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Sentenza n. 3935/2017 pubbl. il 28/02/2017 RG n. 20513/2011 · clinica in data 20 aprile 2002 del...

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Sentenza n. 3935/2017 pubbl. il 28/02/2017 RG n. 20513/2011 N. R.G. 20513/2011 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE TREDICESIMA CIVILE in persona della dott.ssa Wanda Verusio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al numero 20513/2011 del R.G.A.C. trattenuta in decisione all’udienza del 23.06.2016 e vertente TRA TF e LA, come in atti rappresentati e difesi in giudizio dall’avv. Domenico Laghi; ATTORI CONTRO AZIENDA COMPLESSO, in persona del suo legale rappresentante p.t., come in atti rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. Flavia Ciccopiedi; CONVENUTA E CONTRO F e M. in persona dei legali rappresentanti p.t., come in atti rappresentate e difese in giudizio dagli avv.ti Antonino Geronimo La Russa e Fabio Alberici; TERZE CHIAMATE OGGETTO: risarcimento danni da responsabilità professionale. CONCLUSIONI All’udienza di precisazione delle conclusioni del 23.06.2016 i procuratori delle parti concludevano come da verbale in pari data. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Firmato Da: VERUSIO WANDA Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: 988
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Page 1: Sentenza n. 3935/2017 pubbl. il 28/02/2017 RG n. 20513/2011 · clinica in data 20 aprile 2002 del policlinico Gemelli, doc. in atti) e clinicamente constatata dal nominato ctu, che

Sentenza n. 3935/2017 pubbl. il 28/02/2017

RG n. 20513/2011

N. R.G. 20513/2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA

SEZIONE TREDICESIMA CIVILE

in persona della dott.ssa Wanda Verusio ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al numero 20513/2011 del

R.G.A.C. trattenuta in decisione all’udienza del 23.06.2016 e vertente

TRA

TF e LA, come in atti rappresentati e difesi in

giudizio dall’avv. Domenico Laghi;

ATTORI

CONTRO

AZIENDA COMPLESSO, in persona del suo legale rappresentante p.t.,

come in atti rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. Flavia

Ciccopiedi;

CONVENUTA

E CONTRO

F e M. in persona dei legali rappresentanti p.t., come in atti rappresentate e

difese in giudizio dagli avv.ti Antonino Geronimo La Russa e Fabio Alberici;

TERZE CHIAMATE

OGGETTO: risarcimento danni da responsabilità professionale.

CONCLUSIONI All’udienza di precisazione delle conclusioni del 23.06.2016 i

procuratori delle parti concludevano come da verbale in pari data.

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

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RG n. 20513/2011

Con atto di citazione ritualmente notificato i signori T F e L A convenivano in

giudizio l’Azienda Complesso Ospedalierochiedendone la condanna al risarcimento di

tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito dell’intervento di

interruzione di gravidanza eseguito il 30.04.2002.

Esponevano a fondamento della domanda che la signora T, affetta dal 1996 da

“emiplagia destra post ictus cerebriemorragico da rottura aneurisma dell’arteria

silviana”, che l’aveva resa invalida al 100% e non autosufficiente, nel 2002 rimaneva

incinta; che, date le sue gravi condizioni di salute, i medici le consigliavano di

interrompere la gravidanza; che in data 30.4.2002 la T si sottoponeva pertanto ad

intervento di interruzione volontaria della gravidanza presso l’Ospedale in Roma; che

veniva quindi dimessa in seconda giornata presentandosi il decorso postoperatorio

normale; che dopo due mesi veniva ricoverata presso il Policlinico Universitario

Gemelli, ove i sanitari accertavano che la signora T era alla diciannovesima settimana

di gravidanza; che rimaneva ricoverata presso il Gemelli sino al 23.07.2002 con

diagnosi di “minaccia d’aborto”; che il 19.08.2002 l’attrice si ricoverava nuovamente

presso il Policlinico Gemelli, dove il 18.10.2002 partoriva una neonata prematura in

iposviluppo fetale; che la signora T e la figlia venivano dimesse il 2.11.2002; che a

seguito ed in conseguenza della gravidanza indesiderata e della nascita della figlia gli

attori riportavano danni patrimoniali e non patrimoniali.

Pertanto chiedevano di accertare la responsabilità della struttura ospedaliera e

per l’effetto condannarla al risarcimento dei danni quantificati in euro 969.543,47 in

capo a T F ed euro 1.062.166,19 in capo a L A.

L’Azienda Complesso Ospedaliero si costituiva deducendo che l’intervento di IVG

era stato correttamente eseguito; che la signora T veniva invitata nel foglio di

dimissioni a presentarsi dopo 15 gg. per la visita di controllo, indispensabile per

valutare gli esiti dell’intervento fra cui anche la possibile prosecuzione della

gravidanza; che ella tuttavia non si presentava; di non avere dunque alcuna

responsabilità.

Contestava inoltre la quantificazione del danno spropositata e non provata.

Chiedeva pertanto il rigetto della domanda di parte attrice.

Chiedeva ed otteneva l’autorizzazione a chiamare in causa F Assicurazioni e la C

Assicurazioni per essere da queste manlevata.

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RG n. 20513/2011

La F Assicurazioni e M Assicurazioni S.p.a. si costituivano associandosi alla difese

del proprio assicurato; chiedevano pertanto il rigetto della domanda attorea.

Con riferimento alla domanda di manleva, precisavano che la garanzia operava

entro i limiti di massimale previsti dal contratto di assicurazione ed entro le

rispettive quote di coassicurazione.

La fase istruttoria si esauriva nell’acquisizione dei documenti prodotti e

nell’espletamento di Ctu medico-legale; all’esito, il Giudice formulava proposta

conciliativa ai sensi dell’art.185 bis c.p.c..

Preso atto del rifiuto di parte attrice di aderire alla proposta conciliativa,

precisate le conclusioni, il Giudice tratteneva la causa in decisione all’udienza del

23.6.2016.

All’esito della CTU espletata ed alla luce della documentazione prodotta può

ritenersi accertato quanto segue in punto di fatto.

In data 30 aprile 2002 la sig.ra T veniva ricoverata presso l’Ospedale e sottoposta

ad intervento per interruzione volontaria di gravidanza. Dalla diagnosi di ingresso si

evince che la paziente –già madre di due figli di 19 ed 11 anni- era alla IX settimana di

gestazione, con ultima mestruazione nella seconda metà di febbraio, ed era affetta da

pregresso aneurisma cerebrale.

Costituisce circostanza incontestata, documentalmente provata (cfr. anche cartella

clinica in data 20 aprile 2002 del policlinico Gemelli, doc. in atti) e clinicamente

constatata dal nominato ctu, che la sig.ra T nell’anno 1996 pativa la rottura di

aneurisma dell’arteria cerebrale, con spandimento emorragico subaracnoideo e

conseguente emiparesi destra.

L’odierna attrice veniva dimessa dall’Ospedale in data 1 maggio 2002 dopo visita di

dimissione che rilevava “condizioni generali e locali buone”.

Rileva il ctu che correttamente, in ragione dell’epoca di gestazione, l’intervento

veniva eseguito mediante isterosuzione; precisa che, conformemente alle linee guida

anche internazionali in materia di IVG (citate) acquisite anche dall’Organizzazione

Mondiale di Sanità, tra le necessarie informazioni da fornire alla donna che si

sottopone all’intervento vi sono quelle relative alla possibilità di esito negativo

dell’intervento (in particolare, la prosecuzione della gravidanza è possibile in 1 caso

su 250) ed alla necessità di controlli successivi allo stesso, anche al fine di verificarne

il buon fine.

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RG n. 20513/2011

Al riguardo, risulta comprovata la circostanza, allegata dalla difesa della struttura

ospedaliera e confermata dall’Ausiliario, che ha visionato in atti la scheda clinica di

dimissioni, che all’uscita dall’ospedale alla paziente sarebbe stato prescritto il

necessario controllo dopo 15 giorni: lo stesso Ausiliario dà atto nella relazione

peritale, e la circostanza è riscontrabile dall’esame dei documenti ritualmente

acquisiti, che la cartella clinica dell’Ospedale veniva prodotta nel presente giudizio

dalla sola parte attrice, peraltro incompleta, risultando in atti solo n. 7 fogli dei 27 da

cui era composta, come si evince dal numero di pagine indicato nella prima facciata

della stessa cartella (cfr. doc. fasc. parte attrice). Parte convenuta non provvedeva al

deposito del documento. Ebbene, dall’esame dei sette fogli prodotti, risulta mancante

non solo la parte relativa al consenso informato ma, in particolare, la citata scheda di

dimissioni, che tuttavia risulta presente nel fascicolo dei documenti prodotti da parte

attrice: essa è rinvenibile sub doc. 9, recante “documentazione pertinente spese

mediche cartella clinica e documentazione pertinente prescrizioni mediche”. In tale

documentazione, che raccoglie documenti vari, non singolarmente numerati ed

indicizzati come dovuto, prevalentemente attinenti alle cure specialistiche

psichiatriche cui si era sottoposto l’attore sig. L tra il gennaio 2004 ed il maggio 2005,

vi è la fattura relativa al ritiro della cartella clinica del , prodotta per richiedere il

relativo rimborso, ciu è spillata la “scheda clinica di dimissioni”, ove, come riportato

dall’Ausiliario nella relazione peritale, è prescritta la terapia medica (Methergin) ed il

controllo clinico “a 15 giorni”.

Ancora in ordine alla situazione clinica della sig.ra T, riferisce il ctu che essendo la

stessa portatrice di utero fibromatoso e di metrorragie recidivanti, dal febbraio 2002

aveva iniziato ad assumere il farmaco Enantone, utilizzato, tra l’altro, per la terapia

riduttiva dei fibromi uterini; trattasi di terapia ormonale farmacologica

assolutamente controindicata in gravidanza, che induce amenorrea. Tale circostanza

aveva contribuito a rendere misconosciuta la permanenza dello stato gravidico.

E difatti, successivamente, in data 1° luglio 2002, la sig.ra T si recava presso il P.S.

del Policlinico Gemelli per “dolori pelvici”; il giorno successivo veniva eseguito esame

ecografico, che rivelava la presenza di un feto di sviluppo corrispondente alla 19°

settimana; in data 23 luglio la paziente veniva dimessa, dopo essere stata sottoposta

ad accertamenti specialistici al fine di approfondire il quadro neurologico della

gestante.

Rileva il ctu che lo stato gravidico riscontrato nel luglio 2002 risultava compatibile

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sia per anamnesi che per risultanze ecografiche con la gestazione insorta nel febbraio

2002, per la quale la sig.ra T aveva richiesto la interruzione di gravidanza entro il 90°

giorno, ai sensi dell’art. 4 della l. n. 194/78.

Gli accertamenti specialistici neurologici effettuati sulla gestante in corso di ricovero

evidenziarono la presenza di “ipoestesia facio-brachio –crurale sinistra, associata a

deficit motorio dell’arto inferiore … in emisoma destro sono presenti esiti di

pregressa emiplegia …” (cfr. cartella clinica, esame neurologico del 12 luglio 2002,

confortato dal referto dell’esame strumentale (TAC cranio) eseguito in data 13 luglio

2002, cartella clinica Policlinico Gemelli n. 1159896/8).

Ancora, in data 19 agosto la T veniva nuovamente ricoverata presso il Policlinico

Gemelli per accertamenti già programmati; in tale sede, sotto l’aspetto neurologico la

paziente presentava un peggioramento della sintomatologia oggettiva e soggettiva: la

consulenza specialistica effettuata in data 28 agosto ed in data 12 settembre 2002, in

particolare, deponeva per “un peggioramento dei deficit motori. In particolare, la

grave emiparesi destra … appare peggiorata probabilmente in rapporto alla scarsa

mobilizzazione … in emisoma sinistro si evidenzia un’accentuazione del deficit

dell’arto inferiore …”. In considerazione del “peggioramento clinico” del deficit

motorio, il neurologo prescriveva un “controllo neuroradiologico ed ecodoppler

circolo carotideo vertebrale” ed i relativi esami strumentali venivano eseguiti in data

13 settembre (ecodoppler circolo carotideo vertebrale) e 14 settembre (TAC cranio),

come risulta dalla cartella clinica del Policlinico Gemelli in atti.

In data 18 ottobre 2002 si procedeva all’espletamento del parto mediante taglio

cesareo, con nascita di neonata prematura, che, dopo ricovero nel Reparto Immaturi,

veniva dimessa in buone condizioni in data 2 novembre 2002.

Il ctu ha conclusivamente rilevato che la mancata interruzione della gravidanza ha

comportato per la sig.ra T un periodo di inabilità assoluta, accompagnato da ricovero

ospedaliero, necessario per le complicanze connesse allo stato gravidico, di giorni 90;

un ulteriore periodo di invalidità temporanea al 50% di 20 giorni, per la

convalescenza successiva al taglio cesareo; residuano inoltre postumi permanenti

incidenti in senso peggiorativo della pregressa, importante patologia fisica della sig.ra

T, consistenti in uno stato ansioso depressivo importante, valutato nella misura del

15% coerentemente, peraltro con la documentazione medica specialistica pure

versata in atti da parte attrice.

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Tanto premesso in punto di fatto, si rammenta che la responsabilità medica ha natura

contrattuale ed è disciplinata dagli artt. 1176 e 2236 c.c. che regolano la responsabilità

nella esecuzione di un contratto d’opera professionale.

Con particolare riferimento alla diligenza dovuta nell’adempimento della prestazione,

per ormai consolidata giurisprudenza (cfr., per tutte, Cass. n. 23918/06) la stessa deve

essere valutata, a norma dell’art. 1176, co. 2° c.c., con riguardo alla natura della specifica

attività esercitata; tale diligenza è quella del debitore qualificato ai sensi dell’art. 1176

co. II c.c., che comporta il rispetto degli accorgimenti e delle regole tecniche

obiettivamente connesse all’esercizio della professione e ricomprende, pertanto, anche

la perizia. Quanto poi alla limitazione di responsabilità alle ipotesi di dolo e colpa grave,

di cui all’art. 2236, co. II c.c., essa ricorre nelle sole ipotesi in cui la prestazione implica la

soluzione di problemi di particolare difficoltà ed attiene, dunque, ai soli casi in cui è

richiesta una particolare perizia che trascende la preparazione media, ovvero in cui la

particolare complessità deriva dal fatto che il caso non è stato ancora studiato a

sufficienza o non è stato ancora definitivamente dibattuto con riferimento ai metodi da

adottare.

Infine, l’obbligazione assunta dal professionista costituisce una obbligazione di mezzi e

dunque il mancato raggiungimento del risultato non determina inadempimento;

l’inadempimento, ovvero l’inesatto adempimento, consiste nell’aver tenuto un

comportamento non conforme alla diligenza richiesta, mentre il mancato

raggiungimento del risultato può costituire danno consequenziale alla non diligente

esecuzione della prestazione ovvero alla colpevole omissione dell’attività sanitaria.

Quanto poi alla ripartizione dell’onere della prova, l’attore, paziente danneggiato, deve

limitarsi a provare il contratto –o il contatto sociale- e l’aggravamento di una patologia o

l’insorgenza di una affezione, allegando l’inadempimento del debitore astrattamente

idoneo a provocare il danno lamentato; il medico, quale debitore convenuto, è invece

gravato dell’onere di dimostrare il fatto estintivo, costituito dall’avvenuto esatto

adempimento -secondo il criterio di diligenza specifica sopra precisato- ovvero che, pur

sussistendo inadempimento, esso non sia stato eziologicamente rilevante in ordine al

verificarsi del dedotto evento dannoso, ovvero che gli esiti peggiorativi siano stati

determinati da un evento imprevisto e imprevedibile a lui non imputabile (Cass. S.U. n.

13533/01; n. 20806/09; S.U. n. 577/2008).

Analogo principio è stato affermato con riguardo all'inesatto adempimento, mediante il

rilievo che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza

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dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione,

ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza), gravando ancora una volta sul

debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento.

Venendo, infine, alla responsabilità dell’ente ospedaliero, deve rilevarsi sul punto che,

con la sopra citata pronunzia delle Sezioni Unite della Cassazione dell’11.01.2008, n.

577, è stato ribadito quanto già ampiamente sostenuto dalla giurisprudenza di

legittimità (Cass. n. 13953/07): la responsabilità della struttura sanitaria ha natura

contrattuale, in quanto l’accettazione del paziente comporta la conclusione di un

contratto atipico a prestazioni corrispettive (c.d. contratto di spedalità o di assistenza

sanitaria), da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento dal corrispettivo (che ben può

essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da

altro ente), sorgono a carico della struttura sanitaria, accanto a quelli di tipo "lato sensu"

alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, dal

personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie a

garantire il buon esito degli interventi e la ottimale gestione di eventuali complicazioni

od emergenze. Sancita quindi l’autonomia del contratto di spedalità o di assistenza

sanitaria, intercorrente tra struttura sanitaria e paziente, dal contratto intercorrente tra

il paziente ed il medico, le Sezioni Unite hanno ritenuto che la responsabilità della

struttura sanitaria nei confronti dal paziente può conseguire sia, ai sensi dell'art. 1218

c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, sia, ai sensi dell'art.

1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta

direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario, pur in assenza di un rapporto

di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da

costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando la circostanza che il

sanitario risulti essere “di fiducia” dello stesso paziente o comunque dal medesimo

scelto (Cass. n. 13066/2004).

La responsabilità

Sgombrato il campo da tali questioni e venendo al merito, si osserva che alla luce

delle risultanze di causa quali sopra evidenziate in punto di fatto e tenuto conto che le

conclusioni del CTU appaiono attendibili in quanto fondate su un approfondito esame

della documentazione in atti e analiticamente motivate, si osserva quanto segue.

In particolare, deve condividersi la valutazione del ctu in ordine alla correttezza del

trattamento prescelto; quanto alla sua esecuzione, la struttura ospedaliera, onerata

della relativa prova secondo i principi sopra esposti, non a provveduto a

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versare in atti la parte mancante della cartella clinica, verosimilmente contenente,

anche, la descrizione delle specifiche modalità di esecuzione dell’intervento, sicchè

non può dirsi raggiunta la prova che la prestazione medica effettuata dal personale

dell’ospedale convenuto sia stata eseguita conformemente agli standard professionali

richiesti.

In particolare, non è stato provato né l’avvenuto “esame macroscopico del materiale

estratto”, circostanza pure allegata da parte convenuta ma non risultante dall’esigua

parte di cartella clinica in atti, né l’esecuzione di esami ecografici pre e post

intervento; quanto a questi, ha specificato il ctu che pur non essendo l’esame

ecografico prerequisito essenziale per l’IVG secondo le linee guida citate, tuttavia in

Italia lo stesso viene effettuato routinariamente sia prima che dopo l’intervento ed

appare del tutto ragionevole considerare che nel caso in questione il controllo

strumentale avrebbe con ogni probabilità consentito di accertare la permanenza del

feto in sede uterina, quand’anche l’eventualità di una gravidanza gemellare -come

pure riportato nella cartella clinica relativa al ricovero della piccola nata

successivamente al parto- avesse fatto incorrere in errore l’operatore, rassicurato

dall’esame del materiale estratto.

Il nesso causale

Difetta tuttavia quale elemento costitutivo della pretesa risarcitoria la prova della

sussistenza del nesso di causalità tra l’operato dei sanitari e l’evento dannoso

prospettato dagli attori, sulla scorta delle complessive risultanze istruttorie e della

convincente relazione peritale depositata dal ctu.

Anche sul punto, si premettono i consolidati principi affermati dalla giurisprudenza

di legittimità in materia di illecito civile, che questo giudice condivide.

La prova della sussistenza del nesso causale non segue infatti, nel processo civile, gli

stessi parametri applicati nell’accertamento della responsabilità penale. E ciò in

quanto la causalità civile assume connotazioni proprie in virtù della diversa funzione

svolta dal sistema della responsabilità civile: non già quella di sanzionare un

comportamento colpevole a fronte della commissione di un reato, bensì, in primis,

quella di riparare un danno. Sul punto la recente giurisprudenza di legittimità ha

infatti precisato che: "In tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal

principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare

causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché

dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della

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RG n. 20513/2011

serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una

valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del

regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel

senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della

preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale

vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio". Ne consegue, con riguardo alla

responsabilità professionale del medico, che, essendo quest'ultimo tenuto a espletare

l'attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice,

accertata l'omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi,

che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, la condotta

doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento stesso." (Cass.

n. 16123/2010; cfr anche Cass. S.U. n. 576/2008; Cass. n. 10741/2009).

Di qui la necessità di accertare la relazione tra la condotta e l’evento sulla base della

regola del “più probabile che non”, che impone di considerare sussistente il nesso

causale quando, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si possa

ritenere che l'opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe

avuto fondate possibilità di evitare il danno.

Ebbene, nel caso di specie chiarisce il ctu che le linee guida anche internazionali

(citate dall’Ausiliario) prevedono la possibilità di un esito negativo dell’intervento (la

prosecuzione della gravidanza è possibile in 1 caso su 250) indipendentemente dalle

modalità di esecuzione dell’isterosuzione; proprio a tal fine è necessario che la

paziente sia informata al riguardo e che sia programmata una visita di controllo entro

i 14-21 giorni dall’intervento.

A tale prevedibile possibilità di prosecuzione della gravidanza -anche ove non

generata dall’intervento di un fattore esterno di natura colposa- la struttura

ospedaliera ha fatto fronte correttamente, diligentemente programmando un

controllo clinico dopo i 15 giorni successivi all’intervento: l’allegazione di parte

attrice, che al riguardo ha negato di essere stata avvisata di tale necessità, è smentita

dalla scheda di dimissioni prodotta in atti dalla stessa parte. Come sopra precisato, la

scheda comprova l’avvenuta prescrizione al momento delle dimissioni della terapia

farmacologica post intervento e della visita a 15 giorni.

Ciò detto, la circostanza che la sig.ra T non si sia presentata alla visita di controllo

con ogni probabilità non ha consentito di verificare l’insuccesso dell’IVG praticata e di

intervenire per impedire l’evento dannoso indesiderato e tale la

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RG n. 20513/2011

prosecuzione della gravidanza.

E’ opportuno rammentare, al riguardo, che anche nell'ipotesi in cui sussista una

situazione astrattamente idonea a fondare una responsabilità per fatto illecito, come

nel caso di specie, la causa efficiente sopravvenuta, che abbia i requisiti del caso

fortuito e sia idonea a causare da sola l'evento, recide il nesso eziologico tra

quest'ultimo e l'attività svolta, producendo effetti liberatori, e ciò anche quando sia

attribuibile al fatto di un terzo o del danneggiato stesso. Si tratta del principio di

causalità adeguata, per il quale l’evento dannoso deve verificarsi successivamente alla

condotta colposa ed all’esito di una normale sequenza causale, mentre i fatti

successivi idonei a produrre, da soli, l'evento, interrompono detta sequenza ed

acquistano rilevanza esclusiva e assorbente nella causazione del danno lamentato,

trattandosi di fatti autonomi, eccezionali e atipici rispetto alla serie causale già in atto,

che comportano la degradazione delle cause preesistenti al rango di mere occasioni.

Ebbene, alla luce delle descritte emergenze, il prioritario principio di auto

responsabilità, induce a ritenere che la sig.ra T ben avrebbe potuto e dovuto, usando

l’ordinaria diligenza e cautela, senz’altro richiesta dalla criticità della situazione,

recarsi al prescritto controllo, laddove la visita di verifica del buon esito dell’IVG

avrebbe con ogni probabilità scongiurato l’evento indesiderato.

Inoltre, pur potendosi ritenere incolpevole il misconoscimento da parte degli

odierni attori della prosecuzione della gravidanza, la stessa tempistica evidenziata

dalle risultanze istruttorie e sopra descritta, impone di ravvisare anche nei fatti

verificatisi successivamente al 1° luglio 2002 ulteriori elementi interruttivi del nesso

di causalità tra la condotta dei sanitari dell’Ospedale e la prosecuzione della

gravidanza.

Ed invero, ha convincentemente sottolineato l’Ausiliario che gli accertamenti clinici

e strumentali eseguiti nel corso del primo ricovero presso altra struttura ospedaliera

iniziato in data 1° luglio 2002 -sopra descritti- evidenziavano una situazione clinica

severa ed ingravescente, soprattutto quanto all’aspetto neurologico; inoltre la sig.ra T

aveva assunto accidentalmente farmaci controindicati in gravidanza, era a rischio

ostetrico per pregressa gestosi, aveva già subito due tagli cesarei ed era portatrice di

emiparesi per pregressa rottura di aneurisma cerebrale. Tale complessiva situazione

patologica, clinicamente e strumentalmente oggettivata ed ingravescente, rendeva

senz’altro ancora praticabile la interruzione volontaria di gravidanza, pur essendo

decorsi i 90 giorni, sussistendo i requisiti richiesti dall’art. 6

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RG n. 20513/2011

della l. n. 194/78, comportando la stessa un grave pericolo per la salute (e la vita)

della paziente.

Ha esaurientemente chiarito il ctu, sul punto, in conformità alle previsioni di cui alla

norma citata, che l’IVG successiva al 90° giorno di gravidanza è possibile quando la

gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna (art. 6, lett.

a), l. n. 194/78) ovvero quando siano accertati processi patologici -anche relativi a

rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro- che determinino un grave pericolo

per la salute psichica o fisica della donna (art. 6, lett. b), l. n. 194/78). Nel primo caso,

l’interruzione della gravidanza è sempre possibile; nel secondo caso è necessario

accertare se vi siano possibilità di vita autonoma del feto, ed in caso positivo il medico

che esegue l’intervento deve adottare tutte le misure idonee a salvaguardare la vita

del feto.

Ha spiegato l’ausiliario che il limite di vitalità, ovvero l’età gestazionale minima che

consente la sopravvivenza extrauterina del feto, va rapportata ai criteri della scienza

medica; richiamandosi alle linee guida della società Italiana di Neonatologia, ha

riferito che la comunità scientifica considera oggi come nato pretermine il bambino

nato vivo successivamente alla 22,6° settimana gestazionale (154 giorni), mentre

considera evento di interruzione della gravidanza l’aborto avvenuto prima di tale

termine. Conseguentemente, tale epoca gestazionale ovvero la settimana 22,6° è ad

oggi considerata la soglia entro cui intervenire con IVG ai sensi di legge, quando la

gravidanza comporti un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Ne consegue che la sig.ra T, al momento dell’accertamento dello stato gravidico con

epoca gestazionale alla 19° settimana, ben avrebbe potuto -ancora-esercitare il diritto

a richiedere l’interruzione della gravidanza, previa accertamento delle condizioni di

legge, di certo sussistenti nel caso che interessa: è provato, infatti, che già dall’inizio

della gravidanza, e, “a fortiori”, al momento del ricovero del 1° luglio 2002, era già in

atto il grave processo patologico che comprometteva la salute fisica e psichica della

odierna attrice, processo evidentemente aggravato dal procedere della gravidanza,

atteso il lungo periodo di stasi, la interruzione delle cure farmacologiche e

fisioterapiche e lo stato gravidico, come attestato dai citati esami clinici e strumentali.

Sul punto, gli attori non hanno neppure allegato di essersi attivati -come avrebbero

potuto e dovuto- richiedendo informazioni in ordine alla possibilità di praticare

nuova IVG ovvero l’accertamento della sussistenza delle condizioni di legge per

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Sentenza n. 3935/2017 pubbl. il 28/02/2017

RG n. 20513/2011

procedere alla interruzione della gravidanza, secondo la manifestazione di volontà già

chiaramente espressa in precedenza.

Tale inerzia, degli stessi danneggiati nonché dei sanitari terzi che presero in cura la

sig.ra T a decorrere dal 1° luglio 2002, induce a ritenere la sicura, determinante ed

assorbente incidenza causale di tali condotte nella prosecuzione della gravidanza

indesiderata, con conseguente interruzione del nesso di causalità tra tale evento

dannoso e la condotta dei sanitari del ospedale convenuto.

La domanda deve pertanto essere rigettata.

Il rigetto della domanda principale esime questo giudice dall’esame della domanda

di garanzia.

Le spese tra la parte attrice e parte convenuta sono compensate, tenuto conto della

iniziale, giustificata incertezza sulla ipotizzabile sussistenza e misura della

responsabilità, potenzialmente ascrivibile in astratto alla parte comprensibilmente

resa destinataria della conventio in ius, che solo l’espletata istruttoria, resa peraltro

complessa dalla confusa ed ambigua produzione documentale, ha reso possibile

accertare.

Sono altresì compensate tra la convenuta e le compagnie di assicurazione chiamate

in causa, tenuto conto della legittimità della chiamata ed atteso che le difese sono

state in buona sostanza relative alla domanda principale e non alla domanda di

garanzia.

P.Q.M.

Il Tribunale Civile di Roma, definitivamente pronunciando sulla domanda in

epigrafe, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così decide:

- Rigetta la domanda;

- Dichiara integralmente compensate le spese di lite;

- Pone definitivamente a carico di parte attrice le spese di ctu.

Così deciso in Roma, 19 febbraio 2017.

IL GIUDICE

W. Verusio

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