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Settembre Festival Internazionale Musica · Sinfonia di Gustav Mahler, che l’aveva provata e...

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Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino Zubin Mehta direttore Schönberg Stravinskij Torino Auditorium Giovanni Agnelli Lingotto Sabato 21.IX.2013 ore 21 Torino Milano Festival Internazionale della Musica 04 _ 21 settembre 2013 Settima edizione Settembre Musica
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Orchestra del MaggioMusicale FiorentinoZubin Mehta direttore

SchönbergStravinskij

TorinoAuditoriumGiovanni AgnelliLingotto

Sabato 21.IX.2013ore 21

Torino MilanoFestival Internazionaledella Musica

04_21 settembre 2013Settima edizione

SettembreMusica

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Arnold Schönberg(1874-1951)

Fünf Orchesterstücke op. 16 (1909) Vorgefühle (Presentimenti) Vergangenes (Qualcosa di remoto) Farben (Colori) Peripetie (Peripezia) Das obligate Rezitativ (Il recitativo obbligato)

Kammersymphonie n. 1 op. 9 (1906)

Igor Stravinskij(1882-1971)

Le Sacre du Printemps quadri della Russia pagana in due parti (1913)

Parte prima: L’adorazione della terra Introduzione Gli auguri primaverili: danze delle adolescenti Gioco del rapimento Danze primaverili Gioco delle tribù rivali Corteo del saggio Adorazione della terra (Il Saggio) Danza della terra

Parte seconda: Il sacrificio Introduzione Cerchi misteriosi delle adolescenti Glorificazione dell’Eletta Evocazione degli antenati Azione rituale degli antenati Danza sacra (L’Eletta)

Orchestra del Maggio Musicale FiorentinoZubin Mehta, direttore

Videoimpaginazione e stampa: ITALGRAFICA Novara

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Lo stile di Arnold Schönberg è stato il frutto di un costante processo di autoanalisi, che ha guidato l’autore verso una definizione

sempre più netta dei contorni della sua personalità musicale. In effetti nel suo percorso artistico non si trovano svolte radicali, del tutto svincolate dalla produzione precedente. Tuttavia l’autore stesso considerava alcuni suoi lavori degli spartiacque, in grado di segnare i momenti di passaggio da una fase all’altra. Uno di questi è la Kammersymphonie per 15 strumenti solisti op. 9, composta nella prima metà del 1906 a Vienna. In uno scritto intitolato Wie man einsam wird, Schönberg sottolineava la particolare collocazione del lavoro: «Dopo aver terminato la composizione della Kammersymphonie, non c’era solo l’attesa del successo a riempirmi di gioia. Si trattava di qualcosa d’altro e di più importante. Credevo di aver trovato il mio personale e peculiare stile compositivo, e mi aspettavo di aver risolto tutti i problemi che avevano fino ad allora inquietato un giovane compositore, e che ci sarebbe stato un modo per uscire dal groviglio di problemi in cui noi giovani compositori eravamo rimasti intrappolati a causa delle innovazioni armoniche, formali, orchestrali ed emotive di Richard Wagner. Credo di aver trovato una maniera per forgiare e sviluppare temi e melodie comprensibili, caratteristici, originali ed espressivi malgrado le armonie dilatate ereditate da Wagner. [...] E questo è stato il primo passo di un nuovo, ma spinoso cammino».Un indubbio elemento di novità era rappresentato dalla scelta del titolo, che gettava una luce ambigua sul lavoro. Kammersymphonie infatti chiamava in causa due stili di scrittura diversi, cameristico e sinfonico, che hanno continuato a convivere anche negli ulteriori sviluppi del testo, passato dalla versione originale per 15 strumenti solisti alle successive versioni per orchestra (1914/1922) e per grande orchestra (1936). La fusione dei due generi sperimentata nella Kammersymphonie non riguarda solo l’impasto sonoro, ma anche la quintessenza del linguaggio musicale. Lo studio degli appunti musicali di Schönberg rivela che fin dall’inizio l’idea di un lavoro da camera dall’organico già definito si era mescolata agli schizzi per un pezzo sinfonico rimasto allo stadio di abbozzo. La versione originale sembra indicare che la dimensione cameristica alla fine abbia preso il sopravvento, come sottolineava anche l’allievo Anton Webern, facendo notare come la prima esecuzione del lavoro, l’8 febbraio 1907 nella sala grande del Musikverein di Vienna con il Quartetto Rosé e i fiati dell’Orchestra dell’Opera di Corte, si fosse svolta senza direttore. Ma allo stesso tempo l’autore stesso si rendeva conto degli squilibri sonori provocati da un simile organico, soprattutto se il lavoro fosse stato suonato in una grande sala da concerto, tanto da prevedere subito la moltiplicazione degli strumenti ad arco e addirittura il raddoppio di quelli a fiato, se necessario. La scrittura della Kammersymphonie tuttavia è senza dubbio legata in maniera indissolubile allo stile della musica da camera, soprattutto per l’estrema complessità del linguaggio polifonico. In un tessuto così denso di trame contrappuntistiche, dove le varie voci s’intrecciano con un fitto e continuo dialogo in ogni direzione, la trasparenza sonora della versione originale aiuta moltissimo la chiarezza e la comprensione del testo.

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Un altro elemento di novità riguarda la concezione formale, che rappresenta un deciso passo in avanti verso l’emancipazione completa dalla musica del secolo precedente. Come faceva notare un altro allievo di Schönberg, Alban Berg, nella sua analisi formale pubblicata nel 1912 come introduzione alla partitura, il lavoro richiama la struttura di una sinfonia in cinque movimenti, malgrado sia stato scritto in un unico torso. Ma non basta, perché l’architettura multipla della sinfonia è anch’essa a sua volta fusa insieme a una forma-sonata. La parte dello sviluppo, per così dire, viene infatti a cadere tra gli episodi che alludono allo Scherzo e all’Adagio, mentre il Finale rappresenta anche una sorta di ricapitolazione del materiale tematico iniziale. Allo stesso modo Schönberg comprime anche il linguaggio armonico e il fraseggio, saltando i passaggi intermedi per arrivare a un’istantanea sintesi del discorso. Il frontespizio della partitura indica mi bemolle maggiore come tonalità principale, malgrado il lavoro si concluda con un rotondo accordo di mi maggiore. Sebbene il linguaggio della Kammersymphonie rimanga ancora all’interno di un impianto tonale, il tema principale del corno, formato da una sequenza d’intervalli di quarta, rivela senza equivoci la ricerca di una nuova dimensione per la struttura armonica. In poche parole, Schönberg sembrava prendere lo schema di una sinfonia tardo-romantica e comprimere il materiale fino a raggiungere lo stato di musica da camera. Il processo di transizione da un genere all’altro era forse il frutto dell’impressione suscitata dall’ascolto della Quinta Sinfonia di Gustav Mahler, che l’aveva provata e diretta con i Wiener Philharmoniker nel dicembre del 1905. Erano gli anni della maggiore influenza della figura di Mahler su tutto il movimento culturale progressista di Vienna e in particolare su Schönberg, che con la Kammersymphonie si avventurava in maniera esplicita nel regno della sinfonia. Il precedente poema sinfonico Pelleas und Melisande, scritto nel 1902, rappresenta infatti un esempio di musica a programma nel solco dei lavori di Strauss. In questo caso invece Schönberg intendeva confrontarsi con il linguaggio sinfonico, reagendo sia alla dimensione monumentale, sia alla concezione formale dei lavori di Mahler. Il giovane autore forse cercava di spingere fino al limite il carattere dinamico delle forme musicali del collega più anziano, fino al punto di tentare una fusione tra la micro e la macrostruttura.

Solo tre anni dopo, nel 1909, lo scenario era profondamente mutato. Mahler aveva lasciato Vienna nel 1907 e gli allievi di Schönberg, in particolare Berg e Webern, avevano ormai cominciato la loro produzione ufficiale. I lavori di quegli anni, sotto l’influenza reciproca tra il maestro e gli allievi, sono improntati a una febbrile espressività e allo stesso tempo a un’aforistica brevità. Nel 1922 Schönberg scrisse una prefazione per la partitura delle Bagatellen op. 9 di Webern, scritte tra il 1911 e il 1913. Essa suona come un commento alla sua stessa produzione di allora: «Si pensi a quale senso della misura occorra per contenere una tale brevità. Ogni occhiata si espande fino a diventare una poesia, ogni sospiro un romanzo. Ma esprimere un romanzo in un solo gesto, una felicità in

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un solo respiro: una tale densità si trova solo dove manchi in misura altrettanto alta l’autocommiserazione». I Cinque pezzi per orchestra op. 16 corrispondono in maniera precisa, anche se meno radicale, a questa descrizione. Schönberg li considerava dei pezzi corti e indipendenti, non legati a un’idea di ciclo, come scriveva in una lettera a Strauss il 14 luglio 1909, all’indomani della prima stesura: «Mi aspetto però cose colossali da loro, specie per quanto riguarda il suono e lo spirito. Si tratta solo di questo – assolutamente nulla di sinfonico, anzi proprio il contrario, niente architettura, niente costruzione. Soltanto un interrotto e variopinto cambiamento di colori, ritmi e umori». Per venire incontro alle richieste dell’editore Peters, che premeva per conferire al lavoro l’aspetto di una musica a programma, Schönberg acconsentì controvoglia a mettere dei titoli ai vari pezzi, ma aggiungendo con ironia che essi non significavano niente o per troppa vaghezza, o per mera descrizione tecnica. La partitura, pubblicata a Lipsia nel 1912, venne eseguita per la prima volta il 3 settembre dello stesso anno ai Proms di Londra, con la Queen’s Hall Orchestra diretta da Henry Wood.Malgrado il carattere astratto del lavoro, si può ancora scorgere in controluce il profilo delle forme tradizionali. Vorgefühle (Presentimenti) è una sorta di reminiscenza della forma-sonata, in cui è possibile distinguere una parte di esposizione, un episodio ostinato in funzione di sviluppo e una larvata ripresa del materiale iniziale. Il secondo pezzo, Vergangenes (Qualcosa di remoto), mostra invece un carattere del tutto diverso, rispetto all’attività ritmica del precedente. Qui emergono lo spirito contemplativo e l’espressione melanconica, colata in una forma libera e aperta come in un Adagio. Il delicato impasto sonoro di Vergangenes è anche il frutto di una scrittura cesellata e ricca di finezze cameristiche. Il pezzo più sensazionale della raccolta è senza dubbio il terzo, Farben (Colori). Schönberg sperimenta in questo breve acquerello musicale l’idea di una “melodia di timbri”, che nel 1911 veniva poi esposta in maniera teorica nel Manuale di armonia. L’espressione poetica ruota attorno alla trasformazione della fisionomia sonora di un accordo iniziale, che prende forme diverse in ciascuna delle tre parti in cui è articolato il pezzo. Dopo questa sorta d’intermezzo coloristico, Peripetie (Peripezia) introduce un altro elemento tradizionale della sinfonia, lo Scherzo, che Adorno percepiva in questo caso come “demoniaco”. La somiglianza con lo Scherzo beninteso riguarda solo il carattere mercuriale e vagamente grottesco dell’espressione, non certo l’aspetto formale. Il titolo richiama il linguaggio teatrale, che si manifesta in una sequenza di gesti musicali pronunciati e in una scrittura a blocchi sonori in netto contrasto con il divisionismo di Farben. La raccolta si chiude con un altro pezzo molto sperimentale, Das obligate Rezitativ (Il recitativo obbligato). Il titolo non ha nulla a che spartire con i dialoghi dell’opera settecentesca, anche se Schönberg era in effetti alla ricerca di una forma moderna di prosa musicale. L’inflessione sonora del parlato si trasforma però in una lingua della nevrosi, alimentata da una moltitudine di voci accavallate e sovrapposte l’una all’altra. La scrittura polifonica ha un

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carattere frammentario e la temperatura emotiva oscilla dalla quiete alla tempesta, secondo un processo simile al flusso di coscienza dei romanzi di Joyce.

A differenza di Schönberg, la metamorfosi artistica di Igor Stravinskij è stata uno dei fenomeni piu sensazionali del Novecento. Grazie ai balletti scritti per Diaghilev (L’oiseau de feu, 1910; Petruska, 1911; Le Sacre du Printemps, 1912) l’oscuro discepolo di Rimskij-Korsakov si trasformò dall’oggi al domani nella celebrità del giorno di Parigi. Il Sacre rappresenta l’apice di questa prima fase della sua produzione. La burrascosa première del balletto, il 29 maggio 1913, fece l’effetto di una bomba gettata sul secolo passato. La musica brutale e cubista, la coreografia erotica, il carattere anti-narrativo del soggetto, l’irritazione per la claque organizzata scatenarono la reazione tumultuosa del pubblico. Il Sacre fu il momento culminante dell’esaltante esperienza artistica dei Ballets Russes. Henri Ghéon sulla «Nouvelle Revue Française» si spinse a definire la compagnia di Diaghilev una nuova forma di opera d’arte totale, “il sogno di Mallarmé”. Da quel momento Stravinskij è stato considerato per antonomasia il campione della musica moderna, come dimostra agli albori della cultura pop anche la versione del Sacre usata da Walt Disney per Fantasia. La rapida evoluzione di Stravinskij tuttavia era solo la punta dell’iceberg. Il quinquennio 1909-1914 ha rappresentato una sorta di big bang della musica del Novecento. I Cinque pezzi per orchestra (1909) e Pierrot lunaire (1912) di Schönberg, Il castello del duca Barbablù (1911) di Bartók, gli Altenberg-Lieder (1911/1912) di Berg, Jeux (1912/1913) di Debussy, Sechs Bagatellen op. 9 (1913) di Webern, Daphnis et Chloé (1912) di Ravel hanno stabilito un nuovo canone estetico, sovvertendo i principi che avevano retto per secoli il linguaggio musicale. Il Novecento aveva bisogno di esprimere una visione diversa dell’armonia, del ritmo, della melodia, della forma. La rivoluzione musicale appariva agli occhi degli accademici come l’assalto di un’orda di barbari. Stravinskij era un compositore irregolare. Rimskij-Korsakov lo aveva accettato come allievo, con il consiglio però di non iscriversi al Conservatorio di San Pietroburgo. Il pittore Alexandre Benois lo ricordava così, all’epoca dei Ballets Russes: «Al contrario della maggior parte dei musicisti, che in genere sono completamente indifferenti a tutto ciò che non rientra nella loro sfera, Stravinskij era profondamente interessato alla pittura, alla scultura, all’architettura. Malgrado non avesse una vera preparazione in questo campo, discutere con lui era sempre prezioso, perché “reagiva” a tutto ciò che costituiva la nostra ragione di vita. A quei tempi era un “allievo” incantevole e colmo di buona volontà. Aveva sete di chiarezza e aspirava senza tregua ad allargare le sue conoscenze».Stravinskij, come Schönberg del resto, non si riteneva affatto un sovversivo. La forza barbarica del Sacre gli procurò fama di musicista anarchico, geniale e arrogante, ma la sua autentica dimensione spirituale era un’altra. «S’è fatto di me un rivoluzionario mio malgrado», si lamentava il compositore nella Poètique musicale.

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«Bacia la mano alle signore nel momento stesso in cui calpesta loro i piedi», disse in maniera piccante Debussy. I due musicisti si conobbero dopo la prima dell’Oiseau de feu, che suscitò in Debussy una “sympathie artistique”. Stravinskij e Debussy, in un luminoso pomeriggio parigino del 1912, suonarono a quattro mani la riduzione per pianoforte del Sacre. «Eravamo muti, sgomenti come dopo un uragano sopraggiunto da epoche remote a sconvolgere alle radici la nostra vita», ricordava alcuni anni dopo il padrone di casa, Louis Laloy.Il balletto, il cui titolo russo era Vesna Svjascennaja, fu allestito la prima volta al Théâtre des Champs-Elysées con la coreografia di Vaclav Nizinskij e lo scenario dipinto da Nikolaj Roerich; Marie Pilz interpretava l’Eletta e Pierre Monteaux dirigeva l’orchestra. L’origine del Sacre fu una visione. Stravinskij stava lavorando all’Oiseau de feu, a San Pietroburgo, nel 1910. «Un giorno, in modo assolutamente inatteso, giacché la mia mente era occupata da cose affatto diverse, intravidi nell’immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, osservano la danza di morte di una giovane che essi stanno sacrificando per propiziarsi il dio della primavera». Il musicista ne parlò subito con Roerich, autorevole studioso della cultura slava primitiva, e con Diaghilev. Stravinskij terminò il lavoro il 17 novembre 1912 a Clarens, in Svizzera, un giorno in cui era afflitto da un fortissimo mal di denti. Pochi lavori del Novecento possono vantare una letteratura critica così ampia. Pierre Boulez scrisse nel 1951 un saggio epocale, che metteva in luce l’aspetto innovativo dell’invenzione ritmica. Secondo l’autore, la partitura era così ardita per l’epoca da non generare alcuna discendenza. Gli elementi innovativi erano tre: la complessità ritmica eccezionale, mediante un uso raffinato di combinazioni matematiche; lo sviluppo di strutture ritmiche anziché armonico-tonali; l’intuizione di una forma dinamica basata sul ritmo. Al di fuori dell’aspetto ritmico, Boulez non apprezzava altro nella scrittura di Stravinskij. Su un fronte culturale opposto, il direttore d’orchestra svizzero Ernest Ansermet vedeva in Stravinskij l’esempio del genio creatore, l’artista capace di saldare la forma sonora al senso delle cose. Il segreto di questa partitura sconvolgente, secondo Ansermet, consisteva nell’intuizione sensibile dell’essere. Il famoso inizio del Sacre, con il do acuto del fagotto solo, rappresentava l’emblema della musica di Stravinskij, in quanto «esso è altrettanto espressivo di ciò che deve rappresentare – l’estrema tensione di una voce umana immaginaria – quanto la melodia stessa». I principi compositivi del Sacre erano in sostanza estranei al linguaggio sinfonico tardo romantico, fondato sulla simmetria fraseologica e l’organizzazione tonale. Il famoso accordo ribattuto su un ritmo sghembo con cui iniziano gli Auguri primaverili, probabilmente la prima idea musicale del Sacre, sfugge a qualunque definizione della forma armonica. Le varie analisi della sua struttura intervallare, in pratica una per ciascuna nota di cui è formato, non forniscono un’interpretazione definitiva e convincente. Ma all’ascolto, le relazioni armoniche dell’accordo scivolano in secondo

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piano rispetto al puro blocco sonoro formato dalla sua ripetizione martellante. L’attenzione si sposta giocoforza sugli accenti irregolari del ritmo, accentuati dal colpo secco del suono dei corni. Eppure non c’è dubbio che, malgrado l’assenza di una struttura tematica e di una costruzione tonale, in questo episodio si sviluppi in modo avvincente il senso di una forma. L’Introduzione della prima parte, L’adorazione della terra, mostra come Stravinskij conferisca forma musicale all’intuizione sonora, dosando con raffinato senso della composizione il colore e lo spessore dei timbri. Le idee principali del lavoro (la melodia modale, l’appoggiatura di seconda minore, l’intervallo di quarta, il cromatismo, la quarta discendente, l’acciaccatura) si presentano all’inizio in modo grezzo nel solo di fagotto, nella nuda esposizione del materiale. Poi una delicata velatura sonora, attorno a un tema del clarinetto, conferisce all’orchestra un primo accenno di prospettiva. A quel punto comincia a manifestarsi un’incerta dimensione armonica, con un disegno dell’oboe oscillante tra modo maggiore e minore. In questo brodo armonico primordiale comincia a pulsare il ritmo, con la nota pizzicata di un violoncello incastrata tra le voci dei legni e lo squillo del clarinetto piccolo che risveglia poco a poco tutta l’orchestra. Il fagotto riprende il tema iniziale, ma abbassato di un semitono, come se provenisse da lontano. La forma musicale dell’Introduzione esprime perfettamente il soggetto teatrale, senza ricorrere ai processi compositivi tradizionali. Nel Sacre l’orchestra accumula tensione tramite la sovrapposizione timbrica e la stratificazione degli elementi ritmici. I picchi di energia si esauriscono di solito all’improvviso, con un simultaneo cambiamento di atmosfera. Gli strumenti manifestano uno spettro di atteggiamenti che va dalla finezza filosofica alla brutalità selvaggia. Il Sacre rimane in ogni caso, come ogni capolavoro, al di là di una comprensione definitiva. Come per il pellegrino interrogato da Jung o da Freud, si potrebbe chiedere alla partitura sia «dove vai?», sia «da dove vieni?». La potenza della sua forza espressiva rimane invece indiscutibile. L’autentica sorgente poetica del Sacre è l’impressione profonda della vesna, della primavera russa, con il disgelo dei grandi fiumi, gli sciami di insetti nelle immense paludi, le fioriture improvvise. Le memorie di Stravinskij sull’arrivo della primavera a San Pietroburgo sono incantevoli, un deposito di sensazioni dei cinque sensi. L’odore di muffa del mantello di lana cotta, il sapore dei gamberi d’acqua dolce e del tabacco machorka, il colore ocra dei palazzi, il rumore dello schiocco della frusta sul dorso dei cavalli che attraversavano il Canale Krukov sono la fonte d’ispirazione del Sacre. La storia della musica deve ringraziare un ignoto mugiko, che produceva dei rumori poco edificanti mettendo la mano sotto l’ascella per divertire il figlioletto del padrone. La meraviglia di quel suono inaspettato non ha mai abbandonato il piccolo Stravinskij.

Oreste Bossini

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Dicembre 2011: l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino inaugura il nuovo Teatro dell’Opera di Firenze, fra i più all’avanguardia in Europa. Fondata nel 1928 da Vittorio Gui come Stabile Orchestrale Fiorentina, è impegnata fin dagli esordi in un’intensa attività concertistica e nelle stagioni liriche del Teatro Comunale di Firenze ed è, oggi, una delle orchestre più apprezzate dai direttori e dal pubblico di tutto il mondo. Nel 1933 ha contribuito alla nascita del più antico e prestigioso festival musicale europeo dopo quello di Salisburgo, il Maggio Musicale Fiorentino, da cui prende il nome. A Gui subentrano come direttori stabili Mario Rossi (nel 1937) e, nel dopoguerra, Bruno Bartoletti. Capitoli fondamentali nella storia dell’Orchestra sono la direzione stabile di Riccardo Muti (1969-1981) e quella di Zubin Mehta, direttore principale dal 1985, che firma da allora, in ogni stagione, importanti produzioni sinfoniche e operistiche e le più significative tournée, e che nel 2012 ha celebrato il 50° anniversario del suo debutto a Firenze. Negli anni Ottanta e Novanta, l’Orchestra stabilisce un rapporto privilegiato con Myung-Whun Chung e con Semyon Bychkov, direttori ospiti principali rispettivamente dal 1987 e dal 1992. Apprezzata nel mondo musicale internazionale, nel corso della sua storia è stata guidata da alcuni fra i massimi direttori, quali De Sabata, Guarnieri, Marinuzzi, Gavazzeni, Serafin, Furtwängler, Walter, Klemperer, Dobrowen, Perlea, Rodzinski, Mitropoulos, Karajan, Bernstein, Schippers, Abbado, Maazel, Giulini, Prêtre, Sawallisch, Kleiber, Solti, Chailly, Sinopoli e Ozawa. Illustri compositori come Richard Strauss, Pietro Mascagni, Ildebrando Pizzetti, Paul Hindemith, Igor Stravinskij, Goffredo Petrassi, Luigi Dallapiccola, Krzysztof Penderecki e Luciano Berio hanno diretto loro lavori, spesso in prima esecuzione. L’Orchestra ha realizzato fin dagli anni Cinquanta numerose incisioni discografiche, radiofoniche e televisive, insignite da prestigiosi riconoscimenti fra i quali il Grammy Award. Dopo i successi riportati dalla terza tournée in Giappone con Zubin Mehta sul podio, che del Maggio Musicale Fiorentino è anche direttore onorario a vita, ha compiuto un’applaudita tournée a Varsavia, al Musikverein di Vienna, a Francoforte e a Baden-Baden. Ha ricevuto, nell’80° anniversario della fondazione e per i suoi altissimi meriti artistici, il Fiorino d’Oro della Città di Firenze. Nel 2011 il Maggio Musicale Fiorentino è stato nominato dal Presidente della Repubblica Ambasciatore della cultura italiana nel mondo, e ha svolto un ruolo importante nelle celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Sempre nel 2011 l’Orchestra ha compiuto prestigiose tournée in più di dodici paesi (Francia, Lussemburgo, Spagna, Germania, Giappone, Taiwan, Cina, India, Ungheria, Russia, Austria e Svizzera), mentre nel 2012, sia il 75° Maggio Musicale sia un tour in Sud America (Cile, Uruguay, Argentina e Brasile) sono stati dedicati alla memoria di Amerigo Vespucci. Recentissima una tournée a Istanbul e Baku, sempre con Mehta. Nel 2013 l’Orchestra ricorda gli 80 anni dalla creazione del Festival del Maggio Musicale Fiorentino.

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Zubin Mehta è nato nel 1936 a Bombay, dove ha ricevuto la prima educazione musicale dal padre Mehli Mehta, fondatore della Bombay Symphony Orchestra. Dopo aver iniziato gli studi di medicina nella sua città natale, nel 1954 si trasferisce a Vienna per seguire i corsi di direzione d’orchestra di Hans Swarowsky all’Akademie für Musik. Nel 1958 vince il Concorso Internazionale di Liverpool e la Koussevitsky Competition a Tanglewood; dal 1961 inizia la sua collaborazione con i Wiener e i Berliner Philharmoniker e con la Israel Philharmonic Orchestra, complessi con i quali mantiene ancora oggi uno stretto rapporto. Dal 1961 al 1967 è direttore musicale della Montreal Symphony Orchestra e, quasi contemporaneamente, dal 1962 al 1968, della Los Angeles Philharmonic Orchestra. Nel 1969 diviene Music Adviser della Israel Philharmonic, di cui è nominato direttore musicale nel 1977 e direttore musicale a vita nel 1981. Con questa straordinaria orchestra ha tenuto più di 2000 concerti e guidato tournée nei cinque continenti. Dal 1978, per tredici anni, è stato direttore musicale della New York Philharmonic. Dal 1985 è direttore principale del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, e nel 2006, in occasione del suo settantesimo compleanno, ne è stato nominato direttore onorario a vita. Ha debuttato nel repertorio operistico con Tosca a Montreal nel 1964, poi è stato presente con importanti produzioni al Metropolitan, alla Staatsoper di Vienna, al Covent Garden, alla Scala, all’Opera di Chicago, al Festival di Salisburgo nonché al Maggio Musicale Fiorentino, istituzione con la quale ha instaurato un fecondo rapporto: ha curato infatti come responsabile artistico l’edizione 1986 del Festival e, oltre a essere impegnato in numerosissime produzioni sinfoniche e operistiche – tra cui ricordiamo la Tetralogia di Wagner, la trilogia Mozart-Da Ponte, il Moses und Aron di Schönberg (Premio Franco Abbiati della critica italiana) e la Turandot nella Città Proibita di Pechino. Ha guidato l’Orchestra e il Coro del Maggio in frequenti tournée internazionali e in prestigiose incisioni discografiche e dvd. Dal 1998 al 2006 è stato direttore musicale della Bayerische Staatsoper dove ha diretto oltre 400 rappresentazioni e tournée in Europa e in Giappone. Fra le numerose onorificenze conferitegli, il Nikisch-Ring consegnatogli da Karl Böhm, le cittadinanze onorarie di Firenze e Tel Aviv, nel 1997 la nomina a membro onorario della Staatsoper di Vienna, nel 1999 il Lifetime Achievement Peace and Tolerance Award delle Nazioni Unite. È stato nominato direttore onorario dei Wiener Philharmoniker nel 2001, dei Münchner Philharmoniker nel 2004 e della Los Angeles Philharmonic nel 2006. Dopo aver inaugurato il Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia, è stato impegnato in un progetto triennale con il Ring wagneriano per la regia della Fura dels Baus a Valencia e Firenze. La pubblicazione della sua autobiografia La partitura della mia vita ha ottenuto vasti consensi. Ha guidato l’Orchestra del Maggio in una tournée europea che l’ha vista trionfare per la prima volta anche al prestigioso Musikverein

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di Vienna: in quell’occasione Zubin Mehta è stato premiato dagli Amici della Musica della capitale austriaca. Nel 2011 ha ottenuto tre importanti riconoscimenti: una stella sulla Walk of Fame a Los Angeles e i premi Furtwängler ed Echo Klassik, mentre nel 2012 ha ricevuto da Shimon Peres la Israel Medal of Distinction, e ha celebrato il 50° anniversario del suo debutto a Firenze con una serie di eventi in programma al 75° Maggio Musicale.

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