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Settentrionale Sicula n°9 estate 2013

Date post: 31-Mar-2016
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occupazione
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_APOCALYPSE JOB _COSTITUZIONE PERDUTA _BENI IN COMUNE SettentrionaleSicula _anno 3_numero 9 _ estate 2013 free press (IN)OCCUPATI
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_APOCALYPSE JOB

_COSTITUZIONE PERDUTA

_BENI IN COMUNESettentrionaleSicula

_ a n n o 3 _ n u m e r o 9 _ e s t a t e 2 0 1 3 f r e e p r e s s

(IN)OCCUPATI

A . A . A . C E R C A S I S P O N S O Rco l l a b o ra to r i , i nv i at i , g i o r n a l i s t i , gra f i c i , fo to gra f i , p e r i l p ro g e t to

SettentrionaleSicula

Responsabile: Domenico Portaro

Ufficio comunaleTorregrotta, Via Giotto 39

tel./fax 090.9910632e-mail: [email protected]

[email protected] CENTRO ASSISTENZA FISCALEPATRONATO DELLA UIL www.torregrotta.org

Direttore

Mauro Mondello

Coordinatore editorialeIsidora Scaglione

Redazione

Cettina Casella Antonino Giorgianni

Isidora Scaglione Rita Lorena Paone

Santo Gringeri Igor Cosimo Mento

Dario Lo Cascio Emanuela Sciarrone

Giuseppe Cassone Antonino Formica

Giovanni Passalacqua

Progetto GraficoNunzio Gringeri

Paolo PinoDaniele D’Agotino

Editore e Stampa

Ass. Centopassi ArciVia XXI Ottobre 419

98040 Torregrotta (Me)

Stampa flyeralarm SrL

Viale Druso 265, 39100 Bolzano

Contatti facebook: settentrionale siculawww.youtube.com/user/SettentrionaleSicula

[email protected] http://settentrionalesicula.blogspot.com

infoline: 340 72 09 610

“Registrazione n. 11 del 05/12/2011 presso il Tribunale di Messina”.

Estate 2013 n ° 9

“Perchè la gente scappa ancora non capiva dall’alto della sua locomotiva;

la gente che abbandona spesso il suo paesello lasciando la sua falce in cambio di un martello”

Agapito Malteni il ferroviere - Rino Gaetano

L’editoriale

SommarioApocalypse Job - La crisi occupazionale in provincia di Messina:

Duferdofin, Aicon, Dusty pag. 4di Dario Lo Cascio

La Costituzione Perduta pag. 9di Emanuela Sciarrone

Beni in Comune pag. 10di Isidora Scaglione

Post-it pag. 16Fotodrome pag. 19

di Mauro Mondello

Certo non è facile crederlo, ma qualcosa, forse, comincia a muoversi.L’incredulità con cui in queste settimane abbiamo accolto alcuni fra i risultati eletto-

rali più inattesi della storia politica siciliana (su tutti la vittoria di Accorinti a Messina), spiega meglio di mille parole in quale baratro si fosse lasciato cadere uno fra i valori

più alti conservati da una società democratica: la partecipazione del popolo alla costruzione sociale, e quindi politica, della comunità di cui fa parte ogni cittadino.

Purtroppo, in Sicilia la prassi del voto ha sempre seguito un’altra strada, e cioè a dire quella del traccheggio, della convenienza, della sopraffazione, dello scambio

insomma, in una logica che ha portato tutti paesi della nostra area, nessuno escluso, allo stato di abbandono palese che possiamo quotidianamente osservare.

Si è sempre ragionato, in chiacchere da bar, su quello che Spadafora, Venetico, Vil-lafranca, Rometta, Torregrotta e via dicendo avrebbero potuto essere, se soltanto le

guide amministrative succedutesi negli anni avessero guardato un po’ più profonda-mente agli interessi della collettività, invece che impegnarsi nella consueta girandola

di favori, piaceri, abboccamenti, quaquaraquate, secondo una logica di interessi sempre personale, sempre cieca e minuta, sempre drammaticamente disastrosa.

Sino a ieri in molti pensavano che in fondo questa fosse la natura dei siciliani e che inutile, dunque, risultasse la battaglia morale contro un’inclinazione talmente

congenita, quella del masochismo civile (cioè l’autofustigazione dei propri diritti di cittadino in democrazia), da non permettere alcuna speranza.

In modi diversi, secondo percorsi distanti ed opposti, i risultati elettorali usciti dalle urne di Monforte San Giorgio e Valdina, e soprattutto dalla città di Messina, ci

dimostrano invece che le cose si possono cambiare, anche in Sicilia, che persino qui, dove tutto è sempre immobile, le persone hanno deciso, finalmente, di mostrare la

loro insofferenza, di scrollarsi di dosso la paura.Ora resta la parte più difficile, certo, che è quella dei fatti, delle proposte, dei

mutamenti veri e concreti. Staremo qui a guardarli e speriamo di non restare un’altra volta, ancora una volta, delusi.

È un sentiero lungo, quello del cambiamento, ma almeno abbiamo cominciato a camminarlo.

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EMERGENZA LAVORO

disoccupazione in Sicilia è arrivata nel primo trimestre del 2013 al 20,71%. Ol-tre il punto percentuale in più rispetto all’anno precedente e ben cinque in più in confronto al 2011, quando era al 15%. In Italia, mediamente, è al 12,8%. Ed è co-munque il dato più alto in 36 anni di ri-levazioni trimestrali. Stiamo volutamente tralasciando i dati relativi alla disoccupa-zione giovanile, che ci sentiamo di giudi-care oltremodo disarmanti.Meno lavoro equivale a minor potere d’acquisto. Ne soffrono i settori che ri-guardano i beni di prima necessità, l’abbi-gliamento, l’intrattenimento. Sembra non soffrirne il turismo. Forse pochi lo sanno, ma la sola provincia di Messina nel 2011 ha fatturato il 25% degli introiti regionali derivanti dal turismo proveniente dall’e-stero. Una cifra che potrebbe crescere ul-teriormente, se ci fossero strutture e pro-mozione adeguate, presenti purtroppo solo in poche “isole felici”.Ma, se già la gente fa davvero fatica a de-cidere di acquistare un jeans o andare al cinema piuttosto che mangiare una pizza fuori, non può e non deve stupire la con-trazione del mercato auto, della vendita di immobili e, soprattutto, delle commesse industriali. Potremmo zoomare su decine, centinaia di piccole e medie imprese. Sono 7335 gli operai che hanno perso il posto negli ultimi 3 anni nel solo settore industriale si-ciliano. Non operai, chiamiamole famiglie,

perché nella maggior parte dei casi sono nuclei monoreddito. Ci vogliamo focaliz-zare su due aziende “simbolo” dell’area industriale di Giammoro/Pace del Mela e di una ditta con sede a Catania, ma che ormai è “di casa” nel messinese tirrenico: Duferdofin, Aicon, Dusty.

Acciaio freddoPer ogni cosa c’è un perché, ma non sarà riduttivo tacciare come colpevole, ancora una volta, la “crisi”? Forse. Perché nel 2009 il Ministro Scajola in persona inaugurò la seconda linea produttiva dell’acciaieria Duferdofin di Giammoro. Non solo pro-dotti lunghi e profili speciali, destinati al mercato edilizio, ma anche laminazione di profilati mercantili e tondo, per “uso domestico”. Capacità di produzione pres-soché raddoppiata e offerta per il mercato varia e competitiva. La Duferdofin – Nu-cor, che ha sede legale a Brescia e ha altri tre stabilimenti, sembrava credere davve-ro in Giammoro, con un investimento che fu all’epoca di quasi 100 milioni di euro. La capacità produttiva, ad oggi, sarebbe di circa 800.000 tonnellate d’acciaio all’an-no, 125 l’ora. Sarebbe, perché di commes-se non ce ne sono, e senza commesse non c’è lavoro.Alla Duferdofin si lavora a “progetto”, si accumulano tante piccoli ordini e si va agli impianti per due o tre settimane ogni paio di mesi. Poi ci si ferma di nuovo, in attesa, o meglio nella speranza, che arri-

Inutile continuare a “raccontarci storie”. In Italia, e soprattutto al Sud, di lavoro non ce n’è più. La contrazione economica ha finito per colpire ogni settore produttivo. Un crollo a catena, apparentemente ir-reparabile, come un castello di carte o le tessere del domino. Industria, agricoltura, terziario, edilizia, son tutti venuti giù uno dietro l’altro, sono caduti perché o stanno in piedi tutti o non ci sta nessuno.I dati emessi dalla Camera di Commercio di Messina parlano chiaro: nella nostra provincia la crescita è pari a zero. Se nel 2011 le imprese attive erano 59.875, l’an-no successivo sono aumentate solo dello 0,01%. A mantenere costante il numero ci pensano le aziende aperte da stranieri, at-tualmente circa tremila e con un tasso di crescita stabile del 5% annuo.Se il tasso d’occupazione nella provincia di Messina è stabile, o per meglio dire “stagnante”, usando così l’aggettivo del rapporto della Camera di Commercio, lo è anche quello di disoccupazione. Il primo, il 34,32% (dato del 2012) è circa 10 pun-ti percentuali sotto la media nazionale. Il secondo non va tanto meglio, essendo al 16,65%, comunque inferiore al dato regionale (18,63%), ma ben superiore a quello medio italiano: 10,70% a fine 2012. Recentissime tabelle Istat alla mano, la

Apocalypse Jobdi Dario Lo Cascio

La crisi occupazionale in provincia di Messina: Duferdofin, Aicon, Dusty

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di attracco in loco, pure finanziato, che costringe l’azienda all’utilizzo dei porti di Milazzo e Messina, con aggravio di costi e connesse problematiche di intasamento viario”. E la politica? La fabbrica al momento sembra non costituire argomento di in-teresse. Si parla della Fiat, del Muos (l’im-pianto americano per la comunicazione

satellitare in costruzione a Niscemi), delle Elezioni Amministrative alle porte. All’As-semblea Regionale Siciliana la Duferdofin non viene nominata da mesi. Il Governa-tore Crocetta aveva espresso la ferma in-tenzione di salvaguardare i lavoratori del-le industrie dell’isola. Massimo D’Alema è intervenuto il 14 febbraio a Milazzo, dove

vino nuove commesse. Sono 162 i dipen-denti che da novembre si trovano in cassa integrazione straordinaria. Vengono loro corrisposti 750 euro mensili, anche con parecchie settimane di ritardo, e da no-vembre 2013 saranno probabilmente tut-ti in mezzo a una strada. Perché la cassa integrazione straordinaria sembra l’ultima spiaggia prima della chiusura definitiva. L’acciaio costa, e non solo per la produzio-ne, ma anche e soprattutto per il traspor-to. Già nel 2009 si parlava della soluzione definitiva, un molo d’attracco che per-mettesse di evitare il trasporto su rotaie fino a Milazzo o Messina. Pochi chilometri che incidono pesantemente sui costi. Il pontile sembrava già cosa fatta, lo stesso Scajola affermò che c’erano 25 milioni di euro pronti. La crisi però si abbatté sulla Duferdofin come su tutto il resto. Meno treni, tariffa di trasporto più alta, ricavi che diventano sottili come un foglio di carta. E del pontile se ne perde ogni traccia.Di più, sembra che la stessa azienda ab-bia dovuto rinunciare a delle commesse provenienti dal Nord Europa, proprio per-ché i costi di trasporto avrebbero causato una perdita. Lavori che sono stati così as-segnati agli stabilimenti di San Giovanni Valdarno e San Zeno Naviglio. In realtà del pontile si parla da quasi vent’anni, dal 1996, quando la Duferdofin attivò il forno. Addirittura sembrava che l’opera fosse già stata appaltata, ma il sogno si è dissolto come una bolla di sapone.La cosa è stata più volte denunciata dai sindacati, e nell’ultimo rapporto sulla crisi del settore industriale, redatta da Fiom-Cgil Sicilia a febbraio 2013, al punto sulla Duferdofin si legge: “subisce ritardi inspie-gabili l’iter per la realizzazione del pontile

ha incontrato i rappresentanti dei lavora-tori delle industrie in difficoltà. Tra gli altri ovviamente anche quelli della Duferdo-fin. Tante belle parole, e la promessa che il nuovo Governo avrebbe messo al pri-mo posto la risoluzione delle vertenze in sospeso. Né dalla Regione, né tantomeno dal Governo – che al momento, si può af-fermare, non esiste – sono partite azioni

concrete. E a pochi mesi dalla scadenza della cassa integrazione tutto quello di cui sono stati capaci sono circostanziali dichiarazioni di solidarietà, che agli ope-rai non servono certo a pagare i mutui. La cassa integrazione straordinaria in Si-cilia è passata dai 3,4 milioni di ore del 2005, ai 15 milioni di ore del 2012. Fa qua-

Il ministro Scajola inaugura nel 2009 la nuova linea di laminazione a Giammoro

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zione di nuovi yacht era bloccata. Si iniziò a mandare in cassa integrazione i lavora-tori con contratto a tempo indetermina-to, e a non rinnovare i contratti a tempo determinato. E i sindacati? Le istituzioni? Con i primi il rapporto si è incrinato quasi subito, dalle seconde sempre parole vuo-le e nessuna azione concreta. Gli scioperi e le manifestazioni non sortiscono gli ef-fetti sperati.Passano quindi due anni di sostanziale stasi. Solo a ottobre 2012 l’Aicon è dichia-rata ufficialmente fallita. Arriva il curato-re, ma serve a poco. Si fa passare Natale, poi vengono spedite le lettere di licen-ziamento. I lavoratori rimangono con un pugno di mosche in mano, senza cassa integrazione e senza alcun supporto eco-nomico. La mobilitazione non si fa certo attendere. Il 10 giugno, alla Commissione Regio-nale per l’Impiego, le sigle sindacali

si sorridere la notizia dell’inaugurazione in Nigeria, da parte del gruppo Wempco, di un’acciaieria costata 1,5 miliardi di euro, con in prospettiva ampliamenti per ulteriori 700 milioni, che a pieno regime darà lavoro, tra dipendenti diretti e indot-to, a oltre 5500 persone. Questo impian-to, che sorge a Ibafo, nello stato federale di Ogun, sud-ovest del paese, da solo sarà capace di soddisfare il 65% del fabbi-sogno nazionale dello Stato africano.L’Edipower di Milazzo lavora a regime mi-nimo, e si vocifera che nel 2014, con l’i-naugurazione dell’elettrodotto Terna Sor-gente-Rizziconi, chiuderà i battenti o al più sarà venduta, con le conseguenze del caso. La Raffineria di Milazzo sta subendo la pesante concorrenza degli stabilimen-ti di raffinazione del Medio Oriente, che trasformano il greggio nelle immediate vicinanze dei luoghi di estrazione. La Du-ferdofin, con un pontile, forse sarebbe capace di risollevare la sue sorti. Forse, perché se già l’Ilva di Taranto è ormai a un passo dal baratro, la Duferdofin non navigherebbe certo in acque migliori, te-nendo in conto anche lo scalo diretto. Im-pianti e animi dei lavoratori sono intanto sempre più freddi.

Scafi in seccaTra la Duferdofin e l’Aicon ci saranno po-che centinaia di metri, ma per i 324 di-pendenti dell’azienda che fino a qualche tempo fa produceva yacht e motoscafi venduti in tutto il mondo non va meglio. Anzi, tutt’altro. Per loro tutto era finito il 30 gennaio di quest’anno, con una lettera di licenziamento.Ma andiamo con ordine. Perché la Aicon era tutt’altro che in cattive acque negli

anni 2000. Si viaggiava addirittura a “gon-fie vele”, secondo le testimonianze di al-cuni ex-dipendenti. Si arrivò addirittura a raddoppiare gli sforzi, aprendo, oltre allo stabilimento di Giammoro, anche quello di Villafranca, con la linea Open. Ingres-so in borsa brillante e sorrisi stampati sui volti di dirigenti e dipendenti.Poi, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, tutto inizia a scricchiolare. La produzione diminuisce, e a Villafranca si smantella tutto, con i lavoratori che vengono trasfe-riti a Giammoro. Si inizia con i cosiddetti “contratti di solidarietà”: riduzione dell’o-rario di lavoro, e le ore passate a casa ve-nivano integrate all’80% dall’INPS. C’era-no voci di ripresa, si parlava di un rilancio grazie al Salone Nautico Internazionale di Genova. Ma in realtà la situazione era ben diversa. L’Aicon non produceva già più nulla, l’ac-quisto di materie prime e quindi la costru-

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Cgil, Cisl e Uil non si presentano, facendo mancare il numero legale. Stop ai paga-menti e niente mobilità. Il 20 giugno, dopo una manifestazione guidata dall’U-nione Sindacale di Base, viene finalmente firmato il decreto che garantisce ai 324 lavoratori l’indennità di mobilità. È di cer-to una vittoria, una piccola garanzia per tutte queste famiglie, ma ora occorre ben altro.

Spazzatura che scottaL’igiene delle nostre città è un bene pri-mario. Eppure negli ultimi anni, più e più volte, in tutta la costa tirrenica della pro-vincia di Messina, ogni Comune ha fatto i conti con l’emergenza rifiuti. Tutto a cau-sa di quel “pasticciaccio brutto” che vede coinvolte Amministrazioni Comunali, Ato (le autorità d’ambito territoriale ottimale) e Dusty.La Dusty è impegnata dall’ottobre 2011 nel servizio di raccolta rifiuti in 38 comuni della provincia, dopo essersi giudicata la gara d’appalto bandita dall’Ato Messina

2. Sono 244 i lavoratori assunti per questo servizio. Ben presto però si è creato un vero e pro-prio circolo vizioso: i cittadini hanno iniziato a rifiutarsi di pa-gare le tasse sui rifiuti, giudica-te esose; l’Ato si è ritrovata im-possibilitata a versare le som-me spettanti alla Dusty, perché non acquisiva il denaro delle bollette e perché aveva i conti pignorati, essendo in liquida-zione; i lavoratori, vedendosi le mensilità non corrisposte, han-

no iniziato a scioperare.Di fatto, ad oggi, tutti gli ope-rai Dusty vantano diverse

mensilità in arretrato, dai 7 ai 14 stipendi (la situazione più grave si registra a Saponara). Nei mesi scorsi alcuni comuni hanno deciso di anti-cipare il denaro per pagare i la-voratori e garantire il servizio. Ad esempio Torregrotta ha stanziato quasi 100.000 euro. Ma in media il 60% delle cifre è andato all’azien-da, e solo il 40% ai lavoratori. Il 14 giugno è stato rescisso il con-tratto tra Dusty ed Ato, e i lavo-ratori sono stati sostanzialmente parcheggiati, così come i mezzi e i cassonetti. A sorpresa, ma non troppo di fatto, in alcuni comuni i contenitori dei rifiuti sono infatti “spariti” da un giorno all’altro, ad esempio a Furnari e Torregrotta. Uno spiraglio solo in quelle città dove la Dusty ha bypassato l’Ato, stipulando contratti diretti con le amministrazioni locali. Un’azione in-

trapresa a Barcellona, Milazzo, Venetico. Ma non da altre parti. Alcuni comuni hanno infatti optato per ditte private, col rischio di scatenare una vera e propria “asta” al ribasso per ag-giudicarsi il contratto. Affidarsi ad azien-de esterne era già avvenuto in passato, quando si erano verificati stop della rac-colta di durata consistente, dovuti agli scioperi. Adesso siamo alle porte di una li-beralizzazione del mercato dei rifiuti, con tutti i rischi che questa pratica comporta. Da mesi si parla di SRR (società per la re-golamentazione del servizio di raccolta ri-

Foto di Rita L. Paone

Lino Siclari, ex amministratore delegato Aicon

Rossella Pezzino De Geronimo, amministratoreunico Dusty Srl

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fiuti), di liberi consorzi tra comuni che ge-stiranno, tra le altre cose, anche l’”affaire” spazzatura. Di fatto c’è tanta confusione e, soprattutto, poca – per non dire “nes-suna” – regolamentazione da parte della Regione. I lavoratori, a ragione, chiedono unifor-mità di trattamento. Far parte della stessa azienda e avere un lavoro – o non averlo – in base al comune al quale si è stati as-segnati fa giustamente rabbrividire.

La crisi occupazionale è evidente, dai dati e dai casi presi in esame. Non sono ov-

viamente gli unici, e non possono essere considerati più importanti degli altri. Con-sideriamoli degli esempi. Sono lo spec-chio della realtà, di un baratro nel quale stiamo sprofondando ogni giorno di più. Una volta si agiva per garantire un futu-ro migliore. Oggi il presente dà talmente tanto da fare che al futuro non ci si pensa affatto. Ha detto Zygmunt Bauman: “Fino a pochi mesi fa il lavoro […] era un po’ come l’aria: sempre disponibile quando serviva”. Oggi invece è un lusso che non possiamo permetterci di perdere. Infinite possibilità di scelta, libertà di movimento

e di cambiamento, sono già un vago ricor-do. Quello che ci si prospetta davanti, per usare ancora le parole del filosofo polac-co, è “un mondo di dure ed ineliminabili realtà, di penuria e di austerità forzata”. Una visione eccessivamente apocalittica? Forse. “Pensare positivo” però, oggi, nella realtà e nei luoghi in cui viviamo, richiede uno sforzo non indifferente.

(Hanno collaborato: Giovanni Passalacqua, Isidora Scaglione, Emanuela Sciarrone)

9Foto di Rita L. Paone

LA COSTITUZIONE PERDUTAdi Emanuela Sciarrone

Una costituzione è per definizione permanente nel tempo e limitatamente modificabile, al contrario di una legge definita, invece, “tendenzialmente stabile”.Che in Italia i valori stabiliti dalle leggi non siano da tutti rispettati è risaputo.Ancor più noto, purtroppo, è lo spiccato talento creativo della nostra classe politica, abile nel dar vita in poche ore ad ordinamenti giuridici ad hoc da sfoderare in momenti più o meno critici.Doppiamente preoccupante, però, è il fatto che tra i loro “arnesi di lavoro” vi sia anche il nostro statuto, basamento di un’esistenza degna di essere definita civile.Il fine giustifica i mezzi, è vero.In questo caso, però, si tratta di un fine sordido che fa uso di un mezzo che rappresenta la mera sostanza del nostro Paese.Stefano Rodotà parla di “manutenzione” della Costituzione Italiana ma è triste ammettere che nella Serva Italia, di dolore ostello, sia in corso il barbaro tentativo di stravolgimento del potere esecutivo.Inebriato dal profumo di favoritismo, il Parlamento assiste silente allo sconquasso dei diritti umani e del rigore costituzionale. Ma il volgo no.L’oligarchia dei “nominati” di Montecitorio

ignora, infatti, che il 25 e il 26 giugno del 2006 il 61,32% della popolazione si recava alle urne per respingere la legge di revisione costituzionale.

In Italia sarà anche diffuso l’analfabetismo di ritorno ma quasi sedici milioni di cittadini conoscono e difendono la loro Costituzione.

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VUOTI A PERDERE

“Nell’accezione popolare viene definito bene comune uno specifico bene che è condiviso da tutti i membri di una specifi-ca comunità”(http://it.wikipedia.org/wiki/Bene_comune).Scuole, palazzi amministrativi, cimiteri, strade, piazze e monumenti sono solo i più evidenti beni di proprietà comunale. In verità vi è una molteplice quantità di immobili e altre proprietà in possesso del-le nostre amministrazioni, spazi pubblici spesso inutilizzati, lasciati a marcire e ab-bandonati al loro funesto destino. È que-sta ad esempio la situazione in cui versano molti beni comunali ricadenti nella fascia tirrenica compresa tra San Pier Niceto e Villafranca Tirrena. Dopo un accurato stu-dio delle visure catastali, analizzate paese per paese, e un’attenta supervisione degli stessi immobili, è emerso l’enorme poten-ziale in termini di proprietà demaniale in seno alle amministrazioni locali.Si tratta spesso di strutture cadenti e fa-tiscenti, a volte inagibili, un tempo uti-lizzate come scuole, mattatoi, caserme, ricoveri. È il caso ad esempio del matta-toio di Torregrotta, di quella che doveva essere una “Casa protetta per anziani” a Spadafora, dell’ex ufficio di collocamen-to di Valdina, del complesso conventuale

di San Francesco di Paola a Monforte San Giorgio. Una semplice ricerca sui beni im-mobili nella disponibilità di alcuni Comu-ni del nostro territorio basta per mettere a fuoco la situazione: un enorme numero di immobili comunali non catastati, altri in fase di catastazione da anni, altri ancora per i quali è praticamente impossibile ot-tenere informazioni specifiche o giungere alle origini della loro costruzione.In molti casi lo stato di noncuranza cui sono stati abbandonati gli immobili testi-monia il disinteresse dilagante mostrato da parte dei vari amministratori alternatisi nel corso degli anni.In molti altri contesti emerge invece im-perante e contrario l’eccessivo interesse da parte dei medesimi amministratori di cui sopra a cambiare la destinazione d’uso dei suddetti beni comunali, per persegui-re interessi personalistici, facilitare que-sto o quel progettista di fiducia e quindi rimpinguare le proprie tasche e quelle dell’emerito professionista grazie anche alla partecipazione a bandi pubblici per progetti mai realizzati. E nel frattempo gli edifici restano vuoti, incompiuti e scalci-nati, spesso colpiti da atti di vandalismo. Eppure nella maggior parte dei casi non appare eccessivamente complicato, agli

occhi dei cittadini, immaginare come un bene ormai in decadenza possa tornare a nuova vita. Avendo come unico e ultimo interesse il benessere e l’agio per tutta la collettività sembrerebbero quasi scontate le soluzioni da adottare per evitare che queste strutture, teoricamente utilissime per la collettività, restino solo degli im-mobili fantasma.Tanti Comuni della nostra area sono sprovvisti di servizi sociali di pubblica utilità di primaria importanza: asili nido, case di riposo per anziani, edifici scolasti-ci degni di essere così chiamati, centri di aggregazione giovanile e molto altro an-cora. Osservando l’operato dei nostri am-ministratori locali, invece, emerge chiara-mente la mancanza di volontà politica per ottimizzare e sistemare le risorse già pre-senti sul territorio, ove si preferisce piutto-sto investire ingenti somme di denaro per la costruzione di nuove strutture, spesso anch’esse abbandonate poco dopo al loro destino. Per non parlare poi delle ammi-nistrazioni che hanno proceduto in questi anni a bandire all’asta, ai fini dell’aliena-zione, alcune proprietà comunali, nella fattispecie terreni di diverse tipologie, con l’obiettivo di accumulare guadagni per le casse comunali. Un fine solo appa-

Beni in Comunedi Isidora Scaglione

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rente, dato che moltissimi di questi beni, nonostante le procedure d’asta, non sono mai stati acquistati e restano ancora oggi nella piena disponibilità delle varie am-ministrazioni sparse sul nostro territorio tirrenico.L’ utilizzo dei beni comuni è di norma di-sciplinato da un apposito regolamento comunale in base al quale singoli individui o gruppi di cittadini, per esempio riuniti in associazioni, possono richiedere, a titolo oneroso o gratuito a seconda dei casi, di usufruire di un determinato bene immo-bile, nel rispetto delle norme previste dal regolamento. Sarebbe pertanto auspica-bile che di contro a decenni di noncuran-za politica e amministrativa, dal basso, di-rettamente dai cittadini, potessero partire valide iniziative volte a riappropriarsi dei beni collettivi. È ad esempio quanto è suc-cesso a Messina nei mesi scorsi attraverso l’occupazione di importanti immobili rica-denti nel territorio cittadino.

Il Pinelli occupatoEra il 15.12.2012 quando a Messina ve-nivano occupati i locali dell’ex Teatro in Fiera, subito ribattezzato col nome del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli alla vigilia dell’anniversario del suo suicidio (di Stato) avvenuto dentro la questura di Milano nel 1969. Una rete di associazioni, collettivi e liberi cittadini, con l’obiettivo principale di dare una risposta antifasci-sta alla scelta di Forza Nuova di tenere

la propria adunata siciliana a Messina, ha voluto con quest’azione riportare l’at-tenzione sulla tematica dei beni comuni, non usufruibili e dismessi, praticamente abbandonati. L’occupazione voleva resti-tuire ai messinesi un bene fondamentale per la crescita civile e culturale della cit-tà. Ha avuto inizio da quel momento una serie di assemblee cittadine volte al coin-volgimento della collettività sia per l’orga-nizzazione delle varie attività da svolgere all’interno dei locali occupati, sia per co-stituire veri e propri tavoli tecnici che po-tessero in modo costruttivo fornire delle proposte sul recupero del teatro. Da anni quest’ultimo è al centro del dibattito po-litico cittadino giacché l’intera cittadella fieristica, che si estende per ben 30 mila metri quadrI e nella quale ricade il teatro, è oggetto di un contenzioso aperto tra l’ente fiera – fallimen-tare e in attesa di un com-missario liquidatore – e l’autorità portuale, che ha ereditato dal demanio ma-rittimo le concessioni de-gli spazi all’atto della sua costituzione nel 1994.Da quel momento il teatro ha vissuto decenni di incu-ria e abbandono. L’autorità portuale, nell’assemblea pubblica del 17 dicembre, nella persona del suo pre-

sidente dott. De Simone, ha ribadito le linee guida necessarie per un concorso di idee internazionale relativo all’uso della cittadella fieristica, ponendo come termine ultimo per la definizione delle stesse il 19.12.2012.La stessa autorità portuale ha istituito una commissione consultiva finalizzata alla definizione del bando di gara per l’affidamento in concessione demaniale marittima dell’area fieristica. Tale com-missione è composta da rappresentanti di istituzioni pubbliche e da privati. In particolare si insiste sull’ “imprescindibi-le” vocazione turistica dell’area in que-stione, ritenendo che il waterfront deb-ba essere rivitalizzato attraverso attività di crocierismo e diportismo.

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Gli occupanti accusano l’autorità portuale soprattutto perché essa intende predi-sporre un bando rivolto ad un unico sog-getto privato al quale affidare in conces-sione l’intera area fieristica, spendendo quasi 4 milioni di euro. Ne intravedono quindi solo obiettivi economici e perso-nalistici, tendenti all’ulteriore sottrazione degli spazi alla collettività e alla consegna degli stessi nelle mani di investitori priva-ti.Inoltre viene puntata l’attenzione sul fatto che, ricostruendo il teatro ex novo, oltre ad impiegare un’ingente somma di de-naro non necessaria, si violerebbe la sen-tenza della Corte Costituzionale n.309 del 2011, appunto perché il bene verrebbe sottratto alla destinazione pubblica.

Il 22.12.2012 gli occupanti hanno riaperto alla cittadinanza anche l’Ex Irrera a Mare, altra importante porzione della cittadella fieristica anch’essa simbolo del degrado culturale della città e ulteriore bene co-mune privatizzato dall’autorità portuale. I rapporti tra quest’ultima e gli attivisti occupanti sono divenuti sempre più tesi, soprattutto quando la questura forzata-mente ha impedito l’accesso ai locali.Intanto dagli occupanti è stato intrapre-so un percorso costituente per il rico-noscimento giuridico del Teatro in Fiera Pinelli, dell’Ex Irrera a Mare e di tutta la cittadella fieristica come beni comuni, in virtù del fatto che “il bene comune non è dato, si manifesta attraverso l’agire condi-viso, è il frutto di relazioni sociali tra pari

e fonte inesauribile di innovazioni e cre-atività. Il bene comune nasce dal basso e dalla partecipazione attiva e diretta della cittadinanza. Il bene comune si autorga-nizza per definizione e difende la propria autonomia sia dall’interesse proprieta-rio privato sia dalle istituzioni pubbliche che governano con logiche privatistiche e autoritarie i beni pubblici”. (dalla bozza di Statuto per la costituzione della “Fon-dazione Teatro Valle Roma bene comune)Il 06.02.13 è stato costituito un Comitato aperto denominato “Teatro in Fiera Pinel-li Centro per l’Arte, la Cultura e la Ricerca Bene Comune” per dare veste giuridica alla pratica collettiva costituente di difesa e valorizzazione dei suddetti beni e per governarli politicamente.Purtroppo però il 14.02.13 le forze dell’or-dine hanno proceduto allo sgombero forzato del Pinelli, per questo divenuto itinerante attraverso l’occupazione di al-tre zone della città, di altre ZTL (zone tem-poraneamene liberate), come la Galleria Inps e la chiesa sconsacrata di via Peculio Frumentario.La situazione è divenuta sempre più cri-tica giacchè occupanti e sostenitori del Teatro in Fiera Pinelli sono stati convocati in questura per un atto di sanzione am-ministrativa pecuniaria da 2500 a 10000 euro a causa del blocco stradale dopo lo sgombero del 14 febbraio. Nei giorni pre-cedenti 10 degli occupanti erano già stati colpiti da denuncia.

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Tutti al parco…L’08.0813 gli occupanti pinelliani, riprese le forze, hanno deciso di occupare un al-tro spazio abbandonato e dismesso della città: il parco Aldo Moro sito in via Regi-na Margherita, uno spazio verde di circa 13.000 metri quadrati, centro di raccolta durante il terremoto,con terrazzo pano-ramico, due strutture coperte collegate e ristrutturate da poco (con foresteria e sale studio-ricerca da ammobiliare), una stanza sotterranea per i magnetometri dell’INGV, un rudere/casa del guardiano, reperti archeologici e natura rigogliosa.Dal 1949 il Comune di Messina ha dato il parco in comodato d’uso all’Istituto di Geofisica e Vulcanologia di Roma che ha installato, all’interno delle strutture esi-stenti nel parco, delle strumentazioni di rilevamento dei dati sismografici. Il con-tratto tra il Comune e l’INGV prevedeva che l’istituto mantenesse le aree verdi ac-cessibili alla cittadinanza e ben curate. Da circa 19 anni (da quando l’INGV non utiliz-za di fatto le strutture), invece, nel parco versano incuria e abbandono.Gli occupanti hanno incontrato in assem-blea un intermediario dell’INGV, Giuseppe D’Anna, secondo il quale l’ente due anni fa ha ristrutturato i beni immobili presenti nel parco in vista di un nuovo centro di ri-cerca. L’Osservatorio ha ospitato apparati scientifici funzionanti fino al 2008 ma è rimasto privo di personale da quando, nei primi anni ’90, l’ultimo custode è andato in

pensione. Dopo il 2008 ha sostanzialmen-te cessato di funzionare, anche se D’Anna ha dichiarato che il rilevatore geodetico gps non ha mai cessato di raccogliere dati e di inviarli ai centri di elaborazione. Gli ultimi accordi stipulati con il Comune di Messina, oltre a non essere stati rispettati, non tengono conto del contratto origina-rio del 1949 che sanciva la “cessione a ti-tolo gratuito” del parco, prevedendo però la restituzione dell’area e degli immobili al Comune in caso di cessazione dell’utilizzo da parte del beneficiario della donazione.Nel 2006 il sindaco Francantonio Geno-vese aveva rinnovato la concessione del complesso all’INGV, esplicitando la condi-zione che prevedeva la cura e l’apertura al pubblico di almeno una parte degli spazi verdi.Nel marzo del 2009 in un incontro tra l’assessore all’Arredo urbano della Giunta Buzzanca Elvira Amata e l’INGV, emerse che il sito non sarebbe stato interamen-te utilizzabile come parco pubblico per ragioni legate alla delicatezza delle appa-recchiature presenti.Le ultime notizie risalgono a gennaio 2012 quando è stato un siglato un accor-do di collaborazione tra l’ente e Palazzo Zanca, che avrebbe dovuto permettere all’amministrazione comunale di poter usufruire di una parte dello spazio. Ad oggi, però, il parco Aldo Moro resta chiu-so, anzi richiuso dopo che con l’ennesima azione repressiva gli occupanti sono stati

forzatamente allontanati e impossibilitati a rientrarci.

LiberiamociIl 25 aprile i pinelliani hanno riprovato ad entrare al teatro in fiera, senza successo perché esso risulta completamente blin-dato. Così hanno deciso di continuare la loro infervorata protesta occupando la Casa del Portuale di via Valore, ex sede della Cooperativa Italia che ha operato per decenni nel settore della movimenta-zione merci del porto della città. In segui-to al cambiamento delle tariffe e alla delo-calizzazione delle attività la cooperativa è arrivata al collasso e ha avviato le proce-dure di mobilità per 31 lavoratori. Anche questa volta lo scenario che i pinelliani si sono trovati di fronte agli occhi all’atto della riapertura è stato quello dell’abban-dono, del saccheggio e della devastazio-ne. L’impianto elettrico sradicato, gli uffici abbandonati, documenti sparsi ovunque, attrezzature lasciate a marcire. La zona è quella già interessata dalla gravissima scelta del Comune di Messina di sven-dere il Mercato Ittico, gli ex silos granai e gli ex magazzini generali (questi ultimi destinati, come previsto qualche mese fa prima di un intralcio burocratico, alla ditta Vinciullo, indicata come contigua a Cosa Nostra nelle relazioni della commissione parlamentare antimafia).Molteplici sono state in questi mesi gli appuntamenti culturali svoltisi alla Casa

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del Portuale, che ad oggi costituisce un importante centro di riferimento per gli eventi di formazione ed informazione, i seminari, gli workshop, gli eventi musica-li. La cultura insomma dilaga tra le pareti della vecchia Casa abbandonata, ennesi-mo simbolo di una rivolta dal basso, par-tecipata e costruttiva.

Beni comuni: da Messina all’ItaliaLe occupazioni di beni demaniali che han-no interessato il messinese negli ultimi mesi si inseriscono nel più ampio conte-sto italiano della lotta per i beni comuni.Fra il 1991 e oggi, al fine di ridurre il debito pubblico, l’Italia ha dismesso, anzi sven-

duto, beni per un valore di 1400 miliardi di euro. Nel 2007 fu istituita una commis-sione parlamentare, presieduta dal Prof. Stefano Rodotà, per studiare e proporre una riforma del Libro III della Proprietà del Codice Civile. Il disegno di legge, presen-tato in Senato, non è mai stato discusso.Una proficua alleanza fra la cultura giu-ridica e le lotte legate ai beni comuni ha soprattutto focalizzato l’attenzione sulla rilettura di norme costituzionali, quali la funzione sociale e l’accesso alla proprietà di cui all’art. 42 e il riconoscimento di co-munità altre all’art. 43.Il 13 aprile al Teatro Valle Occupato a Roma si è tenuta la prima assemblea del-

la Costituente dei Beni Comuni. Il lavoro dei costituenti ha avuto come principale obiettivo l’indagine degli strumenti giuri-dici volti a fornire una vera e propria legi-slazione a favore del riconoscimento dei suddetti beni.La loro istituzione, come categoria di beni, e la produzione di norme che ne regoli-no la tutela, le condizioni economiche, le forme di finanziamento, la gestione, la fruizione, costituiscono l’obiettivo fonda-mentale dei costituenti.

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BENI COMUNALI INUTILIZZATI

Torregrotta - Sono di proprietà del Comune terreni di varia natura per un totale di circa 80.000 mq. L’unica struttura attualmente inutilizzata è quella del Mattatoio, abbandonato da diversi decenni e attualmente inagibile.(Isidora Scaglione)

Monforte San Giorgio - I beni non catastati sono la maggioranza: fra questi, anche il palazzo comunale. Il complesso conventuale di San Francesco di Paola è una struttura agibile e non utilizzata, se non saltuariamente da qualche associazione. Sono di proprietà comunale terreni per un totale di circa 8000 mq. (Isidora Scaglione)

Venetico - I terreni di pertinenza del Comune risultano avere un’estensione pari a circa 80.000 mq. L’area ex Condor, attualmente inu-tilizzata, costituisce il bene immobile più grande e più fatiscente poiché in stato di abbandono da anni, essendosi susseguiti nel tempo vari progetti mai realizzati per l’utilizzo della vasta area. (Isidora Scaglione)

Rometta - Sono 167 i terreni di proprietà comunale distribuiti su tutto il territorio romettese. Molti dei quali utilizzati per il passaggio di tubature sotterranee. In totale sono 30 invece le strutture inutilizzate. Nell’elenco delle visure catastali compaiono, ad esempio, le strutture di Piazza Margherita, 7 e Vittorio Emanuele II, 30. (Emanuela Sciarrone)

Valdina – Fra i beni comunali non utilizzati 11 vigneti (il totale è di circa 8000mq), 5 uliveti (circa 700mq), 3 terreni seminativi (1000 mq) e 4 incolti (500mq). I beni non catastati sono l’ufficio Urp a Fondachello, utilizzato dall’associazione Iris e dall’Urp del Comu-ne di Valdina, e l’ex ufficio di collocamento, in uso con assegnazione ufficiosa alla comunità degli anziani della frazione di Valdina e senza un’assegnazione ufficiale dalla fine degli anni ‘90. Edifici pubblici indicati alienabili e messi in vendita dal Comune: scuola materna di Tracoccia (libera da un paio di mesi, prima in affitto alla chiesa evangelica), abitazione di 2 piani in piazza Chiesa Ma-dre a Valdina, libera da sempre, scuola elementare di Valdina, attualmente in affitto ad una società di ristorazione. (Santo Gringeri)

San Pier Niceto – Sono 5 le strutture catastate, inutilizzate e ristrutturate di proprietà del Comune site in Corso Italia e in via Prestipao-la. Non catastate, ma di proprietà comunale, sono le scuole in contrada Pietrazze e il Macello, che è stato adibito da qualche tempo a isola ecologica, almeno sulla carta. Particolare il caso delle abitazioni nella via Prestipaola, edifici ristrutturati nell’ambito della valorizzazione del quartiere Marrella e di cui si vorrebbe cambiare la destinazione d’uso per farne botteghe di artigianato. (Giovanni Passalacqua)

Spadafora - La visura catastale dei territori e delle strutture di proprietà del Comune di Spadafora consta di 20 edifici e 229 terreni. La più importante di queste è la nota “Casa protetta per anziani” un edificio di circa 1000 mq rimasto incompiuto ed inutilizzato: mancano totalmente gli arredi. Un caso a parte è quello degli ex campi da tennis di Via San Martino, rimasti fatiscenti e abbandonati. Nel 2011 è stato finanziato un cantiere per il ripristino delle strutture e per la riconversione dei campi da tennis in campi da calcetto, un progetto non portato a termine per la mancanza della necessaria copertura finanziaria. Attualmente parte della struttura è utilizzata dall’Associa-zione “Eccoci”, una delle rare buone notizie in materia di utilizzo degli spazi comunali (non sfruttati). Ancora, per alcuni terreni siti nei pressi della nuova stazione ferroviaria, esiste dagli anni 80’ un progetto destinato alla creazione di un nuovo campo di calcio. Di questo restano solo delle parziali mura di cinta e, al momento, è in corso la riconversione di esso a eliporto per casi di emergenza, dopo l’ipotesi, subito accantonata, di trasformarlo in un impianto fotovoltaico. Infine un’ultima, parzialmente buona, notizia, in merito al famigera-tamente famoso Museo dell’Argilla: dopo anni di attesa pare si sia finalmente vicini alla sua definitiva attivazione. (Giuseppe Cassone)

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Post-it

La Carta Costituzionale, nata dalla Resistenza, è bella, emulata lodata, ne hanno fatto una Corte, hanno costruito un Arco, Benigni l’ha spettacolarizzata da par suo, e, pertanto, nel 2030 dopo tempeste e maree, uragani e tornado populisti, pifferai magici e urlatori di slogan pubblicitari, illusionisti, nostalgici dell’ordine e dell’ingiustizia, Mussoloni strappa la Carta, gli toglie l’anima e la veste di nuovo che sembra una puttana.Ne descriviamo i dettagli più lascivi del corpo costituzionale mussolonizzato.

LavoroLo scopo fondante della Repubblica è l’Impresa, l’Intrapresa, la Presa, che è libera di agire a proprio piacimento. Il lavoratore ha diritto a quello che riesce a guadagnarsi, il resto è sacrosanto profitto.Gli imprenditori hanno diritto allo sciopero e alla delocalizzazione.

UguaglianzaTutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge con le dovute eccezioni previste dalla legge. Dovere dello Stato è promuovere la ricchezza, la bellezza

esteriore ed il sesso sicuro. Quelli che non ce la fanno non hanno che da imparare da quelli che ce l’hanno fatta.

IstruzioneViene abolita l’Istruzione Pubblica. Chi può e ha voglia studia, gli altri si devono adattare ai lavori manuali. Viene abolito dalle scuole di ogni ordine e grado il Marxismo, la storia del Movimento Operaio, La Psicanalisi, la Letteratura e la Rivoluzione Francese.

Protezione ambiente patrimonio storico ed artisticoLa neo Costituzione valorizza il paesaggio e l’ambiente a fini turistici. A tal uopo si liberalizza la costruzione di alberghi, casinò, casini, bordelli, porti, biporti, triporti, laghi artificiali, canali, dighe, strade, autostrade, tav, aeroporti, funivie, seggiovie, ponti e sottoponti, sopraelevate, anelli e tante altre preziosità.

ReligioneOgni cittadino è libero di professare la religione che vuole, può iscriversi a sette, a chiese ortodosse, eretiche, scismatiche, animiste o spiritiche, ma tutte devono essere conformi allo spirito della Neo Repubblica. Sono spulciate dal lessico le parole amore, solidarietà e ama il tuo prossimo come te stesso che è un precetto comunista. La bestemmia è severamente punita, dipende sempre però dal contesto

in cui viene enunciata.

Le tasseLo Stato riconosce che costringere i cittadini a pagare le tasse è un’azione estorsiva e opera per la loro abolizione, pertanto stabilisce un’unica aliquota del 10% uguale per tutti, che siano abbienti o meno abbienti. Il legislatore nell’interpretare lo spirito della Neo Nazione stabilisce che colui che superi il miliardo in averi venga nominato Benefattore della Repubblica e venga omaggiato dai connazionali.

Il Presidente della RepubblicaIl Presidente della Repubblica viene eletto ogni 7 anni, rinnovabili all’infinito. Il Presidente può indire una guerra, rompere uniteralmente un trattato internazionale, emettere una condanna a morte mediatica, ordinare il coprifuoco, emettere una fatwa, unire in matrimonio e pronunciare il discorso di fine anno a reti unificate. Una menzione particolare è dedicata al precursore della Neo Repubblica Giorgio I , Giorgio II Napolitano.

Guerra e paceLa Repubblica ripudia il pacifismo di onusiana memoria: Chiunque, stato canaglia, grumo terrorista, nuova popolazione emergente intaccherà i sacri interessi della Nazione, verrà

IL FUTURISTALo strappo di Mussoloni

di P. Daveru

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colpito con forza e abbattuto. Aerei invisibili manovrati a distanza da uomini intelligenti scaglieranno su di loro bombe al fosforo bianco, bombe a grappoli, bombe incendiarie, gas urticanti, piogge acide, gas nervini, formiche atomiche, mosche tze tzeUna volta spento il focolaio, le trattative del dopo guerra sono affidate ad un rampollo della dinastia dei Letta, specialisti di inciuci e larghe intese, in attesa della guerra che verrà.

Libertà di espressione e di stampaOgni cittadino è libero di esprimere il proprio pensiero, sempre con il dovuto rispetto per le autorità, alla cui immagine è severamente proibito abbinare funzioni fisiologiche e organi sessuali. Sui giornali, in televisione, sul web, non devono essere riportate notizie che fanno calare il Pil o alzare lo spread.

Il Volo della Mantadi Paolo Pino

Capitolo 5

Sto salendo sul treno che mi porterà da lei. Con un po’ di fortuna, riesco a trovare ciò che cercavo: uno scompartimento vuoto. Stranamente il vagone non è molto affol-lato, anche se ormai settembre è iniziato da giorni. Finalmente ho avuto il coraggio di prendermi ciò che davvero desidero con tutta l’anima. Ogni cellula del mio corpo è concentrata su un obiettivo ben preciso. Entro nello scompartimento, e mi siedo all’ultimo posto accanto al finestri-no, dando le spalle al locomotore. Guar-do fuori attraverso i vetri imperlati dalla pioggia, e quello che vedo è desolazione pura: palazzine fatiscenti ingrigite dallo smog. Sulle ringhiere di alcuni balconi

sono ancora stese delle lenzuola dai colo-ri vivaci, coperte da teli di plastica. Ciò che mi aspetta è lontano anni luce dall’essere così lugubre e triste. Già quando si inizia a muovere il treno, in mezzo al grigiore cittadino, sento la mia anima che fa un sospiro di sollievo. Il pa-esaggio resta fermo sugli stessi colori per un centinaio di chilometri. Anche quando per un breve tratto la ferrovia costeggia il mare, non è il mare che ci si immagina. Una distesa grigio-marrone che sembre-rebbe più denso di quello che dovrebbe essere. Triste anche il mare, qui. Le nuvole attraversano il cielo fino alla costa a nord, dove qualche spiraglio di sole sta comin-ciando a fare capolino, colpendo la super-ficie del mare e facendola friggere d’oro. Man mano che si scende verso sud, ci si rende conto che si stanno raggiungendo luoghi più allegri. Non parlo delle perso-ne che ci vivono, o delle condizioni sociali nelle quali sono immerse, che, per carità, sono lungi dall’essere allegre. Parlo pro-prio dei luoghi, le praterie, le montagne, le spiagge, i paesini (le case che li compon-gono). Sembrano dire: «Che bello essere qui. Siamo felici di essere qui e per questo siamo felici». E il tempo sembra assecon-dare questa mia sensazione, le nuvole si allontanano e il sole mi scalda da dietro il finestrino, asciugando le gocce di pioggia che lo costellano. E’ come se si aprisse una porta su un altro mondo. Mentre il treno corre dritto sulle sue rotaie, con quel suo modo sicuro, mi ricordo delle mille volte che ho fatto lo stesso viaggio, per rag-giungere mete diverse. Mi rendo conto

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che mi manca molto la musica. Prima d’al-lora non avevo mai fatto un viaggio senza musica. Mi piaceva assecondare il paesag-gio che scorreva fuori dai finestrini con il fluire delle note all’interno della mia testa. Che musica si addice ad un gabbiano che plana lento sull’acqua? Un bel brano jazz strumentale, si incastona perfettamente ad una strada che si inerpica su una collina, si vedono i muri a secco che riparano dalla rupe, e immagino il ritmo in levare che si sente quando si sale da lì con un’auto, mu-retto/aria/muretto/aria, ffu-ffa... ffu. Ricor-do perfettamente un pezzo hard-rock flut-tuare verso dei nuvoloni neri che si muo-vevano lenti su dei picchi altissimi ed inne-vati, in un inverno di tanti anni fa, quando ero un ventenne ancora adolescente. Poco era cambiato, ora probabilmente sono un trentenne infantile, come se al crescere dell’età regredissi mentalmente. E mentre faccio queste considerazioni, forse per uno strano gioco dei sensi, man mano che mi allontano dalla città, l’euforia che mi aveva aiutato ad attraversare le distese di cemen-to e asfalto inumidito, mi abbandona lenta-mente, l’adrenalina che mi aveva attraver-sato cessa di fare il suo lavoro, e cado in un sonno profondo. Sogno. Sono sulla spiaggia. E Martina mi attira col suo richiamo da sirena. E’ lì, den-tro l’acqua, a pochi metri dalla riva. Sembra pomeriggio, ma non ci giurerei. Infatti, un attimo prima di tuffarmi in acqua il sole è alto sulla mia testa, osservo la mia ombra sulla sabbia, che sento calda sotto i miei piedi, ma non tanto da scottarmi. Dopo essere riemerso invece, il sole tramonta

dietro un gruppo di isole aggrappate all’o-rizzonte, colorando di rosso il cielo e le nu-vole, che sembrano stracci appesi ad un filo immaginario. Osservo ancora un po’ le sa-gome nere delle isole in lontananza, ma mi sembrano troppo vicine. Poi me ne rendo conto: Martina non c’è più e io sono solo, al largo. Ho nuotato sott’acqua, e ho fatto chilometri senza accorgermene, in pochi istanti. Sono assalito da un senso di ansia e di abbandono immenso. Mi sveglio di soprassalto, in una stazione che non riesco a riconoscere subito. Non so che ore sono, ma a giudicare dalla luce avrò dormito circa tre ore. Manca poco ormai, e sarò lì dove dovevo essere già tempo fa. So che Martina ha affittato una casa in un pa-esino sul mare a circa quattro ore di treno dalla mia città. E so che vi si sarebbe trat-tenuta per tutto il mese di settembre. Mi ha detto che avrebbe potuto lavorare da lì, approfittandone per allontanare i fantasmi della sua vita precedente. Tutto ad un tratto il peso mentale del sogno mi fa trasalire, come se riportato alla realtà improvvisamente. Come se di nuovo la mia vita precedente tentasse di tornare ed im-padronirsi di me. Scaccio con vigore quella sensazione, ma il mio nuovo me fa fatica a tornare. Resto così sospeso in una condi-zione in bilico, mentre osservo i passanti della stazione allontanarsi, c’è un signore calvo, con una pelle abbronzata che non si addice al periodo, che saluta con vigore un giovanotto dall’aria strafottente. Ancora soprappensiero per la mia nuova condizio-ne – una farfalla che cerca la luce del sole e rotea attorno ad un lampione? – scatto

quasi in un urlo quando vengo richiama-to dal controllore. Affannato cerco nelle tasche del pantalaccio asciugatosi ormai dopo ore di aria condizionata, e gli porgo il biglietto. Lui mi guarda come se avesse davanti uno strano esemplare di una razza animale in estinzione, uno stupore allegro, come a chiedersi: «toh, guarda un po’, c’è ancora qualche esemplare». Poco prima di arrivare a destinazione un riflesso incondizionato mi fa alzare. Solita-mente, durante i miei viaggi, mi preparo una ventina di minuti prima per essere il primo a scendere, prendendo i bagagli dal portapacchi. Guardo in alto e sorrido, ricor-dandomi di non avere portato altro con me che i pochi indumenti sudici che indosso. Mi risiedo accanto al finestrino pensando che posso godere delle visioni e dei pen-sieri fitti e dolci che le accompagnano al posto della musica, fin quando il treno non si fermerà alla prossima stazione. Sceso dal treno, mi rendo conto che qui il calendario non conta, conta l’aria che si respira, fresca ma ancora estiva. Penso che l’incontro con Martina non dovrà essere duro e immediato, come un’auto che si va a schiantare a tutta velocità su un muro. E’ anche una visione troppo cinematografica per essere vera - i due innamorati che cor-rono l’uno contro l’altro a braccia aperte sulla spiaggia - e anche se andasse così, fi-nirebbe per apparirmi comica, sminuendo l’alone di sensazioni e sentimenti coltivati con dovizia e lentezza - come si può curare un fiore raro in un ambiente ostile - e mai sbocciati in un vero e proprio contatto fi-sico.

Right Here Right now, Lungomare Fondachello (foto di _Paloma _Naborre)

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Fotodrome


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