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Senza

Date post: 07-Mar-2016
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Restare ‘senza’ voce, ‘senza’ amici, ‘senza’ ideali, in un’Italia ‘senza’, come sentenziò corrosivamente Alberto Arbasino, accomiatandosi dai contradditori ma vivaci anni Settanta. Una raccolta di poesie sospesa tra decadentismo e impegno civile, per riannodare il filo spezzato della speranza.
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Alessandro Lattarulo Senza
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SpazioTempo

Collana di Narrativa e Poesia/1

curata da

Alessandro Lattarulo

ALESSANDRO LATTARULO

Senza

Edizione novembre 2012

ISBN 978-88-8459-238-5

WIP Edizioni SrlVia Capaldi, 37/A - 70125 Bari

tel. 080.5576003 - fax 080.5523055www.wipedizioni.it - [email protected]

In copertina:Autunno, fotografia di Manlio Ranieri

In quarta di copertina: Orme di vita, fotografia di Luigi Nicassio

è vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,

senza l’autorizzazione dell’Autore e dell’Editore.

Indice

Considerazioni a margine ............................... 9di Ruggiero Stefanelli

Sistole e Tempo: un’ipotesi sulla Forma e sul Tema ............... 19di Renato Nicassio

Senza ................................................................ 31di Alessandro Lattarulo

Ringraziamenti ................................................ 37

Appigli inconsapevoli .................................... 39Attimi fugaci .................................................... 40Bambini sfrattati .............................................. 41Barbugliamenti arcani .................................... 42Cassetti di perché ........................................... 43Ceneri sparse.................................................... 44Chiusi nel forziere ........................................... 45Ci sono giorni................................................... 46Corridoi stretti ................................................. 46Corridoio di cielo ............................................ 47Curvo ................................................................ 48Esiste l’abisso ................................................... 49Evanescenze ..................................................... 50Futuro acefalo .................................................. 51Guizzante luce ................................................. 52Interrogativi abrasivi ...................................... 53

Iridescenti ombre ............................................. 54Mani duttili ...................................................... 55Nel ventre dei ricordi ...................................... 56Nessi imperscrutabili ...................................... 57Nomi fittizi ....................................................... 58Papaveri ............................................................ 59Piovono fiocchi ................................................ 60Ponti in fiamme ............................................... 61Potrebbe essere ................................................ 62Precaria la notte ............................................... 63Presente liquefatto........................................... 63Rincorse di tuoni ............................................. 64Se adesso non ci sei ......................................... 65Senza ................................................................. 67Si alzano faville ................................................ 68Silenzi sospesi .................................................. 69Sinergie di colori .............................................. 70Sole obliquo ...................................................... 70Sorrisi affilati .................................................... 71Sortilegi rammendati ...................................... 72Stuoie distese ................................................... 73Sulle panchine.................................................. 74Trangugio note danzanti ................................ 75Un passo prima ............................................... 76Un sorso di caffè .............................................. 77Zattere nomadi ................................................ 78

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Considerazioni a marginedi Ruggiero Stefanelli1

Se oggi, dopo ben cinquant’anni di letture e studi, mi dico convinto che un secolo di pro-duzione poetica ha conseguito l’effetto, attra-verso la fioritura di tutti gli “ismi” possibili e immaginabili, di una dilatazione oltre misura della corrente-madre, il Decadentismo, ho le mie buone ragioni, le quali mi accompagnano ogni qualvolta sono invitato a uno sforzo di storicizzazione dei fenomeni letterari contem-poranei. L’operazione, che non è mai priva di rischi, perché non esiste un metodo di analisi perfetto, non coinvolge se non marginalmen-te le letterature occidentali, considerate dal punto di vista del doppio versante linguistico, quello del blocco sassone e quello del blocco ispano-americano, perché esse hanno matura-to percorsi e sviluppi a cui la poesia nazionale è restata a lungo estranea. Questo, se da un lato ha permesso ai nostri poeti di confermare, sia

1 Ruggiero Stefanelli (Bari, 1941), già Professore Ordina-rio di Letteratura italiana, Presidente del Corso di Studi in Scienze della comunicazione e Direttore dell’ex Dipar-timento di Linguistica, letteratura e filologia moderna dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, insegna attualmente a contratto Lingua italiana. Tra le sue prin-cipali pubblicazioni numerosi studi su Dante, Petrarca, Boccaccio, sul petrarchismo femminile del Cinquecento, Foscolo, Leopardi, sulla questione della lingua nell’Ot-tocento, sulla narrativa fra Otto e Novecento, Ungaretti, Montale, sulle tecniche dell’espressione letteraria nel No-vecento.

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pure attraverso caratteristiche più o meno va-riabili, le profonde radici liberamente coltivate lungo il ventesimo secolo e nate dalle ceneri dei linguaggi poetici del secondo Ottocento, dall’altro li ha vincolati tirannicamente a pro-seguire lungo un alveo solido ma prevedibile.

Senza dare l’impressione di cercare le sor-genti della nostra contemporaneità, che mi porterebbe lontano, ritengo utile rammenta-re ai lettori di questa raccolta di Alessandro Lattarulo che il Decadentismo vive e anima ancora molte voci poetiche di oggi che, nume-rose, chiedono di farsi ascoltare e apprezzare nel modo giusto. Ciò non significa che ci si debba limitare alla solita domanda se ancora la poesia abbia oggi qualcosa da dire, perché comunque si sa che l’unica risposta possibile è positiva, ma che l’impegno della lettura deve andare nella direzione di un reciproco accom-pagnamento dell’autore e del critico, come voleva l’indimenticato Macrì, se si desidera aiutare il lettore a capire la natura, per così dire gnoseologica, del far poesia. Ecco perché posso (non devo) ancora mettere la mia espe-rienza al servizio della comprensione dei testi poetici che affollano le vetrine dei librai, pur sempre consapevole che di poesia nessun po-eta è mai vissuto, ove si eccettuino i pochi casi che finiscono sempre col confermare la regola.

Constatato che finalmente, dopo almeno trent’anni, non ci si affanna più a sostenere l’esistenza di una “linea” pugliese all’interno

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di quella nazionale sulla base di una presunta continuità antropologica, ambientale e croma-tica, prendo atto che, rispetto alla penultima generazione (degli Angiuli, Giancane, Greco, Lisena e altri), quest’ultima cui anche Lattaru-lo appartiene ha maturato ormai un percorso, significativo di ciascuna esperienza, il quale, se per un verso testimonia di una vivacissi-ma partecipazione alla dialettica delle energie intellettuali nella nostra regione, per un altro verso conferma che le singole voci si esprimo-no a livello di uno spinto soggettivismo con qualche denominatore comune. Ecco perché citavo il Decadentismo. Ho l’impressione che l’attuale fenomenologia poetica si collochi all’estremo di una parabola (rammento che Decadentismo fu il “decadere” dell’io in un abbandono a se stesso, non “decadenza” nel senso storico e morale) che, partita dal fram-mentismo sintattico dei vari Ungaretti, Qua-simodo, Solmi e Bigongiari, va attestandosi sulla conquista ed uso, altrettanto esclusivi, di una lessicalità giocata sui timbri più che sui toni e sforzata a tradurre in parole la sostan-ziale ineffabilità di tutti i disagi esistenziali. Per dirla in breve, siamo passati da m’illumino d’immenso ad asmatici respiri telefonici, da docile fibra dell’universo a vita anestetizzata, da una ri-cerca del “sé” oltre i limiti della disarmonia alla denuncia del “sé” abbandonato ai flussi di un sensitismo esasperato: non è che l’epilogo del soggetto che introita tutto l’universo possibile

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delle sensazioni e ne constata l’inconciliabilità con qualsivoglia documento della ragione; re-stano barbugliamenti arcani, resta un Prometeo che fallisce, cadono gli schermi protettivi, si cer-tifica la catastrofe dell’anima. Tutto sembra vol-gere ad una declinazione senza veli della soli-tudine spirituale. E proprio Lattarulo, questo poeta giovane eppur già “vecchio”, interpre-ta con solitaria ostinazione la discrasia totale dell’universo umano rispetto all’apparente aritmeticità che ci circonda (presente liquefatto,/ dalla cui mappa/ è stata trafugata/ l’aritmetica del vivere) e per la quale anche le sensazioni affo-gano fradice di ragione. Ciò che contraddistin-gue lui e i suoi coetanei è la frattura tra l’inte-riore e l’esteriore, dove la prima dimensione si autorelega nel più profondo circuito sensoriale e, non trovando possibilità esplicite di connes-sione con la realtà oggettiva ma disturbata, finisce col vivere, ed esprimere, baluginanti captazioni oftalmiche, olfattive, saporiali, au-ditive, raramente tattili: il soggetto recalcitra a tentativi di dialogo con l’altro ma lo sottinten-de dentro un monologo arduo e strenuo. Non è questione di “male di vivere”; qui la soglia del dolore e del tedio montaliano rimane nel retroterra del cervello, gli risparmia la fatica dell’analisi ma anela ad espressione simbolica ed allora si proietta oltre il livello della frui-zione puramente linguistica, nell’atemporalità onirica dove il rélais ammutisce, non funziona più: Quando la luce/ drappeggia fortezze/ orlate

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come menzogne; Guaiti sinistri/ secernono visioni malariche/ nella luce lattiginosa; Zampilli di futi-lità/ cavalcano fiochi/ rimandi canonici; Serpentine di fessure/... sciorinano pensieri. Nel contesto di questa proiezione si aprono i mondi del potreb-be essere, in cui gli accadimenti, assolutamente delogicizzati, vanno a costituire un alfabeto della mente del tutto alternativo a quello della pratica normale.

Se il secolo precedente s’era aperto nel se-gno del “correlativo oggettivo” di eliotiana memoria (cui ricorse non solo Montale ma an-che Quasimodo e il primo Sinisgalli), bisogna accettare che esso si sia chiuso, o che si stia ora chiudendo, nel segno opposto di una definiti-va sconnessione tra l’effetto e la sua causa, lì dove s’insinua il dubbio neotomistico dell’“ac-cidente eventuale”, come paventava Maritain, del “potrebbe non essere accaduto”, giusto per sottrarsi al rendiconto della coscienza. Eppu-re il Novecento le ha quasi tentate tutte per evitare la défaillance, dal titanismo cerebrale di un D’Annunzio alle illusioni ideologiche (fu-turismo compreso), dal prosciugamento neo-realistico di Pasolini poeta al sovversivismo decostruzionista del Gruppo ‘63, dal laicismo tematico del “postmoderno” al solidarismo etico, infine alla superfetazione etnicista; si è trattato sempre e comunque della stessa bat-taglia condotta più o meno radicalmente dal nostro “io” storico nel nome di una ricerca dell’identità individuale dopo tutte le fasi ri-

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flessive generate dal monstrum (nell’accezione puramente latina) dell’esistenzialismo.

Siamo dunque davvero al capolinea? Diffi-cile dirlo. Stiamo rispolverando la guerra alle plutocrazie, stiamo sperimentando la disgrega-zione dei sistemi sociali e produttivi, la perdita dei parametri morali e tanto altro; dobbiamo meravigliarci se l’io profondo vaga entro la pura precognizione delle cose e si costruisce un mondo parallelo, in cui perdura la caccia osti-nata alla percezione della propria sensorialità? È proprio a questo punto che Lattarulo e la sua generazione si rifugiano (ed è veramente un rifugio?) nella poesia, nella sola forma che di conseguenza essa può assumere, cioè di una proiezione del linguaggio oltre le cortine gno-seologiche, lì dove i tempi sintattici conosciuti si disfano spontaneamente sottraendosi a qual-siasi violenza della volontà e si affidano ad un presente continuatamente immobile. Abbiamo seguito, sia pure di lontano, il percorso “ales-sandrino”, giacché altre prove questo poeta ha esibito, nelle quali gli esiti della presente rac-colta trovano tutti i semi che l’hanno condot-ta fin dove riteniamo d’aver spiegato. Difficil-mente egli potrà andare oltre, considerato che per questa via ha già dato il meglio.

Eppure la poesia ha le sue ragioni che pasca-lianamente la ragione di solito non conosce, e stranamente sono ragioni di numeri, di caden-ze interne che impongono la necessità di una struttura: come dire che una configurazione

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plausibile, cioè misurabile secondo prevedibili parametri, Lattarulo l’ha impostata comunque per non far torto né all’orecchio, né all’occhio (come si sosteneva fin da Dante e Petrarca ma a proposito di rime); così, cacciata dalla porta principale, la “ragione” della poesia ha finito col rientrare dalla finestra. Si badi allora alla composizione dei testi: essi realizzano un si-stema lessicale binario, per il quale ogni verso poggia pressoché esclusivamente su una cop-pia di vocaboli, siano sostantivi o aggettivi o verbi, che ne costituiscono la nervatura metri-ca, considerando tale la sillabazione trocaico-dattilica (Mani duttili/ per plasmare di cera/ ali cobaltine) o talvolta quella anapestica (È melodia che s’arrampica/ trafiggendo sacrilega), più rara-mente quella giambica (Tra le distratte cronache), sulla quale sono modulati i ritmi prevalenti del settenario e dell’ottonario. Ne viene una ser-rata concentrazione d’immagini che risolve, come in tanti archetti voltaici, i lampeggiamen-ti del tessuto sensoriale; e volutamente si evita di parlare di emozioni, perché l’impressione è di una sollecitazione estrema delle nostre pa-pille periferiche, tese a scandire il protrarsi di unità microsintattiche, il cui segnato destino è di reiterare quasi fino all’apnea un estenuato tentativo di discorso; si chiama sistema segni-co ad accumulo e si regge sulla dilatazione per nessi relativi o causativi o temporali e sulla per-dita allusiva di orientamento, che conduce ad una certa saturazione degli spazi lirici. Vero è

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però che la qualità linguistica e la marginatura tecnica rendono giustizia all’affanno di fondo che risiede tutto nella spinta a spostare sempre più in là la suggestione del “mai detto così”. Tuttavia la rarefazione del lessico non sorpas-sa mai la tentazione del rabesco, ma rimane al di qua di una liquida e puramente esibitoria esposizione di suoni. Chi volesse a tutti i costi rintracciare in tale elegante e vibratile ragnate-la un ascendente parnassiano o una soggezio-ne calligrafica, probabilmente non sarebbe un eretico, ma non dovrebbe ignorare il dolente gareggiamento del poeta con la sua abbando-nata voglia di dissoluzione del suo scontato patrimonio genetico, in favore di una rinascita dell’anima dalle ceneri del suo hic et nunc (piut-tosto non basta/ quest’attimo sospeso/ per capire l’intorno, oppure ...spasimi/ che rullano tra le fron-de/ di questa monotonia), che coincide col fascino del solipsismo. E qui è la chiave di lettura più idonea: la frammentazione del repertorio oni-rico trova umana resistenza nell’aggregazione compatta della griglia stilistica, di cui Lattaru-lo mostra, per sua fortuna, di non saper fare a meno, nel nome di un sedimentato influsso della nostra migliore tradizione, troppo diffici-le da ignorare. Ciò lo distingue dal liberismo espressivo di troppi suoi contemporanei, cui nuoce l’idea che le parole in poesia debbano scorrere impetuose come fiume che, sfrenato, straripa. Invece la poesia ha bisogno di sue leggi, magari non scritte (Ungaretti, dopo la

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rottura con la tradizione, confessò che si era ri-messo alla ricerca del bel canto della poesia ita-liana!), ma a tutela della legittimità delle fonti ispirative. In realtà Alessandro Lattarulo ha via via appreso l’arte di gestire la parola dandole segno e significato sull’onda di una macerata partecipazione alla vita, ma soprattutto ha già offerto, nel cuore della raccolta, una prova del-la sua ansia di coltivare una poesia capace di attingere a sentimenti profondi e universali che nobilitano l’umana sofferenza interiore senza nulla togliere alle inquiete turbolenze delle no-stre percezioni. Con Bambini sfrattati (ma anche per esempio con Esiste l’abisso) siamo infatti al di là delle illusioni epifaniche, che non risol-vono i grumi della separatezza e della nostra voglia di alibi (il sensorialismo come ultimo ir-rinunciabile approdo), delicatamente sospinti con straordinaria sollecitazione a pensare che l’orizzonte della sofferenza va comunque po-polato di lirica pietà. Forse poesie come questa possono aiutare gli altri poeti di questi violen-tati anni a sfuggire ai tentacoli mai domi del decadentismo ermetico e aprire ad Alessandro medesimo una stagione diversa, fiorita di più aperti colloqui con l’io e col mondo, da cui è lecito attendersi sviluppi e nuovi incantamenti; ma intanto godiamo di questa, ch’è già satura di raffinati risultati, e affidiamola all’intelligen-za solerte dei suoi lettori, ai quali auguriamo di non smettere mai gli strumenti dell’esplorazio-ne, pena inesorabile imbarbarimento.

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Appigli inconsapevoli

Appigli inconsapevoliinfrangono le illusionisospese nel muschiodei pensieri giovanilipregni di sogni senza volti già noti.

Esitazioni solitarieguizzano nel pozzodove attingo ai ricordidissipati tra luoghinon più ugualisenza preavviso.

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Attimi fugaci

La notte chiedochi sono alla pioggia.Attimi fugaci, sogni scivolosi, colori alterati.è un invisibile campo di battagliache sutura il palloredi pedine devoteattraverso sensazionifradice di ragione,appiccicose comeragnatele di suoni.Una parentesi di sensosi chiude sui rintocchidi una campana che sfuma discorsiricamati sul cuscino.


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