+ All Categories
Home > Documents > Sentenza n. 256/2011 A REPUBBLICA ITALIANA =°= IN NOME DEL ... · Sentenza n. 256/2011 A...

Sentenza n. 256/2011 A REPUBBLICA ITALIANA =°= IN NOME DEL ... · Sentenza n. 256/2011 A...

Date post: 11-Nov-2018
Category:
Upload: truongkhanh
View: 221 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
26
Sentenza n. 256/2011 A REPUBBLICA ITALIANA = ° = IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE composta dai seguenti magistrati: Dott. Vito MINERVA Presidente Dott. Nicola LEONE Consigliere Dott. Mauro OREFICE Consigliere Dott.ssa Rita LORETO Consigliere Dott. Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere relatore ha pronunziato la seguente S E N T E N Z A nei giudizi riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., iscritti ai nn. 34930 e 35132 del registro di segreteria, sugli appelli proposti, rispettivamente, dai sigg.ri: Luigi CAPPONI, rappresentato e difeso dal prof. Avv. Andrea Di Lieto ed elettivamente domiciliato presso la dott.ssa Santina Maurano in Roma, via Pelagio I n. 10 (appello n. 34930 ); Antonino MOLINARO, rappresentato e difeso dal prof. Avv. Nicola Serra ed elettivamente domiciliato presso lo studio del dott. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria n. 2 (appello n. 35132 ), entrambi avverso la sentenza 19 dicembre 2008, n. 194/2008 della Sezione giurisdizionale della Corte dei
Transcript

Sentenza n. 256/2011 A

REPUBBLICA ITALIANA

= ° =

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

composta dai seguenti magistrati:

Dott. Vito MINERVA Presidente

Dott. Nicola LEONE Consigliere

Dott. Mauro OREFICE Consigliere

Dott.ssa Rita LORETO Consigliere

Dott. Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere relatore

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

nei giudizi riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., iscritti ai nn. 34930 e 35132 del registro di

segreteria, sugli appelli proposti, rispettivamente, dai sigg.ri:

� Luigi CAPPONI, rappresentato e difeso dal prof. Avv. Andrea Di Lieto ed elettivamente

domiciliato presso la dott.ssa Santina Maurano in Roma, via Pelagio I n. 10 (appello n.

34930);

� Antonino MOLINARO, rappresentato e difeso dal prof. Avv. Nicola Serra ed

elettivamente domiciliato presso lo studio del dott. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria

n. 2 (appello n. 35132),

entrambi avverso

la sentenza 19 dicembre 2008, n. 194/2008 della Sezione giurisdizionale della Corte dei

conti per la regione Molise.

VISTI gli atti e documenti di causa;

UDITI, nella pubblica udienza del giorno 13 maggio 2011, il consigliere relatore dr.

Piergiorgio Della Ventura e il vice Procuratore generale dr. Mario Condemi; assenti i

difensori delle parti appellanti;

Ritenuto in

F A T T O

Con atto di citazione del 7 gennaio 2008 il Procuratore regionale per il Molise citava in

giudizio ha citato in giudizio innanzi la Sezione giurisdizionale per il Molise i sigg.ri Antonino

Molinaro, Antonio Federico Di Marzio e Luigi Capponi, nelle loro rispettive qualità di

amministratori della cooperativa “San Tommaso” (i primi due) e di funzionario ministeriale (il

sig. Capponi), per rispondere di un danno patrimoniale ingiusto, che sarebbe stato

dolosamente causato al Ministero delle politiche agricole e forestali.

Più in particolare, il PM regionale il 14 dicembre 2006 aveva ricevuto notizia, da parte

della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Campobasso, di una richiesta di rinvio

a giudizio nei confronti di soggetti resisi autori di vari reati concernenti l’illecita fruizione di

contributi pubblici concessi dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Sulla scorta di

tale segnalazione era stato contestato, ai soggetti innanzi ricordati, di avere concorso

nell’indebita erogazione, fruizione ed illecita gestione di contributi destinati alla realizzazione

della costruzione di due centri per l’allevamento di conigli, di fatto distolti dalla loro specifica

finalizzazione pubblicistica.

Le menzionate condotte erano state ritenute causative di due distinte poste di danno

erariale: a) danno pari a € 379.177,49, somma che sarebbe stata illecitamente ottenuta dalla

cooperativa San Tommaso; b) ulteriore € 300.000,00 a titolo di danno all’immagine sofferto

dal Ministero erogante.

Gli interessati non ritenevano di presentare giustificazioni scritte avverso le

contestazioni formulate nell’atto di invito a dedurre del PM regionale. Nel

conseguente giudizio instaurato presso la Sezione giurisdizionale si costituivano i sigg.ri

Molinaro e Capponi, mentre rimaneva contumace il sig. Di Marzio.

All’esito del giudizio di primo grado la Sezione adita ha pronunciato sentenza con la

quale, accogliendo parzialmente la domanda azionata dal PM attore:

� ha respinto l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto Molinaro, ritenendo

computabile il dies a quo dal momento della scoperta del danno, dolosamente occultato

attraverso la commissione di reati;

� ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata sempre dal sig. Molinaro

ritenendo, alla stregua di giurisprudenza menzionata in sentenza, che sussista la

giurisdizione sussiste nelle fattispecie relative alla cattiva gestione di finanziamenti

pubblici e al non corretto impiego degli stessi;

� ha respinto l’eccezione di duplicazione della pretesa risarcitoria sollevata dal convenuto

Capponi, ritenendo che la confisca di beni disposta nella sede penale a suo carico non

comporti un effettivo risarcimento del danno erariale, ma solo un’eventualità futura;

� ha respinto la richiesta di sospensione del giudizio contabile in pendenza del processo

penale sui medesimi fatti materiali, sia in ragione del principio di separatezza dei

processi, sia in considerazione della sufficienza degli elementi acquisiti in ordine alla

dedotta responsabilità amministrativa;

� ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dal convenuto Capponi,

ritenendo rilevante, quale criterio determinativo della competenza, non la sede del

soggetto che ha subito il danno (Ministero erogante il contributo), ma il luogo in cui sono

avvenuti i fatti (locus commissi delicti);

� nel merito, ha accertato la sussistenza dei presupposti di diritto (qualità soggettiva,

danno, nesso di causalità, elemento psicologico) integranti la responsabilità a carico di

entrambi i convenuti;

� distinguendo tra le due poste di danno pretese dall’attore, ha ritenuto sussistere la prima

(contributi indebitamente fruiti e irregolarmente gestiti per € 379.177,49), mentre ha

ritenuto non provata in causa la seconda posta (danno all’immagine).

In conclusione, la sentenza ha condannato i tre convenuti a risarcire al Ministero delle

politiche agricole e forestali la somma complessiva di € 379.177,49 con vincolo di

solidarietà, ritenuta la caratterizzazione dolosa delle condotte; somma da maggiorare con

rivalutazione monetaria dal momento dell’erogazione dei contributi, oltre agli interessi legali

dal deposito della sentenza fino al soddisfo. Sono state, infine, addebitate le spese di

giustizia, liquidate in € 413,84.

= ° =

Hanno impugnato la sentenza i soli sigg.ri Capponi e Molinaro.

In particolare il sig. Capponi (appello n. 34930) ha proposto i seguenti motivi di

gravame:

� Vi è incompetenza territoriale della Sezione giurisdizionale Molise: le somme

asseritamente costituenti danno sono state erogate dal Ministero delle politiche agricole

e forestali, in favore del quale è stata poi pronunciata la condanna. La competenza

spetta, pertanto, alla Sezione giurisdizionale per il Lazio.

� Con la sentenza penale del Tribunale di Salerno n. 5559/03 del 20 ottobre 2003 è stata

disposta la confisca di beni di proprietà del sig. Capponi, per un valore complessivo di

oltre € 7 milioni.

� Secondo quanto indicato dalla sentenza Corte cost. n. 773/1988, non poteva essere

esercitata l’azione di responsabilità e non può essere disposta una duplicazione del

risarcimento.

� E’ pendente il processo penale per gli stessi fatti oggetto del giudizio di responsabilità; è

quindi opportuno attendere la relativa decisione definitiva e sospendere il giudizio

contabile.

� La condanna disposta a carico sia del sig. Capponi, sia dei sigg.ri Molinaro e Di Marzio,

senza che il Pubblico Ministero abbia indicato in citazione la pretesa responsabilità di

ciascuno dei citati in giudizio, viola il principio della personalità e della graduazione della

responsabilità, di cui all’art. 1 della legge n. 20/1994.

� In via subordinata, l’appellante chiede che venga fatto ampio uso del potere riduttivo

dell’addebito.

= ° =

Nel proprio appello (n. 35132), il sig. Molinaro ha avanzato le seguenti doglianze:

� Il procedimento deve essere oggetto di sospensione “facoltativa”, in attesa della

conclusione del procedimento penale, da cui il Pubblico Ministero peraltro ha tratto la

documentazione processuale messa a sostegno della pretesa risarcitoria.

� Vi è prescrizione dell’azione di responsabilità, perché i fatti sono accaduti, al più tardi,

nel 1997, mentre l’invito a dedurre è stato notificato all’appellante solo nel settembre

2007.

� Vi è difetto di giurisdizione, perché il rapporto di servizio si è instaurato tra il Ministero

erogante i contributi e la cooperativa “San Tommaso”. Il dott. Molinaro, citato in giudizio

in proprio e senza che sia stato indicato il ruolo da lui ricoperto nella causazione del

danno, è dunque sfornito di legittimazione passiva.

� Manca qualsiasi prova della responsabilità del dott. Molinaro: nell’atto di citazione non è

indicata (e non è stata accertata) alcuna condotta individuale del Molinaro causativa di

nocumento patrimoniale. Non c’è poi alcuna prova in ordine al dolo e il giudice ha

individuato l’elemento soggettivo solo attraverso generici richiami alle ingiuste tesi

dell’accusa.

= ° =

Con le proprie conclusioni, recentemente depositate, il Procuratore generale ha

dedotto in ordine ai due appelli pendenti.

In rito, è stata chiesta la riunione delle due impugnazioni, in quanto proposte avverso

la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

Sempre in via pregiudiziale, osserva il PM che le doglianze dei ricorrenti, più che

denunciare specifici difetti della decisione di primo grado, riproducono per intero il contenuto

delle eccezioni e degli argomenti difensivi già enunciati e svolti nel primo giudizio; ciò

sarebbe sufficiente – sempre secondo la Procura - a far dichiarare inammissibile il gravame,

ex art. 345 c.p.c., per assenza di specifici motivi di appello.

Nel merito, il Requirente argomenta su tutti i motivi di appello, raggruppandoli per

tematiche ritenuti omogenee:

� Difetto di giurisdizione e di legittimazione passiva. Ritiene il PM che ai fini della

sussistenza della giurisdizione contabile, ciò che rileva non è tanto la natura pubblica

del denaro erogato a soggetti privati, quanto piuttosto la gestione o l’utilizzazione a fini

pubblici di quel denaro, avvenuta illecitamente e con impiego distorto rispetto alla

finalizzazione pubblicistica impressa dalla legge; cioè, la natura pubblica delle risorse

finanziarie (nella specie i contributi erogati dal Ministero delle politiche agricole e

forestali) non è presupposto di per sé solo sufficiente a radicare la giurisdizione

contabile, essendo comunque richiesto che il convenuto sia stato chiamato dalla legge

ad effettuare una “gestione” delle risorse pubbliche stesse secondo un “programma”

imposto dalla PA (cita Cass. n. 4511/2006) o che sussista “… una relazione con la

pubblica amministrazione, caratterizzata per il tratto di investire un soggetto, altrimenti

estraneo all’amministra-zione, del compito di porre in essere in sua vece un’attività“ (cita

Cass. n. 22513/2006); in capo al soggetto privato si configura un rapporto di servizio -

tale da permettere di identificare in lui un agente pubblico anche solo “di fatto” - quando

costui abbia fattivamente partecipato alla “gestione” di stampo pubblicistico (cita Cass.

SS.UU n. 14825/2008, n. 20434/2009, n. 9967/2010, n. 16505/2010, n. 23599/2010, n.

23600/2010, n. 23601/2010). Ciò vale – sempre per la Procura - anche per i soci di una

società, essendo il rapporto di servizio riferibile non solo alla società beneficiaria del

contributo, ma anche all’attività di chi, disponendo della somma erogata in modo diverso

da quello preventivato dalla p.a. o ponendo in essere i presupposti per la sua illegittima

percezione, abbia in concreto disatteso lo scopo direttamente perseguito dalla pubblica

amministrazione erogatrice della somma (cita Cass. SS.UU. n. 5019/2010). Aggiunge

poi il Procuratore che nel caso del sig. Molinaro – il quale prospetta il proprio difetto di

legittimazione passiva – tale doglianza a rigore attiene al merito (riguardando la titolarità

di una situazione giuridica sostanziale passiva), ma essa è ritenuta comunque infondata:

egli è stato citato in giudizio nella qualità di amministratore della cooperativa San

Tommaso, beneficiaria dei contributi e tenuta a gestirli un conformità alle finalità di

legge; inoltre, il medesimo ha tenuto condotte gestionali puntualmente ed analiticamente

contestate ed accertate.

� Incompetenza territoriale della Sezione Molise. Ricorda il PM che le disposizioni di cui

all’art. 2 L. n. 658/1984 sulla competenza territoriale enunciano due criteri: il primo

prevede che siano dislocati tra le sezioni giurisdizionali regionali “…i giudizi di conto e di

responsabilità e i giudizi a istanza di parte in materia di contabilità pubblica riguardanti i

tesorieri e gli altri agenti contabili, gli amministratori, i funzionari e agenti della regione,

delle province e dei comuni e degli altri enti locali nonché degli enti regionali”; il secondo

fa riferimento ad attività di gestione che “si sia svolta nell’ambito del territorio regionale”

oppure alle ipotesi in cui “il fatto da cui deriva il danno siasi verificato nel territorio della

regione”; ricorda anche che le Sezioni Riunite della Corte dei conti, con sentenza n.

4/QM/2002 del 13 febbraio 2002 hanno precisato che, nel caso di condotte consistenti

in “attività di gestione”, è questo l’indicatore conducente per stabilire la competenza

territoriale. In sostanza, qui rileva il luogo nel quale sono confluiti i finanziamenti statali

(contributi per lo sviluppo zootecnico) e si è realizzata la condotta gestionale causativa

del danno (cita Sez. III centrale, n. 746 del 2.11.2010).

� Prescrizione dell’azione di responsabilità. Il Requirente ritiene la statuizione decisionale

sul punto irreprensibile: la richiesta di rinvio a giudizio è datata 17 novembre 2005, a

fronte di invito a dedurre notificato nel settembre 2007 e di citazione per responsabilità

amministrativa emessa il 7 gennaio 2008; in punto di diritto, ricorda poi che la pacifica

giurisprudenza contabile riconosce che, nei casi di fatti materiali dannosi aventi

rilevanza penale, la prescrizione dell'azione contabile decorre non da quando il fatto

viene meramente scoperto, ma da quando esso assume una sua concreta

qualificazione giuridica, il che coincide con la data del provvedimento di rinvio a giudizio

in sede penale, a nulla neppure rilevando un’eventuale e mera "notizia" del fatto, ovvero

precedenti indagini conoscitive non comportanti una conoscenza affidabile dei fatti

medesimi (cita Corte dei conti, Sez. I centrale, n. 651 del 23.11.2009 e nutrita

giurisprudenza pregressa ivi menzionata; Sez. III centrale, n. 747 del 2.11.2010).

� Preclusione dell’azione di responsabilità, per duplicazione di risarcimento stante la

confisca penale. La tesi è ritenuta priva di fondamento giuridico poiché, come osserva la

sentenza, il danno patrimoniale oggetto del giudizio contabile allo stato degli atti non

risulta ancora recuperato e che a nulla potrebbe rilevare rilevare un recupero futuro in

altra sede: la confisca penale (art. 240 c.p.) è misura ontologicamente tale da escludere

- fino a quando essa non abbia ricevuto definitiva ed esaustiva attuazione - che possa

paventarsi un bis in idem risarcitorio (nulla tale misura ha a che vedere con la

quantificazione del danno erariale che deve essere risarcito: cita Sez. I centrale, n.

651/2009).

� Richiesta di sospensione del processo contabile. Sul punto, il Requirente osserva anzi

tutto che è stata da tempo espunta dall’ordinamento la regola della pregiudizialità del

processo penale; ma, comunque, ritiene che i fatti a fondamento del processo penale e

di quello amministrativo di danno siano valutabili autonomamente, in ragione della

diversa tutela giudiziaria; l’autonomia dei due processi comporta, altresì, che ben può il

giudice contabile conoscere e valutare, ai fini del proprio convincimento decisionale, le

prove e gli elementi acquisiti nel procedimento penale, senza dover attendere la

pronuncia penale definitiva, soprattutto in presenza di altri concordanti elementi di

valutazione (cita Sez. I, n. 250 del 16.7.1991; n. 266 del 17.9.2001; n. 100 del

23.3.2005). Un rapporto di pregiudizialità potrebbe sussistere, ad avviso del PM, solo

quando la decisione del giudizio penale riguardasse un ben preciso e puntuale

antecedente logico-giuridico necessario alla decisione del giudizio contabile (cita Cass.

SSUU n. 14670/2003; n. 14060/2004, n. 10054/2009, n. 15641/2009, nonché Corte dei

conti Sez. I, 14.11.2000, n. 331); nella fattispecie, sarebbe invece incontestabile che i

contributi pubblici erogati dal Ministero furono distolti dalla loro finalizzazione

pubblicistica, in quanto in nessun modo servirono alla costruzione dei progettati due

allevamenti di conigli.

� Insussistenza, nel merito, delle responsabilità individuali. Del tutto generiche e

apodittiche sarebbero le lamentele che i due appellanti rivolgono avverso l’accertata

sussistenza degli elementi che hanno integrato la rispettiva responsabilità

amministrativa. Il sig. Molinaro lamenta di essere stato ritenuto responsabile solo in virtù

della qualità formale rivestita come Presidente della società cooperativa: nella realtà dei

fatti, sostiene invece il PM, numerose risultanze della documentazione in atti (presenza

del Molinaro agli accertamenti compiuti in data 10 dicembre 1999; dazioni di denaro in

favore del funzionario ministeriale; costanti e vasti contatti di affari intercorsi con il

Capponi; istanze varie prodotte a nome della cooperativa al Ministero erogante)

attesterebbero senza equivoci come egli sia stato, in prima persona (trincerandosi dietro

lo schermo societario cooperativistico) compartecipe attivo delle condotte amministrative

illecite in danno del Ministero erogante i contributi. Con riferimento al sig. Capponi - che

lamenta la violazione della regola della personalità della responsabilità amministrativa,

poichè nella citazione il PM regionale non avrebbe indicato gli addebiti a lui

specificamente mossi - il Procuratore generale sostiene che la lettura dell’atto introduttivo

del giudizio, raffrontata alla ponderosa mole probatoria in atti e all’iter decisionale della

sentenza impugnata, attesta a adeguatamente tutte le attività amministrative

illecitamente compiute dall’interessato (occultamento dei due fascicoli originari,

creazione di due nuovi fascicoli, predisposizione di decreti di proroga e voltura) e

causalmente efficienti, con caratterizzazione dolosa, nella produzione del danno

erariale.

� Utilizzo del potere riduttivo. La richiesta, avanzata in via subordinata dal solo appellante

sig. Capponi, sarebbe da disattendere: nella fattispecie di cui è causa, nessuna

circostanza, oggettiva o soggettiva, emergerebbe a tal fine, mentre sarebbe

inconfutabile il dolo quale connotazione della condotta, che la prevalente giurisprudenza

contabile riconosce come elemento ostativo per qualsiasi riduzione del quantum della

condanna.

In definitiva, il Procuratore Generale chiede che questa Sezione voglia, disattesa ogni

eccezione, deduzione, difesa, istanza o richiesta avversa, respingere entrambi gli appelli

perché infondati e, conseguentemente, confermare per intero l’impugnata sentenza n.

194/2008 della Sezione Molise, addossando le spese del gravame agli appellanti, in quote

eguali e con vincolo di solidarietà.

= ° =

All’udienza del 25 marzo 2011 veniva disposto un rinvio del dibattimento, in adesione

all’istanza in tal senso formulata dall’avv. Serra, impedito per ragioni di salute; era all’uopo

fissata l’udienza del 13.5.2011.

In prossimità dell’udienza del 13 maggio 2011 l’avv. Serra ha fatto pervenire ulteriore

istanza di rinvio, sempre per motivi di salute.

All’udienza dibattimentale odierna, con ordinanza dettata a verbale è stata respinta

l’istanza di rinvio dell’avv. Serra, trattandosi della seconda istanza di tal genere; inoltre, è

stata anche richiamata l’ordinanza di accoglimento emessa alla precedente udienza,

la quale aveva fatto espresso riferimento alla possibilità, per l’avvocato, di delegare per

l’udienza un collega cassazionista, presente peraltro nel medesimo studio legale associato.

Il PM ha confermato le conclusioni a suo tempo depositate.

D I R I T T O

1. In rito, si dispone la riunione degli odierni appelli, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in

quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. Sempre in via pregiudiziale, va respinta la doglianza relativa al difetto di giurisdizione

di questa Corte dei conti, esplicitamente avanzata dall’appellante dott. Molinaro (v. atto

d’appello, pag. 4), il quale tuttavia argomenta in relazione ad una - pretesa – carenza di

legittimazione passiva, giacchè sostiene che il rapporto di servizio si è instaurato tra il

Ministero e la cooperativa “San Tommaso”, per cui egli sarebbe stato (impropriamente)

citato in giudizio in proprio e senza che sia stato indicato il ruolo da lui ricoperto nella

causazione del danno erariale.

In ogni caso, sotto entrambi i profili evocati (carenza di giurisdizione di questa Corte

dei conti, ovvero carenza di legittimazione passiva dell’appellante) le deduzioni della difesa

dell’interessato si appalesano prive di pregio e vanno disattese.

2.1. Per quel che riguarda la problematica di carattere generale, è noto come il problema

della possibile sussistenza di un rapporto di servizio di soggetti privati con una pubblica

amministrazione si sia posto, inizialmente, con riferimento agli amministratori e dipendenti

degli enti pubblici economici. Per questi ultimi il Giudice della nomofilachia aveva in un primo

tempo affermato che la giurisdizione della Corte dei conti è da ritenere sussistente solo

limitatamente agli atti che esorbitano dall'esercizio imprenditoriale proprio di questi enti, e si

ricolleghino, dunque, a poteri autoritativi di autorganizzazione, restandone invece escluse le

attività d’impresa, svolte in regime di diritto privato (Cass. civ., SS.UU., 2 marzo 1982, n.

1282; id., 21 ottobre 1983, n. 6178; id, 11 febbraio 2002, n. 1945/ord.; id, 20 febbraio 2003,

n. 2605/ord.).

In anni più recenti, tuttavia, la medesima Cassazione ha rimeditato tale orientamento.

Con la - oramai nota - ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2003, le SS.RR. hanno

affermato, infatti, che esiste la giurisdizione della Corte dei conti in ordine agli illeciti

commessi da amministratori e dipendenti che abbiano cagionato danni agli enti pubblici

economici da cui dipendono. Ha ritenuto, la Suprema Corte, che l’adozione di forme

privatistiche per l’organizzazione dell’ente pubblico o per la sua attività, in ogni caso non

potrebbe certo avere l’effetto di trasformare il denaro amministrato, che è pubblico – in

ragione del suo provenire dalla finanza pubblica - in denaro “privato”, del cui buon uso sia

come tale consentito disinteressarsi.

Tale nuova linea interpretativa della Corte regolatrice della giurisdizione è stata

ribadita in numerose ulteriori pronunzie. La successiva decisione della Cassazione

intervenuta nell’argomento (la sentenza delle Sezioni Unite 26 febbraio 2004, n. 3899), ha

affermato l'esistenza di un rapporto di servizio – e quindi della giurisdizione contabile - tra un

comune e una società per azioni, il cui capitale era detenuto in maggioranza dallo stesso

comune, il quale a tale società aveva affidato in concessione alcuni servizi. In particolare, le

Sezioni Unite hanno rilevato che il rapporto tra l’ente locale e la società in tali casi è

caratterizzato “…dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente

pubblico come compartecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo”: il che, appunto,

costituisce il presupposto “per l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in

materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale”; nello stesso senso le

considerazioni espresse, sempre dalle SS.UU. della Cassazione, nell’ordinanza 2 luglio

2004, n. 12192, che ha dichiarato la giurisdizione della Corte dei conti su una società,

costituita da un ente pubblico (ACI) per la gestione dei parcheggi a pagamento su suolo

comunale.

2.2. Per quel che più da vicino interessa il profilo all’odierno esame di questo Giudice

d’appello, è da tenere presente l’ordinanza 12 ottobre 2004, n. 20132, nella quale la

medesima Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che rientrano nella giurisdizione della

Corte dei conti le fattispecie di danno erariale, relativo a fatti commessi anche

dall’amministratore di un ente privato, destinatario di contributi vincolati, distratti

irregolarmente dal fine pubblico cui sono destinati.

Successivamente, con la sentenza 1° marzo 2006, n. 4511, le Sezioni Unite hanno

ulteriormente chiarito che la Corte dei conti può condannare anche i soggetti privati che

ricevono indebitamente finanziamenti pubblici per la loro attività (pure privata). Più in

particolare, ha osservato la Suprema Corte che, in tema di riparto di giurisdizione tra Giudice

ordinario e Giudice contabile, "… il baricentro si è spostato dalla qualità del soggetto (privato

o pubblico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue

scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla pubblica

amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di

concessione del contributo, e la incidenza sia tale da potere determinare uno sviamento

dalle finalità perseguite, egli realizza un danno per l’ente pubblico (anche sotto il mero profilo

di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione

del piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico con il concorso dello

stesso imprenditore), di cui deve rispondere dinanzi al giudice contabile". Analoghi concetti

sono stati espressi dalle medesime SS.UU. nelle successive pronunzie, 20.10.2006, n.

22513 (sempre in fattispecie di erogazione di contributi pubblici a privati), 20.11.2007, n.

24002 e 18.7.2008, n. 19815.

L’innovativa posizione del Giudice regolatore della giurisdizione è stata fatta propria,

senza esitazioni, dalla giurisprudenza contabile: possono ricordarsi in particolare, tra le

tantissime, Corte dei conti, Sezione I d'appello, 1.6.2010, n. 387, 15.10.2009, n. 581 e

5.8.2008, n. 361; Sezione III d'appello, 16.3.2010, n. 202 e 2.10.2009, n. 397; Sezione

giurisdizionale Lazio, 29.3.2010, n. 719; Sezione giurisdizionale Calabria, 17.2.2010, n. 170;

Sezione giurisdizionale Sicilia, 27.11.2009, n. 2996; Sezione giurisdizionale

Sardegna, 18.1.2008, n. 123.

2.3. Orbene, ritiene il Collegio che siano sufficienti le notazioni innanzi esposte, per

evidenziare la piena sussistenza, nel caso all’esame, di tutti gli elementi caratterizzanti la

giurisdizione contabile di responsabilità, secondo la giurisprudenza sopra riportata.

Invero, non v’è dubbio che l’irregolare utilizzo delle risorse pubbliche ricevute dal

privato per la realizzazione di un programma di promozione di un settore produttivo da parte

della P.A., crei un danno per l’ente che tali risorse ha erogato, in relazione al concreto

andamento del programma al quale il contributo stesso era funzionalizzato. In altri termini, in

tutti i casi – come in quello odierno – in cui l’erogazione di fondi pubblici a privati avviene in

forza dell’adesione ad un programma di attività varato dall’ente erogatore, il privato

medesimo diventa compartecipe fattivo di quell’attività pubblica, contribuendo a realizzare le

finalità perseguite con il programma stesso ed instaura, perciò, con il predetto ente un

rapporto funzionale di servizio (v. Corte dei conti, Sezione III app., n. 202/2010, cit.).

Insomma, ciò che è decisivo, ai fini del radicamento della giurisdizione contabile di

responsabilità amministrativa, non è l'utilizzo degli strumenti giuridici prescelti (di diritto

privato o pubblico) o la natura (pubblica o privata) del soggetto agente, ma l’oggettivo

perseguimento dei pubblici interessi e la qualificazione pubblica delle risorse gestite

(elementi, entrambi, qui indiscutibili): in caso di erogazione di contributi pubblici a soggetti

privati, nell’ambito di un programma imposto dalla Pubblica amministrazione, alla cui

realizzazione il privato è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, si è

in presenza di un danno erariale, con conseguente giurisdizione del giudice contabile,

qualora il privato abbia inciso negativamente sul programma medesimo determinando, con

le proprie azioni, uno sviamento dalle finalità perseguite. E comunque, ogni qual volta si

discuta se le sostanze pubbliche siano state correttamente utilizzate e siano effettivamente

servite per realizzare finalità di pubblico interesse, non può essere revocabile in dubbio che

il Giudice deputato nel nostro ordinamento a tale tipo di verifica, ai sensi dell’art. 103,

comma 2, Cost., è appunto questa Corte dei conti.

In conseguenza di quanto innanzi precisato, si appalesa priva di fondamento la

pretesa dell’appellante, di considerarsi estraneo al perseguimento di fini istituzionali: il fatto

che egli nella vicenda in esame perseguisse in via prioritaria il suo egoistico e privato

interesse commerciale (com’è ovvio e giusto che sia), non esclude affatto che, in relazione

all’utilizzo delle quote di provenienza pubblica, egli contribuisse anche a realizzare quella

specifica finalità di carattere generale, in difetto della quale non avrebbe mai avuto diritto a

percepire quelle somme. La giurisprudenza civile e quella contabile, in materia, su ricordate,

sono chiarissime in proposito.

Il Collegio deve, dunque, affermare la propria giurisdizione in materia, con

conseguente rigetto del relativo motivo d’appello.

2.4. Allo stesso modo, non merita accoglimento il profilo di gravame relativo alla carenza

di legittimazione passiva dell’appellante, il quale ritiene di essere stato ingiustamente

chiamato in giudizio in proprio, dal momento che la società cooperativa che percepì i

finanziamenti sarebbe l’unico soggetto interessato, il cui patrimonio dovrebbe essere

aggredito per il ristoro del danno erariale lamentato.

In proposito, va osservato che il dr. Molinaro era organo rappresentativo della società

cooperativa, con sicura immedesimazione organica della persona fisica-agente in quella

giuridica, che si avvale ordinariamente dell’operato dei suoi rappresentanti ai fini dello

svolgimento della propria attività istituzionale.

Non avrebbe quindi senso invocare il principio della personalità della responsabilità

amministrativa (art. 1 L. n. 20/1994), che anzi appare ben rispettato nella fattispecie: nella

presente vicenda, infatti, si discute delle personali responsabilità del dr. Molinaro, il quale

avrebbe causato un ingiustificato e non dovuto esborso di somme pubbliche, a causa

dell’ipotizzata falsificazione di documentazione amministrativa e contabile, e comunque del

mancato svolgimento delle attività cui quelle erogazioni erano finalizzate (costruzione

di due centri per l’allevamento di conigli).

In altri termini, appare improprio far apparire la (dedotta) attività dolosa come riferibile

alla sola cooperativa rappresentata; anzi, a ben vedere, il principio qui invocabile potrebbe

semmai essere quello, opposto, di cui all’art. 5, 2° comma, del D.Lgs. 8.6.2001, n. 231, cioè

la sostanziale irresponsabilità della persona giuridica, nel caso in cui i suoi amministratori

abbiano agìto nel loro esclusivo interesse.

Per concludere sul punto, va respinta, siccome priva di pregio, la doglianza relativa al

preteso difetto di legittimazione passiva, avanzata dall’appellante dr. Molinaro.

3. Va poi scrutinata la richiesta, avanzata dall’altro appellante sig. Capponi, di riforma

della prima sentenza, laddove non ha accolto l’eccezione di incompetenza territoriale della

Sezione Molise.

Dispone in proposito l’art. 2 della legge 8 ottobre 1984, n. 658 (norma la cui

applicazione per la generalità dei giudizi contabili è stabilita dall’art. 1, comma 3 della legge

14 gennaio 1994, n. 19, di conversione del D.L. n. 453/1993): “Sono attribuiti alla sezione di

cui al precedente articolo, in base alle norme e ai principi concernenti l'attività giurisdizionale

della Corte dei conti: a) i giudizi di conto e di responsabilità e i giudizi a istanza di parte in

materia di contabilità pubblica riguardanti i tesorieri e gli altri agenti contabili, gli

amministratori e i funzionari e agenti della regione, delle province, dei comuni e degli altri

enti locali nonché degli enti regionali; b) i giudizi di conto e di responsabilità e i giudizi a

istanza di parte riguardanti gli agenti contabili, gli amministratori e funzionari, impiegati e

agenti di uffici e organi dello Stato e di enti pubblici aventi sede o uffici nella regione,

quando l'attività di gestione di beni pubblici si sia svolta nell'ambito del territorio regionale,

ovvero il fatto da cui deriva il danno siasi verificato nel territorio della regione; (…)”.

La norma di cui al citato art. 2, lett. b) – quella cioè che riguarda l’odierna fattispecie –

si riferisce dunque al criterio penalistico del forum commissi delicti (art. 8 c.p.p.), qualora

risultino coinvolti soggetti (agenti contabili, amministratori, funzionari e impiegati)

legati da rapporto di servizio con uffici o organi dello Stato o con enti pubblici aventi sede

nella regione e l’attività di gestione di beni pubblici si sia svolta nell’ambito del territorio

regionale, ovvero il fatto da cui deriva il danno si sia verificato nel territorio della regione.

Per quel che riguarda l’effettiva portata e i limiti di applicazione del su detto criterio

normativo, hanno chiarito le Sezioni riunite di questa Corte dei conti (sentenza 13.2.2002, n.

4/QM) che “il criterio principale per l'attribuzione di competenza alle Sezioni regionali della

Corte dei conti è costituito dall'incardinazione del pubblico amministratore o dipendente -

supposto autore del comportamento illecito - nella sede o ufficio ubicati nella regione,

mentre, qualora nella produzione del danno contabile concorrano o confluiscano più

comportamenti illeciti di soggetti incardinati presso uffici o sedi di diverse regioni, criterio

ulteriore per determinare il giudice competente è dato dall'individuazione del fatto giuridico

(o dell'attività gestoria) necessariamente causativo del danno e la sua ascrizione al soggetto

che lo ha posto in essere, in forza dell'incardinazione presso una sede, un ufficio, un organo

dello Stato o di un ente pubblico”.

E dunque, nell’odierna fattispecie a nulla rileva che il danno è stato arrecato ad un

soggetto (Ministero) non avente sede nella regione Molise, né che l’appellante fosse un

funzionario statale, perché ciò che conta, ai fini del radicamento della competenza

territoriale, è che all’azione produttiva di danno abbiano concorso (anche) soggetti avente

sede in quella regione (appunto, i soggetti condannati unitamente al sig. Capponi): in altri

termini, qui opera il criterio, innanzi esposto, secondo cui la competenza spetta alla Sezione

giurisdizionale della regione in cui ha avuto luogo l'attività da ritenere causativa del danno

(v. Corte dei conti, Sezione III app., 14.1.2010, n. 23).

Né potrebbe avere rilievo alcuno la circostanza – peraltro non dimostrata

dall’interessato - che il soggetto agente non avesse la propria sede di servizio nella regione

(come invece sembra ritenere l’appellante); altrimenti si avrebbe il risultato, paradossale

sotto il profilo interpretativo, di lasciare fuori dalla previsione normativa dell’art. 2, lett.

b), cit. ogni ipotesi in cui il soggetto agente abbia la propria sede di servizio al di fuori del

territorio della regione in cui si svolge l'attività, e si costringerebbe l'interprete ad attribuire

prevalenza al criterio della sede di servizio rispetto a quello del luogo in cui si è svolta

l'azione o si è verificato l'evento, il che sarebbe in contrasto sia con la lettera che con la ratio

della norma medesima (v. Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Toscana, 11.2.2009, n.

94). E dunque, l'individuazione del giudice contabile competente in tali casi non può che

ottenersi identificando il territorio regionale con quello in cui svolge l'attività gestoria dei beni

pubblici o (in subordine) si è prodotto il danno (giurisprudenza pacifica: v. ex multis, oltre alle

sentenze appena citate, Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Emilia Romagna,

30.5.2007, n. 445; Sezione giurisdizionale Campania, 10.5.2007, n. 877; Sezione

giurisdizionale Lombardia, 22.2.2006, n. 114; Sezione giurisdizionale Puglia, 7.10.2005, n.

788).

Del tutto corretta, perciò, si appalesa la scelta compiuta in proposito dal primo

Giudicante.

4. L’appellante dr. Molinaro lamenta ancora, in via preliminare, l’erroneità della prima

sentenza, in punto di mancata declaratoria della prescrizione quinquennale dell’azione di

responsabilità: i fatti sono accaduti, al più tardi, nel 1997, mentre l’invito a dedurre è stato

notificato all’appellante solo nel settembre 2007. Ritiene in proposito l’interessato che l’inizio

del decorso del termine debba coincidere con la conoscibilità dei fatti e, nel caso di specie,

tale momento non potrebbe non corrispondere con l’erogazione del saldo, tenuto conto che

nessuna dimostrazione sarebbe fornita circa la mancata conoscenza dei fatti a quella data.

Anche tale doglianza va respinta, siccome infondata.

4.1. Va premesso al riguardo che, ai sensi dell'art. 1, comma 2 della legge 14.1.1994 n.

20 (come successivamente modificata dalla legge 20.12.1996 n. 639), il diritto al

risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si

è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data

della sua scoperta. La prescrizione, dunque, decorre dalla data in cui si è verificato il fatto

dannoso e tale data è stata identificata dalla giurisprudenza in quella in cui si è verificato il

danno quale componente del “fatto“ (ex plurimis, v. Corte dei conti, SS.RR., 29 gennaio

1997, n. 12 e Cassazione civile, Sez. III, 12 agosto 1995, n. 8845); in particolare, per quel

che qui interessa, si ricorda che il Legislatore, con le norme appena citate, ha sancito

espressamente il principio secondo il quale, nel caso di occultamento doloso, il termine di

decorrenza della prescrizione non può che decorrere dalla data della sua scoperta.

Orbene, ritiene questo Giudice che nei casi – come quello all’esame - di indebita

percezione di denaro, collegata con la consumazione di fatti delittuosi, si deve ritenere in re

ipsa la sussistenza di un doloso occultamento del danno: cfr., in proposito, Corte dei conti,

SS.RR., 15.2.1999, n. 3 e 11.2.1994, n. 929; Sezione I app., 25.11.2008, n. 508; Sezione II

app., 13.4.2000, n. 134; Sezione III app., 2.4.1999, n. 63. Tale situazione, a sua volta,

comporta un obiettivo impedimento ad agire, di carattere giuridico e non di mero fatto: ciò

implica che l’azione contabile può essere iniziata solo allorchè il fatto comportante

responsabilità amministrativa viene non meramente scoperto, ma quando esso assume una

sua concreta qualificazione giuridica, atta ad identificarlo come presupposto di una

fattispecie dannosa.

Non vi è allora dubbio che l’inizio del termine di prescrizione debba essere

individuato, in tali evenienze, nel momento in cui il danno stesso è stato delineato in tutte le

sue componenti, a seguito del provvedimento di rinvio a giudizio in sede penale: momento

che indubbiamente rappresenta, anche in virtù di quanto disposto dall’art. 2935 del c.c. (“la

prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”) il dies a

quo di decorrenza, secondo quanto ampiamente chiarito dalla pacifica giurisprudenza di

questa Corte dei conti, che questo Collegio condivide appieno: cfr., ex plurimis, SS.RR.,

sentenza 25.10.1996, n. 63; Sezione I app., 5.2.2008, n. 64; id., 4.12.2007, n. 497; id.,

11.7.2007, n. 194; id., 16.4.2007, n. 94; id., 8.3.2007, n. 45; id., 18.3.2003, n. 103;

Sezione II app., 7.6.2004, n. 184; id., 2.2.2004, n. 29; id., 29.5.2003, n. 208; Sezione III

app., 26.3.2007, n. 73; id., 16.1.2002, n. 10; Sezione app. Sicilia, 22.4.2004, n. 66.

4.2. Da quanto riferito innanzi, consegue l’infondatezza della tesi di parte appellante,

secondo la quale il termine iniziale di decorrenza della prescrizione andrebbe fissato alla

data di percezione delle somme in contestazione; tesi che contrasta, invero, non solo con la

lettera e la stessa ratio del su ricordato art. 1, comma 2, L. 20/1994 (il quale postula, in caso

di occultamento doloso, la scoperta del danno da parte dell’amministrazione o del PM

contabile), ma anche con lo stesso art. 129, comma 3, disp. att. c.p.p., il quale per parte sua

prevede l’obbligo di informativa, da parte del PM penale, solo al termine della fase delle

indagini preliminari.

Ed infatti, nell’odierna fattispecie è ben vero che la materiale liquidazione delle

somme in contestazione è avvenuta al massimo nel 1997, ma la scoperta degli illeciti, senza

i quali le erogazioni medesime sarebbero state perfettamente legittime, si è avuta solo il

17.11.2005, data del rinvio a giudizio in sede penale; in relazione a ciò l’invito a dedurre del

2007, come pure la citazione del gennaio 2008, si pongono entrambi come tempestivi.

Non v’è dubbio, in conclusione, che la doglianza relativa alla prescrizione debba

essere respinta, siccome infondata.

5. Va poi respinta la deduzione del sig. Capponi, relativa alla pretesa impossibilità di

una condanna da parte di questo Giudice, che si porrebbe a suo avviso come violativa del

principio ne bis in idem (duplicazione di domande risarcitorie): in sede penale è stata già

disposta la confisca di beni di sua proprietà, per un importo persino superiore a quello oggi

in esame.

La doglianza si appalesa priva di pregio.

Sotto il profilo generale, vale marcare e ribadire i differenti ambiti e finalità della

giurisdizione civile (sia pure esercitata in sede penale), rispetto a quella di responsabilità

amministrativa e contabile, intestata alla Corte dei conti: la prima tende al reintegro

degli elementi del patrimonio di un soggetto (ingiustamente) danneggiato, la seconda è

invece finalizzata ad accertare e sanzionare le responsabilità degli agenti pubblici che

abbiano, con comportamenti contra legem, inferto una lesione all'efficienza dell'azione

amministrativa, nonché alla sua indipendenza, buon andamento ed imparzialità. Ciò in

astratto, secondo una certa interpretazione, ben potrebbe giustificare l’esistenza di due

contemporanee azioni innanzi alle due diverse giurisdizioni, attivate da soggetti differenti,

senza che ciò comporti necessariamente la violazione né del principio del giusto processo,

né di quello del ne bis in idem, dal momento che comunque, in sede esecutiva, si dovrebbe

comunque tenere conto di quanto già risarcito per effetto di precedenti condanne (cfr. Corte

dei conti, Sezione I app., 20.5.2010, n. 364, 22.1.2002, n. 16 e 14.11.2000 n. 331; Sezione

III app., 18.1.2002, n. 10).

Ma, in ogni caso, è certo che soltanto la definitiva conclusione della vicenda

processuale in sede civile potrebbe comportare la preclusione dell'azione di responsabilità

amministrativa nei confronti del reo, e solo in ordine al medesimo fatto per il quale fu definito

quel giudizio (giurisprudenza costante: cfr, in terminis, Corte dei conti, Sezione II, 11.2.1985,

n. 19; Sezione I, 28.10.1991, n. 325; SS.RR., 17.2.1992, n. 752; Sez. II app., 4.7.2001, n.

237).

Orbene, nella presente fattispecie dirimente appare la circostanza che il giudice

penale ha disposto solo una confisca di beni dell’interessato, ma non risulta sia finora

iniziato (né tanto meno concluso) il relativo giudizio civile.

Da ciò consegue l’infondatezza del dedotto motivo d’appello, e comunque la

doverosità di una pronunzia da parte di questo Giudice, fermo restando – si ripete – che in

sede esecutiva si terrà comunque conto di eventuali recuperi già effettuati ad altro titolo per

la stessa causale.

6. Entrambe le difese hanno pure addotto la pregiudizialità del procedimento penale

pendente per gli stessi fatti rispetto al presente giudizio di responsabilità amministrativa,

sostenendo che la sentenza di primo grado, che ha respinto la relativa eccezione, dovrebbe

essere riformata.

Al riguardo questo Giudicante ritiene necessario anzi tutto evidenziare – con

riferimento ai rapporti tra giudizio penale e giudizio di responsabilità amministrativo-

contabile, quando i due giudizi vertono sullo stesso soggetto e sullo stesso fatto - che il

nuovo codice di procedura penale, introdotto nel 1988, ha eliminato dall’ordinamento non

solo l’art. 3 del precedente c.p.p., ma anche ogni riferimento ad esso dal testo novellato

dell’art. 295 c.p.c.; in conseguenza di ciò, è pacifica la conclusione secondo cui il nostro

ordinamento non è più ispirato al principio di pregiudizialità obbligatoria del processo penale,

del quale la vecchia norma era espressione: non esiste più, nei rapporti fra i due giudizi, la

c.d. pregiudiziale penale, e i giudizi medesimi si pongono in autonomia e separatezza fra

loro, essendo i reciproci effetti disciplinati nel nuovo codice di procedura penale nei termini e

nei limiti indicati dagli artt. 651 e 652 c.p.p..

Tale principio, affermato per la prima volta dalle Sezioni Riunite di questa Corte nel

1990 (sentenza 5.2.1990, n. 648), è stato più volte ribadito anche in epoca recente, per cui

può senz’altro sostenersi che nel sistema del nuovo codice, improntato alla separatezza dei

processi, non esiste un’ipotesi di sospensione necessaria del giudizio di responsabilità

amministrativa in rapporto alla pendenza di un giudizio penale (cfr. Corte dei conti, Sezione I

app., 3.12.2008, n. 532; 24.1.2008 n. 54; 23.3.2005 n. 100; 17.9.2001 n. 266; Sez. II app.,

10.9.2001 n. 291 e 16.10.2001 n. 330; Sez. III app., 19.5.2008 n. 171); e difatti, le due

ipotesi di sospensione necessaria contemplate nel terzo comma dell’art. 75 c.p.p. (azione

proposta in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la

sentenza penale di primo grado) riguardano esclusivamente il processo civile e, quindi, non

potrebbero trovare applicazione nel giudizio contabile (Sez. II app., 27.7.1998 n. 186).

E’ stato pure sostenuto (Corte dei conti, Sezione I app., 16.7.1991, n. 250) che -

proprio in ragione della su evidenziata autonomia dei due processi - ben può questo

Giudice contabile conoscere e valutare per il proprio convincimento gli elementi e le prove

acquisiti nel procedimento penale, senza dover attendere la pronuncia penale definitiva,

soprattutto in presenza di altri concordanti elementi di valutazione (Corte dei conti, Sezione I

app., 23.3.2005, n. 100; 17.9.2001, n. 266; Sezione giurisdizionale Umbria, 22.1.2001, n.

34).

Nello stesso senso è anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. civ.,

29.5.2000, n. 7057 e 24.5.2000, n. 6792). In ogni caso, la Corte Costituzionale, con la

sentenza n. 272/2007 ha fugato ogni dubbio circa la non necessità della sospensione.

E, venendo alla fattispecie all’esame, deve ritenersi che essa si presenti

sufficientemente chiara nella sua realtà fenomenica, risultando la condotta illecita degli

odierni appellanti (tra gli altri) già delineata e provata da quanto emerge dalla

documentazione acquisita anche in sede penale.

E difatti, dagli atti trasmessi dal pubblico ministero penale, come pure dalle indagini

svolte dalla Guardia di finanza, si evincono una molteplicità di elementi probatori a conforto

dell’originaria ipotesi accusatoria, come del resto ritenuto anche dal Collegio di prime cure

nella motivazione della sentenza di condanna.

In conseguenza di quanto precede, la richiesta degli appellanti, di sospensione del

presente giudizio in attesa dell’esito del processo penale, deve essere respinta.

7. Nel merito, come appena anticipato, risultano più che chiare le responsabilità dei

due appellanti nella produzione dell’ingiusto danno patrimoniale per il Ministero, con

conseguente doverosità di integrale conferma delle impugnate statuizioni di cui alla

sentenza appellata; allo stesso modo, e per converso, generiche e indimostrate si

appalesano le doglianze spese dai due interessati nel merito della vicenda che li riguarda.

Per quel che riguarda il sig. Capponi, il quale si limita a dedurre la violazione della

norma di cui all’art. 1 L. n. 20/1994 in tema di personalità della responsabilità amministrativa

(il Procuratore regionale non avrebbe indicato gli esatti addebiti a lui mossi), è appena

il caso di richiamare gli atti del processo penale, tra cui la sentenza del GUP presso il

Tribunale di Campobasso n. 140 del 27.11.2007, con la quale l’interessato è stato

condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione ex art. 444 c.p.p., in relazione alla vicenda della

costruzione del centro allevamento conigli della cooperativa “San Tommaso”, proprio in

quanto “… dalla documentazione in atti emergono più che sufficienti elementi di

responsabilità penale”.

Anche la restante, amplissima mole di documenti presenti nel fascicolo del giudizio

(verbali e informative della Guardia di finanza, atti dell’istruttoria penale) dimostra più che a

dovere tutti gli illeciti dolosi commessi dal funzionario pubblico, che hanno causato la

liquidazione di contributi non dovuti all’altro appellante, con grave danno per il pubblico

erario (occultamento dei due fascicoli originari, creazione di due nuovi fascicoli,

predisposizione di illegittimi decreti di proroga e voltura): comportamenti che, si ripete,

l’appellante non ha neppure specificamente contestato, anzi ha tranquillamente (e

ripetutamente) ammesso, nell’ambito dell’istruttoria penale: v. le pagg. 41 e segg.

dell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari del GIP presso il Tribunale di

Campobasso in data 25.6.2003.

Con riferimento invece al sig. Molinaro – il quale lamenta di essere stato ritenuto

responsabile solo in virtù della qualità formale rivestita come Presidente della società

cooperativa – è sufficiente richiamare gli stessi atti dell’istruttoria penale e le relazioni della

Guardia di finanza; si veda in particolare – tra gli altri - il verbale di cui alla nota n. 3041

dell’8 aprile 2008, da cui risulta, a seguito di sopralluogo effettuato presso il comune di

Fossalto, contrada S.Tommaso (ove era appunto prevista la realizzazione delle opere in

questione), che “i due capannoni ad uso zootecnico finanziati con i progetti 33/C/2268/AG e

33/C/2269/AG sono risultati inesistenti”. Non senza richiamare, anche qui, l’ordinanza del

GIP presso il Tribunale di Campobasso del 25.6.2003, in specie le pagg. 39 e segg..

Insomma, non possono sussistere dubbi in ordine alla piena colpevolezza dei due

appellanti per i fatti loro addebitati dalla sentenza impugnata, che merita dunque piena ed

integrale conferma.

8. Né, infine, può esservi spazio alcuno per una riduzione dell’addebito ex art. 52 R.D.

n. 1214/1934, dato appunto il carattere doloso della condotta dei due condannati, che per

giurisprudenza costante esclude la possibilità di esercizio del potere riduttivo (così, ex

plurimis, SS.RR., 17.9.1986, n. 513/A; Sezione III app., 1.7.2002, n. 228 e Sezione II app.,

6.11.2000, n. 338).

9. In conclusione, per tutto quanto innanzi esposto, la sentenza appellata si appalesa

immune da censure e gli appelli proposti vanno entrambi rigettati, con conseguente integrale

conferma delle statuizioni di prime cure.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei

ricorrenti, in solido e in parti uguali.

P. Q. M.

La Corte dei conti – Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, definitivamente

pronunziando, previa riunione in rito, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,

RESPINGE

gli appelli proposti, con integrale conferma dell’impugnata sentenza di prime cure;

CONDANNA

i ricorrenti, in solido e in parti uguali, alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio

in favore dello Stato; spese che, all'atto della presente decisione, sono liquidate in €

219,30 (€

DUECENTODICIANNOVE/30).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2011.

L'ESTENSORE

(f.to Piergiorgio Della Ventura)

IL PRESIDENTE

(f.to Vito Minerva)

Depositata in Segreteria

il ……13/06/2011……………………….

Il Dirigente

f.to Massimo Biagi


Recommended