, perchè tali norme hanno carattere
generale, e non sussitono, per le servitù in favore o a carico dei beni patrimoniali indisponibili, quelle particolari esi
genze che fanno escludere per le servitù di uso pubblico o per diritti demaniali l'applicazione indiscriminata delle
norme di diritto privato (Cass. 8 marzo 1958, n. 794, Foro it.,
Rep. 1958, voce Servitù pubbliche, nn. 1-5), ma soltanto la
esigenza della non sottrazione del bene patrimoniale indi
sponibile alla sua destinazione.
Ma una volta identificato il rapporto, e l'applicazione dell'art. 1069 cod. civ., viene in applicazione anche la norma dell'art. 2051 cod. civ. e la relativa responsabilità,
perchè, di vero, responsabile del danno è il soggetto che deve provvedere alla manutenzione, e che deve ritenersi
custode. In effetti la prescrizione di responsabilità a carico
del custode trova il suo fondamento nel potere di governo e nell'obbligo di vigilanza, nonché nelle particolari condizioni
del danneggiato, in relazione alla sua difficoltà di pro vare il nesso causale tra il danno patito e l'evento riferi
bile al custode, a paragone delle maggiori possibilità di
questo ultimo di provare la causa e il caso fortuito (Cass. 14 luglio 1959, n. 2279, Foro it., Rep. 1959, voce Responsa bilità civile, nn. 255, 256). Tal responsabilità non è ogget tiva ma è fondata sul dovere di vigilare e che la cosa non
arrechi danno a terzi (Cass. 12 marzo 1959, n. 738, ibid., nn. 258, 259).
Non pare poi che le conclusioni accolte, sia per quanto attiene alla responsabilità diretta, sia per quanto attiene
a quella indiretta, possono essere discusse trattandosi di
affermare la responsabilità di una pubblica Amministra
zione. Di vero è ormai principio comunemente ammesso
che il precetto del neminem laedere si pone come limite
generale esterno all'attività della pubblica Amministrazione, e non è escluso dal fatto che l'attività si svolga per il soddi
sfacimento di esigenze collettive ; d'altra parte la pubblica Amministrazione deve osservare non solo le norme giuri diche, ma anche quelle di comune prudenza, quelle di buona
amministrazione, e quelle tecniche, e la discrezionalità
che non può essere sindacata dal giudice ordinario, rimane
fuori da quelle norme ; se è discrezionale l'attuazione
dell'opera pubblica non ne è discrezionale la sua manuten
zione, anzi un minimum di manutenzione e il fatto che il
cittadino non abbia diritto ad essa non importa che il
cittadino non abbia diritto ad essere risarcito del danno
subito in un suo diritto primario e a seguito della omessa
manutenzione.
Per questi motivi, ecc.
CORTE D'APPELLO DI PALERMO.
Sentenza 9 settembre 1960 ; Pres. Gionfrida F., Est. Gi
glio ; Finanze c. Casalicchio.
lleijittli'o — Enfiteusi — Costituzione «li enfiteusi per
petua Imposta applicabile (R. d. 30 dicembre
1923 n. 3269, testo di legge del registro, art. 28 ; r. d.
30 dicembre 1923 n. 3270, testo di legge tributaria
sulle successioni, art. 30 ; r. d. 1. 7 agosto 1936 n. 1639, riforma degli ordinamenti tributari, art. 5, 15, 16, 20).
L'atto costitutivo ili enfiteusi perpetua è soggetto ad imposta
proporzionale eli registro, calcolata su un capitale formato dal decuplo del canone annuo. (1)
(1) Vedi in conformità Trib. Palermo 3(1 dicembre 1058, Foro it., Rep. 1959, voce Registro, n. 559 ; Comm. centi1, imp. dir. 10 febbraio 1956, id., 1956, III, 229, con nota di richiami
(la decisione è annotata dal Vezzoso, in Dir. e pratica trib., 1058,
II, 203), e, sostanzialmente, Comm. centr. imp. dir. 27 giugno
La Corte, ecc. — L'unica questione che la Corte deve decidere è se l'imposta di registro dovuta sull'atto 27 feb braio 1951, col quale Stefano Spoto Agnello concesse a Casalicchio Giovanni un lotto di terreno in enfiteusi per petua, debba essere commisurata al capitale formato da dieci annualità del canone convenuto, come ha ritenuto il Tribunale nella sentenza impugnata, o al valore della
piena proprietà del fondo concesso in enfiteusi, diminuito dal ventuplo del canone, come sostiene l'Amministrazione
appellante. La questione relativa al valore imponibile nella conces
sione di enfiteusi è stata dibattuta, in dottrina e in giuris prudenza, ed è stata risoluta ora nell'uno ora nell'altro
senso, ma può dirsi che ormai sia prevalsa la opinione accolta dal Tribunale e dalla Commissione centrale nella decisione impugnata e in quella, a Sezioni unite, del 10 febbraio 1956, n. 78802 (Foro it., 1956, III, 229), che la Corte ritiene di dovere seguire. Tale opinione, infatti, si fonda sulla chiara disposizione contenuta nel 1° comma dell'art. 28 legge di registro, contro la quale non possono ritenersi validi gli argomenti addotti dall'Amministrazione delle finanze a sostegno della propria tesi. Nella, disposi zione anzidetta, è stabilito espressamente che, nelle con cessioni di enfiteusi, fatte a norma dell'art. 957 cod. civ.,
l'imposta proporzionale è applicata ad un capitale formato di dieci volte l'annua prestazione in denaro e derrate e ad
ogni altro corrispettivo pattuito, se la concessione sia a
tempo indeterminato per venti o più anni.
L'Amministrazione delle finanze, senza disconoscere il
vigore attuale della disposizione suddetta, sostiene : a) che, con essa, il legislatore ha inteso indicare un metodo facile
per la pronta liquidazione dell'imposta al momento della
registrazione dell'atto, senza, però, derogare al principio
generale stabilito nell'art. 15 r. decreto legge 7 agosto 1936 n. 1639, secondo il quale le imposte di successione e di
registro, progressive e proporzionali, di trasferimento, sono
commisurate sul valore venale in comune commercio al
giorno del trasferimento ; b) che il valore venale in comune
commercio del diritto che l'enfiteuta acquista, con la costi
tuzione dell'enfiteusi, corrisponde appunto a quello della
proprietà piena del fondo, in quanto, oltre al cosiddetto
dominio utile, il medesimo acquista la facoltà di affranca
zione mediante il pagamento di una somma pari a venti
volte il canone, per cui, in concreto, l'enfiteuta diviene
titolare di un diritto il cui valore corrisponde a quello della
piena proprietà ridotto del capitale di affrancazione ; c)
che, pertanto, in applicazione del richiamato principio gene rale, anche nelle concessioni di enfiteusi, l'imposta di regi stro deve essere, in definitiva, commisurata al valore venale
determinato come sopra. A conferma della propria tesi.
l'Amministrazione rileva che, nello stesso art. 28 legge di
registro e nell'art. 30 legge sulle successioni, è stabilito,
rispettivamente, che, nei trasferimenti a titolo gratuito e
nei trasferimenti per causa di morte, il valore del diritto
dell'enfiteuta si considera corrispondente al valore della
piena proprietà, detratto venti volte l'annuo canone.
La Corte osserva che la distinzione fatta dalla Ammi
nistrazione tra liquidazione provvisoria, al momento della
registrazione, e liquidazione definitiva, in tempo succes
1958, Foro it., Rep. 1958, voce eit., un. 560, 501 : questa deci sione è annotata dal Ravagli, in Dir. e pratica trib., 1959, II, 357.
Sul principio, affermato in motivazione, che la costituzione di enfiteusi, anche se perpetua, dà origine ad un diritto parti colare sulla cosa altrui, ma il negozio non produce nè il trasfe rimento della proprietà del fondo enfiteutico, nè il trasferimento di un dominio util3, contrapposto al dominio diretto che per manga nel concedente, vedi, in conformità, App. Palermo 30 di
cembre 1958, Foro it., Rep. 1959, voce Enfiteusi, n. 7. Nel senso che, anche in caso di costituzione di enfiteusi
perpetua, il concedente è proprietario del fondo enfiteutico, vedi App. Bologna 5 aprile 1956, id., 1956, I, 766, con nota di richiami.
Sulla questione, vedi, da ultimo, Trifone, Enfiteusi, sub art. 959, pag. 13 e seg. : sub art. 970, pag. 82 e seg. (nel Com
mentario del cod. civile, a cura di A. Scialo.)a e G. Bkanca).
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863 PARTE PRIMA 864
givo, in base a due criteri diversi per la determinazione del
valore imponibile, non è ammissibile, in quanto la legge (art. 33) riconosce all'Amministrazione la facoltà di pro cedere a revisione dei prezzi, corrispettivi e valori risul
tanti dalle stipulazioni e dichiarazioni delle parti o anche
da determinazioni dello stesso Ufficio, ma non prevede la possibilità di adottare in momenti diversi criteri diversi
per la determinazione del valore imponibile ; e, per le con
cessioni enfiteutiche, l'unico criterio, stabilito nel 1° com
ma dell'art. 28 r. decreto 30 dicembre 1923 n. 3269 e riba
dito nel n. 16 della tariffa ali. A, è quello della capitaliz zazione del canone.
Conseguentemente, la disposizione del citato art. 28, la quale regola specificamente l'applicazione della imposta di registro alle concessioni di enfiteusi, costituisce una
norma speciale, che, non essendo stata abrogata, come è
pacifico, dal successivo r. decreto legge 7 agosto 1936
n. 1639, prevale, nella materia cui si riferisce, a quella
generale risultante dall'art. 15 decreto anzidetto.
Pertanto, essendo il valore imponibile, ai fini dell'ap
plicazione dell'imposta di registro nelle concessioni di enfi
teusi, determinato per legge, non può avere rilevanza il
fatto che lo stesso legislatore abbia, per altri atti, conside
rato il valore del diritto dell'enfiteuta corrispondente a
quello della piena proprietà, detratto venti volte l'annuo
canone, o il fatto che, in realtà, il valore del diritto dell'en
fiteuta sia diverso da quello risultante dalla capitalizza zione del canone.
Tuttavia, è da rilevare che l'affermazione dell'Ammini
strazione che l'enfiteut.a, nel momento stesso della conces
sione dell'enfiteusi, divenga titolare di un diritto il cui
valore corrisponde a quello della piena proprietà ridotto
del capitale di affrancazione, non è esatta.
Con essa, l'Amministrazione, anche se non espressa mente, finisce con l'attribuire alla concessione di enfiteusi
un effetto, il trasferimento della proprietà, dal concedente
all'enfiteuta, che non si verifica.
Infatti, per principio consolidato, soprattutto in base
alla disciplina del codice vigente, l'enfiteusi costituisce un
ius in re aliena e l'enfiteuta, al momento della concessione, non diviene proprietario, ma acquista soltanto il diritto a
diventare proprietario, mediante l'affrancazione, se e quando l'affrancazione si compia.
D'altra parte, il valore effettivo del diritto dell'enfi
teuta, al momento della coticessione, non può ritenersi
equivalente a quello della proprietà ridotto del capitale di affrancazione, se sull'enfiteuta, oltre al canone, grava il
più rilevante onere dei miglioramenti. In verità, al momento della concessione, il valore effet
tivo del diritto dell'enfiteuta non è determinàbile.
Si tratta di un diritto che, pur comportando il potere dell'enfiteuta di divenire proprietario mediante l'affranca
zione, dopo lungo tempo e dopo l'impiego di una incerta
quantità di lavoro e di capitale, non può considerarsi equi valente alla proprietà semplicemente gravata dall'onere del
canone, e non può essere valutato con sufficiente approssi mazione, per la indeterminatezza degli elementi di stima.
Pertanto, è da ritenere che il legislatore, il quale, come è noto, in vista del pubblico generale interesse del miglio ramento fondiario, favorisce, in vario modo, le concessioni di enfiteusi, con la disposizione di cui al 1° comma del l'art. 28 legge di registro, abbia voluto, da un canto, evi
tare accertamenti arbitrari e, dall'altro, stabilire, per la
determinazione del valore imponibile nelle concessioni sud
dette, un criterio di facile applicazione, che, in concreto, si risolve in una agevolazione per le parti tenute al paga mento dell'imposta. Diversi sono la natura e gli effetti
degli atti di cui al 4° comma del citato art. 28 e all'art. 30
legge sulle successioni, i quali hanno per oggetto, non la
costituzione dell'enfiteusi, ma il trasferimento del diritto
dell'enfiteuta e nei quali manca quel pubblico interesse, che si riscontra, come si è detto, nelle concessioni.
Pertanto, è logico che il legislatore abbia previsto per tali atti un trattamento tributario diverso, improntato a
criteri di normale imposizione, e, sussistendo anche per tali
atti la necessità di fare riferimento a criteri legali per evi
tare accertamenti arbitrari, ohe il medesimo abbia ado
tato dei criteri (quello della piena proprietà detratto venti
volte l'annuo canone, per i trasferimenti a titolo gratuito e per quelli mortis causa, essenzialmente gratuiti, e quello del corrispettivo pattuito, per i trasferimenti a titolo one
roso), in base ai quali l'imposta sugli atti di trasferimento
del diritto dell'enfiteuta risulta maggiore di quella dovuta
per le concessioni, e l'imposta sugli atti di trasferimento
a titolo gratuito risulta, come di regola, maggiore di quella dovuta sugli atti a titolo oneroso.
È chiaro, quindi, che il diverso trattamento previsto nel 4° comma dell'art. 28 e dell'art. 30 legge sulle succes
sioni ha una sua particolare ragione di essere e, conseguen temente, che il criterio, in tali disposizioni stabilito per la
determinazione del valore imponibile, non può trovare
applicazione fuori dei casi in esse previsti e tanto meno
nel caso di cui al 1° comma dell'art. 28 legge di registro, nel quale è stabilito un criterio particolare e diverso.
Non può dubitarsi, per ciò, che l'imposta di registro sull'atto di concessione di enfiteusi del 27 febbraio 1951
notar Marsala deve essere commisurata al capitale formato
da dieci volte l'annuo canone, come hanno deciso la Com
missione centrale delle imposto dirette e il Tribunale di
Palermo.
Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI AVELLINO.
Sentenza 7 aprile 1961 ; Pres. Petruzziello P., Est. Ian
nuzzi ; Vignola (Avv. Pionati) c. Comune di Montoro
Inferiore (Avv. Benigni).
Previdenza sociale — Inadempimento contributivo
Itcsponsabilità del datore di lavoro — Decesso
del lavoratore — Diritto dei superstiti al risar
cimento (Cod. civ., art. 2116).
La responsabilità del datore di lavoro per il danno rappre sentato dal mancato godimento delle prestazioni previden ziali, a causa di omessa o irregolare contribuzione, sussiste
anclie nei confronti dei superstiti del lavoratore deceduto. (1).
[1 Tribunale, ecc. — (Omissis). Chiarito in tal modo come
per affermare una responsabilità del datore di lavoro per i danni derivati dal mancato versamento dei contributi
si debba necessariamente far ricorso al 2° comma dell'art.
2116, al quesito riguardante l'estensione di tale comma il Collegio non esita a rispondere nel senso che, con la dispo sizione in parola, il legislatore, nonostante abbia usato
un'espressione apparentemente restrittiva, si è riferito in
realtà, oltre che al prestatore di lavoro, anche ai congiunti di esso, che in virtù delle norme sulla previdenza ed assi stenza obbligatorie siano direttamente titolari del diritto a
qualche prestazione e che il diritto stesso vedano restare
insoddisfatto in dipendenza di un'omissione di contribu zione da parte del datore di lavoro oltre che, naturalmente, in dipendenza dell'inapplicabilità del principio dell'auto matismo delle prestazioni sancito dal 1° comma di detto art. 2116.
Induce a tale interpretazione estensiva la considerazione
degli stessi scopi di carattere pubblicistico per i quali il
legislatore ha stabilito le varie forme obbligatorie di pre
fi) Non risultano precisi precedenti editi. In tema di responsabilità del datore di lavoro pei omessa o
irregolare contribuzione alle istituzioni di previdenza, v., da ul timo, con specifico riguardo alla efficacia nel tempo dell'art. 2110 cod. civ., Cass. 7 giugno 1900, n. 1487, Foro it., 1960, I, 1100, con nota di richiami, e, per quanto concerne altresì l'applicabi lità della norma ai dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici, la natura del diritto al risarcimento nonché la individuazione del relativo termine di prescrizione, Cons. Stato, Sez. IV, 25 marzo I960, n. 297, ibid., Ili, 120, con ampia nota di richiami, cui addi' A. Torrente, in Itiv. dir. civ., 1960, II, 573.
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