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REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA B
Il Tribunale in composizione collegiale, nella persona dei seguenti magistrati:
Dott. Vincenzo Perozziello Presidente Dott. Marianna Galioto Giudice Dott. Angelo Mambriani Giudice relatore
ha pronunciato, in nome del Popolo Italiano, la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al N. 33243/2011 R.G. promossa da:
FALLIMENTO M.V. COSTRUZIONI GENERALI S.p.A., in persona del curatore Avv. Francesco Iandolo, elettivamente domiciliato in Milano, C.so Porta Vittoria n. 50, presso lo studio dell'avv. Nicola Rondinone, che lo rappresenta e lo difende giusta delega a margine dell'atto di citazione ed in forza del decreto di autorizzazione emesso dal G.D. in data 8 aprile 2011
ATTORE
contro
PIETRO RICIOPPO CONVENUTO CONTUMACE
GIUSEPPE NICOLÒ, SEBASTIANO RAPAGLIA, GIANNI COMITANI, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Tiziano Membri, Alberto Manfredi e Viviana Cherchi, ed elettivamente domiciliati in Via San Barnaba n. 32, Milano, presso lo studio legale Danovi, come da procura in calce alla comparsa di risposta.
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VITTORINO RANGHINO, ANTONIO RANGHINO, EUROPEAN AUDIT SRL, elettivamente domiciliati in Piazza Cinque Giornate n. 10, 20129 Milano, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Nicola Bordino che li rappresenta e difende come da procure in calce alle copie notificate dell’atto di citazione in rinnovazione.
CONVENUTI
E CONTRO
SOCIETA’ REALE MUTUA ASSICURAZIONI (C.F. 00875360018), rappresentata e difesa dall’Avv. Gaetano Del Borrello ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Via Terraggio n. 17, 20123 MILANO, come da procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione per chiamata di terzo MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. (C.F. 00957670159), c, rappresentata e difesa dall’Avv. Gaetano Del Borrello ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Via Terraggio n. 17, 20123 MILANO, come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta UNIPOL ASSICURAZIONI SPA (C.F. 02705901201), rappresentata e difesa dall’Avv. Sabina Palombo ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Via Turati n. 29, Milano, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta. ASSICURATORI DEI LLOYD’S (C.F. 07585850584), rappresentati e difesi dagli avv.ti ANTHONY PEROTTO Michele Zucca, e Antonio Mancini ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Via Agnello n. 12, 20121 Milano, come da procura in calce all’atto di citazione per chiamata di terzo. RSA-SUN INSURANCE OFFICE LIMITED (C.F. 00627150105), rappresentata e difesa dagli Avv.ti David Maria Marino e Marco Di Mola ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Via Gabrio Casati n. 1, 20123 Milano, come da procura DOMANICO GIOVANNI (C.F. GNN55C19C509P), rappresentato e difeso dall’avv. Claudio Defilippi ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Corso di Porta Vittoria n. 54, 20122 Milano, come da procura a margine della comparsa di risposta. MILENA POZZI (C.F. PZZMLN67E55I625L), ANNALISA GATTI (C.F. GTTNLS64P46I119Y), ROBERTO FLAVIO GALLIANI (C.F. GLLFUR62S28I690P), rappresentati e difesi dagli Avv.ti Andrea Vitale e Concetta Rosaria Vitale ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Via Serbelloni n. 1, 20122 Milano, come da procure in calce agli atti di citazione per chiamata di terzo ASSICURAZIONI GENERALI SPA (C.F. 00079760328), rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Cordola ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Corso Porta Vittoria n. 29, 20100 Milano, come da procura generale alle liti allegata in copia alla comparsa di costituzione e risposta.
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PAOLO PIETROBELLI (C.F. PTRPLA73E121531E), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Alberto Rossetti e Nicola Mantia ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in via C. Poerio n. 11, Milano, come da procura in calce al’atto di citazione per chiamata di terzo notificato
TERZI CHIAMATI
* * *
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.
* * *
MOTIVI DELLA DECISIONE
I) Il processo.
Con atto di citazione notificato nel maggio 2011 il Fallimento M.V. Costruzioni Generali S.p.a. (di
seguito anche: il Fallimento) conveniva in giudizio il sig. Pietro Ricioppo – socio al 39 % ed
amministratore unico di M.V. Costruzioni Generali S.p.a. (di seguito: MV Costruzioni o la Società)
dalla data di costituzione (8 gennaio 19893) alla messa in liquidazione (30 luglio 2007) -, i dott.
Giuseppe Nicolò, Gianni Comitani, Sebastiano Rapaglia (di seguito: Nicolò, Comitani, Rapaglia) –
componenti del primo collegio sindacale, in carica dal 20 dicembre 2000 al 10 luglio 2006 – nonché
European Audit s.r.l. - revisore legale della Società dal 27 ottobre 2005 (data in cui veniva trasformata
da s.r.l. in s.p.a.) alle dimissioni, rassegnate il 18 maggio 2007 in occasione dell’ approvazione del
bilancio al 31.12.2006 (di seguito: European Audit) -, il dott. Vittorio Ranghino – amministratore
delegato di European Audit e firmatario delle relazioni ai bilanci al 31.12.2005 e 31.12.2006 (di
seguito: Vittorio Ranghino) -, il dott. Antonio Ranghino (di seguito: Antonio Ranghino) – incaricato
da European Audit della revisione legale della Società ed egli stesso revisore legale della Società dal 18
maggio 2007 al 26 giugno 2007, quando l’assemblea nominava il successivo revisore dott. Paolo
Pietrobelli -.
Le conclusioni formulate, ribadite in sede di precisazione delle conclusioni (salvo che per la domanda
di rinnovazione della CTU), erano le seguenti:
“Voglia l‟On. Tribunale di Milano, in relazione ai fatti ed omissioni dedotti in causa:
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- accertare la responsabilità civile dei convenuti, nella loro qualità di amministratore unico, componenti del collegio sindacale, società incaricata, esecutore e responsabile della revisione contabile della soc. M.V. Costruzioni Generali S.p.a. in liq.ne (già s.r.l.), ai sensi degli artt. 2043, 2392 ss., 2407, 2409-sexies (vigente all‟epoca dei fatti) 2446, 2447, 2476, 2484-2486 c.c., e 146, 224 l. fall., per avere omesso di accertare o fornire gli elementi utili per fare accertare tempestivamente nel corso del periodo intercorso fra il 01/01/2004 e il 30/07/2007, e comunque sulla base dei veritieri dati di bilancio al 31/12/04, al 31/12/05 e al 31/12/06, la causa di scioglimento ex art. 2484 n. 4 c.c. per perdita del capitale di MVCG di oltre un terzo con discesa sotto il minimo legale, e comunque di assumere le correlate iniziative di legge inerenti alla specifica carica, con illecita prosecuzione dell‟attività di impresa; - condannare conseguentemente i convenuti in solido, per la parte ad essi imputabile, al risarcimento dei danni subiti dal Fall.to M.V. Costruzioni Generali S.p.a. in liq.ne per le perdite accumulate successivamente al momento in cui in ragione di un costante monitoraggio della situazione economico-finanziaria o al più tardi sulla base dei veritieri dati di bilancio al 31/12/04, al 31/12/05 e al 31/12/06, avrebbe dovuto essere accertata la causa di scioglimento di MVCG per la perdita del capitale sociale per oltre un terzo, ossia in via principale nella misura di € 10.000.000 il Sig. Pietro Ricioppo nella sola misura di € 6.662.327 i Sigg. Nicolò, Comitani e Rapaglia nella sola misura di € 3.893.952 la soc. European Audit s.r.l. e i Sigg. Antonio e Vittorino Ranghino o in subordine per la diversa somma accertanda in corso di causa, se del caso all‟esito di una consulenza tecnica d‟ufficio, o in base ad una valutazione equitativa ai sensi dell‟art. 1226 c.c. Con gli interessi legali dalla data odierna, e vittoria di spese, diritti e onorari”.
Tale citazione, formalmente nulla per mancata menzione ex art. 163 comma 3 n. 7 c.p.c.
dell’avvertimento di cui all’art. 38 c.p.c. veniva validamente rinnovata con citazione notificata nel
mese di novembre dell’anno 2012.
Si costituivano in giudizio tutti i convenuti ad eccezione del Ricioppo.
I sindaci Nicolò, Comitani e Rapaglia chiedevano di essere autorizzati a chiamare in causa le
compagnie di assicurazione Società Reale Mutua Assicurazioni, Milano Assicurazioni (Divisione La
Previdente) e Unipol Assicurazioni.
I revisori European Audit s.r.l., Vittorino e Antonio Ranghino, chiedevano di essere autorizzati a
chiamare in causa: - per garanzia, le compagnie di assicurazione Lloyd’s e RSA Sun Insurance; -
svolgendo nei loro confronti domande di accertamento del relativo grado di responsabilità e manleva, il
sig. Giovanni Giuseppe Domanico – socio al 53 % ed in tesi amministratore di fatto della Società (di
seguito: Domanico) -, dott.ri Flavio Roberto Galliani, Milena Pozzi e Annalisa Gatti - componenti del
secondo collegio sindacale, in carica dal 10 luglio 2006 alla dichiarazione di fallimento (21 novembre
2008) (di seguito: Galliani, Pozzi, Gatti) - nonché il dott. Paolo Pietrobelli - revisore contabile della
Società dal 26 giugno 2007 alla data del fallimento (21 novembre 2008) (di seguito: Pietrobelli).
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Seguivano i decreti di differimento dell’udienza fissata ex art. 168 bis comma 5 c.p.c., al fine di
consentire ai convenuti di chiamare in causa i terzi sopra indicati.
Tutti i terzi sopra indicati - Società Reale Mutua Assicurazioni, Milano Assicurazioni, Unipol
Assicurazioni, Lloyd’s, RSA Sun Insurance, Domanico, Galliani, Pozzi, Gatti, Pietrobelli – si
costituivano in giudizio.
Parte terza chiamata Gatti chiedeva a sua volta di essere autorizzata a chiamare in giudizio a propria
garanzia le compagnie Assicurazioni Generali e Zurich Insurance, sicché il processo subiva un ulteriore
differimento della prima udienza al 29 gennaio 2013.
Dei terzi chiamati da Gatti si costituiva solo Assicurazioni Generali, risultando successivamente la
rinuncia della parte chiamante Gatti nei confronti di Zurich Insurance.
Alla prima udienza del 29 gennaio 2013, il G.I., su richiesta di parte attrice, verificata la regolarità della
notifica della citazione, dichiarava la contumacia del convenuto Ricioppo; su concorde richiesta delle
parti, venivano quindi assegnati i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c.
Depositate le memorie istruttorie, all’udienza del 18 giugno 2013 parte attrice insisteva per
l’ammissione di CTU contabile, oltre a chiedere di ordinare al Pietrobelli la produzione del libro dei
revisori di cui questi aveva riferito il possesso senza averne fatto produzione con la memoria ex art.
183, comma 6, n. 2, c.p.c. Le altre parti si riportavano sostanzialmente alle istanze già svolte nei loro
atti. Il G.I. ordinava al terzo chiamato Pietrobelli di “esibire la residua parte del libro dei revisori che
fosse in suo possesso, mediante deposito in Cancelleria entro sette giorni prima della prossima
udienza”; ammetteva CTU contabile, nominando il Dott. Marco Garegnani; ordinava al Fallimento
“l‟esibizione di tutte le scritture contabili della società fallita a far data dall‟esercizio 2003, ed in
particolare del libro inventari e delle scritture contabili prodromiche alla sua redazione… entro sette
giorni prima della prossima udienza”; ammetteva l’interrogatorio formale del convenuto Ricioppo
richiesto da Domanico sulle circostanze indicate nella memoria di quest’ultimo ex art. 183, comma 6,
n. 2, c.p.c.; ammetteva l’interrogatorio formale del convenuto Comitani e altresì un teste a scelta di
parte Unipol sui capitoli di prova indicati nella memoria di quest’ultima ex art. 183, comma 6, n. 2,
c.p.c.; rinviava la causa per il conferimento dell’incarico peritale all’udienza del 17 settembre 2013.
In ottemperanza all’ordine del Giudice, il 19 luglio 2013 il terzo chiamato Pietrobelli provvedeva a
depositare in Cancelleria il “Libro dei revisori” (cautelata con autorizzazione della custodia in
cassaforte); mentre il 4 settembre 2013 parte attrice depositava “Nota autorizzata”, in cui la Curatela
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ribadiva di avere riversato in causa, sin dall’atto introduttivo, tutti i libri e le scritture (fra cui non era
annoverabile il libro degli inventari) in suo possesso in quanto ricevute dagli organi sociali, non
constando che presso la sede della società fallita in Sannazaro de’ Burgondi vi fosse altra
documentazione sociale.
All’udienza del 17 settembre 2013 il G.I. conferiva l’incarico peritale al nominato CTU, formulando i
seguenti quesiti:
“ dica il CTU, tenuto conto delle allegazioni ed eccezioni formulate dalle parti, esaminati gli atti di
causa e i documenti prodotti, sentiti gli eventuali consulenti tecnici di parte e compiuto ogni
accertamento del caso:
1) se i libri e le scritture contabili della società fallita siano complete e capaci di rappresentare
adeguatamente il patrimonio ed il movimento degli affari della stessa;
nonchè, previa ricostruzione della situazione patrimoniale e del conto economico della società fallita
con osservanza dei criteri legali di redazione del bilancio:
2) quale fosse l‟effettiva situazione patrimoniale della società fallita a far data dal 31.12.2003 e fino
alla dichiarazione di fallimento;
tenuto conto delle rettifiche e riclassificazioni operate dal Fallimento attore, a quale data risulti la
perdita del capitale sociale nella misura di cui all‟art. 2447 c.c. con le conseguenze di legge in ordine
alla continuazione della gestione e agli obblighi degli organi sociali;
4) ove emerga la perdita del capitale sociale, di quanto si sia aggravata la situazione economico-
patrimoniale dalla data di perdita del capitale alla data della messa in liquidazione e alla data
fallimento e, in particolare, di quanto sia aumentato il disavanzo in totale e per ogni esercizio.
5) ove emerga la perdita del capitale sociale, offra ogni elemento utile per la determinazione dei danni
conseguiti alla società ed ai creditori sociali, anche con riferimento al criterio della differenza fra
“netti patrimoniali” con riferimento al periodo sopra indicato, depurando tale differenza
dell‟abbattimento che il patrimonio netto avrebbe comunque subito se la società fosse stata
tempestivamente posta in liquidazione;
6) determini l‟ammontare dei danni eventualmente attribuibili a ciascuno dei diversi soggetti in causa,
tenuto conto della carica rivestita, del periodo di tempo in cui i medesimi ebbero ad assumerla, e del
momento in cui i medesimi avrebbero dovuto accorgersi, secondo le regole della diligenza
professionale, dell‟intervenuta perdita del capitale sociale ”.
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All’udienza del 23 settembre 2014, il convenuto Domanico veniva dichiarato decaduto dalla prova per
l’interrogatorio formale del convenuto Ricioppo, per omessa notifica a quest’ultimo dell’ordinanza
ammissiva del mezzo istruttorio.
All’udienza del 25 novembre 2014 il convenuto Comitani rendeva interrogatorio formale e veniva
sentita la teste Sig.ra Paraporti, sui capitoli di prova indicati nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2,
c.p.c., della terza chiamata Unipol. Il procuratore di parte attrice chiedeva una “integrazione” della
CTU, meglio da qualificarsi come rinnovazione, atteso che supponeva la nomina di diverso CTU (1) ed
il G.I., sentite le altre parti che si opponevano, rigettava l’istanza come da ordinanza da considerarsi qui
integralmente richiamata e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 10
marzo 2015.
In esordio di tale ultima udienza, il procuratore del Fallimento attore chiedeva preliminarmente di poter
produrre, previa remissione in termini, la relazione del consulente del P.M., D.ssa Pravettoni e
l’autorizzazione dello stesso P.M. (recata solo il giorno prima) a estrarre copia di tale elaborato; in
subordine, almeno l’allegato n. 1 a tale relazione, corrispondente a una lettera del liquidatore Dott.
Antonio Ranghino “attestante la consegna dei documenti a persona di fiducia del Domanico un anno
dopo la dichiarazione del fallimento … tali documenti il Fallimento non ha potuto acquisire in
precedenza, poiché le indagini non erano concluse e non era stato fatto il rinvio a giudizio, sicché era
preclusa la consegna dei documenti”. Il legale di parte attrice chiedeva altresì di sentire in
interrogatorio libero lo stesso Antonio Ranghino “in ordine alla circostanza della consegna del libro
inventari a persona fiduciaria del Sig. Domanico, circa un anno dopo la dichiarazione di fallimento”, 1) “richiamate tutte le argomentazioni svolte nelle Osservazioni alla prima relazione del CTU; rilevato in specie che parte attrice ha allegato l‟incompletezza e irregolarità delle scritture e dei libri sociali sin dall‟atto introduttivo, e la CTU è stata disposta dal G.I. con precisazione dei quesiti in contraddittorio, evidentemente conoscendo tale dato e dunque sul presupposto che la determinazione della data in cui è stato perso il capitale sociale e l‟imputazione delle perdite successive in relazione ai periodi in cui sono stati in carica i singoli convenuti non avrebbe potuto essere svolta dal CTU con <<precisione matematica>>, bensì solo con buon grado di approssimazione, come ammesso dalla giurisprudenza in materia (tanto che il quesito n. 3 invitava a tenere <<conto delle rettifiche e riclassificazioni operate dal fallimento attore>> su base forfettaria) e come invece considerato impraticabile dal CTU secondo la sua interpretazione dei quesiti sottopostigli; rilevato che detta determinazione si prospetta necessaria al fine di accertare la responsabilità non solo dei sindaci convenuti ma persino del contumace amministratore unico Ricioppo, non essendo a questo (bensì ai liquidatori) imputabile la mancata consegna delle scritture e dei libri carenti; rilevato che, qualora il Collegio condividesse la tesi attorea della possibilità di impiegare nei confronti di detti soggetti metodi forfettari di computo del danno, anche avvalendosi del potere equitativo ammesso in giurisprudenza nella fattispecie, dovrebbe avere a disposizione adeguati elementi tecnici, anche di natura valutativa; tutto ciò premesso, chiede che il G.I. voglia disporre un‟integrazione della CTU, invitando altro nominando consulente a pronunciarsi sugli stessi quesiti da 2 a 6 già formulati, con l‟applicazione di metodi forfettari impiegati con prudente apprezzamento secondo le regole della scienza contabile”.
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risultante dalla menzionata lettera di cui all’allegato n. 1. Precisava il Curatore, presente
personalmente, di avere chiesto in precedenza più volte la predetta documentazione alla Procura della
Repubblica, ma che gli era stata sempre opposta la pendenza delle indagini.
Le altre parti si opponevano a tutte le richieste di parte attrice, allegando in particolar modo trattarsi di
documentazione tardiva e inconferente. Il G.I. sulle stesse così provvedeva: “ritenuto che i documenti
prodotti oggi sono rilevanti e non inammissibili in quanto ottenuti dal Fallimento in data 9 marzo
2015, il deposito della relazione del c.t.u. del P.M. è in data 31 ottobre 2014 e il termine per il deposito
delle memorie ex art. 183 comma 6 n. 3 c.p.c. scadeva il 22 maggio 2013, acquisisce i documenti sopra
indicati. Rigetta l‟istanza di interrogatorio libero del Ranghino”. Il legale di parte attrice si impegnava
a depositare i documenti in questione anche in via telematica.
A questo punto, tutte le parti precisavano le conclusioni come da fogli cartacei vistati dal Giudice e/o
da fogli già depositati per via telematica.
Il Giudice assegnava i termini per il deposito delle difese finali, e assumeva la causa in decisione
rimettendo gli atti al Collegio.
II) Il merito.
II.1) Eccezione di prescrizione: rigetto.
I sindaci convenuti, le compagnie assicuratrici da essi chiamate in causa ed i Lloyd’s, hanno eccepito la
prescrizione dell’azione esercitata dal Fallimento.
L’ eccezione non può essere accolta.
Invero, come noto, l’azione svolta dal Fallimento ex art. 146 c.p.c., cumula l’azione sociale di
responsabilità (art. 2393 c.c.) e l’azione dei creditori (artt. 2494 e 2494 bis c.c.) (2), talché, con
riferimento alla consumazione del termine prescrizionale occorre verificare se esso si sia perfezionato
con riferimento ad entrambe le azioni di cui si discute, negandosi l’estinzione del diritto risarcitorio
quando il perfezionamento non si sia verificato almeno con riferimento ad una delle due.
2) Tra le tante: Cass., sez. 1^, 29 ottobre 2008, n. 25977, m. 605521; Cass., n. 17121 del 2010; Cass., 23 giugno 2008, n. 17033.
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In proposito, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è costante nell’affermare che il termine
prescrizionale del diritto dei creditori al risarcimento – in applicazione della regola generale di cui
all’art. 2935 c.c. – decorre dal momento in cui si è divenuta oggettivamente conoscibile l’insufficienza
patrimoniale della società, lesiva delle loro ragioni, e che l’onere di provare quando la notizia sia stata
conosciuta o conoscibile dai creditori incombe agli organi sociali convenuti in giudizio. Aggiunge la
Corte che, in mancanza di prova diversa, la notorietà deve presumersi a decorrere dalla pubblicazione
della sentenza dichiarativa del fallimento (3).
Nel caso di specie, i convenuti ed i terzi chiamati non hanno offerto elemento probatorio di sorta in
ordine alla notorietà dello stato di insufficienza patrimoniale della Società ed anzi, secondo le loro
difese, il momento della perdita del capitale sociale non è determinabile nemmeno alla stregua delle
prove disponibili in questo processo.
Ciò posto, va considerato che il fallimento è stato dichiarato il 21 novembre 2008, un primo evento
interruttivo si è verificato con l’invio, da parte del Fallimento, della raccomandata di diffida e messa in
mora datata 8 aprile 2010 (doc. 8 att.); un secondo evento interruttivo si è verificato con la notifica ai
convenuti di un primo atto di citazione avvenuta nel maggio del 2011 – citazione nulla per motivi
meramente formali (la mancata menzione ex art. 163 comma 3 n. 7 c.p.c. dell’avvertimento di cui
all’art. 38 c.p.c.) e dunque idonea a svolgere la funzione di atto interruttivo della prescrizione; un terzo
atto interruttivo si è verificato con la notifica ai convenuti dell’atto di citazione anche formalmente
valido, avvenuta alla fine del mese di novembre dell’anno 2012. Ne consegue che il termine
prescrizionale quinquennale, decorrente dalla data di dichiarazione del fallimento, più volte interrotto,
non si è mai perfezionato.
II.1) Le domande del Fallimento: rigetto.
In premessa va sottolineato che la domanda svolta dal Fallimento è scolpita, senza possibilità di
equivoco, nelle sue stesse Conclusioni, assunte in atto di citazione e ribadite in sede di finale
precisazione.
Esse, sopra riportate, si devono qui considerare nuovamente trascritte.
In sede di comparsa conclusionale, poi, il Fallimento ha così sintetizzato le proprie domande: 3) Tra le tante: Cass., n. 13378 del 12.6.2014; Cass., n. 17121 del 2010; Cass., n. 901 del 2005.
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“il Fallimento MVCG con atto di citazione notificato nel maggio 2011 conveniva quindi in giudizio l‟amministratore unico Ricioppo, i membri del “penultimo” collegio sindacale e i “penultimi” revisori della società fallita, sostenendo che sulla base di una sovrastima delle attività e di una sottovalutazione delle passività, il capitale reale di MVCG fosse sceso sotto il minimo legale molto prima della messa in liquidazione della società, e in specie certamente già al termine dell‟esercizio 2004, sicché i predetti avevano mancato di porre in essere gli atti loro commessi dalla legge per il tempestivo accertamento della causa di scioglimento della società ex art. 2484 n. 4 c.c.” e chiedeva la loro condanna al risarcimento dei relativi danni (Memoria conclusionale, p. 10). Si può quindi affermare che il Fallimento ha svolto un’azione ex art. 146 l.f. in cui la causa petendi è
costituita dal comportamento negligente ed inadempiente dell’ amministratore e dei sindaci consistito
nella prosecuzione illecita – cioè non conservativa e con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale –
dell’attività economica della Società dopo la perdita del capitale sociale, in violazione del disposto
dell’art. 2486 c.c. e quindi incorrendo in responsabilità rispettivamente ex artt. 2392 e 2407 c.c.
Il petitum è poi costituito dal risarcimento del danno derivante alla Società ed ai creditori da tale
illegittima prosecuzione. Non sono stati contestati altri addebiti di mala gestio.
Orbene, facendo applicazione dei principi regolatori vigenti in materia - come perfettamente enunciati
da Cass., Sez. Un., n. 9100 del 2015, che il Tribunale condivide pienamente - alla fattispecie oggetto
delle deduzioni attoree, ne risulta che il Fallimento deve:
a) allegare in modo qualificato – cioè sufficientemente preciso e determinato – il comportamento
inadempiente che assume causativo del danno, ovvero il momento in cui il capitale sociale sarebbe
sceso per perdite sotto il minimo legare o sarebbe divenuto negativo, e che l’attività di gestione della
società è proseguita, in violazione degli artt. 2447 e 2486 c.c., senza l’adozione di misure volte alla
conservazione del valore del patrimonio sociale e della sua integrità ed invece con assunzione di nuovo
rischio imprenditoriale;
b) provare che tale prosecuzione illegittima dell’attività sociale ha causato un danno alla società o ai
creditori;
c) provare l’entità del danno, qui di natura certamente patrimoniale.
Quando il danno non può essere provato in modo puntuale e specifico – ad esempio perché le scritture
contabili non sono state tenute o non sono state tenute in modo regolare -, può farsi ricorso ex art. 1226
c.c. a criteri equitativi nella quantificazione del danno.
Il ricorso a tali criteri di liquidazione del danno, tuttavia, non solo deve essere giustificato da
circostanze – come ad esempio appunto la mancata tenuta o conservazione delle scritture contabili o la
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loro tenuta connotata da irregolarità così gravi da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del
movimento degli affari – che non hanno permesso l’accertamento degli effetti dannosi delle condotte
contestate, ma i criteri stessi – attenendo alla prova del danno che incombe al Fallimento – devono
essere allegati in modo preciso nella loro astratta dimensione metodologica, e soprattutto devono
risultare “plausibili” cioè capaci di produrre un risultato che rappresenti in modo comunque attendibile
gli effetti patrimoniali dannosi del comportamento illecito addebitato agli organi sociali (4).
Tali plausibili criteri, poi, dovranno trovare applicazione ai fatti gestionali e contabili rilevanti, come
provati, sortendo da tale operazione appunto la prova del danno, incombente, come si diceva, al
fallimento attore.
Per converso, i convenuti – oltre che avere interesse a difese che negano l’esistenza (della prova del)
danno e del nesso di causalità - saranno onerati della prova che l’inadempimento – cioè la prosecuzione
illegittima dell’attività dopo la perdita del capitale sociale - non è loro imputabile.
Nel caso di specie, il Fallimento attore ha allegato che il capitale sociale sarebbe divenuto negativo per
€ 1.655.816,00 al 31.12.2004, ottenendosi tale risultato dalla sottrazione delle rettifiche operate dal
Fallimento per complessivi € 3.257.763,00 – segnatamente rettifiche di ricavi, maggior
accantonamento rischi crediti, accantonamento fondo imposte – al patrimonio netto contabile, positivo
al 31.12.2004 per € 1.601.947,00 (p. 7 e 13 CTP dott. Luigi Zorloni).
Si può senz’altro dire, con riferimento alla condotta inadempiente, che è pacifico in causa che mai,
prima della fase di liquidazione iniziata il 30 luglio 2007, è stata attuata una gestione conservativa del
valore e dell’integrità del patrimonio, essendosi la stessa costantemente svolta secondo i parametri della
continuità aziendale.
Quanto al nesso di causalità ed alla quantificazione del danno il Fallimento si è riferito alle perdite
appostate nel bilancio al 31.12.2007, pari a circa € 10.000.000, affermando:
“A far tempo dall‟esercizio chiuso al 31.12.2004 il patrimonio sociale è andato completamente perduto per effetto di sopravalutazioni di attività e sottovalutazioni di passività che hanno trovato registrazione solo in successivi esercizi, senza il rispetto del principio di competenza. Il conseguente danno derivante dal ritardato accertamento delle cause di scioglimento, può essere determinato, quanto meno, in un importo di € 10.000.000 … rappresentato dalla perdita evidenziata nel bilancio d‟esercizio chiuso al 31.12.2007, ma, evidentemente, come motivato nel parere rassegnato nel capitolo precedente, di competenza di esercizi precedenti, il che fornisce la prova della sussistenza del rapporto di causalità tra l‟illecito e la perdita che ne è derivata” (p. 25 CTP Luigi Zorloni).
4) Cass., n. 16094 del 2005; Cass. n. 13887 del 2004; Cass., sent. n. 8 del 2003; Cass., n. 7896 del 2002.
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“La curatela fallimentare, per tramite del proprio consulente, ha individuato nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2004 il momento in cui il patrimonio sociale è andato completamente perduto per effetto di sopravvalutazioni di attività e sottovalutazioni di passività che hanno trovato registrazione solo in successivi esercizi, senza il rispetto del principio di competenza. Da quanto sopra è conseguito il danno provocato dagli organi sociali ritenuti responsabili delle false rappresentazioni in bilancio, determinato nell‟importo di Euro 10 milioni derivante, appunto dalle sommatorie delle perdite verificatesi nel corso dell‟esercizio 2003 e seguenti, che, al contrario, si sarebbero potute evitare qualora l‟attività societaria fosse stata fermata in tempo opportuno” (Memoria CTP dott.sa Roberta Zorloni, all. 5 Rel. CTU).
Orbene, come ribadito anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 9100 del 2015,
cit.), quale che sia o come si voglia denominare il criterio utilizzato per la determinazione del danno
patrimoniale causato dall’ illecita prosecuzione dell’attività economica della società dopo la perdita del
capitale sociale (usuale utilizzo del criterio denominato: “differenza dei netti patrimoniali”), esso deve
considerare due dati ineludibili:
a) non è imputabile agli organi sociali lo sbilancio antecedente la perdita del capitale sociale, perché
effetto di attività economica svolta lecitamente;
b) è essenziale la quantificazione dell’abbattimento che il patrimonio netto avrebbe comunque subito se
la società fosse stata tempestivamente posta in liquidazione a seguito della perdita del capitale sociale.
Come noto, infatti, la sola messa in liquidazione della società – implicando il mutamento della finalità
dell’attività economica e gestionale svolta, non più in continuità aziendale, ma appunto a scopo
liquidatorio – comporta, secondo la dovuta applicazione dei relativi principi contabili (OIC 5, par. 4.1 e
ss), una consistente svalutazione degli asset aziendali attivi, lo storno di alcune poste attive e
l’emersione di alcune particolari poste passive, nonché lo svolgimento di un periodo di liquidazione,
più o meno lungo e complesso a seconda del tipo di attività svolto, il cui risultato economico, per lo più
fisiologicamente negativo, dev’essere considerato.
Orbene, è ovvio che di tali diminuzioni patrimoniali non si può far carico agli amministratori in termini
di quantificazione del danno, poiché, quand’anche essi avessero tempestivamente messo in
liquidazione la società, quelle svalorizzazioni vi sarebbero state comunque, sicché esse non sono loro
imputabili per carenza di nesso di causalità con il comportamento tenuto.
Ne consegue che, ai fini della corretta applicazione del metodo di liquidazione del danno di cui si
discute, è imprescindibile quantificare la svalorizzazione suddetta e, quando non sia possibile tale
quantificazione, nemmeno in via equitativa, il metodo è inutilizzabile (salvo vi sia prova, nel singolo
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caso, dell’insussistenza di tale effetto di abbattimento degli attivi in ragione delle particolarità
organizzative, operative, finanziarie ed economico-patrimoniali della società).
Infine, anche questo è ovvio, la quantificazione del patrimonio netto rispettivamente alla data della
perdita del capitale ed alla data della tardiva messa in liquidazione o della dichiarazione di fallimento
va effettuata secondo criteri contabili omogenei, in particolare, per quel che si è detto, secondo quelli
propri della liquidazione.
Ciò posto si deve considerare che il quesito rivolto al CTU – qui da intendersi integralmente richiamato
- è stato formulato in piena aderenza con le allegazioni e deduzioni attoree, come sopra sintetizzate. Lo
riconosce lo stesso Fallimento, laddove, in comparsa conclusionale (p. 14), afferma che il G.I.
“ammetteva CTU contabile su quesiti speculari a quelli già sottoposti dal Fallimento attore al proprio
CTP”.
Questa premessa è volta a chiarire che, essendo i termini dell’azione proposta quelli come sopra
descritti, non ne è consentita l’immutazione in corso di causa.
In particolare non è consentito al Fallimento, perché si tratterebbe di domanda nuova, richiedere il
risarcimento di un danno diverso da quello come sopra individuato ed invece determinato
“forfettariamente” in ragione della mancata consegna di scritture contabili e della conseguente
disponibilità in capo al Fallimento stesso di documenti inidonei a rappresentare in modo
sufficientemente fedele il patrimonio ed il movimento degli affari della fallita.
Tanto premesso è possibile verificare quale esito probatorio sia stato conseguito circa le allegazioni del
Fallimento attore e se esso abbia assolto agli oneri probatori su di lui incombenti – sopra indicati – sulla
base degli elementi acquisiti al processo.
Dalle risultanze della espletata CTU si evince che le allegazioni attoree sono sfornite della necessaria
base probatoria.
Invero il CTU, rispondendo al primo quesito, ha affermato:
“I documenti prodotti in atti non sono „completi‟ ai sensi di legge e della normativa fiscale e previdenziale di riferimento, tenuto conto del tipo e delle dimensioni dell‟ impresa esercitata. Tra gli altri infatti non sono state depositate le schede di mastro, l‟intera contabilità di magazzino e il libro inventari. A causa di queste gravi carenze, i documenti prodotti non sono capaci di „rappresentare adeguatamente il patrimonio ed il movimento degli affari della società fallita. Il solo libro giornale non è infatti in grado di fornire tali informazioni, essendo imprescindibile la possibilità di risalire ai singoli fatti gestionali, ed alla documentazione a corredo dei medesimi.
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Sulla diligenza nella tenuta delle scritture contabili, il Fallimento eccepisce che le registrazioni riportate sul Libro Giornale sarebbero „irregolari‟ in quanto „riassuntive‟. Tale osservazione non è riscontrabile, stanti le lacune nella documentazione contabile e sociale versata in atti dianzi sottolineate. La mancata produzione in atti della maggior parte dei libri e delle scritture contabili non è ascrivibile ad una originaria mancanza dei medesimi (Cfr. doc. 35/1 e 35/2 Verbali delle verifiche del Collegio Sindacale in atti Fallimento e cfr. doc. 2 e 3 Libro del Revisore in atti Pietrobelli dai quali si evince l‟esistenza dei libri e delle scritture contabili all‟atto dell‟esecuzione delle verifiche), quanto alla mancata consegna degli stessi al Curatore da parte dei Liquidatori, come dichiarato dal Fallimento con Nota del 4 settembre 2013, a seguito di ordine di esibizione del Giudice del 18 giugno 2013. A tale riguardo si segnala la seguente affermazione del CT[P] Dott. Antonio Ranghino: „Lo scrivente comunque, estraniandosi dalla valutazione peritale, ma quale liquidatore sociale della fallita fino alla dichiarazione di fallimento il 13.11.2008, di avere consegnato tutta la documentazione sociale, sia alla società che al Curatore fallimentare e di avere precisamente indicato la giacenza dei documenti sia cartacei che informatizzati utilizzati dalla società fallita fino al momento della dichiarazione di fallimento. Il luogo e la posizione di tali documenti erano stati chiaramente e specificamente indicati al curatore Avv. Iandolo alla presenza del Cancelliere della sezione fallimentare; non si comprende pertanto le ragioni per cui la Curatela non abbia inventariato né certificato la presenza di detti documenti, custoditi in armadi chiusi a chiave al piano terra della sede operativa di detta società in Sannazzaro dei Burgundi, via Vigevano 39. (cfr. Allegato sub 6 – Memoria dott. Antonio Ranghino per European Audit, Antonio Ranghino e Vittorio Ranghino)”.
Sulla base di tali constatazioni e considerazioni, il CTU, quanto ai quesiti sub 2) e 3), ha dichiarato
l’impossibilità di ricostruire la situazione patrimoniale ed economica della società a far data dal
31.12.2003 e fino alla dichiarazione di fallimento e l’impossibilità di esprimere un giudizio sulle
rettifiche indicate dal Fallimento al fine di evidenziare il momento della perdita del capitale sociale ai
sensi dell’art. 2447 c.c.
Assai significativa, in proposito, sul piano qualitativo – va ricordato che la Società svolgeva attività di
progettazione, costruzione, manutenzione ristrutturazione di edifici in veste di appaltatrice – e
quantitativo, la posta relativa a “Lavori in corso su ordinazione”, analizzata dal CTU a titolo di
esempio.
Il Fallimento assume che quella posta,indicata in bilancio al 31.12.2006 per oltre 7,6 milioni di euro,
rappresenterebbe maggiori valutazioni fittizie “effettuate nel corso degli anni” per oltre 5,45 milioni di
euro (CTP Zorloni p. 13 s.).
Orbene, il CTU ha osservato, da un lato che: - secondo il CTP di parti convenute Nicolò, Comitani,
Rapaglia, analizzando i dati di bilancio dal 2002 al 2006 ed in particolare il rapporto tra le rimanenze
ed il fatturato (mantenutosi in un range del 21,5-29 % sino al 2005 e poi esploso al 93,7 %) si perviene
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alla conclusione che le fittizie maggiori valutazioni non possono che essere attribuite solo all’anno
2006; - secondo i CTP dei sindaci terzi chiamati rileva una grave carenza documentale; - secondo il
CTP dei primi revisori, al contrario, l’incremento del valore dei Lavori in corso nell’anno 2006 è
pienamente giustificato “a seguito della mancata definizione di SAL sulle maggiori commesse in
corso”, ed in particolare in ragione dell’incremento delle commesse (da 14 a 28 nel 2006) e del
portafoglio ordini, trovando riscontro nella riduzione della voce fatture da emettere.
A fronte di tale ventaglio di ipotesi – nessuna intrinsecamente illogica o infondata – il CTU non ha
potuto far altro che constatare che la loro verifica implicava la presenza e la disamina della contabilità
completa della Società e che la mancanza “dell’intera contabilità di magazzino, delle schede contabili,
dei libri inventari, dei dettagli di bilancio e di qualsiasi documento di supposto (estratti conto banca,
fatture attive e passive, bolle, ecc.)”, oltre a SAL e SIL, non consentiva tale verifica ed impediva
quindi di considerare tale posta ai fini dell’ individuazione del momento della perdita del capitale
sociale.
Ed ha aggiunto “Ciò rileva per la valutazione dei lavori in corso su ordinazione, come per le ulteriori
rettifiche proposte dal Fallimento” (Rel. CTU p. 11).
Sulla scorta di tali constatazioni e considerazioni, poi, il CTU, con riferimento ai quesiti sub 4) e 5), ha
premesso che il confronto dei patrimoni netti “contabili” (cioè non rettificati in chiave liquidatoria) è
contraddittoria rispetto alle finalità del criterio di quantificazione del danno qui considerato poiché
porterebbe ad assumere a riferimento un’ ipotesi di gestione – quella di “ordinario funzionamento” –
incoerente sia rispetto a quanto si sarebbe verificato in presenza della dovuta liquidazione, sia rispetto a
quanto di fatto si è verificato in presenza di effetto lesivo (la liquidazione del patrimonio in ambito
fallimentare).
Tanto premesso, anche sulla scorta delle considerazioni tecniche svolte dal CTU in proposito (p. 15 s.
Rel. CTU), si deve concludere che il criterio di liquidazione adottato dal Fallimento – cioè
l’identificazione quale effetto dell’illegittima prosecuzione dell’attività economica della Società delle
perdite registrate nel bilancio al 31.12.2007, che reca, come lo stesso Fallimento ha sottolineato,
svalutazioni di competenza di esercizi precedenti (v. supra) - non è corretto e porta ad inaccettabili
conseguenze, in termini di ascrivibilità agli organi sociali di danni il cui collegamento eziologico con i
loro comportamenti è del tutto aleatorio e causalmente indeterminato, se non addirittura certamente
insussistente.
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Invero, va ricordato in proposito che, in base a quanto detto in precedenza, non si è potuta determinare
la data in cui la Società ha perduto il capitale sociale, talché: - non è stato possibile determinare
nemmeno quali svalutazioni dovute sarebbero state di competenza del periodo antecedente alla perdita
del capitale, ed incidenti sulla stessa, e perciò irrilevanti ai fini del calcolo del danno da illecita
prosecuzione; - quali svalutazioni sarebbero state di competenza del periodo successivo, con la
necessità però di scriminare, rispetto a queste ultime, le svalutazioni non incidenti sul calcolo del danno
– quelle che si sarebbero comunque verificate se la società fosse stata posta in liquidazione
tempestivamente – e quelle incidenti, cioè prodottesi come esclusivo effetto della prosecuzione illecita
dell’attività. Emblematica, solo a titolo di esempio, la questione relativa al credito nei confronti di SEA
s.p.a. per € 1.700.000, definitivamente stornato solo nel corso dell’esercizio 2007 per € 1.171.016: il
CTP Zorloni afferma che la svalutazione doveva avvenire già nel corso del 2004 (p. 16 Rel CTP
Zorloni) – così contribuendo ad incrementare le passività impattanti sulla perdita del capitale ed
indifferenti ai fini del calcolo del danno -, ma non la considera tra le rettifiche che ha effettivamente
conteggiato ai fini del calcolo della perdita del capitale sociale (ibidem, p. 12). Dunque lo stesso
Fallimento non ha operato tutte le necessarie svalutazioni dei crediti al 31.12.2004 e tale svalutazione,
impattante sulle perdite registrate al 31.12.2007, è stata indebitamente considerata nel calcolo del
danno risarcibile.
Inoltre, quanto al metodo applicato dal Fallimento risulta comunque che:
a) non è stato configurato e quantificato un patrimonio netto iniziale di liquidazione alla data di asserita
perdita del capitale sociale (31.12.2004);
b) non è stato rideterminato il patrimonio netto alla data della effettiva liquidazione della società
(30.7.2007), considerando che il bilancio al 31.12.2007 è stato pacificamente redatto secondo criteri di
continuità aziendale;
c) non è stato rideterminato il patrimonio netto secondo criteri di liquidazione alla data del fallimento;
d) non sono stati confrontati i patrimoni netti, configurati secondo criteri di liquidazione alla data della
asserita perdita del patrimonio sociale e alla data della liquidazione e della dichiarazione di fallimento.
Tutto ciò comporta che “la somma richiesta a titolo di danno da parte del Fallimento è comprensiva di
rettifiche che la corretta metodologia avrebbe escluso, in quanto incidenti sia sul patrimonio netto
iniziale di liquidazione che su quello finale alla data della effettiva liquidazione o del fallimento” (Rel.
CTU p. 16).
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Il ordine al quesito n. 7, il CTU ha concluso nel senso che, ritenuti non determinabile il momento della
perdita del capitale sociale e non corretta la modalità con la quale il Fallimento ha quantificato il danno
da prosecuzione dell’attività, non è possibile determinare né il momento in cui gli organi sociali
avrebbero potuto accorgersi – secondo diligenza professionale – della perdita stessa, né la frazione
dell’ammontare complessivo attribuibile a ciascuno dei componenti.
Della correttezza delle conclusioni del CTU si rinviene conferma nella relazione redatta dalla dott.sa
Barbara Pravettoni – consulente tecnico del Pubblico Ministero nel parallelo processo penale -,
prodotta dallo stesso Fallimento attore all’udienza del 15 marzo 2015.
La dott.sa Pravettoni, infatti ha:
a) verificato l’incompletezza della documentazione contabile rinvenuta in atti, ai sensi della normativa
civilistica, fiscale e previdenziale, considerando il tipo e le dimensioni dell’impresa, in particolare
riscontrando il mancato reperimento del bilancio alla data del fallimento, libro inventari, schede di
mastro, registri iva vendite ed acquisti a partire dal 2005, fatture emesse e ricevute dal 2005, libro
matricola, libro infortuni, estratti conto bancari (p. 13 rel. Pravettoni).
b) affermato che, in ragione di tale incompletezza, non è stato possibile: - analizzare le operazioni
societarie sotto il profilo gestionale e valutarne i riflessi economici, patrimoniali e finanziari, con
conseguente impossibilità di fornire indicazioni certe in ordine alla composizione delle perdite
emergenti dai bilanci nonché in ordine ad eventuali oneri e spese estranei all’attività di impresa (p. 22,
23 Rel. Pravettoni); - effettuare le dovute verifiche in ordine ai crediti commerciali (p. 30 Rel.
Pravettoni); - effettuare, in ordine alla veridicità dei bilanci, rilievi ulteriori rispetto a quelli relativi ai
mancati accantonamenti relativi a debiti tributari e previdenziali, sanzioni ed interessi nonché alla presa
d’atto della differenza tra crediti indicati nel ricorso per concordato preventivo e crediti recuperati dal
curatore (ibidem); - indicare se e quali operazioni siano state occultate o dissimulate a mezzo di falsità
di bilancio (ibidem); - individuare eventuali atti di sottrazione o dissipazione di carattere finanziario (p.
58 Rel. Pravettoni); - esprimere un parere in ordine alla correttezza nella tenuta delle scritture contabili
(p. 59 Rel. Pravettoni).
Va inoltre sottolineato che, peraltro ragionando con esclusivo riferimento agli omessi accantonamenti
per sanzioni ed interessi, il consulente del Pubblico Ministero, ha collocato la perdita del capitale
sociale al 31.12.2006 (p. 26 Re. Pravettoni). Si tratta di una collocazione posteriore di ben due anni
rispetto a quella proposta dal Fallimento, con conseguenze comunque esiziali sulla domanda svolta
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dall’attore in questa sede, non solo e non tanto perché il collegio sindacale convenuto cessava solo
poco più di sei mesi dopo, ma per la conclamata impossibilità, appunto anche in base alle risultanze
della Relazione Pravettoni, di calcolare in primis il patrimonio netto alla data di perdita del capitale
sociale con criteri liquidatori e poi anche le altre componenti essenziali in cui si concreta l’applicazione
del metodo della “differenza dei netti patrimoniali” (v. supra). A ciò si deve aggiungere che, nell’aprile
2007, MV Costruzioni cedeva in affitto il ramo d’azienda per l’esecuzione dei lavori pubblici, sicché,
pur proseguendo la sua attività in continuità aziendale, tale attività è comunque significativamente
mutata sul piano contenutistico proprio nei primi mesi del 2007.
Infine, si deve sottolineare che lo stesso Fallimento attore ha pacificamente riconosciuto sia in atti
difensivi che nelle memorie tecniche versate in sede di CTU tanto l’incompletezza delle scritture
contabili avute a disposizione e prodotte in atti, quanto la loro incapacità di rappresentare con un
minimo di attendibilità il patrimonio della Società ed il movimento degli affari.
Sulla scorta di quanto considerato sinora, vanno considerate infondate le deduzioni critiche svolte dal
Fallimento in ordine alle conclusioni cui è pervenuto il CTU. Non era infatti possibile in alcun modo,
allo stato degli atti, pretendere che il CTU, come vorrebbe il fallimento, determinasse comunque un
danno in modo “forfettario”.
E ciò sia perché la modalità “forfettaria” di quantificazione del danno allegata dallo stesso Fallimento
si è rivelata del tutto inutilizzabile perché arbitraria ed incapace di rappresentare il danno ricollegabile
al comportamento illecito addebitato agli organi sociali, sia perché, data la configurazione della
domanda attorea, la mancanza, da parte del Fallimento, del riferimento ad altro criterio utilizzabile e le
risultanze pacifiche in punto di insufficiente capacità rappresentativa delle scritture contabili
disponibili, il reperimento d’ufficio di altro criterio di liquidazione del danno, prima che
inammissibilmente viziato da extrapetizione, sarebbe impraticabile. In sostanza, dietro la reclamata
modalità “forfettaria” di quantificazione del danno, l’attore vorrebbe nascondere la palese insufficienza
della prova del nesso di causalità del preteso danno con il comportamento inadempiente ascrivibile ai
convenuti.
Ma soprattutto, sulla scorta delle superiori considerazioni, rimane solo da prendere atto che la stessa
configurazione del comportamento inadempiente, necessariamente da intendere in termini fattuali
concreti, e la concreta manifestazione del danno – mancando la prova del momento in cui il capitale è
stato perduto e dell’ammontare del patrimonio netto di liquidazione al momento in cui la società ha
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perso il capitale ed al momento in cui è stata posta in liquidazione –, risultano entrambe sfornite di
prova.
In conclusione, una volta che il Fallimento – a mezzo delle CTP in atti – ha fondato la quantificazione
del danno sulle perdite come registrate in un bilancio (quello al 31.12.2007) redatto secondo criteri di
continuità ed ha nel contempo affermato che esse sono il frutto di svalutazioni che avrebbero dovuto
essere computate in esercizi precedenti, ma, per un verso, non ha specificato quali di queste
svalutazioni dovevano imputarsi al periodo antecedente alla perdita del capitale, quali si sarebbero
comunque verificate per effetto della liquidazione e quali sarebbero invece dovute alla prosecuzione
dell’attività, e, per altro verso, non è stato possibile effettuare tale discrimine a seguito di apposita
CTU, non resta appunto che accertare la mancanza di prova in ordine al danno ed al nesso di causalità.
* Negli scritti difensivi successivi al deposito della CTU, il Fallimento attore ha tentato di rimodulare
la domanda, da richiesta di risarcimento del danno causato dall’illegittima prosecuzione dell’attività
economica della società dopo il verificarsi della perdita del capitale sociale a richiesta di risarcimento
del danno in presenza di scritture contabili incapaci di rappresentare in modo veritiero e corretto il
patrimonio ed il movimento degli affari della fallita.
Si tratta di un tentativo per un verso inammissibile, poiché incorre nel divieto di mutatio libelli (v.
postea), ma comunque infondato.
Anzitutto va detto che dal fondamentale arresto delle Sezioni Unite, già citato, si desume un’
importante distinzione tra:
- la domanda attorea nei cui ambito la mancanza/inidoneità rappresentativa delle scritture contabili, in
presenza di allegazione di diverso ed autonomo addebito, sia da considerare deduzione rilevante ai fini
probatori;
- la domanda attorea nel cui ambito la mancanza/inidoneità rappresentativa delle scritture contabili
assurga essa stessa ad addebito mosso ai componenti degli organi sociali convenuti, e, dunque, a
componente essenziale della causa petendi.
Quanto al primo caso, la Corte di Cassazione ha affermato che: - l’assenza od inidoneità
rappresentativa delle scritture contabili non esime il Fallimento attore dall’allegare in modo
“qualificato” il comportamento illegittimo, causativo del danno, addebitato agli organi sociali; - la
mancanza/inidoneità rappresentativa delle scritture contabili non può di per sé giustificare una
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inversione dell’onere probatorio incombente all’attore, aggiungendo “appare evidente che l’eventuale
impossibilità di stabilire ciò di cui gli organi della società fallita potrebbero essersi resi responsabili
non giustificherebbe comunque la proposizione alla cieca di un’azione di responsabilità …”; - sono
praticabili criteri alternativi di accertamento del danno, in via equitativa, ex art. 1226 c.c., purché
giustificati da circostanza da cui si desuma l’ impossibilità di accertare altrimenti il danno (es., appunto,
la mancanza o inattendibilità delle scritture contabili) e purchè il ricorso al criterio alternativo utilizzato
sia “logicamente plausibile” rispetto alle circostanze del caso concreto.
Quanto al secondo caso, come si diceva, la Corte di Cassazione ha escluso che, nemmeno in astratto,
sia ricollegabile a quell’addebito un danno quantificato in termini di sbilancio attivo/passivo
fallimentare.
Orbene, nel caso di specie:
- nessun comportamento negligente è stato allegato dal Fallimento attore quale addebito risarcitorio nei
confronti dei convenuti, diverso ed ulteriore rispetto alla illecita prosecuzione dell’attività economica
della società dopo la perdita del capitale sociale;
- il Fallimento non ha chiesto di liquidare il danno in misura pari allo sbilancio attivo/passivo
fallimentare (sebbene si rinvenga in atti qualche accenno che però non può assurgere a vera e propria
allegazione e domanda);
- il criterio di liquidazione equitativa proposto dal Fallimento si è rivelato, per quel che si è detto sopra,
del tutto implausibile, sul piano logico e fattuale, rispetto alle circostanze del caso;
- il criterio di liquidazione equitativa denominato “differenza dei netti patrimoniali” si è rivelato non
applicabile.
Va infine sgomberato il campo da un altro possibile equivoco ingenerato dalle difese attoree, ovvero
che il danno richiesto sia ricollegato o ricollegabile in sé al comportamento illecito costituito dalla
mancata tenuta o conservazione o occultamento o sottrazione delle scritture contabili o dalla loro tenuta
in modo così irregolare da minarne la capacità rappresentativa.
Così intese le deduzioni attoree successive al deposito della CTU, risulterebbero inammissibili per
evidente mutatio libelli: da danno derivante da illegittima prosecuzione dell’attività economica dopo la
perdita del capitale sociale a danno derivante dalla mancata/irregolare tenuta delle scritture contabili.
In ogni caso la domanda sarebbe da rigettare e non solo per l’evidente mancanza di connessione tra tale
addebito ed il danno richiesto.
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Anzitutto, quanto alla irregolare tenuta delle scritture contabili, sia il CTU che la consulente tecnica del
Pubblico Ministero hanno negato di potersi esprimere: esula quindi la prova dell’inadempimento.
Quanto alla mancata tenuta delle scritture contabili, va sottolineato che risulta in modo chiaro agli atti
che la Società ebbe a tenere le scritture contabili. Lo si desume, tra l’altro, dai verbali delle verifiche
del collegio sindacale e dalle risultanze del libro del revisore depositato dal Pietrobelli (doc. 35.1, 35.2
att.; doc. 2 e 3 Pietrobelli; p. 6 CTU). Questo dato, del resto, non è contestato dal Fallimento.
Ciò posto, non di omessa o irregolare tenuta è possibile discutere, quanto invece di smarrimento,
occultamento o sottrazione dell’impianto contabile della Società.
Tali condotte non sono certamente ascrivibili agli odierni convenuti: non al primo collegio sindacale,
cessato il 10 luglio 2007, considerando che il successivo – che ebbe ad operare correttamente anche
secondo l’attore - non ha rilevato carenze del genere e che esse non sono emerse nemmeno in fase
concordataria; non all’amministratore, per gli stessi motivi (la società è entrata in liquidazione il 30
luglio 2007) e perché il liquidatore Antonio Ranghino non si è difeso affermando di non avere ricevuto
la documentazione contabile della Società da Racioppo, ma, al contrario, di averla avuta a disposizione
e di averla consegnata al curatore; non ai revisori, che nemmeno sono tenuti alla custodia e consegna al
curatore delle scritture contabili della società.
Si è dunque svolto un acceso contraddittorio in ordine alla circostanza se il liquidatore Antonio
Ranghino avesse informato il curatore di avere lasciato scritture e documenti contabili presso la sede di
San Nazzaro De’ Burgondi o se invece ciò non sia mai accaduto.
Ebbene, la circostanza risulta comunque irrilevante ai fini del decidere, poiché, con riferimento ai
convenuti diversi da Antonio Ranghino, è pacifico che essi non hanno avuto alcuna parte nella vicenda
relativa allo smarrimento/occultamento dei documenti in questione e, con riferimento al Ranghino, le
domande nei suoi confronti sono state svolte con riferimento all’inadempimento ai suoi doveri di
revisore della Società, mentre il Fallimento ha esplicitamente ed ampiamente dedotto, sin dall’atto di
citazione, sui motivi per i quali ha deciso di non agire nei confronti dei liquidatori, in primis dunque lo
stesso Ranghino, dovendosi constatare che i doveri di tenuta, conservazione e consegna delle scritture
contabili al curatore incombono appunto al liquidatore.
Sulla scorta delle precedenti considerazioni le domande attoree devono essere rigettate nei confronti di
tutti i convenuti.
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III) Il regime delle spese di lite e la domanda di risarcimento del danno da lite temeraria proposta dal terzo chiamato Paolo Pietrobelli.
Il regime delle spese è regolato dal principio di soccombenza, di cui agli artt. 91 e ss. c.p.c. nel rapporto
tra attore e convenuti, ma va necessariamente integrato con l’applicazione della regola di imputazione
della causazione della chiamata, in forza del quale l’attore soccombente verso il convenuto deve altresì
rifondere le spese di giudizio al soggetto terzo chiamato, salvo che la chiamata in causa del terzo sia
“palesemente arbitraria” (5).
Nel caso di specie, il Tribunale considera senz’altro giustificate le chiamate in causa di tutte le
compagnie di assicurazione, trattandosi di chiamate in garanzia, ed invece ingiustificate le chiamate in
causa, da parte di European Audit, Antonio Ranghino, Vittorio Ranghino, del Domanico, del secondo
collegio sindacale (Galliani, Gatti, Pozzi) e del secondo revisore (Pietrobelli).
Quanto al Domanico, in atto di citazione per chiamata di terzo i chiamanti hanno svolto allegazioni
molto generiche, ammettendo che non vi erano prove documentali a supporto della tesi secondo cui egli
avrebbe svolto la funzione di amministratore di fatto e rimettendo l’acquisizione della prova sul punto a
testimonianze che sarebbero state richieste (p. 39 atto ci citazione). Come articolate in atto di citazione
per chiamata di terzo tali testimonianze, tuttavia, sono inammissibili per omessa indicazione dei
capitoli di prova e, in memoria ex art. 183 comma 6 n. 2, parti chiamanti non hanno chiesto
l’ammissione di alcuna prova testimoniale in ordine alla posizione del Domanico. E’ appena il caso di
aggiungere, che l’episodio relativo alla consegna, da parte del liquidatore Antonio Ranghino, a persona
“presumibilmente incaricata” da Domanico, di parte della documentazione contabile, avvenuto in tesi
circa un anno dopo la dichiarazione del fallimento, nulla dice in ordine all’esercizio, da parte del
Domanico medesimo, in modo continuativo e significativo di poteri gestori tipici dell’amministratore.
Si aggiunga che non risultano deduzioni circa i rapporti tra l’amministratore di diritto Ricioppo,
pacificamente operativo, ed il Domanico, rapporti invece che avrebbero dovuto essere spiegati da chi,
come i chiamanti, assumevano che anche il secondo avrebbe esercitato poteri gestori. 5) Cfr., tra le tante: Cass., n. 7431 del 2012; Cass., n. 12301 del 2005.
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In conclusione, la domanda proposta nei confronti del Domanico risulta arbitraria, anche se la sua
proposizione non appare connotata addirittura da grave colpa, trattandosi pur sempre del socio di
maggioranza, nei cui confronti sono state prefigurate prove testimoniali a carico (pur poi non richieste)
e menzionato con riferimento ad un episodio non chiaro di consegna delle scritture contabili.
Ne deriva che le spese di giudizio del Domanico, in applicazione dei principi meglio sopra illustrati,
devono essere rimborsate dai chiamanti in causa, in solido tra loro.
Quanto al secondo collegio sindacale, dalle deduzioni rese in proposito dal Fallimento sin dall’atto di
citazione, dalle difese degli stessi convenuti nonché dalle risultanze della Relazione Pravettoni, in
particolare risulta che i sindaci, peraltro onerati del solo controllo di legalità della gestione in presenza
del revisore, hanno svolto le verifiche contabili in modo assai critico e con cadenza più frequente del
dovuto, hanno censurato il bilancio al 31.12.2006 evidenziando l’omessa considerazione dei rischi e
perdite in corso di esercizio e l’omesso accantonamento di fondo per sanzioni ed interessi per mancato
pagamento di imposte e tasse, hanno ottenuto importanti svalutazioni di crediti, hanno indotto
l’amministratore alla liquidazione convocando assemblea ex art. 2406 c.c., hanno espresso una “no
opinion” in ordine al bilancio al 31.12,2007 e, depositata domanda di concordato, non si può pretendere
che essi si accorgessero della non correttezza della attestazione del piano concordatario (il cui unico
indizio è peraltro costituito dalle considerazioni svolte sul punto dalla dott.sa Pravettoni: cfr. p. 32, 43 e
s. Rel. Pravettoni), il tutto in un contesto in cui lo stesso Fallimento dubita fortemente che vi sia stato
un incremento di perdite nel periodo della liquidazione e fino alla domanda di concordato preventivo
(30.7.2007-9.5.2008: p. 23 e s. CTP L. Zorloni). I terzi chiamati non hanno proposto domanda ex art.
96 c.p.c.
Quanto al secondo revisore Pietrobelli: - va sottolineata l’assoluta genericità della chiamata in causa,
sostanzialmente immotivata e totalmente carente di allegazione in ordine ai doveri ed obblighi
professionali del revisore che, in ipotesi, fossero stati violati (p. 40 atto di citazione per chiamata di
terzo); - va notato che in atto di citazione il Pietrobelli viene soltanto menzionato con riferimento
all’assunzione della carica, in un contesto di ampie deduzioni in ordine sia alla responsabilità dei
“primi revisori” sia alla mancata citazione del secondo collegio sindacale; - il corretto operato del
Pietrobelli risulta non solo dalle difese svolte dallo stesso, ma soprattutto dalla citata Relazione del
dott. Zorloni (p. 17 e s.) e dalla Relazione della dott.sa Pravettoni (p. 39 e s.), dove si dà atto che il
medesimo ebbe a mettere in evidenza ripetutamente le criticità relativi ai crediti verso clienti, ebbe a
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dare atto del mancato versamento di imposte e contributi con aggravio delle relative sanzioni, già dal
20 novembre 2007 ebbe ad avvertire circa la carenza del requisito della continuità aziendale,
esprimendo poi rilievi critici e un giudizio di “no opinion” in ordine al bilancio al 31.12.2007 molto
rilevante in ordine allo sviluppo successivo delle vicende della Società, posta in concordato preventivo
dal 19 maggio 2008.
Ma soprattutto: poiché il Pietrobelli è succeduto ad European Audit ed Antonio Ranghino nel suolo di
revisore, e poiché il Fallimento non ha proposto azione nei confronti di Antonio Ranghino quale
liquidatore, era comunque assolutamente improbabile un concorso dei chiamanti in causa con il
chiamato, e quindi la sussistenza di una solidarietà tra loro nell’obbligo risarcitorio, in applicazione del
generale principio per cui (salvo eccezioni qui non allegate) ciascuno dei componenti degli organi
sociali e il revisore rispondono dei danni causati dagli atti di esercizio delle loro funzioni, dunque
limitatamente al periodo in cui sono stati in carica, e non per i danni provocati da altri nei diversi
periodi di esercizio delle loro funzioni. Emerge dunque una radicale carenza di interesse ad agire
rispetto alla domanda di manleva proposta da parti chiamanti nei confronti del Pietrobelli.
Sulla scorta di tali considerazioni emerge non solo la palese arbitrarietà della chiamata in causa ma
anche la fondatezza della domanda proposta dal terzo chiamato Pietrobelli, nei confronti dei chiamanti,
di risarcimento del danno da lite temeraria ex art. 96 c.p.c.
Spetta dunque al terzo chiamato Pietrobelli il risarcimento del danno da lite temeraria ex art. 96 c.p.c.,
danno da commisurarsi equitativamente in relazione al tempo ed alle energie profuse dalla parte sia per
contrastare le infondate pretese dei chiamanti (reperimento di documenti, contatti con i difensori, ecc.),
sia per il disagio costituito dal dover resistere in giudizio ad un'iniziativa destituita di ogni fondamento,
iniziativa peraltro coinvolgente la sua immagine di professionista (il Pietrobelli è iscritto all’albo dei
dottori commercialisti di Vicenza). Per giurisprudenza costante di questo Tribunale tale danno è
liquidato equitativamente in misura pari all'ammontare delle spese processuali. Tale criterio è qui da
confermare anche in relazione alla durata e complessità del processo e della qualifica professionale del
Pietrobelli.
* Ne risulta, in punto di regime delle spese processuali, che:
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a) parte attrice Fallimento MV Costruzioni Generali s.p.a. deve essere condannata a rifondere a parti
convenute Giuseppe Nicolò, Sebastiano Rapaglia, Gianni Comitani, in solido tra loro, le spese di lite,
che si liquidano in € 38.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali (15%), IVA e CPA
come per legge;
b) parte attrice deve essere condannata a rifondere le spese di lite a parti terze chiamate dai convenuti
Nicolò, Rapaglia, Comitani e cioè: - a Società Reale Mutua Assicurazioni ed a Milano Assicurazioni
(Divisione La Previdente), le spese di lite che si liquidano, considerando che esse sono difese dallo
stesso procuratore (Avv. Del Borrello) nonché l’identità del processo e la parziale identità delle
tematiche difensive, in € 25.000 per compensi professionali, oltre spese generali (15 %), IVA e CPA
per ciascuna di esse; - a Unipol Assicurazioni, le spese di lite che si liquidano in € 192,00 per spese, €
21.387,00 per compensi professionali (come da nota depositata), oltre spese generali (15 %), IVA e
CPA come per legge;
c) parte attrice deve essere condannata a rifondere a parti convenute European Audit s.r.l., Vittorio
Ranghino, Antonio Ranghino, in solido tra loro, le spese di lite, che si liquidano in € 34.800,00 per
compensi professionali (come da nota depositata), oltre spese generali (15%), IVA e CPA come per
legge;
d) parte attrice deve essere condannata a rifondere le spese di lite ad alcune delle parti terze chiamate in
garanzia dai convenuti European Audit s.r.l., Vittorio Ranghino, Antonio Ranghino e segnatamente: -
ad Assicuratori dei Lloyd’s, le spese di lite che si liquidano in € 30.000 per compensi professionali,
oltre spese generali (15 %), IVA e CPA; - a RSA – SUN Insurance Office Limited, le spese di lite che
si liquidano in € 30.000, oltre spese generali (15 %), IVA e CPA come per legge;
e) parti convenute European Audit s.r.l., Vittorio Ranghino, Antonio Ranghino devono essere
condannate a rifondere le spese di lite: - a Giovanni Domanico, le spese di lite che si liquidano in €
30.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali (15%), IVA e CPA come per legge; - a parti
terze chiamate Galliani, Gatti, Pozzi, in solido tra loro, spese che si liquidano in € 38.000,00 per
compensi professionali, oltre spese generali (15%), IVA e CPA come per legge; - a parte terza
chiamata Assicurazioni Generali, le spese di lite che si liquidano in € 20.250,00 per compensi
professionali (come da nota depositata), oltre spese generali (15 %), IVA e CPA come per legge; - a
parte terza chiamata Pietrobelli, spese che si liquidano in € 30.000,00 per compensi professionali, oltre
spese generali (15%), IVA e CPA come per legge.
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Sulla scorta delle considerazioni svolte al cap. II), le spese di CTU devono essere poste in via definitiva
in capo al Fallimento attore.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di impresa B, in composizione collegiale, definitivamente pronunziando nella causa civile di cui in epigrafe, respinta, assorbita o rigettata ogni ulteriore o contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione, così provvede: I) RIGETTA le domande di parte attrice FALLIMENTO M.V. COSTRUZIONI GENERALI
S.p.A.
II) CONDANNA parte attrice FALLIMENTO MV COSTRUZIONI GENERALI S.P.A. a rifondere
a parti convenute GIUSEPPE NICOLÒ, SEBASTIANO RAPAGLIA, GIANNI COMITANI, in
solido tra loro, le spese di lite, che si liquidano in € 38.000,00 per compensi professionali, oltre
spese generali (15%), IVA e CPA come per legge; a rifondere a parte terza chiamata SOCIETÀ
REALE MUTUA ASSICURAZIONI S.P.A. le spese di lite che si liquidano, in € 25.000 per
compensi professionali, oltre spese generali (15 %), IVA e CPA; a rifondere a parte terza chiamata
MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. le spese di lite che si liquidano, in € 25.000 per compensi
professionali, oltre spese generali (15 %), IVA e CPA; a rifondere a parte terza chiamata UNIPOL
ASSICURAZIONI S.P.A., le spese di lite che si liquidano in € 192,00 per spese, € 21.387,00 per
compensi professionali, oltre spese generali (15 %), IVA e CPA come per legge; a rifondere a parti
convenute EUROPEAN AUDIT S.R.L., VITTORIO RANGHINO, ANTONIO RANGHINO, in
solido tra loro, le spese di lite, che si liquidano in € 34.800,00 per compensi professionali, oltre
spese generali (15%), IVA e CPA come per legge; a rifondere a parte terza chiamata
ASSICURATORI DEI LLOYD’S le spese di lite che si liquidano in € 30.000 per compensi
professionali, oltre spese generali (15 %), IVA e CPA; a rifondere a parte terza chiamata RSA –
SUN Insurance Office Limited le spese di lite che si liquidano in € 30.000, oltre spese generali (15
%), IVA e CPA come per legge.
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III) CONDANNA parti convenute European Audit s.r.l., Vittorio Ranghino, Antonio Ranghino, in
solido tra loro, a rifondere a parte terza chiamata GIOVANNI DOMANICO, le spese di lite che si
liquidano in € 30.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali (15%), IVA e CPA come
per legge; a rifondere le spese di lite a parti terze chiamate ROBERTO FLAVIO GALLIANI,
MILENA POZZI, ANNALISA GATTI, in solido tra loro, spese che si liquidano in € 38.000,00 per
compensi professionali, oltre spese generali (15%), IVA e CPA come per legge; a rifondere le spese
di lite a parte terza chiamata ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A., spese che si liquidano in €
20.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali (15 %), IVA e CPA come per legge; a
rifondere le spese di lite a parte terza chiamata PAOLO PIETROBELLI, spese che si liquidano in €
30.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali (15%), IVA e CPA come per legge.
IV) CONDANNA parti convenute European Audit s.r.l., Vittorio Ranghino, Antonio Ranghino, in
solido tra loro, ex art. 96 c.p.c. a risarcire a parte terza chiamata PAOLO PIETROBELLI il danno
da lite temeraria, danno che si liquida in € 30.000,00, oltre interessi legali dalla data della sentenza
al saldo.
V) PONE, in via definitiva, le spese della consulenza tecnica, così come liquidate con decreto in
data 2-5.8.2014, in capo a parte attrice FALLIMENTO MV COSTRUZIONI GENERALI S.P.A.
Milano, 11 giugno 2015
Il Presidente Il Giudice est.
VINCENZO PEROZZIELLO ANGELO MAMBRIANI
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