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Sentiero 15 (Vaticano)

Date post: 16-Apr-2017
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Periodico trimestrale del Senero Francescano della Pace Aut. n. 52 del 28 oobre 2010 del Tribunale di Perugia Periodico trimestrale del sentiero Francescano della Pace Anno IV - Numero 15 . DIFFUSIONE GRATUITA San Francesco voleva diventare cavaliere La Quintana Ascoli di A Roccabruna di Sarnano il Fioretto del “fraticino” Intervista esclusiva a don Accrocca
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Periodico trimestrale del sentiero Francescano della Pace

Anno IV - Numero 15

.DIFFUSIONE GRATUITA

San Francescovoleva diventare

cavaliere

La QuintanaAscolidi

A Roccabruna di Sarnanoil Fioretto del “fraticino”

Intervistaesclusiva adon Accrocca

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Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15

Il Sentiero FrancescanoPeriodico trimestrale del Sentiero Francescano della Pace

Registrazione Ufficio Periodici n. 52 del 28/10/2010

presso il Tribunale di Perugia - Rivista telematica presente

su www.sentierofrancescano.it - Sede redazione: Via della

Fornace 11, Maiolati Spontini (AN) - 0731-704450

[email protected]

PROPRIETARIO:

Abaco Società Cooperativa, Via Giuseppe

Leti, n. 82 - 63900 - Fermo (FM)

P. IVA 01926770445

[email protected]

DIRETTORE RESPONSABILE:

Diego Mecenero, Ordine dei Giornalisti Regione Marche

[email protected] - www.diegomecenero.it

CAPO REDATTORE:

Silvia Papa

COMITATO DI REDAZIONE:

Silvia Papa, Matteo Tadolti, Carmen Nardi, Simone Zerbini,

Rosita Roncaglia, Rosanna Giappichini, Marta Zerbini,

Francesca Mazzanti, Rita Pannacci, Alberto Tufano.

HANNO COLLABORATO IN QUESTO NUMERO:

Felice Accrocca, Giuseppe Marucci.

Euro Puletti, Gloria Ghergo.

UFFICIO GRAFICO:

Studio Grafico Visibilia

www.studiograficovisibilia.it

ARCHIVIO FOTOGRAFICO:

Fotolia, Shutterstock, Archivio della Rivista

© 2010-2014 - Il Sentiero FrancescanoTutti i diritti riservati.È vietata la riproduzione totale o parziale cosìcome la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o con qualunquemezzo senza previa autorizzazione scritta da parte dell’editore.L’editore è a disposizione degli aventi diritto tutelati dalla leggeper eventuali e comunque non volute omissioni o imprecisioninell’indicazione delle fonti bibliografiche o fotografiche.

← In copertina Piazza del Popolo ad Ascoli.

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Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it

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voglia

scoprireCon tanta

di Diego Mecenero *

* autore e giornalista, direttore responsabile della rivista

Gentilissimi lettori,troverete in questo numero un’alta dose di infor-mazioni inedite ed esclusive, segno della grandevoglia di “ricerca” che ci sta ultimamente carat-terizzando.L’aver allargato la visuale della rivista alla RegioneMarche ci dà questa carica, proprio perché inessa le “perle francescane” presenti sono ancoraperlopiù taciute e inesplorate.Parleremo della presenza di San Francesco adAscoli Piceno e, con l’occasione, della celebreQuintana e di altri eventi collegati che ci hannovisto come protagonisti.Abbiamo raccolto interviste esclusive a perso-naggi noti: lo studioso francescano di portatamondiale Felice Accrocca e l’attrice recanateseGloria Ghergo del film su Leopardi Il giovane fa-voloso (nel ruolo di Silvia).Vi racconteremo del Francesco che voleva diven-tare cavaliere e della Rocca della sua cittadina na-tale. E molto altro, davvero molto altro, come adesempio la nostra esplorazione a Roccabruna diSarnano e a Val di Sasso di Fabriano. E non vogliodimenticare padre Pietro, l’eremita francescanodell’Infernaccio, sui Sibillini.Do il benvenuto nella rivista a Francesca Maz-zanti, che ringrazio per aver messo a nostra di-sposizione le sue professionali competenze infatto di cucina medievale: sua una nuova rubrica.

Buona lettura, quindi!

↓ La chiesa francescana di Roccabruna,

presso Sarnano (MC).

di

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Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15

TORNA IN VITA LA “PORZIUNCOLA” DELLE MARCHE

Non poteva essere collocata in una cornice mi-gliore - il giorno 4 ottobre, festa di San Francescod’Assisi - l’inaugurazione del ristrutturato con-vento di Santa Maria di Val di Sasso, nei pressi diFabriano. Ancor meglio, anche per il fatto chetale evento è stato parte della tre giorni organiz-zata dalla Regione Marche per la promozione delturismo religioso del territorio.A fare gli onori di casa è stato il francescanoPadre Ferdinando Campana, attuale ministroprovinciale dei Frati Minori delle Marche, il quale,alla presenza del presidente della RegioneSpacca, dei vescovi di Fabriano e di Ancona e delsindaco di Fabriano, ha illustrato prima il signifi-cato storico di questo importante luogo per ifrati e, successivamente, le principali azioni di ri-strutturazione effettuate.

CRONACA

di Rosita Roncaglia *

↘ Il momento dell’inaugurazione.

* docente di Scuola dell’Infanzia

L’eremo francescanodi Val Sasso a FabrianoRistrutturato il convento

In questo luogo soggiornò San Francesco d’As-sisi, proprio nella cittadina - Fabriano - che eglivisitò tra le prime nelle Marche. Lì infatti vive-vano alcuni suoi amici con cui aveva probabil-mente condiviso l’esperienza della prigionia aPerugia. Alcuni di loro si fecero frati e risiedet-tero in questo convento.Ma qui visse anche San Giacomo della Marca evi passò anche San Bernardino da Siena e SanGiovanni da Capestrano. Un posto di vera ec-cellenza francescana, dunque.Con una nostra troupe eravamo presenti alla ce-rimonia e abbiamo intervistato Padre Campananonché, unici a farlo, i tecnici che hanno direttoi lavori del restauro.

Intervista aPadre Campana

Intervista airistrutturatori

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Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it

CRONACA

a cura della Redazione

Merita senz’ombra di dubbio di essere cono-sciuto e apprezzato quanto la cittadina di Valfab-brica (PG) mette in “scena” ogni anno inoccasione della Festa d’Autunno. Vi si celebraanche un torneo tra cavalieri.Quest’anno l’apprezzata manifestazione si èsvolta durante la prima settimana di settembre.Maggiori informazioni si possono reperire sul sitointernet www.paliodivalfabbrica.com.

↖ Papa Francesco mentre ammira il “covo” di Campocavallo.

La “Festa d’Autunno” valfabbrichese

Un Palio sul Sentiero Francescano

Spettacolare e unica a Campocavallo di Osimo

La Festa del Covo da Papa FrancescoÈ dal lontano 1939 che a Campocavallo di Osimo(AN) si propone la cosiddetta festa del“covo”(carro), nella quale proprio su un carro sirealizza una costruzione fatta interamente conspighe di grano dai contadini del luogo.Quest’anno si è costruito nientemeno che la Ba-silica di San Pietro, idea che per la complessitàdella realizzazione ha imposto modifiche struttu-rali allo stesso carro.Portata a Roma, l’opera è stata apprezzata e be-nedetta da Papa Francesco il 27 agosto scorso.

↑ Un momento dei festeggiamenti a Valfabbrica.

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Abbiamo voluto che le uscite dei numeri de Il Sen-tiero Francescano fossero “ritmate” dalla sapientecadenza del fluire delle stagioni. Quattro quindisono i numeri diffusi nell’arco dell’anno, uno perciascuna delle stagioni, dando così modo di con-notare in tal senso una serie di rubriche e argo-menti che già di per sé sono connotati da una fortevalenza “naturale”:

• il Sentiero Francescano della Pace (Assisi-Gubbio);• luoghi e itinerari francescani umbro-marchigiani;• aspetti culturali e artistici francescani;• tradizioni legate al territorio umbro-marchigiano;• cronaca francescana umbro-marchigiana;• interviste a personaggi e gente comune;• valori e spiritualità francescana;• fauna e flora del territorio;• leggende e ricette del territorio;• ...e molto altro.

In questo quindicesimo numero:

Con tanta voglia di scoprire 3Cronaca 4Una rivista per ogni stagione 6Ascoli Piceno: la città del Travertino 71215: San Francesco arriva ad Ascoli 8UNESCO - La città dalle cento torri 10La festa di Sant’Emidio 12La Quintana di Ascoli Piceno 13Francesco è vivo! 14Padre Pietro: il muratore di Dio 16

Roccabruna di Sarnano 19Intervista a Felice Accrocca 22Dame e gioielli ad Ascoli Piceno 25Un filo d’oro attraversa l’Umbria 28Cecco d’Ascoli e il Ponte del Diavolo 31Francesco d’Assisi, il cavaliere 32La Rocca di Assisi 34 Intervista a Gloria Ghergo 36Francesco è vivo! e parla jesino 38La ricetta (cucinamedievale.it) 39

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Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15

RivistaStagione

Una

per ogni

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DIFFUSIONE GRATUITA

San Francescovoleva diventare

cavaliere

La QuintanaAscolidi

A Roccabruna di Sarnanoil Fioretto del “fraticino”

Intervistaesclusiva adon Accrocca

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La Quintana e le celebrazioni in onore di san-t’Emidio, ricorrenze da poco passate, sono un’ot-tima opportunità per visitare la città di AscoliPiceno. La città costruita interamente in traver-tino, ha origine prero-mane. Ricca di chiese,piazze e torri, in un bellis-simo centro storico si puòammirare la famosa piazzadel Popolo, su cui affaccianola Chiesa di San Francesco e ilPalazzo dei Capitani. Si proseguecon il Caffè storico Meletti in stile liberty,la porta Gemina e il ponte augusteo di porta So-lestà, uno dei più grandi realizzati in epoca ro-mana. Il Forte Malatesta e la Cartiera papale da pocorestaurati sono divenuti importanti poli culturali,la Pinacoteca civica in piazza Arringo ospita, tra

le altre prezio-sità, il Piviale diNicolò IV, do-nato dal primoPapa france-scano alla suacittà natale. Davisitare sonoinoltre il MuseoArcheologico, ilMuseo dell’arteceramica e laGalleria d’ArteContempora-nea Osvaldo Li-cini, senza tra-

di Silvia Papa *

lasciare la Chiesa di San Francesco e il Battisterodi San Giovanni. All’interno del Duomo si può ve-dere la cripta di sant’Emidio e la cappella del SS.Sacramento, dove è custodito il Polittico di san-

t’Emidio di Carlo Crivellidel 1473, nell’adiacenteMuseo diocesano sono in-vece conservati la statua ar-

gentea e il braccio disant’Emidio realizzati a fine

Quattrocento dall’orafo ascolanoPietro Vannini.

Sono solo alcune delle meraviglie che sipossono trovare nei vicoli e nelle strade di Ascoli.Da non dimenticare di assaggiare le prelibateolive all’ascolana e di acquistare l’artigiano arti-stico e una bottiglia di Anisetta Meletti, ricordataanche dal poeta Trilussa: "Quante favole e so-netti m'ha ispirato la Meletti“.Per ogni informazione relativa al soggiorno adAscoli Piceno si può consultare il sito del Co-mune: www.comuneap.gov.it/turismo.

Buon soggiorno!

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* storico dell’arte

la città del

Ascoli Piceno:travertino

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↘ Il piviale di Papa Nicolò IV.

↘ Sant’Emidio battezza Polisia (cripta del Duomo).

↑ La chiesa di San Francesco presso Piazza del Popolo.

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1213: La Verna - Toscana. A San Francesco d’As-sisi venne donato un podere isolato e selvaggiosul Monte della Verna, tutta scogli e abeti secolari.Lì rimase un periodo e, probabilmente, il contattocon quel luogo solitario e selvaggio gli ridestòl'aspirazione alla vita eremitica, che fu la primaforma della sua vita religiosa.Ne conseguì una sorta di “crisi”: doveva viverecome un eremita dedicandosi alla contemplazioneo come un predicatore attivo e itinerante? La do-manda era “forte” e importante. Il Santo la giròa due persone di fiducia: Santa Chiara e frate Sil-vestro. I due, interpellati separatamente, diederola stessa risposta: predicazione itinerante.

1215: Ascoli Piceno - Marche. È davvero fuorimano per Assisi o l’Umbria in genere un viaggioin questa città ma, alla luce delle considerazioniappena fatte, non ci appare fuori luogo che pro-prio mosso da un impeto di missione itineranteFrancesco sia spinto, per l’appunto, verso una de-stinazione a lui lontana.Non a caso, e questo costituisce una sorta dipunto a favore di queste considerazioni, proprioattorno ai fatti della Verna il biografo Tommasoda Celano narra della famosa “predica agli uc-celli” avvenuta a “Mevania” (Bevagna). Si leggeinfatti nelle Fonti Francescane che i due amici con-sultati da San Francesco gli suggerirono un primoviaggio ad Alviano, nella Valle del Tevere. Proprio

lungo quel percorso avvenne la predica agli uc-celli: lì il Celano scrive infatti testualmente che«nel tempo in cui predicò agli uccelli …giunsead Ascoli». Non a caso, proprio ad Ascoli nellachiesa di San Gregorio esiste la raffigurazione piùantica che si conosca della «predica agli uccelli».Non va escluso, comunque, che Francesco siapassato per la città picena prima della conver-

di Rosita Roncaglia

1215: San Francesco

Ascoliarriva ad

TRENTA UOMINI SI FANNO FRATI.FRA PACIFICO IL “RE DEI VERSI”.

↗ La “predica agli uccelli” affrescata a san Gregorio ad Ascoli.

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sione, avendola magari percorsa in compagniadel padre mercante. In ogni caso ci pare legittimosia scaturito in lui un impulso a spingerlo in unalocalità fuori mano e lontana.Partendo da Foligno, la strada per Ascoli Picenosaliva con tutta probabilità a Colfiorito da cui sispingeva poi in direzione di Mevale, nella valle delNera. Proseguiva poi lungo la valle Castoriana,nella quale è probabile una sosta nella nota ab-bazia di Sant’Eutizio. Da lì il Santo avrà raggiuntoNorcia, per salire successivamente sulla piana diCastelluccio (avesse saputo che lì avrebbero secolidopo girato un film su di lui dal titolo Fratellosole, sorella luna!) e sarà sceso successivamentead Arquata del Tronto, lungo la Salaria, quasi alleporte di Ascoli.

L’accoglienza avuta da San Francesco ad AscoliPiceno fu spettacolare. La gente si accalcava purdi vederlo e toccarlo e addirittura trenta uominidecisero di indossare il saio francescano. Rimastiin zona, questi nuovi frati costituirono le primepresenze francescane ascolane nei contraffortidel monte dell'Ascensione, e precisamente adAppignano, Offida, Castignano, Poggio Canosae Venarotta. Altri due conventi sono stati trovatisul Monte San Marco, dalla parte opposta.

A Campo Parignano invece, allora poco fuori lacittà, sorse un altro convento in prossimità dellecosiddette scadye, ossia al centro di un reticoloortogonale di vie romane cui si deve anche la cen-turiazione del restante territorio ascolano. Propriolì venne costruita la chiesa e il convento con duechiostri che oggi risultano essere in centro città,presso Piazza del Popolo. Stiamo parlando dellachiesa di San Francesco.Ma è in Piazza Arringo, presso l’attuale cattedraleche San Francesco deve aver predicato agli asco-lani, riscuotendo enorme successo.

Tra i frati ascolani, la cittadina picena ama anno-verare anche il celebre frate Pacifico, detto il “redei versi”. Il Celano, descrivendolo prima dellaconversione, lo pennella come “principe dei can-tanti lascivi” e “inventore di canzoni secolare-

sche”, rivelando anche come tale personaggio(famoso all’epoca ma del quale a noi sfugge lacertezza assoluta del nome) fu pomposamente“incoronato” dall’imperatore come cortigianodella regina Costanza.

Vi era nella Marca d'Ancona un secolare, che di-mentico di sé e del tutto all'oscuro di Dio, si eracompletamente prostituito alla vanità. Era chia-mato «il Re dei versi», perché era il più rinomatodei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzonimondane. In breve, la gloria del mondo lo avevatalmente reso famoso, che era stato incoronatodall'Imperatore nel modo più sfarzoso.

(Fonti Francescane 693)

Ma l’incontro con San Francesco lo convertì:

Il Santo lo vestì dell'abito e lo chiamò frate Paci-fico, per averlo ricondotto alla pace del Signore.E tanto più numerosi furono quelli che rimaseroedificati dalla sua conversione, quanto maggioreera stata la turba dei compagni di vanità.Godendo della compagnia del Padre, frate Paci-fico cominciò ad esperimentare dolcezze, chenon aveva ancora provate. Infatti poté un'altravolta vedere ciò che rimaneva nascosto agli altri:poco dopo, scorse sulla fronte di Francesco ungrande segno di Thau, che ornato di cerchiettimulticolori, presentava la bellezza del pavone.

(Fonti Francescane 693)

↗ Piazza Arringo ad Ascoli.

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di Giuseppe Marucci *

Parlare della storia di Ascoli Piceno, in brevespazio, non ha senso se non concentrandosi sualcuni aspetti salienti, soprattutto legati alle vi-cende francescane.Ascoli, città picena, poi romana e medievale èuna delle più belle ed architettonicamente in-teressanti città italiane. Definita la città di “tra-vertino” e anche la città delle “cento torri”.Di travertino perché le vicine cave della splen-dida pietra ne fanno una città piena di edificistrutturalmente diversi da quelli in lateriziodella altre città marchigiane.Da anni Ascoli sta cercando di farsi riconoscere,per questo motivo, “città patrimonio dell’uma-nità”, da parte dell’UNESCO e speriamo che,superate le pastoie burocratiche, ci riesca.Le torri nobiliari fanno parte dello skyline asco-lano. Le famiglie patrizie, in epoca medievale,gareggiavano nell’erigere le torri più alte, perdifesa, ma anche perché simbolo di potenza,come esprimono perfettamente quelle di pa-lazzo Merli. La torre degli Ercolani raggiungel’altezza di 95 metri, accanto al palazzetto lon-gobardo.Esse fanno da corona alle due splendide piazzegioiello della città: piazza Arringo e Piazza delPopolo.

* Direttore Club UNESCO di Ascoli Piceno

Le chiese, spesso edificate su antichi templi ro-mani, sono piuttosto austere e caratteristichenella loro definizione architettonica. Basti pen-sare alla Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio;citare la Chiesa-monastero di Sant’AngeloMagno; infine l’austera chiesa di San Tom-maso.San Francesco giunse in Ascoli nel 1215, ac-colto con venerazione dalla popolazione. Lapredicazione del Santo suscitò vivo entusiasmoin numerosi giovani delle migliori famiglie asco-lane. Il seme fece fiorire diverse eccellenti vo-cazioni: Corrado Miliani (1234-1289)professore alla Sorbona di Parigi, missionario inCirenaica, eremita e oggi venerato comeBeato; soprattutto Gerolamo di Massio da Li-sciano, eletto poi papa con il nome di NiccolòIV (1287-1292).Niccolò IV, fu il primo Papa francescano; natonel 1227, aveva frequentato la scuola dei fran-cescani nel convento di Porta Maggiore.Alla sua elezione la città di Ascoli inviò a Rieti,dove era il Pontefice, una delegazione di am-basciatori, tra cui Francesco Odoardi nobileascolano. In quella occasione fu offerta al Papala podesteria di Ascoli, che accettò.Una particolarità: Niccolò IV, il 29 maggio

La città dalle cento torriPapa francescano

ASCOLI PICENO, “VAL BENE UNA DEVIAZIONE” A

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Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15

e del primo

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1289, incoronò nella città di Rieti Carlo II d’An-giò.Con una Bolla papale del 1290 venne istituitain Ascoli l’Università, che completò lo Studioascolano.La Piazza del Popolo, il Palazzo dei Capitani ela Chiesa di San Francesco. Centro, ieri e oggi,della vita cittadina, con il caffè cittadino più fa-moso: il Meletti. La prima pietra della chiesa disan Francesco fu posta nel 1258, la consacra-zione avvenne, ad opera incompiuta, il 24 Giu-gno del 1371. Fra le chiese coeve sorte nelleMarche, è l’esemplare più tipico dei monu-menti di transizione tra romanico e gotico. Unacuriosità: nella sacrestia della Chiesa era con-servato l’Archivio del Comune di Ascoli, chevenne in gran parte distrutto in un incendio nel‘500.I francescani comprarono il terreno adiacenteall’attuale Piazza del Popolo, per costruirvi laloro nuova chiesa, nel 1258. L’acquisto av-venne in seguito alla vendita di un loro terrenofuori città, in Campo Parignano, alle Monachecistercensi del Convento di San Matteo apo-stolo e Sant’Antonio abate ubicato a fonte del-

l’Olmo, nella zona di Castel di Lama.La piazza Arringo, il Palazzo anzianale-comu-nale e la sede vescovile con la cattedrale. Lapiazza luogo per eccellenza aristocratica è con-tornata da vari importanti edifici: il Palazzo co-munale, che ospita una importante pinacotecacon opere dell’Alemanno, del Crivelli, del Ferrie di tanti altri illustri artisti; il palazzo vescovile,contrappeso al potere civile fin dai tempi del li-bero comune; il palazzo Panichi sede delmuseo archeologico.I fritti e la Quintana. Non possiamo chiudereuna rassegna pur veloce su Ascoli Piceno,senza citare due suoi capisaldi nella tradizione:le olive ascolane che hanno ormai invaso l’Italiae l’estero, c on la loro bontà e la rievocazionestorica “la Quintana”, ambientata nel ‘200,l’epoca più ricca nella vita civica.Insomma Ascoli, vale una “deviazione”, comedicono le guide turistiche. Bella in questo sensoanche l’iniziativa “Cammino francescano dellaMarca”, varata quest’anno in Aprile-Maggio:a piedi da Assisi ad Ascoli Piceno, inserita nellaconsolidata manifestazione “ Festival dell’Ap-pennino”.

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↗ Piazza del Popolo ad Ascoli Piceno; sullo sfondo la chiesa di San Francesco d’Assisi..

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Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15

di Silvia Papa di Silvia Papa

La festa di sant’Emidio ricorre il 5 agosto. Natoin Germania intorno al 273 d.C. Emidio fu no-minato vescovo da papa Marcello II e inviato adAscoli per evangelizzare il Piceno, dove fu mar-tirizzato nei primi anni del trecento dopo Cristocon il taglio della testa. Dopo il terremoto del 1703, che colpì dura-mente l’Italia centrale lasciando indenne Ascoli,sant’Emidio iniziò ad essere invocato come pro-tettore contro il terremoto. La festa in suoonore inizia il 26 luglio, giorno di sant’Anna:spari d’apertura e banda musicale entra nelDuomo per rendere omaggio alla tomba delSanto.Nei giorni successivi il programma religioso siintreccia con le iniziative civili. Tradizionale è lacerimonia dell’offerta dei ceri in onore delSanto sul sagrato del Duomo. Il 5 agosto, giorno culminate delle celebrazioni,i pellegrini provenienti non solo dalle terre delPiceno, ma anche dal resto d’Italia e d’Europa,entrano in chiesa con un ramo di basilico“pianta di Sant’Emidio” cresciuta miracolosa-mente nelle catacombe per indicare dove fosse

la tomba. Nel pomeriggio la statua del Santo,trainata da un carro di buoi, si snoda in proces-sione per le vie della città, la festa si concludepoi in serata con i fuochi d’artificio.Altro momento saliente dei festeggiamenti èrappresentato dalla rievocazione storica dellaQuintana che si svolge la prima domenica diagosto. Il corteo è aperto dal Sindaco in qualitàdi magnifico messere ed è composto da oltre1.000 figuranti in abiti quattrocenteschi, cheavanza al rullo dei tamburi e al suono delle chia-rine fino al campo giochi, dove i cavalieri dei seisestieri si sfidano nella giostra contro il Sara-ceno.

La festa di Sant’Emidiotra devozione e

rievocazione

↓ Un momento della festa.

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Inverno 2010-2011 - www.sentierofrancescano.it

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Estate 2014 - www.sentierofrancescano.it

di Silvia Papa

La Quintana è una rievocazionestorica medioevale con giostraequestre che si tiene ad Ascoli Pi-ceno la prima domenica di ago-sto. Uno spettacolo suggestivo alquale vale la pena partecipare!La Quintana prevede diversi mo-menti che hanno luogo anche neigiorni precedenti la competizionedei cavalieri, come la lettura delbando, l'offerta dei ceri, il paliodegli arcieri, il palio degli sbandie-ratori e la sfilata del corteo per levie della città. Radici molto antiche si legano allanascita della Quintana, alcuni leidentificano con il periodo storicodel IX secolo, quando i Saraceniinvasero il territorio dei Piceni. Latraduzione in volgare degli StatutiAscolani redatti in latino nel1377, assicura che già allora fosseconsolidata la tradizione dellaQuintana all’interno dei festeg-giamenti in onore di Sant’Emidio. La consuetudine vuole che nelgiorno di sant’Anna, 26 luglio, cisia la lettura del bando dellaQuintana, in coincidenza conl’apertura delle feste patronali.Cosi anche precedente allo svol-gersi della giostra sono le gare degli sbandiera-tori, dei musici – tamburini e chiarine – e degliarcieri. Il corteo storico è costituito da oltre mille

figuranti che sfilano indossandocostumi ispirati al XIV, in ricordodegli Statuti Ascolani trecente-schi, che ne disciplinano la fat-tura. Al corteo partecipano le massimeautorità cittadine, iniziando dalruolo del Magnifico Messere,colui che un tempo era "il Si-gnore" della città, ruolo imperso-nato oggi dal Sindaco. Vi siaggiungono dame, damigelle, ar-migeri, musici, sbandieratori, ar-cieri, balestrieri ed altripersonaggi appartenenti ai sin-goli sestieri. Sono inoltre presentile rappresentanze delle Terre e deiCastelli del circondario ascolano.Ogni sestiere si distingue per ap-partenenza sociale e per colorinell’abbigliamento. La giostra invece consiste in unadisputa di cavalieri a cavallo iquali, percorrendo una pista, de-vono colpire con la lancia il bersa-glio posto sul braccio sinistro delsaraceno, detto anche “moro”. Ilpalio è il premio che riceve il ca-valiere vincitore della giostra econsiste in uno stendardo realiz-zato in ricercato tessuto dipinto

che, dopo la consegna, è conservato nella sededel sestiere aggiudicatario.

La Quintana di

Ascoli Piceno

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Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15

di Alberto Tufano *

un dono, credere sempre e in ogni momento èdifficile; ma essere credibile agli occhi di chi ildono della fede non ce l’ha è un’impresa ai li-miti dell’impossibile per chiunque.Ecco dunque che il nostro Papa si è proiettatonella sua missione con tutto se stesso, fino atoccare tematiche che in quell’indimenticabile4 ottobre 2013 hanno echeggiato in tutto ilmodo perché ha parlato in modo quasi profe-tico, anticipando alcuni dei grandi temi che l’at-

tualità del 2014 hariproposto alla co-scienza del mondointero.

FAMIGLIA. Questoè uno dei temi piùcari, da sempre,alla Chiesa Catto-lica. E Papa France-sco si è dimostratoun degno paladino

di questa causa sia nella giornata in Assisi siasuccessivamente, parlandone in ogni parte delmondo.Ad Assisi disse ad alcune giovani coppie di sposiuna frase indimenticabile: “Può capitare di liti-gare anche tra marito e moglie, ma non bisognasmettere di parlarsi e di cercare un dialogo. Esoprattutto, la cosa più importante è non an-

A un anno dallagiornata col PapaAssisi

* giornalista per Radio Uno RAI

Il tempo fa scherzi strani, a volte. Sembra ieri,eppure è già passato quasi un anno dalla gior-nata di Papa Francesco nei luoghi del santo diAssisi, a cui Bergoglio si è ispirato per immor-talare il suo papato nella storia della Chiesa.Certo è ancora vivida l’emozione di chi - comenoi del Sentiero Francescano - ha avuto la for-tuna di respirare e ascoltare le parole del Papain quella meravigliosa giornata, mentre per altrisembra passato un secolo: infatti pare semprepiù che il mondonon abbia saputocogliere piena-mente il messag-gio di quellagiornata di pace edi slancio verso lavita, con migliaiadi giovani a can-tare e a invocarequell’amore per lavita che Bergogliosa testimoniare con la sua innata umanità,prima ancora che con il ruolo che Dio gli ha af-fidato. “Quando dite le vostre preghiere, dite una pre-ghiera anche per me” disse ad Assisi (e nonsolo in quella circostanza) Papa Francesco, con-sapevole dell’immane lavoro che lo attendevadurante il suo pontificato, perché se la fede è

ad

↗ Il primo incontro con i capi delle religioni

ad Assisi con Papa Giovanni Paolo II.

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dare mai a dormire a fine giornata senza farepace.”Naturalmente, però, la famiglia non è costi-tuita solo dal coniuge, quindi il pontefice haavuto bisogno di specificare quanto l’amoredebba essere il sentimento portante dell’istitu-zione familiare, anche oltre le mura domesti-che; e alla messa del 22 giugno scorso hacompletato il suo pensiero a riguardo: “Maigiudicare un fratello! Chi lo fa sbaglia perchési sostituisce a Dio, che è l’unico giudice. Chigiudica diventa uno sconfitto e finisce malecon la sua ossessione, perché la stessa misurasarà usata per giudicare lui. Dobbiamo esserei difensori dei nostri fratelli davanti al Padre,non giudici.”

GUERRA. Ad Assisi Papa Francesco aveva por-tato la speranza della pace universale sulleorme del Beato Giovanni Paolo II, che proprionella città cara a San Francesco aveva riunitonel 1986 le massime cariche delle Chiese cri-stiane e delle comunità ecclesiali per pregareinsieme con i rappresentanti di tutte le altre re-ligioni mondiali per la pace nel mondo.In una sola giornata, Papa Francesco aveva vi-sitato i luoghi simbolici dell’epopea del santo(la Porziuncola, l’Eremo delle Carceri, la Basi-lica) e rinnovato il messaggio “Pace e Bene”che più di ogni altro racchiude in sé il senti-mento di amore verso il prossimo, finalizzatoalla comune convivenza pacifica, pur nelle di-versità.

Tuttavia, la recrudescenza di numerosi focolaibellici ha costretto il Papa ad alzare la voce, finoa portarlo sull’orlo di una coraggiosa visita permediare tra israeliani e palestinesi. Quasi contemporaneamente, però, si moltipli-cavano le tensioni tra Russia e Ucraina, s’infit-tivano le minacce tra la Corea del Nord e laCorea del Sud, fino alle sanguinarie esibizionidegli Jihadisti dell’ISIS tra Siria e Iraq. Un panorama drammatico e preoccupante, sulquale Papa Francesco ha dovuto esprimersi inmodo netto e preciso lo scorso 17 agosto, diritorno dal suo viaggio in Corea del Sud: “LaTerza Guerra Mondiale è già iniziata, solo chesi combatte a pezzetti, a capitoli, con un livellodi crudeltà spaventosa.” Parole forti, ma portatrici di verità in un mo-mento tra i più bui della storia dell’umanità,che sembra miope di fronte al pericolo di untragico allargamento dei luoghi di conflitto.Quello che è certo è che lo stesso Papa, solopochi giorni fa (13settembre, ndr) è stato dichiarato in pericolo,oggetto di un possibile attentato dei fonda-mentalisti islamici, tanto da imporre un rigo-roso giro di vite delle misure di sicurezzanell’accesso allo Stato di Città del Vaticano.Un’ironia che sa di beffa del destino per ilprimo Papa della storia a scegliere il nome diFrancesco, il santo universalmente riconosciutocome uomo di pace per antonomasia. E pen-sare che meno di una fa ad Assisi...Il tempo fa strani scherzi, a volte.

↙ L’Assisi di un anno fa in occasione della visita di Papa Francesco.

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San Leonardo; divenne una importantissimatappa del cammino tra le Marche e l'Umbria perraggiungere Roma. Ma la cosa ancora più sor-prendente è che proprio in quel luogo è nato l’Or-dine dei Cappuccini, per opera di due francescaniche erano fuggiti dal loro convento perché vole-vano ritornare ad una vita più evangelica (al-l'epoca si rischiava la condanna per eresia e quindila morte, per un atto del genere...). Tutto questodocumentato con una seria ricerca storica, antro-pologica ed archeologica.Passò di feudatario in feudatario fino a divenirenel millecinquecento proprietà dei Camaldolesi,poi definitivamente abbandonato. La storia di padre Pietro, al secolo Armando Lavini,nasce negli anni dell'infanzia quando, a PotenzaPicena, dalla casa materna poteva abbracciare conlo sguardo i Sibillini. E quei monti gli rimaserosempre impressi ma era Dio che, a sua insaputa,gli ispirava nel cuore quella venerazione per la na-tura; un lungo lavorio interiore per i progetti chein seguito, Dio stesso, avrebbe avuto per lui. Pas-

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Il luogo di questa vicenda, che pare uscita dai Fio-retti del santo di Assisi, si può raggiungere solo apiedi, risalendo la Gola dell’Infernaccio, una vallestretta ed impervia, racchiusa fra due pareti roc-ciose a strapiombo da cui filtrano lame di luce, nelterritorio di Montefortino, a sud delle Marche, nelcuore dei Monti Sibillini.Lungo il sentiero che porta al piccolo Monasterobenedettino di San Leonardo, si incontranoamanti della natura, semplici curiosi, escursionisti,persone che cercano nel verde degli alberi, nel-l’acqua fresca e limpida del fiume, nelle rocceumide rese lucenti dal sole, la pace e la tranquil-lità.Attraverso il grande faggeto e lassù, in cima, miritrovo in un mondo senza tempo, quasi irreale. Emi rendo conto che non ho camminato verso unluogo qualsiasi, ma verso un miracolo di volontàe amore che un umile frate ha disegnato nel suocuore, prima ancora che sulla carta. Un sogno chepadre Pietro Lavini racconta nel suo libro Lassù suimonti... e che ha inseguito con ostinazione, so-stenuto dalla sua fede e da un carattere caparbioe tenace. Il luogo è sereno e contemplativo, stra-ordinario l’effetto scenografico: il piccolo mona-stero è come incastonato tra i monti, sembraquasi che gli si siano formati attorno spontanea-mente come per abbracciarlo e proteggerlo. Su questo piccolo pianoro nell’ottavo secolo i fratibenedettini fondarono un monastero dedicato a

Padre Pietro:

il muratore di DioAL SANTUARIO

DELL’INFERNACCIO

SPECIALE SIBILLINI

Vedi lavideointervista

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sano gli anni e diventa cappuccino e viene man-dato al santuario dell'Ambro dove presta il suoumile servizio per lungo tempo. In quegli anniesercita molto la carità, nei confronti di famigliepovere del luogo, aiutando nelle opere murarie.In pratica, poco per volta, diventa un esperto mu-ratore. Senza sapere che quella passione avrebbeavuto un senso molto più alto qualche annodopo... Era il 1965 quando padre Pietro, giovane sacer-dote, scendendo dalla cima del Monte Priora,scorse i resti del piccolo monastero. “Arroccato su uno sperone,sembrava un altare al centro diuna maestosa cattedrale. Provaisubito una misteriosa attrazione,ma dovettero passare alcunianni prima che potessi raggiun-gerlo. Quando finalmente, il 2febbraio del 1965, m’inerpicaisull’altopiano, rimasi sconvolto:l’altare era andato distruttosotto il crollo del soffitto e dellepareti, il pavimento era nascostoda un metro di letame; a testi-moniare l’esistenza del mona-stero a fianco della chiesa erarimasto solo un arco di stile ro-manico e un tratto di mura. Diciò che era stato un gioiello in mezzo ai monti Si-billini, non rimanevano che pochi ruderi ricopertidi rovi e di piante”.

Qualcosa scatta nella testa e nel cuore di padrePietro, devoto a San Francesco al punto da sen-tire dentro di sé la stessa voce che un giorno or-dinò al poverello di Assisi di restaurare la chiesettadi San Damiano. “Dentro di me si accese unsogno, ricostruire l’antico edificio nella sua bel-lezza originaria. Un miraggio irrealizzabile per illuogo inaccessibile e l’impresa umanamente im-possibile. Eppure sentivo che Dio lo voleva. Io do-vevo metterci le braccia e il cuore, Lui avrebbefatto il resto”.Inizialmente dovette convincere i suoi stessi su-periori, che gli permisero di realizzare il suo sogno

alla sola condizione che riuscisse ad ottenere laproprietà del terreno, che apparteneva a Leo-nardo Albertini, figlio di Luigi, noto per esserestato lo storico direttore del Corriere della Seraper venticinque anni e nonno dell’ex sindaco diMilano, Gabriele Albertini.Fu Tania Tolstoj, nipote del celebre scrittore russoe moglie di Leonardo, che intercedette presso ilmarito perché gli concedesse il terreno. Cosa cheavvenne. Non solo. Ma Leonardo Albertini, anome anche di sua sorella Elena, gli inviò cin-quantamila lire per iniziare i lavori.

Vi trascorse i giorni e le notti e da quel luogo di-menticato dagli uomini ma non da Dio, che lochiamò a riparare la sua casa cadente, imparò apoco a poco a guardare la vita in modo nuovo.Nuovo persino per un religioso. Nella naturaspettacolare, dolce e rigogliosa, immerso nel si-lenzio totale, a Padre Pietro parve subito di avertrovato un luogo lontano dalla vanità del mondo,un luogo dove avrebbe compiuto la sua straordi-naria esperienza di raccoglimento, spiritualità epurezza.

In questo angolo di mondo, da 44 anni vive unuomo che ha compiuto la sua scelta di vita e dasolo, pietra dopo pietra, sacrificio dopo sacrificio,messa dopo messa, ha eretto la Chiesa.

↗ Padre Pietro mentre benedice alcuni cavalli.

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Una vita solitaria, ma non la vita di unapersona sola. La presenza di boschi, sen-tieri, fiumi, nevai, dirupi, ruscelli, laghidi rara bellezza, e la visione quotidiana,dalle prime luci dell’alba fino al tra-monto, non gli fa rimpiangere il mondodi “quelli laggiù” come Padre Pietro de-finisce amorevolmente tutti noi.Un flusso costante di persone arriva alMonastero per conoscere “l’eremita”,per trovare da lui conforto e speranza,perché se un povero cappuccino è riu-scito a fare quello che lui ha fatto signi-fica che ogni problema, se affrontatocon coraggio, umiltà e tanta fede, puòessere veramente risolto. E proprio lui, non appena busso allaporta della piccola cucina addossata allaChiesa, mi dice di entrare. Mi appare unomino dai capelli e barba candidi, e su-bito mi colpisce il suo sorriso da cui tra-pela lo spirito e l’energia di un giovane.In questo spazio essenziale e spartano,seduto al tavolo, mi accoglie con unacalda stretta di mano. Insieme a lui, tregiovani seminaristi venuti a fargli visita;sta raccontando della sua scelta, dellefatiche, degli ostacoli, delle gioie e deiveri valori della vita. Attraverso questolunghissimo e faticosissimo lavoro, haavuto modo anche di riflettere della suascelta. Egli è interprete dello stile fran-cescano e benedettino, le figure di santidel fare, santi della povertà. Lui ha lavo-rato e pregato per tutti questi anni. “Per San Francesco il lavoro doveva es-sere anche una testimonianza per glialtri. Ho deciso di fare di un antico ru-dere abbandonato un monumento aDio e alla sua grandezza per vocazionee non per sfida personale. Prima di arri-vare qui chiesi al Convento dove stavosolo un pezzo di pane, non denaro. E misentii rispondere: «Con la tua iniziativail convento non ci deve rimettere». Partiisenza nulla. Vi lavoro dal lontano 24maggio 1970, ininterrottamente, tranne

un breve periodo in cui sono stato missionario in Africa.L’immagine di questo luogo mi ha seguito sempre: quic’era una stalla, Cristo ha cominciato con una stalla edio cominciato allo stesso modo. Mi hanno sostenuto lapovertà e la fede. La povertà ci dà la forza di lottare nellavita ed questo che è mancato col benessere. Quando ibambini e i ragazzi vengono qui a trovarmi con tutti que-gli oggettini (si riferisce a telefonini e videogames) io dicoloro che dietro ci sta il burrone, buttateli giù. Fate lavorarela testa e aprite gli occhi per apprezzare la bellezza delCreato”. Arriva una signora di Roma che ogni tanto sale per pochigiorni ad aiutarlo, avvertendolo dell’arrivo di alcune per-sone a cavallo che vorrebbero incontrare “l’eremita” peruna benedizione. Lui esce, scende piano le scale e va loroincontro col sorriso. Recita una breve preghiera e si avvi-cina agli animali, carezzandoli amorevolmente. È stato un momento toccante: mi sono resa conto di averavuto la fortuna di incontrare una persona con dentroqualcosa di speciale, di unico. E se andrete a trovarlo, po-trete comprendere la santità di questo piccolo, grandeuomo. Un uomo felice.

↑ Padre Pietro Lavini, l’eremita dell’Infernaccio.

↓ L’eremo costruito da Padre Pietro.

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Roccabrunadi Sarnano

di Diego Mecenero PERLA SCONOSCIUTADELLA TERRA DEI FIORETTI

↘ Il piccolo campanile

della chiesa di Roccabruna.

Lasciatecelo dire: siamo stupefatti. Siamo venutia conoscenza di questo posto importantissimoper la storia del francescanesimo (e non inte-diamo solo francescanesimo locale, ma mondiale)e ci siamo vergognati per il fatto che non lo co-noscevamo. Ignoranza nostra.Ma l’ignoranza è anche vostra, di tutti, di “prati-camente” tutti e, alla fin fine bisogna pur dire acuore aperto che in realtà non possiamo farcenerealmente una colpa, perché questo sito france-scano dalla portata massima mondiale giace nel“silenzio” più totale.Non appartiene più ai frati francescani da diversianni e, dopo aver a fatica rintracciato i contattidegli attuali proprietari (laici, cioè non religiosi odel clero diocesano), ci siamo trovati dinanzi auna sorta di silenzioso muro di gomma in occa-sione delle nostre ripetute richieste di visita, do-cumentazione, intervista.Ma ora, prima di proseguire, dato che non sapetedi cosa stiamo parlando, è d’obbligo per noi spie-garvelo. Roccabruna, località nei pressi di Sar-nano (MC), è la sede di un antichissimo conventofrancescano legato ad almeno un paio di storiedei Fioretti di San Francesco che hanno fatto econtinuano a fare il giro del mondo:

• Fioretto XVII: San Francesco e il “fraticino”.• Fioretto XLI: Frate Simone e le “ciaule”.

Ah, dimenticavamo: qui c’è vissuto San Francescod’Assisi e un “x” numero di suoi primi compagni.

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Abbiamo però trovato a Sarnano alcune persone,certamente di spicco, che dinanzi al nostro inte-ressamento ci hanno accolto con caloroso entu-siasmo. Ci riferiamo all’architetto GiuseppeGentili, appassionato cultore di storia e tradizionilocali (www.architettogentili.it), al parroco donMarcello Squarcia e Angiolino Ghiandoni, delCentro Studi Sarnanesi. Li ringraziamo per la squi-sita ospitalità che ci hanno riservato.Sta di fatto che San Francesco fu di passaggio aSarnano durante uno dei suoi viaggi nella“Marca”, probabilmente nel 1215, e fu ospiteproprio del convento francescano di Roccabruna,che sorgeva su una collina boscosa ed era di pro-prietà dei signori di Brunforte, il cui castello si tro-vava di fronte, sull'opposto colle di Morro oMorrone.Questo convento, sito in una località oggi deno-minata “Valcajano”, è stato successivamente piùvolte ristrutturato ed oggi è catalogato nei data-base dei beni artistici regionali come “abita-zione”.Ma qui sono accaduti celeberrimi fatti scritti neiFioretti e ve li vogliamo narrare. Iniziamo dal piùimportante: la storia di un “fraticino” che, vo-lendo vedere dove andava a pregare San France-sco nel cuore della notte, legò il suo cingolo aquello del Santo, mettendosi a dormire accanto.

Guarda la rievocazionenarrativa del Fioretto“del fraticino” (XVII)

FIORETTO XVII

Come uno fanciullo fraticino, orando santo Francesco dinotte, vide Cristo e la Vergine Maria e molti altri santiparlare con lui.

Uno fanciullo molto puro e innocente fu ricevuto nell'Ordine, vivendosanto Francesco; e stava in uno luogo piccolo, nel quale i frati pernecessità dormivano in campoletti. Venne santo Francesco una voltaal detto luogo; e la sera, detta Compieta, s'andò a dormire per po-tersi levare la notte ad orare, quando gli altri frati dormissono, comeegli era usato di fare. Il detto fanciullo si puose in cuore di spiare sol-lecitamente le vie di santo Francesco, per potere conoscere la suasantità e spezialmente di potere sapere quello che facea la nottequando si levava.E acciò che 'l sonno non lo ingannasse, sì si puose quello fanciullo adormire allato a santo Francesco e legò la corda sua con quella disanto Francesco, per sentirlo quando egli si levasse e di questo santoFrancesco non sentì niente. Ma la notte in sul primo sonno, quandotutti gli altri frati dormivano, si levò e trovò la corda sua così legatae sciolsela. Pianamente, perché il fanciullo non si sentisse, e andos-sene santo Francesco solo nella selva ch'era presso al luogo, ed entrain una celluzza che v'era e puosesi in orazione. E dopo alcuno spaziosi desta il fanciullo e trovando la corda isciolta e santo Francesco le-vato, levossi su egli e andò cercando di lui; e trovando aperto l'usciodonde s'andava nella selva, pensò che santo Francesco fusse ito là,ed entra nella selva. E giungendo presso al luogo dove santo Fran-cesco orava, cominciò a udire un grande favellare; e appressandosipiù, per vedere e per intendere quello ch'egli udiva, gli venne vedutauna luce mirabile la quale attorniava santo Francesco, e in essa videCristo e la Vergine Maria e santo Giovanni Battista e l'Evangelista egrandissima moltitudine d'Agnoli, li quali parlavano con santo Fran-cesco. Vedendo questo il fanciullo e udendo, cadde in terra tramor-tito. Poi, compiuto il misterio di quella santa apparizione e tornandosanto Francesco al luogo, trovò il detto fanciullo, col piè, giacere nellavia come morto, e per compassione si lo levò e arrecollosi in bracciae portollo come fa il buono pastore alle sue pecorelle. E poi sapendo

↗ Il parroco di Sarnano don Marcello e l’architetto Gentili

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da lui com'egli avea veduta la detta visione, sì gli comandò che nonlo dicesse mai a persona, cioè mentre che egli fosse vivo. Il fanciullopoi, crescendo in grazia di Dio e divozione di santo Francesco, fu unovalente uomo in nello Ordine, ed esso dopo la morte di santo Fran-cesco, rivelò alli frati la detta visione. A laude di Gesù Cristo e del po-verello Francesco. Amen.

Roccabruna compare poi in un altro Fioretto, nelquale si racconta di come un certo frate Simonescacciò delle cornacchie che disturbavano la suapreghiera.

FIORETTO XVII

(...) Standosi un dì il sopradetto frate Simone nella selva in orazionee sentendo grande consolazione nell'anima sua, una schiera di cor-nacchie con loro gridare gl'incominciarono a fare noia, di che egli co-mandò loro nel nome di Gesù Cristo ch'elle si dovessono partire enon tornarvi più. E partendosi allora li detti uccelli, da indi innanzinon vi furono mai più veduti né uditi, né ivi né in tutta la contradad'intorno. E questo miracolo fu manifesto a tutta la custodia diFermo, nella quale era il detto luogo. A laude di Gesù Cristo e delpoverello Francesco. Amen.

Lo stesso architetto Giuseppe Gentili,da noi intervistato, ci ha raccontatola sua esperienza personale circa isuoi ricordi d’infanzia dell’assenza inzona delle “ciaule” (cornacchie).

Non è certamente possibile esaurire in questepoche pagine quanto desideriamo esporre a ri-guardo di Roccabruna. Torneremo ad approfon-dire l’argomento.Ma ci fa piacere segnalare come nello stemma delComune di Sarnano sia presente, probabilmenteunico caso in Italia, la figura di un angelo sera-fino. Ora, San Francesco èchiamato nella tradizionefrancescana proprio “seraficopadre”, per il fatto che questiangeli a sei ali sono i più vicinia Dio e “vibrano” d’amoreper lui. Ciò è segno dellachiara consapevolezza, daparte del Comune, del passaggio del Santo inzona. Va infatti accennato, per ora, al fatto cheSan Francesco contribuì alla pacificazione tra iBrunforte e i primi sostenitori del Comune.A conferma dell'evento c’è una tela del 1645 diPietro Procaccini che ritrae San Francesco mentreeffigia lo stemma e un'incisione in rame del 1707.A presto, con ulteriori approfondimenti.

Intervista all’architettoGiuseppe Gentili.

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Intervista a

di Rosita Roncaglia

Una nuova importante pubblicazione si aggiunge agli studiriguardanti l’agiografia francescana, in relazione alla Leg-genda dei Tre Compagni, la più importante delle biografienon ufficiali di Francesco. La sua denominazione è dovuta alla sua attribuzione a Leone, Rufino e Angelo, atte-stata dalla Lettera di Greccio dell'11 agosto 1246, che nella tradizione manoscritta fa da premessa ai 18 capitoliche la compongono. La Leggenda è in realtà l’unica opera relativa al santo a non essere stata scritta da un frate,forse neppure da un ecclesiastico. Essa costituisce in ogni caso un testo di alta religiosità, il cui valore sta nellasua grande vicinanza alla sensibilità moderna, perché mostra il travaglio di Francesco, la sua fatica di conversione,le lotte con se stesso, le cadute: è questo il suo fascino. L’opera viene ora presentata nella collana “Letture cri-stiane del secondo millennio”, in un’edizione curata da Felice Accrocca, uno dei massimi esperti in Italia e nelmondo nel settore del francescanesimo medievale e dell’agiografia legata a Francesco. Nell’esclusiva intervistache segue emerge l’acutissima attenzione di Felice Accrocca alle fonti manoscritte, l’eccezionale conoscenzadella bibliografia, la perfetta consapevolezza dei dibattiti storiografici passati e presenti, la capacità di accoglieregli apporti degli altri studiosi e, allo stesso tempo, di proporre le proprie stimolanti ipotesi, fondamentali per ilprogresso della ricerca.

D.: Parliamo della sua ultima pubblicazione sulla Leggenda dei Tre Compagni (Paoline, Settembre 2014): qual èil valore e il messaggio all’uomo di oggi di questa importante fonte francescana?

R.: Bisogna anzitutto premettere che la Leggenda dei Tre Compagni si caratterizza per alcuni fattori che ne ren-dono affascinante la lettura all’alba del terzo millennio, come se il testo, invece che secoli fa, fosse stato scrittoieri l’altro, tanto è capace di catturare e coinvolgere, senza nulla togliere alla ricchezza del dato storico. Giacché,prima ancora del Santo di Assisi, essa sa restituirci, come nessun’altra, l’uomo Francesco, le sue incertezze, isuoi dubbi, i suoi coraggiosi cambiamenti di rotta. L’autore, mescolando fatti nuovi ad altri contenuti in opereprecedenti, seppe estrarre dal suo tesoro cose nuove e cose antiche, dando vita a un’opera indubbiamente de-

INTERVISTAESCLUSIVA

Felice Accrocca:

La Leggenda dei Tre Compagni

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Intervista esclusiva a uno dei MASSIMI ESPERTI MON-DIALI DI FRANCESCANESIMO. Sacerdote della diocesi diLatina-Terracina-Sezze-Priverno, don Felice Accrocca è vi-cario episcopale per la pastorale e parroco a Latina. Stu-dioso di storia medievale e autore di numerosi contributisu san Francesco, santa Chiara e il francescanesimo del primo secolo, è do-cente presso la Facoltà di Storia e Beni culturali della Chiesa nella PontificiaUniversità Gregoriana di Roma. Ha coordinato la sezione delle biografie nella

terza edizione delle Fonti Francescane (Padova 2011).

↘ Don Felice Accrocca.

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liziosa, capace – con la sua peculiare attenzione al-l’umanità di Francesco – di parlare all’uomo di ognitempo. L'opera riesce a dare, come poche altre nelsuo genere, un ritratto efficace dell’itinerario psico-logico e spirituale dell’Assisiate, dei suoi turbamentiinteriori e delle sue progressive conquiste, guada-gnate attraverso una dura lotta con se stesso eun’inesausta ricerca della volontà di Dio; in talmodo, essa rivela a noi il valore positivo della lotta,ed è elemento prezioso, perché oggi si vuol lottarepoco: alle prime difficoltà, quali che siano, si prefe-risce lasciar perdere e cambiare rotta, piuttosto chelottare e mantenersi nella via tracciata da Dio pernoi.

D.: La Leggenda dei Tre Compagni, dunque, dipingeun Francesco dal volto perlopiù “umano” e nonprettamente “canonico”: dopo tanti anni di studi edi ricerca francescana, e dall’alto della Sua autore-volezza in materia, qual è la sua (di don Felice) im-magine “umana” di San Francesco?

R.: La mia immagine di Francesco è quella di unuomo che doveva - come tutti - fare i conti con lapropria umanità e le proprie debolezze, lottandospesso contro gli istinti naturali più bassi. Esemplare,a questo proposito, quel che accadde nell’eremo diSarteano, dove una volta fu tentato nella carne; al-lora si spogliò e si flagellò aspramente con un pezzodi corda, gridando al suo corpo: «Orsù, frate asino,così tu devi sottostare, così subire il flagello». Mapoiché vedeva che non cavava un ragno dal buco ela tentazione non se ne andava, nonostante fosseormai pieno di lividi, «aprì la celletta e, uscito nel-l’orto, si immerse nudo nella neve alta. Prendendopoi la neve a piene mani la stringe e ne fa settemucchi a forma di manichini, si colloca poi dinanziad essi e comincia a parlare così al corpo: “Ecco,questa più grande è tua moglie; questi quattro, duesono i figli e due le tue figlie; gli altri due sono ilservo e la domestica, necessari al servizio. Fa’ presto,occorre vestirli tutti, perché muoiono dal freddo. Sepoi questa molteplice preoccupazione ti è di peso,servi con diligenza unicamente al Signore”. Al-l’istante il diavolo confuso si allontanò, ed il Santoritornò nella sua cella, glorificando Dio» (2Cel 116-117: FF 703). Fu uomo fino in fondo, dunque, e coni piedi a terra. A persone immature, infatti, deside-rose di vivere un’eterna fanciullezza libere dalle re-sponsabilità e dagli impegni, la tentazione apparesempre e solo sotto il suo lato più bello e seducente,

privo di rischi: una zona franca in cui tutto è per-messo, senza alcuna conseguenza. Solamentequando si smette di fantasticare e ci si decide a cre-scere superando ogni sindrome di Peter Pan, comeha fatto Francesco, ci si rende conto che c’è una fa-tica del vivere, dalla quale non ci può esimere: ognisituazione, anche quella in apparenza facile, ha lesue difficoltà e i suoi rischi, che non possiamo e nondobbiamo nasconderci. Questo ci aiuterà ad affron-tare le difficoltà e a vivere bene la condizione allaquale Dio ci ha chiamati.

D.: La nostra Rivista si occupa di francescanesimonell’Umbria e nelle Marche: quali elementi di conti-nuità e, se ve ne sono, di differenziazione tra i dueterritori?

R.: Gli elementi di continuità, ovviamente, ci sono esono tanti: la contiguità territoriale, d'altronde, fa-vorisce scambi reciproci frequenti e questo producespesso esperienze comuni. È vero pure che le Mar-che, se non erro, hanno più montagne, e queste sirivelano più difficilmente raggiungibili. Ebbene, que-sti territori sono stati spesso, nella storia, luogo dipersistenza di dissidenze religiose, proprio perchépiù defilati e quindi anche più difficilmente control-labili. In tal senso, le Marche si caratterizzano di piùper la persistenza di gruppi radicali spesso critici conil francescanesimo "ufficiale", seguito dalla maggio-ranza dell'Ordine: penso ad esempio agli Spirituali,che ebbero la loro chiara influenza sugli Actus beatiFrancisci et sociorum eius, che nella loro traduzionevolgare sono i famosissimi Fioretti. Non è un caso,credo, che la zona montana dell'Umbria a confinecon il camerinese (penso a Colfiorito) sia proprioquella che, più di altre, presenta situazioni analoghea quelle del territorio marchigiano.

D.: Ha in cantiere qualche altra prossima pubblica-zione?

R.: Vorrei pubblicare altre fonti, magari nella mede-sima collana (penso alla Compilazione di Assisi e alMemoriale di Tommaso da Celano); poi, a Dio pia-cendo, vorrei rivedere il testo dell'edizione critica delcosiddetto Anonimo Perugino, che in realtà èun'opera sui Primordi dell'Ordine: un’opera davveropreziosa, che concentra la sua attenzione non tantosu Francesco quanto, piuttosto, sul gruppo dei primifrati; il testo che ora abbiamo a disposizione ha bi-sogno di una robusta revisione. Spero di potercelafare.

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di Silvia Papa

Divenuta consuetudine da diversi anni, la CNAPicena collabora con il comune di Ascoli Picenoe con l’Ente Quintana, creando preziosi gioiellie ceramiche artistiche in occasione della rievo-cazione storica nella prima domenica di agosto.Quest’anno è entrata a far parte della CNAanche la ABACO Società Cooperativa, serviziper l’archeologia e i beni culturali (tra l’altro no-stro Editore), che ha partecipato alla realizza-zione di uno dei gioielli indossati durante ilcorteo della Quintana.Il gioiello è stato presentato durante una con-ferenza stampa, dove ha partecipato oltre alPresidente della CNA di Ascoli, Luigi Passarettianche il Sindaco Guido Castelli, quale segno divalorizzazione delle eccellenze dell'artigianatoartistico e di promozione nel nuovo centroespositivo e multimediale della CNA in via delTrivio. “Quest'anno il lavoro dei nostri orafi –spiega Barbara Tomassini, Presidente della CNAArtistico e Tradizionale – è supportato da ricer-che storiche e filologiche di un gruppo di ar-cheologi che ha studiato a fondo il periodo incui è ambientata la nostra rievocazione storica.Questa sinergia fra centri di studio e ricerca elavoro degli artigiani riteniamo sia la chiave perun successo di immagine e di prodotto, sia inItalia che all'estero".Il lavoro di ricerca storico-artistico condotto dal-l’equipe ABACO nella figura della dott.ssaPapa, è stato coordinato dal dott. Matteo Ta-dolti, che ha poi aggiunto quanto importante

sia per i progetti presenti e futuri con la CNA,l’accordo quadro di collaborazione con l’Uni-versità di Camerino nel corso di laurea Tecno-logie e Diagnostica per la Conservazione e ilRestauro, guidato dal Prof. Marco Giovagnoli.L’accordo è finalizzato infatti al reciproco scam-bio di progettualità, competenze e servizi, nel-l'ambito della conservazione, restauro e tuteladel patrimonio.

Tra le varie proposte della ABACO, l’orafo An-tonio Tomaselli, ha scelto di riprodurre la spillatratta dall’opera di Ambrogio Lorenzetti Ver-gine con il Bambino nella Pieve dei Santi Pietroe Paolo di Roccalbenga, datata 1340 circa. Am-brogio Lorenzetti fu uno dei maestri dellascuola senese del Trecento, fratello minore diPietro, fu attivo dal 1319 al 1348 e si distinsesoprattutto per la forte componente allegorica

e complessa simbologia delle sue opere maturee per la profonda umanità dei soggetti rappre-sentati e dei loro rapporti. Completano i lavori per i gioielli delle damedella Quintana 2014 i maestri orafi piceni Pie-tro Angelini, Giuseppe Coccia e i maestri orafiGiorgio Aguzzi di Pesaro e Silvano Zanchi diFermo. I gioielli saranno poi resi visibili in unamostra allestita dalla CNA Piceno con la colla-borazione ABACO.

Oriarcheologia

e

di Silvia Papa

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Damegioielli

e

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Nel tardo Medioevo la posizione giuridica dei citta-dini era determinata da una grande quantità dileggi, prerogative e privilegi, codificati nelle “con-suetudini cittadine”. Tra le leggi in vigore vi eranole cosiddette “suntuarie” che regolavano l’uso divesti e ornamenti preziosi. Tali leggi sono un pre-zioso documento per conoscere la moda e i co-stumi di un’età.Nel XIV secolo si assiste a una rivoluzione sia nellalinea che nel modo di considerare l’abbigliamentodal punto di vista sociale: il costume si arricchiscedi movimento e scioltezza, acquista consapevo-lezza della forma che ricopre e si ravviva nei parti-colari e nella qualità dei tessuti. Il vestiario sipresenta leggiadro ed elegante, ma anche compli-cato e dispendioso. Nasce in questo periodo la fi-gura del “sarto per abiti”, grazie al quale la modacomincia ad atteggiarsi nelle più svariate forme aseconda della collocazione territoriale: "Presto isarti saranno costretti a confezionare abiti al-l’aperto, poiché lo spazio delle loro case non ba-sterà più a contenerli".Dalla fine del Trecento a tutto il Quattrocento lestoffe più usate sono state il panno, la lana, il lino,la tela, il raso, il velluto e il taffatano, mentre i coloripiù utilizzati erano il rosso, il celeste, il rosa, il mar-rone e il grigio. Il nero e, talora, il verde erano coloriindossati in segno di lutto, ma il primo poteva es-sere usato anche per gli abiti di cerimonia, e il se-condo per i vestiti festosi inneggianti alla nuovastagione e alla fecondità.Tra gli abiti femminile, tipica era la “cotta”, abitocorto e stretto a immediato contatto con la cami-cia, che poteva essere anche in tessuto pregiato di

seta (damasco, velluto, broccato) con ricami, fi-gure, divise, minuterie metalliche, nastri nellespose novelle. La “camorra” era, invece, una vesteampia aperta sul davanti e senza maniche, nelladonna talora era divisa in “sottana” e “corpetto”o “sopraveste intera”, chiusa al collo o scollata. Sudi essa poteva essere indossato il vestito, il man-tello, la cotta.Le donne sposate solevano portare il capo coperto,ad esempio con bende o strisce di tela ornate dimonili sulla fronte e sulle tempie e un balzo intrec-ciato di nastri colorati, elevato sopra la testa all'in-dietro, per non alterare la linea del capo, mentrele meretrici dovevano portare un berretto con di-stintivo o piuma.Dal Quattrocento sui vestiti hanno cominciato afare la comparsa le “imprese” e le “armi” propriedel casato, quale espressione del ruolo, del rangosociale e della funzione pubblica di chi le portava,o di un'associazione, ad esempio religiosa.Ed è difatti il Quattrocento il secolo in cui il pro-gresso economico determina un aumento di ric-chezza e di benessere portando ad una rinascitaanche a livello intellettuale, artistico e culturale. Èil secolo in cui l’eleganza inizia a prendere formacon un più raffinato e ricercato modo di vestire, diparlare e di esprimersi, ma soprattutto con la sem-pre più diffusa necessità, nelle varie Corti Italiane,di arricchire e valorizzare la propria immagine. I

di Silvia Papa MODE E COSTUMI NELLA SOCIETÀE PITTURA DEL XIV E XV SECOLO

↗ Girolamo di Giovanni, Madonna della Misericordia.

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Nel Cinquecento, sollecitata anche dal rinato inte-resse per le arti applicate, fiorì un’interessante evaria trattatistica sull’arte orafa, sintomo di unamoda del gioiello che si andava diffondendo tra lecorti e le signorie. Il rapporto fra gioiello e arti fi-gurative, in quest’epoca, fu molto stretto e ravvi-cinato, pittori e scultori, infatti, erano soliti farepratica nelle botteghe degli orafi è una prova iltesto di Benvenuto Cellini del 1568: Due trattati.Uno dell'Oreficeria l'altro della Scultura.Attraverso l’uso degli ornamenti, di cui i quadrisono un’importante testimonianza figurativa, èpossibile dunque creare una sorta di storia del

gusto, degli usi e delle trasformazioni sociali. Comeil gusto segue la storia, così i preziosi gioielli diven-tano essi stessi repertorio di creazioni artistiche, svi-luppando un proprio stile attraverso l’ideazione daparte di veri e propri artisti del gioiello.Non dobbiamo dimenticare poi come nella culturaoccidentale una particolare considerazione sia versola decorazione del capo. Proprio sulla testa sonoposti i simboli distintivi del potere spirituale e tem-porale, quali la mitria vescovile e la corona regale.Secondo la gerarchia del pensiero medievale e ri-nascimentale era considerato maggiormente lecitodecorare ciò che la natura stessa ha posto più inalto e cioè il capo, il quale diviene, tramite accessorie gioielli, emblema del proprio rango, del gusto edella sensibilità alle mode. Questo specialmente perquanto riguarda le donne, le quali potevano esibirelo status della famiglia di appartenenza. Le damedel XV secolo, ben consce del loro ruolo sociale, fa-cevano della testa un vero e proprio campo di rap-presentazione: grazie a un sistema di ornamenti, icui materiali, colori e forme venivano codificati nellanormativa suntuaria.I pittori nelle loro opere trasportano tali consuetu-dini, basti osservare rappresentazioni come la PalaFerretti-Vergine con Bambino in trono, con i SS.Leonardo, Girolamo, Giovanni Battista e Francesco(1472) di Nicola di Maestro Antonio d'Ancona; laMadonna con il Bambino (1456-60) di ChiulinovichGiorgio detto lo Schiavone; la Madonna dell’Umiltàdel Beato Angelico; l’Adorazione dei Magi degli In-nocenti di Domenico Ghirlandaio; la Vergine con ilBambino (1340) nella Pieve dei Santi Pietro e Paolodi Roccalbenga di Lorenzetti Ambrogio; la Ma-donna della Misericordia, San Venanzio e San Se-

gioielli iniziano a diventare protagonisti della vitaquotidiana delle signore e dei nobili signori. Le no-bildonne amano arricchire le loro vesti e le loro ac-conciature, con imponenti spille, collane e anelli.In gran voga, in questo secolo, sono soprattutto lecollane che spesso sono formate da fili di gemme,di corallo o di perle, a volte intramezzati da pia-strine di metallo lavorato, rese ancora più impo-nenti da bellissimi pendenti centrali. Le spille e gliornamenti vari rendono molto particolari e carat-teristiche le acconciature e l’abbigliamento. Gli spil-loni posti sulle cinture e sui mantelli, vanno asottolineare l’eleganza e la ricchezza che era pro-pria, non solo delle donne, ma anche degli uominiappartenenti alla classe dei nobili.Nella storia dell’arte una notevole quantità di operesi presentano, ai nostri occhi, come una sfavillantevetrina di gemme e di pietre preziose. Perle, dia-manti, topazi, lapislazzuli, cammei, alabastri e altremeraviglie compaiono in molte raffigurazioni arti-stiche.

↗ Domenico Ghirlandaio, Adorazione dei Magi degli Innocenti.

↗ Lorenzetti, Madonna con Bambino.

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bastiano di Girolamo di Giovanni. Paolo Uccello,ad esempio, era ossessionato nei suoi lavori dal co-pricapo, cercine o mazzocchio, una sorta di rotoloimbottito che nascondeva i capelli e le orecchie,trapunto d’oro e di gioielli.Dei gioielli da capo, molte informazioni ci sono for-nite dagli inventari di beni mobili, i quali erano re-datti in svariate occasioni, per stilare l’eredità, percatalogare i beni contenuti nella dote, per regi-strare gli oggetti ricevuti o dati in pegno a garanziadi un prestito. Anche alcune memorie ci possonoessere d’aiuto poiché c’era l’usanza di annotare igioielli e i beni preziosi regalatidai fidanzati alle future spose. NelQuattrocento infatti il matrimo-nio era un momento centraledella vita familiare, al quale eranodedicate moltissime attenzioni;era proprio in occasione dellenozze che le donne ricevevano lamaggior parte dei propri gioielli,sia sotto forma di doni, sia con-tenuti nella dote. Non stupiscedunque che la maggioranza deipreziosi visibili nella ritrattistica, equelli di cui si fa menzione nellefonti scritte, richiamino significatiricollegabili alle nozze. Sono infatti ricorrenti, sianei ritratti redatti in occasione dei matrimoni, sianelle raffigurazioni di Maria, perle, oro e pietre dicolore rosso. A questi materiali erano riconosciuteproprietà apotropaiche e propiziatorie.Le perle, riscontrabili nella quasi totalità degli sta-tuti suntuari e degli inventari, erano tanto amateperché emblema di castità e purezza e con questosignificato le perle divennero l’ornamento nuzialequattrocentesco per eccellenza, spesso portate indono dai fidanzati alle promesse spose. Non dirado assieme alle perle si riscontrano nei gioiellianche pietre rosse, sia lasciate a cabochon, sia ta-gliate semplicemente in tolla. Queste potrebberoessere rubini, visto il significato attribuito a questapietra che «fa accrescimento a ogni prosperità, ac-cheta la lussuria, induce sanità al corpo» comescrive Dolce, rifacendosi a autori medievali e quat-trocenteschi.Gioielli con oro, pietre rosse e perle erano dunquemolto presenti tra i beni delle famiglie del XV se-

colo. Ritenuti in grado di conservare puro chi li in-dossava, erano portati dalle donne come amuletiper garantire una serena vita coniugale.Il significato simbolico di queste gioie ben si pre-stava a sottolineare nei quadri le virtù della Ver-gine, come conferma il confronto con le fontiscritte, non solo i materiali preziosi erano copiatinella pittura sacra, ma anche i gioielli interi, por-tatori essi stessi di significato.Ben visibile, ad esempio è la grande e rigida mon-tatura in oro del frenello indossato dalla Verginenella celebre Annunciazione con Sant’Emidio diCarlo Crivelli. L’accessorio è usato per trattenere i

capelli all’indietro, e ciò po-trebbe giustificare dal punto divista funzionale la struttura me-tallica, certamente influenzatadal gusto di Crivelli per le gioiedi dimensioni importanti. Infattial centro del gioiello è posto ungrande fermaglio, analogo aquelli analizzati in precedenza:con la montatura rotonda in oro,un rubino cabochon al centro equattro perle intorno ad esso.L’Annunciazione con Sant’Emi-dio è un’opera che desta subito

ammirazione per la densità decorativa e la finezzacompositiva: orpelli anticheggianti, decorazioni ve-getali, minuzie architettoniche, varietà di materiali;uno scrigno incrostato di pietre preziose che rac-chiude l’episodio evangelico. La scena è collocatain una strada cittadina, non in una stanza o in ungiardino come vuole la tradizione, una strada af-follata dove il miracolo che si sta compiendo pareessere un accidente rispetto alla complessità dellanarrazione.La Vergine, inginocchiata dietro alla soglia di unacasa, riceve compita il raggio di luce dello SpiritoSanto, mentre Sant’Emidio, vescovo di Ascoli, el’arcangelo Gabriele partecipano all’epifania dauna via laterale: uno spaccato di quotidianità cheannuncia la nascita del Signore.L’opera, firmata e datata, fu dipinta nel 1486 daCarlo Crivelli per la chiesa della Santissima Annun-ziata di Ascoli Piceno. Essa celebrava un eventomolto importante per la città, ossia la concessionedi speciali autonomie da parte di papa Sisto IV

↘ Nicola di Maestro Antonio, Pala Ferretti.

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filo d’orounendo

di Euro Puletti *

da nord a suddue santuari

e due persone

Un attraversa l’Umbria

A chi avrà la curiosità, e la pazienza, di leggerequesto piccolo articolo, verrà subito spontaneodomandarsi: “Cos’è mai questo filo d’oro che at-traversa l’Umbria dal Sud al Nord?”, “Di cosa, inrealtà, si tratta?”Sono momenti difficili, questi che la nostra so-cietà attraversa, a causa della crisi economica chemette in ginocchio la, da noi tanto amata, terraumbra ma, non è la sola crisi economica a fareciò, vi sono altre crisi, infatti, che vanno ben al dilà del dato economico grezzo, come la mancanzadi valori veri, autentici, e chi, in primis e soprat-tutto, paga le conseguenze di tale “disgrega-zione” è quella prima e primaria realtà socialeche si chiama “Famiglia”: coppie che si separanopoco tempo dopo il matrimonio, convivenza pernon intrattenere legami giuridici né religiosi nécivili, tutto per avere, sempre e comunque, lapossibilità di tornare “libero/a” quando si vuole,anche se vi sono figli.L’Umbria è considerata, per antonomasia, “Terradi Santi”, primo fra tutti San Francesco d’Assisi,ma v’è anche un altro grande santo conosciutoin tutto il mondo, cattolico e no, chiamato “ilSanto dell’amore”, ed è San Valentino” di Terni,il protettore dei fidanzati, di coloro, cioè, che, neigiorni dei festeggiamenti in suo onore, si scam-biano la promessa di matrimonio, per formareuna loro, vera, autentica famiglia.

Il 4 agosto 2013, con decreto del vescovo delladiocesi di Gubbio, monsignor Mario Ceccobelli,una piccola chiesa, spersa sui monti intorno aGubbio, nel comune di Costacciaro, è stata ele-vata a Santuario mariano della diocesi di Gubbiocon il titolo di “Santa Maria delle Grazie partico-larmente per la Famiglia”.Con questa erezione a santuario diocesano perla famiglia, il vescovo di Gubbio ha “tracciato ilfilo d’oro spirituale che attraversa l’Umbria dalSud al Nord, filo d’oro che parte, a Sud, dalla Ba-silica Santuario di San Valentino a Terni e si ricol-lega con il Santuario della Madonna delle Grazieper la famiglia al Nord, nella diocesi di Gubbio,precisamente in corrispondenza della piccola fra-zione montana chiamata Costa San Savino, nelcomune di Costacciaro.Questo “filo d’oro” è accompagnato da una cir-costanza concomitante molto “strana”, un filorosso costituito da due sacerdoti, i quali, anchese distanti fra di loro ben 108 anni, hanno fattosì che fosse possibile unire, spiritualmente, i duesantuari: Padre Arcangelo Bindi e Don NandoDormi. Padre Arcangelo Bindi nasce a Costacciaro, dio-cesi di Gubbio, il 14 marzo 1871, entra a farparte dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi e, il 1°marzo 1906, riapre, dopo la soppressione daparte dello stato italiano di tutti gli Ordini reli-

* antropologo e speleologo

misteriosamente

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giosi, il convento di Terni dei Padri Carmelitani el’annessa Basilica Santuario di San Valentino, re-staurandola e promuovendo la devozione versoil Santo protettore dell’amore e dei fidanzati.Don Nando Dormi, nato, a Terni, il 21 maggio1950, facente parte del clero secolare della dio-cesi di Gubbio, in qualità di parroco nel comunedi Costacciaro, ottiene, dal citato vescovo eugu-bino, l’erezione a Santuario dellapiccola, ma secolare, chiesadella Madonna delle Grazieper la Famiglia.Un sacerdote, originario diCostacciaro, riapre, dun-que, la Basilica Santuario diSan Valentino a Terni, men-tre un sacerdote, origina-rio di Terni, ottienel’elevazione a Santua-rio Diocesano per laFamiglia d’una chiesamariana a Costacciaro.Cosa ben strana, que-sta, che rientra, cer-tamente, in unprogetto che va oltrel’umano, per cui vienespontaneo chiederealle autorità religiosecompetenti, di Terni e Gub-bio: “Perché non fare un gemellag-gio ufficiale fra i due Santuari dedicatiall’amore per la Famiglia?”Da cristiano, laico neltermine della Chiesa, credo che questo “Filod’Oro e rosso” possa dare frutti inaspettati perla Chiesa e la società della nostra Umbria.

Identikit di Padre Arcangelo Bindi

Padre Arcangelo Bindi, al secolo Vittorio, nascea Costacciaro, nel 1871, da Filomena Marzolinie da Lino Bindi di Fossato di Vico. Nell’archivio

parrocchiale di Costacciaro si conserva ancora ilcertificato del suo battesimo, impartitogli il 14marzo 1871, e quello della sua cresima, ricevuta,il 23 settembre 1877, all’età di poco più di seianni, dal Vescovo di Gubbio Monsignor Inno-cenzo Sannibale, durante la visita canonica dellostesso presule eugubino di allora. Vittorio era ilterzo di tre fratelli (di cui il secondo, Enrico, fu,anch’egli, sacerdote, a “Giomisci”, oggi Giomicidi Valfabbrica), nati tutti, come s’è visto, da un

padre non costacciarolo, ma da unamadre, sicuramente, originaria del no-stro Comune, e della quale esistono,tuttora, dei discendenti. Non si sa nédove né come Bindi abbia avuto con-tatti con i Carmelitani descalzati, ma

è assolutamente accertato il fattoche, egli stesso, a partire dal 1°

marzo 1906, fosseinviato, a Terni, perricostruire il con-vento dei Carmeli-tani, annesso allaBasilica di San Va-lentino e ne dive-nisse, altresì, ilcustode, convento

che era appena uscitoda cinquant’anni di

devastazioni, dovute allasoppressione del 1861. Nel 1911,

Frate Arcangelo partì, con un gruppodi confratelli, di cui era sempre supe-

riore, per impian-tare l’Ordine dei Carmelitani descalzati nelsud-est del Brasile. Secondo alcune carte, conservantisi nell’archiviodella Provincia São José dei Carmelitani Scalzi aSan Paolo del Brasile, Padre Bindi morì, probabil-mente, d’infarto fulminante, il 31 ottobre del1927, all’età di cinquantasei anni, fra le mura delconvento di Santa Teresinha, nel quartiere Higie-nópolis della stessa città di San Paolo del Brasile,nella cui Cattedrale egli fu, successivamente, se-polto.

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TERNISan Valentino

P. Arcangelo Bindi(di Costacciaro)

GLI INNAMORATI

COSTACCIAROMadonna delle Grazie

Don Nando Dormi(di Terni)

LA FAMIGLIA

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Intervistemaestri orafi

di Silvia Papa

ai

Giuseppe CocciaLa nostra rivista è stata ospite domenica 3 agostopresso il nuovo centro della CNA Picena dove, oltread assistere alla Quintana, ha potuto intervistarediversi Maestri Orafi della città di Ascoli.All’interno del centro in via del Trivio, l’orafo Giu-seppe Coccia ci ha reso partecipi, in un’intervistavisibile nel nostro canale Youtube, di come sia natala collaborazione tra l’artigianato ascolano e laQuintana, quale volano di visibilità e di promozioneper i prodotti artistici.Dal dipinto del pittore Domenico Ghirlandaio, ri-tratto di Giovanna Tornabuoni, il Maestro orafo hatratto il gioiello indossato da una delle dame nellasfilata. Il gioiello è stato riprodotto seguendo le tec-niche del Quattrocento dello sbalzo e del traforo.Per la creazione della collana sono state impiegate95 ore di lavorazione artigianale e sono stati utiliz-zati 60 grammi di oro 750, perle naturali, uno sme-raldo sintetico taglio cabochon e un diamantetaglio coroné.Un connubio perfetto quello tra arte e artigianatoche si sposa per dare origine a soluzioni brillanti,sia nella forma che nei contenuti. Motivi storici erinascimentali del nostro passato rivivono in crea-zioni uniche e originali, frutto della grande sa-pienza e perizia dei maestri artigiani

contemporanei.

Pietro AngeliniIl Sentiero Francescano il giorno 3 agosto era adAscoli per assistere alla Quintana 2014. Con pia-cere ho potuto intervistare alcuni tra i Maestri orafiche hanno partecipato alla realizzazione dei gioielliindossati dalle dame dei sei sestieri durante la rie-vocazione storica.Il Maestro orafo Pietro Angelini mi ha permesso divisitare la sua bottega artigiana e mi ha raccontato,ripreso in un video, come sia nato il suo amore perl’arte e perché abbia iniziato questa attività. Una passione nata - mi confessa - dall’antiquariato,proseguita poi con corsi di specializzazione, chehanno spaziato dalla tecnica alla storia dell’orefice-ria, sino alle creazioni contemporanee, grazie allequali ha potuto esporre in diversi parti del mondo,dalla Cina agli Stati Uniti. Riguardo alla Quintana, grazie alla CNA Picena, haintrapreso da diversi anni la sua collaborazione cre-ando i preziosi indossati dalle dame. Un lavoro ar-tigiano e artistico, che mette in risalto tutta lamaestria di un antico mestiere, ricco di fascino e diabilità, in un piacere per gli occhi e per l’animo.

Da questa pagina è possibile accedere alle due in-terviste video integrali presenti nel nostro canale

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Cecco Ascoliponte del diavolo

di Silvia Papa

d’

e il

I cittadini di Ascoli Piceno mi hanno raccontatouna leggenda, che condivido con voi in questerighe. Francesco Stabili, meglio conosciuto come CeccoD’Ascoli, fu uno studioso di scienze occulte, con-dannato al rogo nel 1327 a Firenze, poiché pro-fessava e pratica arti contrarie ai dettami dellaChiesa. Nel poema allegorico Acerba etas Cecco, trat-tando vari argomenti, attribuisce particolari virtùal cielo, all'anima, alle pietre, agli animali, a diversitipi di fenomeni psicologici e naturali e alla for-tuna. La tragica sorte e i suoi atteggiamenti “magici” ebizzarri, fecero di Cecco oggetto di molte leg-gende, si narra che grazie ad un libro, Libro delComando, fosse stato capace di far scomparire unfiume, di aver costruito la via Salaria e il ponte sulfiume Castellano in una sola notte, presso le muradi Ascoli. In realtà il ponte di Mastro Cecco o del Diavolo,risale all’epoca romana e aveva una struttura co-stituita da due arcate. Distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale,venne poi ricostruito fedelmente in travertino e

pietra, al centro si trova una costruzione a forma dicasupola, detta "casetta del dazio". La grande personalità, il fisico imponente, la caricamagnetica uniti alla fama di filosofo, astronomo,mago, indovino, alchimista e negromante fanno diCecco d’Ascoli un personaggio ricco di fascino eneppure i suoi contemporanei ne rimasero indiffe-renti, Petrarca lo ricordò in un suo sonetto: ”Tu seiil Grande Ascolan che il mondo allumi / per graziade l’altissimo tuo ingegno; / Tu solo in terra di vedersei degno / esperienza degli eterni lumi...”.Se vi capita di passare per Ascoli una capatina sulponte di Cecco non dimenticate di farla, è infattipossibile percorrerlo a piedi e fruire della congiun-tura tra il centro della città e il quartiere di PortaMaggiore.

↘ Il Ponte di cecco o del Diavolo ad Ascoli.

↗ Francesco Stabili

di Simeone, meglio

noto come Cecco d'Ascoli.

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Francesco Assisicavaliere

di Diego Mecenero

il

d’ ,

Una cosa è sicura: Francesco d’Assisi sapevaosare. Era parte profonda della sua indole, primae dopo la conversione. In questo, non ha “rinun-ciato” a nulla.E, come tanti suoi coetanei assisiati, cosa avrebbepotuto sognare da ragazzo se non di divenire ca-valiere?Ce lo racconta in maniera esplicita la prima bio-grafia del Celano, che lo dipinge come sognatoredi grandi imprese “per la gloria vana delmondo”:

Un cavaliere di Assisi stava allora organizzandograndi preparativi militari: pieno di ambizioni, peraccaparrarsi maggior ricchezza e onore, avevadeciso di condurre le sue truppe fin nelle Puglie.Saputo questo, Francesco, leggero d'animo emolto audace, trattò subito per arruolarsi con lui:

gli era inferiore per nobiltà di natali, ma supe-riore per grandezza d'animo; meno ricco, ma piùgeneroso. (Fonti Francescane, 325)

Il giovane Francesco fa però una notte un sognoche lo turba profondamente proprio il giornoprima di partire. Tale episodio, spesso poco notoai più, costituisce invece un momento impor-tante della sua fase di “conversione”. Non va di-menticato che tale fatto è stato ad esempioaffrescato da Giotto nella Basilica Superiore diSan Francesco ad Assisi.

La sua mente era tutta consacrata al compi-mento di simile progetto, e aspettava ansiosol'ora di partire. Ma la notte precedente, Coluiche l'aveva colpito con la verga della giustizia lovisitò in sogno con la dolcezza della grazia; e poi-

Se potessimo incontrare Fran-cesco di Assisi dal vivo quan-d’era bambino o adolescente,e gli chiedessimo: «Cosa vuoifare da grande?», egli ci ri-sponderebbe molto probabil-mente: «Il cavaliere».

↘ Giotto, Il sogno delle armi e del palazzo.

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ché era avido di gloria, lo conquise con lo stessomiraggio di una gloria più alta. Gli sembrò di vedere la casa tappezzata di armi:selle, scudi, lance e altri ordigni bellici, e se nerallegrava grandemente, domandandosi stupitoche cosa fosse. Il suo sguardo infatti non era abi-tuato alla visione di quegli strumenti in casa, mapiuttosto a cataste di panno da vendere.E mentre era non poco sorpreso davanti all'avve-nimento inaspettato, si sente dire: «Tutte questearmi sono per te e i tuoi soldati». (Fonti France-scane, 326)

Perfetto. Un palazzo pieno zeppo di armi, arma-ture a quant’altro possa desiderare chi sta so-gnando di divenire cavaliere. Il biografo Celano,però, già anticipa quanto intende comunicare aun livello più profondo (non importa molto a noise lo faccia a “priori” o a “posteriori”, cioè setale sogno sia realmente accaduto o sia una stra-tegia biografica): anche Dio vuole che Francescodiventi cavaliere, ma un ben altro tipo di cava-liere, e i suoi soldati (i frati) saranno un ben altrotipo di soldati.

La mattina dopo, destandosi, si alzò con il cuoreinondato di gioia e, interpretando la visionecome ottimo auspicio, non dubitava un istantedel successo della sua spedizione nelle Puglie.Tuttavia non sapeva quello che diceva, ignorandoancora il compito che il Signore intendeva affi-dargli. Non gli mancava comunque la possibilitàdi intuire che aveva interpretato erroneamente la

visione, perché, pur avendo essa un rapporto conle imprese guerresche, di fatto non lo entusia-smava né allietava come al solito; a fatica anzi gliriusciva di mettere in atto quei suoi piani e realiz-zare il viaggio tanto desiderato. (Fonti France-scane, 326)

Perfetto veramente no. Qualcosa, sotto sotto, nonva: Francesco si “sforza” di gioire del suo sognoche sta per realizzarsi, ma “sente” che in realtànon è veramente felice.

Già cambiato spiritualmente, ma senza lasciarnulla trapelare all'esterno, Francesco rinuncia a re-carsi nelle Puglie e si impegna a conformare la suavolontà a quella divina. (Fonti Francescane, 328)

Francesco cambia idea, non va più in Puglia e,conseguentemente, non desidera più come primadivenire cavaliere. Forse non lo vuole più affattoe comincia a “modellare” dentro e fuori di séun’armatura che lo farà “cavaliere di Cristo”(Fonti Francescane, 335).

Sempre Tommaso da Celano, nella sua secondabiografia del santo, sviluppa maggiormente il rac-conto del sogno che in una seconda notte disonno tormentato si arricchisce anche di un dia-logo tra Francesco e un misterioso personaggio.

Un'altra notte, mentre dorme, sente di nuovo unavoce, che gli chiede premurosa dove intenda re-carsi. Francesco espone il suo proposito, e dice divolersi recare in Puglia per combattere. Ma la voce insiste e gli domanda chi ritiene possaessergli più utile, il servo o il padrone.«Il padrone», risponde Francesco.«E allora - riprende la voce - perché cerchi il servoin luogo del padrone?». E Francesco: «Cosa vuoiche io faccia, o Signore?». (Fonti Francescane,587)

Sembra proprio che Francesco non capisca subitoi sui ruoli. A breve intenderà di dover restaurareuna chiesetta in rovina al posto di contribuire arinnovare la Chiesa. Ma non importa, in ogni casoè un eccellente muratore. E cavaliere.

↘ La statua bronzea di Francesco cavaliere “pensoso” ad Assisi.

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Rocca Assisiguardiano solitario

valledi Carmen Nardi *

un

nella

diLa :

Il viaggiatore che si reca in visita ad Assisi non puònon sentire la sua presenza: che incomba livida eminacciosa nei giorni grigi o dorata e sicuraquando splende il sole, la rocca Maggiore è unguardiano fedele, che sembra vegliare sulla cittàperché preservi quella seraficità e quel fascinofuori dal tempo che tutti le riconoscono.Per raggiungere la splendida Rocca, che sorgesulla cima del Monte Asio a dominio del centrourbano e della valle del Tescio, si può percorrere,a piedi, via porta Perlici, dove aveva sede l'anticaConfraternita di San Lorenzo. Giunti in cima allasalita, la rocca si svelerà in tutta la sua bellezza epotenza, insieme ad un panorama mozzafiato

che permette allo sguardo di vagare sulla pianuracircostante, arrivando alle colline di Perugia.Il luogo in cui essa sorge sembra rimandare an-cora l'eco di storie arcaiche: è probabile infattiche proprio lì, sul monte Asio, ci fosse in tempiremoti una cittadella pre-romana, un santuarioumbro o una necropoli. Non vi sono tuttavia te-stimonianze archeologiche a conferma certa diquesta ipotesi. Le prime notizie sicure della Roccasi hanno a partire dal 1173-74, quando Cristianodi Magonza conquistò Assisi per conto di Fede-rico Barbarossa, che vi soggiornò brevemente.Pare tuttavia che la struttura fosse già esistentein epoca longobarda. Dopo la conquista del Bar-barossa, comunque, la fortezza fu il centro delpotere feudale germanico fino al 1198, anno in

* giornalista

↖↗ La Rocca Maggiore di Assisi

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cui passò alla parte guelfa del papa Innocenzo IIIe le sue mura e le sue torri furono distrutte dalpopolo, che la percepiva come simbolo dell'op-pressione imperiale. La sua lunga storia di san-gue, potere, feroci vittorie e rovinose sconfitteera così iniziata. Il papa cacciò Corrado di Urslin-gen, duca di Spoleto, e con lui il piccolo FedericoII di appena 4 anni. All'epoca Francesco d'Assisiaveva 16 anni.Nel 1319 fu Muzio di Francesco I Brancaleoni daPiobbico ad impadronirsi della Rocca, aiutato daFederico I da Montefeltro e dal vescovo diArezzo, Guido Tarlati; si narra che gli assalitori ru-barono anche il tesoro conservato nella basilicadi S. Francesco, vendendolo nei mercati diArezzo, Firenze e Fabriano.La fortezza da questo momento in poi si trovò alcentro delle sanguinose vicende di cui furono co-stellate le lotte fra guelfi e ghibellini, tanto daversare in stato di abbandono già intorno allametà del 1300, gravemente danneggiata da as-salti armati e saccheggi. La struttura fu ricostruita nel 1356 dal cardinaleEgidio Albornoz (allora impegnato nella sotto-missione delle principali città della penisola)come punto di avvistamento, rispettando l'im-pianto del XII secolo. Per rafforzare verso il monte l'angolo nord orien-tale del perimetro fortificato, il cardinale fece co-struire, intorno al 1360, la cosiddetta RoccaMinore o cassero di Sant'Antonio, dal nome allaconfraternita di Sant’Antonio e San Giacomo chesi trova presso la porta dei Cappuccini sotto larocca stessa.Le due rocche sono collegate da una lunga mu-raglia, sotto la quale esisterebbe un percorso se-greto.Dopo la ricostruzione l'edificio, con la sua ritro-vata solidità e potenza, fu teatro degli scontrisanguinosi fra le nobili famiglie dei Nepis, della"Parte de Sopra" e dei ghibellini Fiumi della"Parte de Sotto", rispettivamente sostenitori deiBaglioni e degli Oddi di Perugia, che si conten-devano il dominio della città. Nel marzo del1391, per vigilare gli sviluppi delle feroci discordiefra le due famiglie, si stabilirono nella Rocca Pan-dolfo Baglioni e Ugolino degli Arcipreti.

Nel 1393 vi fu imprigionato lo stesso GuglielmoFiumi, capo della "Parte de Sotto", il quale, dopoalcuni mesi, venne decapitato. Nel 1394 fuBiordo Michelotti ad entrare in possesso delle dueRocche; il condottiero perugino fu acclamato si-gnore e Gonfaloniere della città e la fortezza fuda lui restaurata. Nel 1458 venne innalzato il tor-rione ottagonale (maschio) su ordine di JacopoPiccinino che aveva conquistato le due fortezzecon l’aiuto del castellano Raimondo Ferraro. Le truppe di Piccinino, inviate da Perugia compi-rono il più tragico dei saccheggi in città salendoal potere prima di cadere contro il Valentino Ce-sare Borgia nel 1503 che assoggettò definitiva-mente la città al dominio pontificio. La Rocca, attraverso fasi di ampliamento succes-sive, raggiunse il suo "definitivo" aspetto impo-nente e maestoso con Paolo III (1538), che viaggiunse il bastione di accesso circolare su cui sitrova lo stemma pontificio. Dal bastione si accede alla parte interna della for-tezza (in cui, nel 1972, furono girate alcune scenedel film Fratello sole, sorella luna, diretto dal re-gista Franco Zeffirelli) e da lì nel campo trincerato;mentre per la torre di nord est si penetra nell'an-temurale, da cui una rampa di scale conduce alcortile chiuso tra le mura esterne e il cassero,dove si trovavano gli ambienti di servizio. Un portale a saracinesca immette nella corte cen-trale pavimentata con mattoni originali. A destrasi innalza il maschio, che fungeva da abitazionedel castellano, dove si sovrappongono cinqueambienti collegati da una scaletta a chiocciola.

Quelli descritti furono gli ultimi anni che videro lafortezza espletare la sua funzione militaresca. Nel’600, infatti, la struttura fu completamente ab-bandonata, per diventare nei secoli successivi uncarcere, un magazzino e infine un rudere. Nel1877 le due rocche furono cedute al comune diAssisi dal Ministero del Tesoro e della PubblicaIstruzione.

1 Daniele Amoni, scheda descrittiva in mondimedievali.net2 cit. Umbria, touring club italiano, anno 20043 Umbria, op. cit.

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All’anteprima Nazionale del12 ottobre a Recanati de “IlGiovane Favoloso”, film di-retto da Mario Martone erapresente anche il SentieroFrancescano. È una pellicolache fa battere il cuore, per-vasa dalla poesia del Leo-pardi che ha una forzaintellettuale rara, nella suainnegabile attualità. E il regi-sta ha scelto per il ruolo diSilvia, la giovane venti-duenne recanatese, GloriaGhergo, una ragazza con-creta e semplice che incon-triamo al termine del film.

Come sei arrivata ad essere la Silvia de "Il giovane favoloso"?

Sono diventata la Silvia del Giovane favoloso per caso. Sono una ragazza come tante, trascorro le miegiornate all’università e tra gli altri impegni di sera lavoro come cameriera in un’osteria del mio paese.È proprio lì che è nata l’idea ad alcuni collaboratori del regista Martone di farmi interpretare il ruolo diSilvia nel film Il giovane favoloso. Mi hanno visto lavorare all’osteria e mi hanno proposto al regista,che a pochi giorni dall’inizio delle riprese del film non aveva ancora ben chiaro chi avrebbe interpretatola donzelletta cantata dal poeta. Di me Martone ha apprezzato la semplicità e la spontaneità nella re-citazione di qualcuno che fosse completamente estraneo al mondo del cinema… e il fatto che fossipropriamente di Recanati!

Gloria Ghergola Silvia de “Il giovane

favoloso”di Rosita Roncaglia

Il Sentiero Francescano - Anno IV, Numero 15

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Con

↖ L’attrice Gloria Ghergo col regista Martone e l’attore Germano.

INTERVISTAESCLUSIVA

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Il rapporto con il registaMartone è stato soddi-sfacente per te? Le tueimpressioni.

Lavorare con un profes-sionista come Martonemi ha messo di fronte auna grande responsabi-lità. Le prime emozionisono state la paura disbagliare e allo stessotempo la voglia di fareun buon lavoro!

Come descriveresti il per-sonaggio di Silvia?

Silvia è una giovanedonna del paese. Lavoratutto il giorno al telaio eil suono ritmico e martel-lante che scaturisce dalsuo lavoro fa da colonnasonora alle giornate del poeta. Le finestre sullequali si affacciano i due giovani sono una difronte all’altra e spesso capita qualche incrociodi sguardi. I due, però, sono protagonisti di un amore quasiimpossibile, tanto sono differenti le realtà in cuiognuno di loro vive.Quando si incontranosembra che parlino lin-gue diverse, lei, timida eimpacciata, non sa leg-gere, mentre lui invecesta scrivendo un sonettosu Dante...

La nostra rivista si oc-cupa di francescane-simo: raccontaci i motiviche ti hanno portato allascelta "controcorrente"di andare in Missione inAfrica rinunciando alla

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prima del film alla Mo-stra del Cinema di Ve-nezia.

Conoscere l’Africa è undesiderio che ho dasempre: conoscere percapire se è possibile faredel bene a questo Paeseche tanto soffre. Hoavuto la possibilità difare questa esperienzagrazie al parroco dellamia parrocchia che è ilfondatore del SERMIRR(SERvizioMIssionarioRe-dentoreRecanati) cheda anni ha progetti inIndia e dallo scorsoanno ha intrapreso unnuovo percorso a fiancodell’Africa. Avevo de-ciso da tempo che nonpotevo mancare a que-

sto appuntamento di due settimane con il Bu-rundi, e nonostante la prima del film al festivaldi Venezia negli stessi giorni, ho deciso di par-tire. È stata un’esperienza davvero importanteper me… e il film me lo sono comunque gu-stato nel mio paesino dove tutto è nato e ha

preso forma!

Quali sono le tue aspira-zioni per il futuro?

Nei miei progetti futuri ilprimo appuntamento èla laurea in infermieri-stica, tra un mese. Poichissà... l’Africa tornasempre nei miei pensieri,magari mi troverò a la-vorare in questi luoghicome professionistadella salute!

↘ La locandina del film.

↗ Gloria all’anteprima di Recanati, assieme al figurante Paolo Maga-

gnini, della Compagnia del Teatro Instabile di Recanati (LINK)

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di Francesca Mazzanti *

Lo scorso martedì 8 settembre 2014, l’AllegraCompagnia di Jesi, un gruppo artistico-teatralenumeroso composto da bambini, giovani eadulti, ha proposto in Piazza Kennedy a Moie diMaiolati Spontini (AN) uno spettacolo dal titolochiaro quanto accattivante: Francesco è vivo!Capitanato da Giuseppe Fabrizzi, che certa-mente di energia e vita non ne amana davveropoca, il gruppo si definisce “non professionista”ma, di fatto, arriva sempre a segno laddove pro-pone il suo spettacolo.Si resta infatti dapprima un po’ spiazzati a sentirin bocca al Santo di Assisi l’attuale dialetto diJesi, poi si rimane incantati nel cogliere come lastoria del Poverello sia perfettamente riletta eadattata a contesti più attuali e vicini alle espe-rienze dei ragazzi di oggi.La scommessa è quindi vinta - perché all’originedi questa proposta teatrale c’è per l’appunto unascommessa - quella di coinvolgere piccoli, gran-

Francescoè vivo!di Diego Mecenero

dicelli ed adulti in un progetto di comunicazioneartistica incentrato sulla figura del Patrono d’Italiache potesse donare qualcosa di vivo sia in chicalca il palcoscenico che in coloro che assistonoalla rappresetazione.Così, in un clima di ben percepibile amicizia e al-legria, la Compagnia ha riproposto in modo at-tuale la vita di San Francesco d’Assisi dalla primagiovinezza fino alla morte, con scene di teatro,canzoni dalla sonorità suggestiva e significativecoreografie di danza.A spettacolo concluso gli applausi sono stati scro-scianti e i sorrisi di chi stava sotto i riflettori eranostati “sparati” in faccia anche a tutti gli astantiche, innegabilmente, avevano percepito chec’era qualcosa di “vivo” dinanzi a loro.Francesco è vivo, sì, e sembra davvero che laforza della sua vita abbia il potere di contagio:anche questa Allegra Compagnia è viva e quelloche porta in giro non è solo “spettacolo”.

E PARLA JESINO

* insegnante, ricercatrice storica

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di Francesca Mazzanti *

ricetta:arrostocinghiale

LaL’

di

Nell'immaginario collettivo il Medioevo è, spesso,associato a giostre, tornei, disfide, i cui protagonistisono, senza dubbio, i cavalieri: nobili, nobili deca-duti, avventurieri... Come ogni bellator (per giocoo in guerra) che si rispetti il cavaliere è un grandemangiatore di carne, preferibilmente rossa, laquale costituisce la condicio sine qua non per l'ap-partenenza ad una classe sociale elevata. La carneera sinonimo di forza fisica e potere e veniva cotta,di preferenza, arrosto, in modo da permettere allefiamme di essere a diretto contatto con essa: i no-bili valorizzavano, infatti, il rapporto senza inter-mediari fra l’uomo e la natura selvaggia.

Il nome originale della ricetta che propongo erabourbier (“pantano”) di cinghiale, presente anchenella variante bourbelier (“spina dorsale”). Il primotermine potrebbe essere stato associato alla ricettaper via del colore scuro che essa assume al terminedella preparazione. Si tratta di un piatto abba-stanza diffuso nel Centro-Nord Italia le cui materieprime, ad eccezione della melegueta, sono tutte difacile reperibilità.

Ingredienti | Cosa ci dobbiamo procurare:

• 2 kg di carne di cinghiale (coscio, sella o lom-bata) per arrosto

• ½ litro di rosso piceno di buona qualità• ¼ di litro di aceto di vino di buona qualità• ¼ di litro di agresto (o 15 cl di aceto di mele di-

luito in 10 cl di acqua)

• 60 g di pane di campagna arrostito• un pizzico di zenzero, cannella, chiodi di garo-

fano, melegueta pestata• sale grosso• rosmarino

Esecuzione | Come la prepariamo:

Prepariamo la salsa per bagnare l’arrosto mesco-lando il vino, l’aceto, l’agresto, il sale, il rosmarinoe le spezie. Mettiamovi a bagno il pane e, quandosi sarà gonfiato, schiacciamolo con la forchetta la-vorando per bene fino ad ottenere un compostoomogeneo. Sbollentiamo la carne e togliamoladall’acqua non appena avrà cambiato colore. Mettiamo in forno già caldo su una griglia posta suuna leccarda e lasciamo cuocere per circa un'ora emezzo. Bagniamo spesso con la salsa speziata. A cotturaultimata versiamo il resto della salsa sull’arrosto (sefosse troppo densa possiamo allungarla con un po'di acqua). Togliamo la leccarda dal forno e versiamoin una salsiera la salsa che verrà servita insieme al-l’arrosto. Avremo ottenuto un bel sugo coloratoche, se necessario, dovremo aggiustare di sale.

* insegnante, ricercatrice storica

www.cucinamedievale.it

dal Manoscritto vaticano del Viandier di Taillevent

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www.sentierofrancescano.itPERIODICO DEL SENTIERO FRANCESCANO DELLA PACE

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